Don Roberto Sardelli
Nel pubblicare il documento "Per continuare a non
tacere" (www.nontacere.org) noi abbiamo svolto una funzione intellettuale,
ma abbiamo anche dovuto constatare che tanti intellettuali di professione,
che in un primo momento si erano dichiarati interessati e attenti, appena il
"principino" si è accigliato si sono fatti silenti. Che tristezza! Ho capito
allora che vi sono vari tipi di intellettuali:
a) quelli "organici" al mondo del lavoro dipendente e alle lotte di
liberazione, quelli insomma organici al mondo della sofferenza e della
privazione e ne vivono acutamente le angustie e vi si compromettono sino a
modificare il loro stile di vita, i loro rapporti, il loro linguaggio
rischiando carriere e amicizie. Tali intellettuali sanno bene che le scelte
hanno un costo che pagano sino in fondo.
b) Quelli progressisti (sono tanti!) che parlano ma non lasciano parlare,
interrogano ma non si lasciano interrogare. Le loro idee innovatrici nascono
nel loro cervello e qui restano non avendo il coraggio di tradurle in scelte
di vita. I loro sguardi sono più attenti all'accigliamento del "principino"
e ne scrutano gli umori che alla rudezza dello sguardo degli ultimi. Sono
gli intellettuali snob che, accavallando le gambe con eleganza,
disquisiscono dei poveri, ma evitano di farsene inquietare.
c) Quelli "organici" al padronato e alla borghesia impegnati ad argomentare
la loro politica e la loro cultura. Affollano i loro giornali e i media.
L'angolo visuale da cui nascono le loro riflessioni sui fatti e sulla storia
è lo stesso del padrone arrivando, se necessario, all'autocensura. Ne
consegue che i giudizi, le loro valutazioni si legano in una logica
sillogistica che non ammette eccezioni o contraddittorio.
d) Infine vi sono anche intellettuali "organici" a se stessi. Sono gli
onanisti dei "giri". Ve ne sono dappertutto in ogni direzione. Essi si
definiscono "puri" in realtà a forza di guardarsi l'ombelico personale
finiscono col credere che sia l'ombelico del mondo. In quanto tali
pretendono di dettar legge e di essere ascoltati. Ve ne accorgete quando
parlano: si citano reciprocamente e non vanno oltre il riferimento al
salotto che frequentano.
Se Sansonetti aspetta che gli intellettuali "b", "c" e "d" si alzino, si
sbaglia: non si alzerà nessuno e tanto meno i foraggiati dai poteri forti,
veri padroni dei media.
Essi sanno che il "principino accigliato" non gradisce che qualcuno gli dica
che è "nudo" e allora gli si fanno intorno per sollecitarne la bontà e il
sorriso compiacente. Ma è evidente che l'appello di Sansonetti si rivolge
agli intellettuali del punto "a" e questi non tacciono, parlano, anzi,
gridano, basta aprire gli orecchi e ascoltarli.
Gli intellettuali del punto "a" dicono che questa città, come tutte le città
del mondo, è una città-spezzatino. Vi è la città-spettacolo che mostra le
sue magnificenze, le sue grandezze, il suo fascino unico, la città dei musei
e delle mostre, delle arti, che attrae visitatori e studiosi di ogni parte.
E questo è un bene se unito alle esigenze di altra natura perché la città
non è solo musei e palazzi, ma gli uomini che vi vivono soffrono se
l'interazione sociale è impedita o ostruita com'è. Vi è anche la
città-bottegaia diventata un immenso centro commerciale che celebra la
vittoria dell'uomo consumatore sul cittadino vero, ma il sindaco si rifiuta
di aprire un dibattito su questo versante.
Vi è poi, la città dei ricchi che non abitano più il centro. Questa nuova
ricca borghesia abita nelle zone residenziali a ridosso delle periferie e il
suo individualismo ideologico e pratico si manifesta anche in architetture e
stili di vita stucchevoli e ridondanti.
Abbiamo la città-periferica abbandonata a se stessa. Priva di un progetto
culturale unificante e coinvolgente che ne riscatti il ruolo essa si riversa
negli stadi, nelle discoteche, nei centri commerciali diventati i luoghi
della socializzazione. Sì, siamo arrivati a questo punto di cecità.
Vi è infine la città-underground, degli invisibili portatori dello stigma
sociale dell'intoccabilità che ferisce e devasta le stesse vittime indotte a
ritenersi impotenti.
Primo compito del governo della città non è quello di amministrare gli
"spezzatini", ma quello di progettare il loro superamento, di realizzare
l'utopia dell'"ecumenopoli", di "abbassare le colline e colmare le valli".
Una politica degna di tale nome deve avere come progetto la frantumazione
delle barriere. L'occhio magico della politica è l'attenzione e la cura del
sociale. La città non può diventare famosa nel mondo per la sua "estate", ma
per aver messo le mani a questa grande opera di innalzamento qualitativo
dove la vita e l'esistenza degli esclusi in particolare diventano il metro
che misura la serietà e la profondità dell'impegno. Non si tratta di
verniciare le superfici, ma di sconfiggere il tarlo che ne mina la
consistenza. La nostra città si sta svuotando di valori, il tessuto
tradizionale cede, si sfilaccia e non c'è chi se ne preoccupi per ritesserne
uno nuovo. L'anima prima c'è, ma è negletta e le si mette la mano sulla
bocca perché non parli.
Il 22 settembre, per un'intera giornata, ho frequentato un convegno Vides
organizzato a Tor Bella Monaca dalle suore salesiane per i volontari
provenienti da tutta Italia. Qui, gli intellettuali del "cristianesimo
sociale" hanno parlato, eccome! Hanno messo nella cartella del convegno il
documento integrale "Per continuare a non tacere" e ne hanno fatto proprio
lo spirito e la lettera. Il messaggio si diffonde. Ma i nostri media, i
nostri professionisti della politica erano impegnati a rincorrere Grillo e
ne hanno paura, ma la paura paralizza, non crea. Purtroppo la politica è
uscita dalla platea (cosa che lascia tranquillo e contento il nostro
sindaco) ed è entrata nel proscenio; ma qui il dramma si recita, non è.
Il sindaco ha commesso il gravissimo errore di non confrontarsi con i
cittadini sui temi dei valori per i quali una città o sorge o declina o
galleggia, e, in un assolo desolante, insegue la destra sul suo terreno
illudendosi di poterne avere l'applauso. Forse l'avrà, ma sarà un applauso
pesantemente condizionato e noi tutti ne pagheremo lo scotto in termini di
una città-spezzatino. Stiamo toccando l'apice dell'insipienza. Ma nutro la
speranza della resipiscenza, ultima dea.
03/10/2007 |