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Da Bruxelles parte la campagna globale per la messa al bando. Colpire chi fa affari con i produttori

 

Le armi all'uranio impoverito devono uscire dalla storia umana

 

Leucemie, tumori, natura e vite distrutte. E' ora di bandire l'uranio impoverito

 

Luisa Morgantini*

 

Tratto da Liberazione- UE’ del 01/12/2007


Nella foto in bianco e nero, in primo piano gli occhi severi di un anziano curdo iracheno ci guardano appesantiti dalle occhiaie e dalle rughe. Ha in braccio suo figlio di sei o sette anni, lo sguardo spaurito, è malato di leucemia e ha una visibile malformazione al collo. La fotografia colpisce allo stomaco: sono solo due dei tanti volti invisibili dei costi umani dell'uranio impoverito. Sono immagini del fotoreporter giapponese Naomi Toyoda che insieme alla parlamentare De Groen ho ospitato al Parlamento Europeo lo scorso 5 novembre, in occasione della giornata di mobilitazione internazionale contro le armi all'uranio impoverito. In quel giorno abbiamo lanciato da Bruxelles la campagna globale della Coalizione Internazionale per la messa al bando delle armi all'uranio (International Coalition to Ban Uranium Weapons) contro gli investimenti di banche e compagnie finanziarie di tutto il mondo nella fabbricazione di questo tipo micidiale di armi.

Molto più economico del tungsteno, rende più letali le armi e allo stesso tempo aiuta a smaltire parte delle scorie radioattive che altrimenti non si saprebbe dove mettere: l'uranio impoverito, depleted uranium, è e rimane un residuo nucleare messo in circolo: oltre 2000 tonnellate di uranio impoverito sono state utilizzate dal 1991 al 2003.

Il primo novembre scorso, nel silenzio dei mass media italiani, è stata votata a grandissima maggioranza (122 paesi a favore, 6 contro, 35 astenuti) una risoluzione Onu per chiedere verifiche sulla sua pericolosità: nell'atto dell'esplosione, infatti, i proiettili «speciali», irradiando polveri sottili altamente contaminanti, inquinano irreparabilmente aria, suolo e falde acquifere, penetrano nel sistema respiratorio e nei polmoni, accrescendo di molto le probabilità di affezioni tumorali, del morbo di Hodkin e di leucemia per chiunque ne venga a contatto o ne inali i residui. Proprio come il bambino della foto, come molti soldati americani o italiani, i loro figli e i civili di zone di guerra, nati con tumori del sangue o malformazioni.

Nonostante queste drammatiche, ripetute e documentate evidenze, hanno votato contro la risoluzione delle Nazioni Unite, i Paesi dotati di arsenali di armi all'uranio, ovviamente: gli Usa, Israele, Inghilterra, Francia, Repubblica Ceca e Paesi Bassi, quest'ultimi membri dell'Unione Europea non hanno minimamente tenuto in conto di come, sin dal 2001, il Parlamento Europeo abbia chiesto più volte l'introduzione di una moratoria nell'uso di questi ordigni. Invece di seguire l'esempio del Belgio che, primo paese al mondo, il 7 marzo di quest'anno ha senza mezzi termini messo al bando l'uso di armi, corazze, equipaggiamenti militari all'uranio impoverito per le conseguenze dannose derivanti dal suo grado elevatissimo di tossicità chimica, l'industria bellica tende al contrario a nascondere le cifre e i fatti: gli oltre 11mila soldati Usa, che a partire dal 1991 sono morti a causa della sindrome della guerra del Golfo (le cifre sono dell'americana Veterans for Constitutional Law Society), ma anche le innumerevoli malformazioni causate dalle nanoparticelle ai figli di militari e ai civili in Somalia, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libano.

Inutile dire che quando si tratta di riciclare materiale radioattivo per rafforzare gli armamenti anche le gerarchie militari e gli Stati, oltre all'industria bellica, hanno le loro responsabilità: le omissioni e i segreti militari, la mancata attuazione delle norme di protezione e del principio precauzionale, la negazione degli indennizzi agli ammalati hanno contribuito a insabbiare di fatto la pericolosità dell'uranio e la possibilità di evitare tante morti. Anche in Italia.
Proprio nel nostro paese abbiamo assistito di recente ad un'indegna guerra di cifre sulle vittime dell'uranio tuttora all'esame della Commissione di inchiesta istituita ad hoc e che visti gli innumerevoli capitoli ancora aperti sull'uranio e sulle sue vittime, prolungherà il suo mandato anche oltre il 31 dicembre. Di fatto comunque, per l'Anavafaf, l'associazione che tutela le vittime in uniforme, per bocca del suo Presidente Falco Accame che sull'argomento nel 2006 ha scritto l'importante volume "Uranio Impoverito: la verità" (scaricabile gratuitamente dal sito http://inchiestauranio.blogspot.com) «il trattamento ufficiale del problema dell'uranio impoverito è indecente, abbiamo avuto morti e malati di tumore nella guerra del Golfo, nel '91, poi in Somalia nel '93, poi in Bosnia nel '94: è sconfortante constatare che ancora oggi non si disponga di una base attendibile necessaria per effettuare uno studio epidemiologico serio».
Per il ministero della Difesa - rettificando le proprie stime originarie che parlavano di 255 malati di cancro e di 37 decessi tra i militari italiani che negli ultimi dieci anni hanno partecipato a missioni all'estero- sarebbero 1.682 i soldati colpiti da tumore a causa dell'uranio impoverito. Un altro studio in arrivo da parte dell'Osservatorio Militare per
ٍ già parla di 2536 casi di tumore riscontrati e di almeno 156 decessi già verificati. Ma aldilà del drammatico balletto di cifre, al centro anche dell'inchiesta «Uranio impoverito», i conti non tornano" di Maurizio Torrealta e Flaviano Masella in questi giorni in onda su Rainews24 (sabato alle 7.03, domenica alle 18.03 e lunedì alle 3.33), resta comunque inaccettabile l'assenza di qualsiasi trasparenza sulle missioni militari e sull'attività dei poligoni italiani: «una delle difficoltà maggiori incontrate finora sono state proprio le ostilità e le reticenze delle autorità militari» ha dichiarato Mauro Bulgarelli, senatore dei Verdi e Vice Presidente della Commissione d'inchiesta sull'Uranio impoverito, che ha già chiesto la chiusura del poligono di Salto di Quirra, in Sardegna «almeno fino a quando non sarà fatta piena luce sul nesso esistente tra le attività che si svolgono al suo interno e l'abnorme percentuale di malattie neoplastiche che sono state riscontrate tra la popolazione dei centri circostanti». A favore di un urgente risanamento dei tanti siti inquinati dall'attività dei poligoni e delle basi si è espresso più volte anche Francesco Martone, Senatore Prc, precisando che «la Sardegna, gravata da decenni da un'abnorme presenza di insediamenti militari, ha certo bisogno di finanziamenti da destinare soprattutto alla bonifica» piuttosto che all'organizzazione del vertice G8 del 2009 all'isola della Maddalena, «che sarebbe una vera calamità».

