Agosto 1944, la liberazione dello Zigeunerlager, l'area di Auschwitz deputata al loro massacro
Rom, lo sterminio dimenticato
 
 
Sono centinaia i rom giunti in Polonia da ogni parte d'Europa per commemorare l'olocausto dimenticato. La notte del 31 luglio di sessanta anni fa si concludeva lo sterminio della loro comunità. All'alba del giorno nuovo, non un solo rom viene trovato vivo nello Zigeunerlager, l'area di Auschwitz deputata al loro massacro. E alla fine della guerra saranno più di 500mila i rom gasati nei campi nazisti.

La storia della loro carneficina è una storia dimenticata e molto spesso offesa dall'oblio che buona parte della storiografia le ha riservato. Tutt'oggi la documentazione relativa è modesta e frammentaria e le ragioni sembrano essere disparate.

Per vari decenni è calato il sipario sulla tragedia dei rom, riconosciuta da pochi come razziale e intesa come semplice conseguenza di una forma di "prevenzione", per taluni, anche motivata.

Qualcuno sostiene che questa pesante rimozione celi un problema reale legato al risarcimento spettante alle vittime del nazismo. Altri ritengono che pochi dei sopravvissuti abbiano voluto raccontare e ancor meno siano stati ascoltati. Ma la Romani Union, l'organismo non territoriale che rappresenta all'Onu la comunità romanes, si sta battendo in questi giorni per il riconoscimento dei fatti, e il risarcimento che è loro dovuto.

La persecuzione subita in epoca nazista si ricollega strettamente all'esperienza fatta dagli ebrei: i rom come gli ebrei furono uccisi perché considerati «razza inferiore», indegna di esistere. Il Terzo Reich li voleva morti perché «geneticamente ladri e inclini al nomadismo».

Tutto inizia fin dai primi anni del potere hitleriano, ma già prima dell'avvento del nazismo esiste una legislazione sui rom tesa al controllo e all'identificazione di «quest'ibrido zigano». Già nella Germania guglielmina e nella Repubblica di weimar i rom vengono costretti al lavoro e privati della possibilità di movimento, ma è sotto il poter nazionalsocialista che si arriva alla drammatica svolta.

Sono numerosi gli scienziati, gli avvocati e i medici che si mettono a disposizione del Reich per sterminare «la piaga zingara». Dal '34 il ministero degli Interni tedesco inizia il finanziamento dei centri di igiene razziale e ricerca genetica, da allora cominciano gli esperimenti sui rom. Di lì a Auschwitz il passo è breve, e nel corso di poco tempo viene addirittura istituito l'ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara. Tutte le rommie (donne rom) vengono sterilizzate e gli uomini sono usati come cavie. Nel campo degli studi si distingue Robert Ritter, psichiatra e neurologo che scrive: «La questione zingara potrà considerarsi risolta solo quando il grosso di questi ibridi zigani, asociali e fannulloni (...) sarà radunato in campi di concentramento e costretto al lavoro, e quando l'ulteriore aumento di queste popolazioni sarà definitivamente impedito». E così avviene.

Nelle leggi razziali di Norimberga i rom non sono esplicitamente menzionati, eppure sono compresi tra coloro che vengono definiti di «sangue misto e degenerato» e condotti al massacro.

Nel 1936 viene spiccato un autentico mandato di cattura contro il popolo senza terra e a centinaia sono caricati sui treni della morte. A opera di Himmler viene redatta la prima vera legge contro la loro comunità, dal nome inquietante: "Lotta alla piaga zingara". Iniziano le deportazioni. Le prime sono documentate a Dachau dove giunge un trasporto di circa un centinaio di rom. Il 1938 è il loro annus horribilis. A Aushwitz viene istituito lo Zigeunerlager che entra in funzione nel febbraio del 1943 e termina la sua attività nei i primi giorni di agosto del 1944.

Un medico ebreo, prigioniero nel campo, racconta: «L'ora dell'annientamento è suonata anche per loro. La procedura è la stessa applicata per il campo ceco. Prima di tutto divieto di uscire dalle baracche. Poi le Ss e i cani poliziotto che li costringono a allinearsi. (...) Li convincono che li stanno portando in un altro campo. Il blocco degli zingari si fa muto. Si ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre lasciate aperte che sbattono di continuo». Anche per loro era giunta la morte.

Giada Valdannini