Walter Veltroni
e gli intellettuali di corte
Il principino
si è accigliato
e loro si sono
fatti silenti...

Don Roberto Sardelli
L 'articolo di Piero Sansonetti sulla "xenofobia e il forcalismo democratico" ( Liberazione 28 settembre) termina con un invito-provocazione che accolgo volentieri.
Egli afferma: «Possibile che tanti intellettuali che hanno costruito la loro personalità, il loro lavoro di molti anni, sui valori della sinistra o sul cristianesimo sociale, non si accorgano dell'operazione» xenofoba portata avanti dal sindaco di Roma, dai sindaci delle grandi città, dal ministro dell'Interno, dai prefetti e dai questori, nonché dai grandi organi di stampa e dai media i quali, alla maniera dei vecchi padroncini coloniali, esibiscono come trofei le indossatrici e le atlete nere e slave perché integrate senza pudore e dignità nel nostro sistema di consumi, e pretendono di rispedire in patria i lavavetri perché pericolosi per il "decoro e l'ordine pubblico" e potenziali terroristi?
Mi sembra di assistere ad un capovolgimento delle situazioni. Fuorviati dai media ci si fa credere che il "criminale" è il clandestino, lo straniero e non chi fa quei discorsi di allarmismo sociale gettando così le basi per un futuro nemmeno tanto lontano di divisione. I telegiornali e la stampa che ad ogni atto delinquenziale (che va debitamente perseguito e punito) si abbandonano a parlare di emergenza rumena di emergenza albanese o nigeriana così come una volta si parlava di emergenza baraccati o sarda o napoletana, non si rendono conto che essi imprimono nella coscienza di una parte dei cittadini lo stigma della intoccabilità sapendo che dall'intoccabilità nasce la divisione e l'esclusione.
Il politico che si fa coinvolgere da questa faciloneria demenziale tradisce il suo ruolo e non opera per una società pacificata e solidale.
Politica, se ancora è lecito parlarne, è prima di tutto capacità di coniugare diritti e doveri di tutti, è contemperare i comportamenti, è educare le relazioni, è gettare le basi ideali per costruire un incontro fra tutte le diversità e di smetterla di parlare di integrazione a senso unico come se l'uomo fosse un salame. Eccoci allora alle affermazioni generiche ed ovvie come quella della "sicurezza che non è né di destra né di sinistra", ma, e qui casca l'asino, la sicurezza non è un valore astratto, occorre calarla nella realtà umana e quindi va gestita con un grande intervento informativo e formativo, con una cultura alta e partecipata, con provvedimenti legislativi e amministrativi saggi, e tutto questo o è di destra o è di sinistra, tertium non datur .
La carta della sicurezza va giocata, ma mai da sola come è tradizione della destra.
Occorre che i governi delle città si misurino in questo lavoro difficile, complesso e profondo e non si mettano ad inseguire una destra storicamente incapace di guardare a ciò che di alto si nasconde nelle pieghe degli ultimi. Prevedere e prevenire prima di reprimere. Se la sinistra si sottrae a tale appuntamento non ci resta che immergerci nel mondo dei volontari che, inascoltati, percorrono ogni giorno le vie dell'esclusione. Il loro operare non ci insegna nulla? Se un limite dobbiamo loro rimproverare è questo: spesso non hanno la forza di dare valenza politica al loro grande impegno e lasciano le chiavi della politica nelle mani dei potenti che ne fanno scempio. L'appello agli intellettuali di Sansonetti va specificato.
segue a pagina 3


03/10/2007

La sicurezza non è né di destra
né di sinistra. Ma che sciocchezza
Possibile che gli intellettuali non si rendano conto dell'operazione xenofoba dei sindaci e della sinistra moderata?
Chi parla di "securitarismo" fa riferimento a certe leggi, a certa informazione, a certa cultura. E tutto ciò o è di destra o è di sinistra