Purtroppo perٍ sempre nuovi casi di vittime dell'uranio impoverito vengono segnalati e molto spesso in forma non ufficiale: l'ultimo è del 15 novembre, arriva dall'Anavafaf e riguarda un militare di Sparanise, in provincia di Caserta, operante nel Reggimento di stanza a Vercelli ma che potrebbe essere stato contaminato dall'uranio impoverito durante un'esercitazione nel poligono di Teulada. Oppure la preoccupazione degli abitanti di Frigole nel Salento già formalizzata in un'interrogazione parlamentare presentata dall'On. Teresa Bellanova (Ds) e indirizzata al Ministro della Difesa Arturo Parisi per indagare se nel Poligono di Torre Veneri, adiacente al paese, si faccia uso di uranio impoverito vista l'alta incidenza di patologie neoplastiche verificatesi in quei luoghi soprattutto negli ultimi anni.
Sulla salute dei cittadini non sono ammesse ignavie, negligenze né segreti di stato: l'uso di armi all'uranio ha conseguenze devastanti e irreparabili, è una violazione della legge umanitaria internazionale e il loro utilizzo deve essere messo al bando immediatamente mentre deve essere garantita la massima trasparenza sui luoghi dove queste armi sono state e continuano ad essere usate, evitando ulteriori contaminazioni.

Se la finanziaria 2007 ha destinato 170 milioni di euro "per risarcire le vittime del dovere" - tra queste anche chi si è ammalato in Bosnia e Kosovo, contaminati dai bombardamenti degli Usa, a cui spetterebbe l'onere dei risarcimenti - e se il Senato ha dimostrato finalmente una certa sensibilità con il via libera alla costituzione di un fondo da 30 milioni di euro (10 milioni per ogni anno dal 2008 al 2010) per i danni "di coloro che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all'esposizione e all'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito", altrettanta decisione si dovrebbe mostrare nei confronti di chi specula con questo mercato di morte: l'Ong belga Netwerk Vlandereen ha pubblicato uno studio intitolato "Too risky for business - Financial Institutions and Uranium weapons". Nel rapporto compaiono 50 banche che hanno rapporti con tre imprese statunitensi produttrici di armi all'uranio impoverito: la Allianz Techsystems (Atk), la General Dynamics Ordnance and Tactical Systems e la GenCorp. La maggior parte degli istituti di credito finanziatori sono statunitensi, ma vi sono anche -tra le altre- banche tedesche, francesi e una italiana, Intesa Sanpaolo IMI, che nell'estate del 2003 avrebbe partecipato con 22 milioni di dollari a un prestito obbligazionario emesso dalla General Dynamics per coprire debiti preesistenti.

«Poco più di un anno fa mi è stato diagnosticato un tumore, molto probabilmente per una contaminazione da uranio impoverito subita in Iraq forse, o in Afghanistan, o in Somalia o in un altro dannato posto di guerra. Sono storie spesso taciute, ma reali e diffuse» ha scritto il giornalista di guerra Mimmo Candito nell'articolo "Soldati, reporter e civili contaminati dall'uranio" pubblicato il 9 novembre scorso su La Stampa.

Vale la pena concludere con un pensiero a lui e ai costi umani, orribili, dell'uranio impoverito: «Sì, è la guerra. Ma, delle decine di migliaia di civili senza nome, senza divisa, senza storia, che in quei territori contaminati, in Iraq, in Afghanistan, nel Kosovo o in Bosnia o in Somalia, ha continuato a vivere inconsapevole la propria quotidianità, della loro sorte, dei loro tumori, chi mai si è interessato? Chi ha cercato di raccontarne la cronaca, le sofferenze, la fine tragica? Il reporter ha un giornale per scriverne, i soldati hanno le associazioni che li tutelano; ma quegli iracheni, quegli afgani, quei bosniaci o kosovari senza nome né uniforme, dove mai troveranno una voce che venga fuori dalla loro storia finita per sempre e dia certezza di chi davvero li ha ammazzati?» (Mimmo Candito, "Soldati, reporter e civili contaminati dall'uranio" 9 novembre 2007 La Stampa). E' urgente che il nostro governo faccia come il Belgio, nel Parlamento Europeo continueremo ad insistere e sostenere la Campagna per la messa al bando delle armi all'uranio impoverito.


* Vice Presidente del Parlamento Europeo