L'omicidio è avvenuto a gennaio 2004, la comunità internazionale si muove per avere giustizia.

Vichea si batteva per sensibilizzare i lavoratori sui loro diritti, con particolare attenzione alle donne

Cambogia, due innocenti in carcere per la morte del sindacalista Chea Vichea
 
 
Giada Valdannini
La storia ha dell'incredibile, eppure si ripete con una certa ciclicità. La violazione dei diritti umani, in Cambogia, è una costante. E questa volta, a farne le spese, sono due uomini accusati ingiustamente dell'assassinio di Chea Vichea, il più noto leader sindacale del paese. Della sua morte, avvenuta il 22 gennaio 2004, sono stati incriminati Born Sanang e Sok Sam Ouen, che sconteranno vent'anni di carcere. La sentenza, emessa lo scorso 1 agosto, ha scatenato l'indignazione dei sindacati - come l'Icftu - che hanno chiesto «giustizia e verità» sulla morte del presidente del Ftuwkc. Ed hanno inoltrato un appello alla comunità internazionale affinché il governo di Hun Sen riceva forti pressioni che lo spingano ad avviare un'indagine seria sui veri assassini e mandanti dell'omicidio.

Tutto è iniziato quella mattina di gennaio quando Vichea, 36 anni, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre leggeva il giornale in un chiosco affollato di Phom Penh. L'uomo, tra i fondatori del partito di Sam Rainsy, se ne era allontanato per dedicarsi completamente all'impegno sindacale in difesa dei lavoratori dell'industria tessile. Impegno che ha pagato con la vita, dopo anni di intimidazioni e violenze subite. Come nel luglio 2003, quando ricevette sul cellulare minacce di morte, via sms. La polizia, una volta identificato il mittente, preferì insabbiare le indagini, trattandosi di un personaggio troppo potente per essere denunciato. A quel punto Chea Vichea fu invitato a lasciare il paese, non potendo beneficiare di alcuna protezione.

Ma lui non si sottrasse e continuò comunque la battaglia in favore dei lavoratori. Tanto che a novembre dello stesso anno era nuovamente in piazza alla testa di 400 operai, poi dispersi con violenza dalla polizia. Anche in quell'occasione, i lavoratori tessili - in gran parte donne - erano per le vie di Phonm Penh per protestare contro le condizioni di lavoro. Duecento agenti in assetto anti sommossa e armati di fucili affrontarono i dimostranti e di fronte a quell'uso eccessivo della forza, Vichea e un deputato dell'opposizione, Cheam Channy, scesero sul piede di guerra e accusarono la polizia senza mezzi termini. In questo clima di tensione, volto a sottomettere l'opposizione ai disegni del primo Ministro, le uccisioni si sono susseguite con una cadenza impressionante. Dall'inizio del 2004 sono stati molti gli omicidi politici ai danni dei militanti del Sam Rainsy Party che, col Funsipec, costituisce l'Alleanza democratica.

Ma Vichea contro cosa si stava battendo e cosa denunciava? L'industria tessile - si legge in uno studio condotto dalla Ifctu (international confederation of free trade unions) - è il più vasto settore dell'economia cambogiana. Nonostante ciò ai lavoratori non viene garantita la benché minima tutela e per poco più di 80 dollari al mese lavorano per oltre 12 ore al giorno. Ma gli stipendi - secondo il dossier - scendono anche a 45 dollari, in molte parti del paese. «I lavoratori provengono da villaggi di campagna e vivono in sobborghi nati intorno alle zone industriali. Abitano in capanne di 10-15 metri quadrati in cui abitano in più di quattro persone». Ciò che allarma è che «sono costretti a lavorare sotto la minaccia dei loro datori di lavoro», che li spingono a produrre sempre più e a trattenersi per ore e ore oltre l'orario di lavoro. «Guadagno 65 dollari al mese - racconta un uomo - e se mi rifiuto di trattenermi, mi di dice che penalizzo il lavoro altrui e quindi sono costretto a lavorare quanto lui vuole». Sta di fatto che molti operai ignorano completamente i loro diritti e proprio in questa direzione si è inserita l'opera del sindacalista Vichea che voleva aiutarli ad acquisire coscienza della possibilità di denunciare al sindacato le violazioni. Ma come, se molti di loro non sapevano neppure cosa fosse un sindacato? Nel settembre 2003, volantinò davanti a una fabbrica, per invitare i lavoratori a partecipare alla manifestazione del 1 maggio e per questo subì un violent pestaggio. Fu il solo caso in cui riuscì a ottenere giustizia, facendo condannare il capo del servizio di sicurezza che l'aveva aggredito.

Particolare attenzione dedicò alle donne che lavorano nel tessile e che sono il 90% della manodopera. E' a loro che si rivolgeva quotidianamente nel tentativo di farle uscire dall'incubo dello sfruttamento e della paura. Perché queste donne oltre alle difficoltà della vita che conducono, sono costrette ad affrontare una società che le addita come «cattive ragazze». Il tutto perché vivono lontane da casa e perchè nei villaggi le considerano sessualmente troppo disinibite. Sta di fatto che, mentre nelle fabbriche prosegue lo sfruttamento e Born Sanang e Sok Sam Ouen iniziano a scontare la loro pena, i reali assassini di Vichea girano ancora a piede libero.