L'esperienza dell'integrazione in Abruzzo, storica regione di insediamento della cultura Romanès. Verso il congresso mondiale
Rom all'ombra del Gran Sasso
 
 
Nella rosa dei candidati a ospitare il 6° Congresso mondiale della comunità Rom, c'è il nostro paese. Dopo Londra, Ginevra, Gottinghen, Varsavia e Praga, a ottobre i rappresentanti delle comunità arriveranno in Abruzzo un po' da tutto il mondo per la consueta consultazione della Romani Union, l'organismo non territoriale che li rappresenta all'Onu. Sotto lo stendardo colorato solcato dalla ruota di un carro, rinnoveranno le cariche del consiglio, con l'obiettivo di «coordinare attività di tutela e promozione della loro identità».

Del resto l'Abruzzo non è nuovo a iniziative di questo genere, visto che proprio lì è nato il fermento che ha diffuso l'eco della cultura romanì un po' in tutta Italia. A raccogliere l'impulso è stata quindi Trieste, città ponte tra Occidente e Oriente, che due anni fa ha istituito un corso di Lingua e cultura Romanì, all'interno della facoltà di Lettere e Filosofia. A guidarlo, un docente abruzzese di origine Rom, Santino Spinelli.

L'Abruzzo e la tradizione romanò hanno una lunga storia comune, dato che la comunità romanì è radicata in quella zona da più di settecento anni. Tutto inizia intorno al XV secolo. Dopo quattrocento anni di migrazioni, le prime carovane arrivano in Europa. Dal cuore dell'India, patria della comunità, giungono nel nostro continente passando attraverso la Boemia (da cui "bohemiens"), dove Re Sigismondo garantisce loro un salvacondotto che gli consente libero movimento. Arrivano in Italia dopo secoli di permanenza nell'impero bizantino da cui fuggono per le persecuzioni dei turchi selgiuchidi. A Bisanzio vengono confusi con la setta eretica degli athsingani, accusata di stregoneria. E dalla deformazione di quel termine, nasce la discriminatoria parola "zingaro" con cui la comunità romanì non accetta certo di autodefinirsi. Più adeguato il termine "rom", che nell'originaria lingua neoindiana significa "uomo". In Italia trovano un potente protettore: papa Martino V che concede loro un lasciapassare come pellegrini penitenti. Aspra fu invece la repressione operata da Maria Teresa d'Austria che vietò il nomadismo e proibì ai rom di educare i loro figli. Ma è nel XX secolo che si attua la peggiore delle persecuzioni. Durante la Seconda guerra mondiale vengono sterminati più di 500mila rom, rinchiusi nei campi di Auschwitz, Birkenau, Dachau e Buchenwald perché: «Geneticamente furfanti, truffatori e ladri». Nei lagher vengono sterilizzati e usati come cavie. A guidare gli esperimenti è lo psichiatra Robert Ritter che, nel 1940, scrive: «La questione zingara potrà considerarsi risolta solo quando il grosso di questi ibridi zigani, asociali e fannulloni sarà radunato in campi di concentramento, e l'ulteriore aumento di queste popolazioni sarà definitivamente impedito». Il 1938 è il loro annus horribilis: viene emanata la prima vera legge razziale contro la comunità romanes e a Auschwitz è istituito lo Zigeunerlager. La notte del 31 luglio '44 segna l'epilogo: all'alba del nuovo giorno non un solo Rom viene trovato vivo nel campo di sterminio.

Ma è attorno agli anni '50 che si sviluppa il vero fermento culturale che da il via ad una pacifica battaglia intellettuale volta a diffondere i valori peculiari della tradizione romanò. A guidare la massiccia mobilitazione è proprio l'Abruzzo dove ha sede la più antica comunità rom italiana. A Lanciano (Ch) è nata l'associazione di rom e sinti, "Them Romano", che indice annualmente il concorso artistico internazionale "Amico Rom". Un vero esempio di intercultura cui partecipano artisti provenienti da tutto il mondo che si confrontano sui temi della "romanipè", tramite scritti, pieces teatrali, musica e pittura. Il tutto in una regione in cui l'integrazione fra rom e gagè è già una prassi. Lo testimoniano iniziative realizzate nelle scuole, come quella dal nome "Il mondo come se fosse un villaggio", in cui i bambini hanno conosciuto la storia delle carovane tramite il gioco e la musica.

Giada Valdannini