Don Roberto Sardelli
Nel pubblicare il documento "Per continuare a non tacere" (www.nontacere.org) noi abbiamo svolto una funzione intellettuale, ma abbiamo anche dovuto constatare che tanti intellettuali di professione, che in un primo momento si erano dichiarati interessati e attenti, appena il "principino" si è accigliato si sono fatti silenti. Che tristezza! Ho capito allora che vi sono vari tipi di intellettuali:
a) quelli "organici" al mondo del lavoro dipendente e alle lotte di liberazione, quelli insomma organici al mondo della sofferenza e della privazione e ne vivono acutamente le angustie e vi si compromettono sino a modificare il loro stile di vita, i loro rapporti, il loro linguaggio rischiando carriere e amicizie. Tali intellettuali sanno bene che le scelte hanno un costo che pagano sino in fondo.
b) Quelli progressisti (sono tanti!) che parlano ma non lasciano parlare, interrogano ma non si lasciano interrogare. Le loro idee innovatrici nascono nel loro cervello e qui restano non avendo il coraggio di tradurle in scelte di vita. I loro sguardi sono più attenti all'accigliamento del "principino" e ne scrutano gli umori che alla rudezza dello sguardo degli ultimi. Sono gli intellettuali snob che, accavallando le gambe con eleganza, disquisiscono dei poveri, ma evitano di farsene inquietare.
c) Quelli "organici" al padronato e alla borghesia impegnati ad argomentare la loro politica e la loro cultura. Affollano i loro giornali e i media. L'angolo visuale da cui nascono le loro riflessioni sui fatti e sulla storia è lo stesso del padrone arrivando, se necessario, all'autocensura. Ne consegue che i giudizi, le loro valutazioni si legano in una logica sillogistica che non ammette eccezioni o contraddittorio.
d) Infine vi sono anche intellettuali "organici" a se stessi. Sono gli onanisti dei "giri". Ve ne sono dappertutto in ogni direzione. Essi si definiscono "puri" in realtà a forza di guardarsi l'ombelico personale finiscono col credere che sia l'ombelico del mondo. In quanto tali pretendono di dettar legge e di essere ascoltati. Ve ne accorgete quando parlano: si citano reciprocamente e non vanno oltre il riferimento al salotto che frequentano.
Se Sansonetti aspetta che gli intellettuali "b", "c" e "d" si alzino, si sbaglia: non si alzerà nessuno e tanto meno i foraggiati dai poteri forti, veri padroni dei media.
Essi sanno che il "principino accigliato" non gradisce che qualcuno gli dica che è "nudo" e allora gli si fanno intorno per sollecitarne la bontà e il sorriso compiacente. Ma è evidente che l'appello di Sansonetti si rivolge agli intellettuali del punto "a" e questi non tacciono, parlano, anzi, gridano, basta aprire gli orecchi e ascoltarli.
Gli intellettuali del punto "a" dicono che questa città, come tutte le città del mondo, è una città-spezzatino. Vi è la città-spettacolo che mostra le sue magnificenze, le sue grandezze, il suo fascino unico, la città dei musei e delle mostre, delle arti, che attrae visitatori e studiosi di ogni parte. E questo è un bene se unito alle esigenze di altra natura perché la città non è solo musei e palazzi, ma gli uomini che vi vivono soffrono se l'interazione sociale è impedita o ostruita com'è. Vi è anche la città-bottegaia diventata un immenso centro commerciale che celebra la vittoria dell'uomo consumatore sul cittadino vero, ma il sindaco si rifiuta di aprire un dibattito su questo versante.
Vi è poi, la città dei ricchi che non abitano più il centro. Questa nuova ricca borghesia abita nelle zone residenziali a ridosso delle periferie e il suo individualismo ideologico e pratico si manifesta anche in architetture e stili di vita stucchevoli e ridondanti.
Abbiamo la città-periferica abbandonata a se stessa. Priva di un progetto culturale unificante e coinvolgente che ne riscatti il ruolo essa si riversa negli stadi, nelle discoteche, nei centri commerciali diventati i luoghi della socializzazione. Sì, siamo arrivati a questo punto di cecità.
Vi è infine la città-underground, degli invisibili portatori dello stigma sociale dell'intoccabilità che ferisce e devasta le stesse vittime indotte a ritenersi impotenti.
Primo compito del governo della città non è quello di amministrare gli "spezzatini", ma quello di progettare il loro superamento, di realizzare l'utopia dell'"ecumenopoli", di "abbassare le colline e colmare le valli". Una politica degna di tale nome deve avere come progetto la frantumazione delle barriere. L'occhio magico della politica è l'attenzione e la cura del sociale. La città non può diventare famosa nel mondo per la sua "estate", ma per aver messo le mani a questa grande opera di innalzamento qualitativo dove la vita e l'esistenza degli esclusi in particolare diventano il metro che misura la serietà e la profondità dell'impegno. Non si tratta di verniciare le superfici, ma di sconfiggere il tarlo che ne mina la consistenza. La nostra città si sta svuotando di valori, il tessuto tradizionale cede, si sfilaccia e non c'è chi se ne preoccupi per ritesserne uno nuovo. L'anima prima c'è, ma è negletta e le si mette la mano sulla bocca perché non parli.
Il 22 settembre, per un'intera giornata, ho frequentato un convegno Vides organizzato a Tor Bella Monaca dalle suore salesiane per i volontari provenienti da tutta Italia. Qui, gli intellettuali del "cristianesimo sociale" hanno parlato, eccome! Hanno messo nella cartella del convegno il documento integrale "Per continuare a non tacere" e ne hanno fatto proprio lo spirito e la lettera. Il messaggio si diffonde. Ma i nostri media, i nostri professionisti della politica erano impegnati a rincorrere Grillo e ne hanno paura, ma la paura paralizza, non crea. Purtroppo la politica è uscita dalla platea (cosa che lascia tranquillo e contento il nostro sindaco) ed è entrata nel proscenio; ma qui il dramma si recita, non è.
Il sindaco ha commesso il gravissimo errore di non confrontarsi con i cittadini sui temi dei valori per i quali una città o sorge o declina o galleggia, e, in un assolo desolante, insegue la destra sul suo terreno illudendosi di poterne avere l'applauso. Forse l'avrà, ma sarà un applauso pesantemente condizionato e noi tutti ne pagheremo lo scotto in termini di una città-spezzatino. Stiamo toccando l'apice dell'insipienza. Ma nutro la speranza della resipiscenza, ultima dea.


03/10/2007