L’ADEGUAMENTO DELLE PENSIONI AL TRATTAMENTO DEL PERSONALE IN SERVIZIO del dott. Luca Busico
Articolo del dott. Luca Busico

L’ADEGUAMENTO DELLE PENSIONI AL TRATTAMENTO DEL PERSONALE IN SERVIZIO

Corte Costituzionale – sentenza 23 gennaio 2004 n. 30 – Pres. Chieppa – Rel. De Siervo
Impiegato dello stato e pubblico in genere - Trattamento di quiescenza - Aggancio ai miglioramenti retributivi - Esclusione - Questione infondata di costituzionalità.
Non è contrario alla Costituzione il mancato adeguamento delle pensioni dei dirigenti statali al trattamento del personale in servizio.

Considerato in diritto
1. – La Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, dubita, con riferimento agli artt.3, 36 e 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art.1, comma 2, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37; dell’art.5 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988-1990, nonché disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito, con modifiche, dall’art.1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21; degli artt.2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito, con modifiche, dall’art.1 della legge 6 marzo 1992, n. 216.
Ritiene la Corte rimettente che le norme censurate, poiché non estendono i benefici da esse contemplati per il personale in servizio anche al personale già collocato in quiescenza anteriormente alla data della loro entrata in vigore, contrasterebbero con gli artt.3, 36 e 38 della Costituzione, in quanto creerebbero una ingiustificata disparità di trattamento tra pensionati, determinata unicamente dalla data in cui sono stati collocati a riposo, nonostante essi abbiano prodotto la stessa quantità e qualità di lavoro. Le medesime norme, inoltre, avrebbero determinato un irragionevole divario tra stipendi e pensioni di dimensioni intollerabili, violando il principio di proporzionalità ed adeguatezza della pensione.
2. – La riproposizione da parte dello stesso giudice rimettente – sia pure nell’ambito di un diverso giudizio – di una questione già esaminata e le interpretazioni della precedente giurisprudenza costituzionale in materia alla base dell’ordinanza di rimessione, rendono opportuno riesaminare la questione alla luce delle più recenti evoluzioni normative, al tempo stesso ripercorrendo – a fini chiarificatori – le soluzioni cui è pervenuta questa Corte in tema di perdurante adeguatezza dei trattamenti pensionistici nel settore del pubblico impiego.
Riconoscendo alla pensione natura di retribuzione differita, la Corte costituzionale ha sempre affermato che essa deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato e deve comunque essere idonea ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, nel pieno rispetto dell’art.36 Cost.
L’art.38, secondo e quarto comma, della Costituzione, inoltre, riconosce il diritto dei lavoratori a “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” anche tramite “organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.
L’azione di integrazione anche economica tramite interventi a carico della finanza pubblica appare tanto più necessaria in presenza di un significativo allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del periodo nel quale è anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari (pur senza escludere la necessità di forme di assistenza sociale e sanitaria pienamente adeguate).
In questo contesto, è particolarmente importante che siano individuate le modalità per garantire effettivamente che il trattamento pensionistico sia adeguato non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche successivamente, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta (si vedano, in particolare, le sentenze n. 409 del 1995; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988).
Mentre non esiste un principio costituzionale che possa garantire l’adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio corrispondente, l’individuazione di meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni è riservata alla valutazione discrezionale del legislatore, operata sulla base di un “ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…), compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa” (sentenza n. 119 del 1991; nello stesso senso, cfr. ordinanza n. 531 del 2002; sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993), ma con il limite, comunque, di assicurare “la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona” (sentenza n. 457 del 1998).
Questa Corte ha peraltro affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti – ove siano comparabili i relativi profili professionali – può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia (sentenza n. 409 del 1995; n. 226 del 1993).
3. – Per un lungo periodo, in realtà, il legislatore nazionale ha cercato di garantire un collegamento delle pensioni relative al settore del pubblico impiego alla successiva dinamica retributiva, ma a questa scelta sembra aver da tempo ormai rinunciato, sia per evidenti problemi relativi alla finanza pubblica, sia anche per profonde trasformazioni che sono intervenute nella disciplina del pubblico impiego. Al di là di singole leggi per specifiche categorie, con le quali nel passato si era provveduto ad adeguare le pensioni al successivo andamento dei livelli retributivi, con la legge 29 aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza) è stato configurato un meccanismo di perequazione automatica che avrebbe consentito l’adeguamento periodico delle pensioni di tutte le diverse categorie del pubblico impiego agli incrementi stipendiali intervenuti, secondo un indice che avrebbe dovuto essere concordato tra il Governo e le parti sindacali. Rimasta inapplicata questa legge, il medesimo intento successivamente è stato ancora perseguito, ma sempre più raramente, con alcune leggi ad hoc.
Nell’ambito di questo tipo di legislazione, quando la riliquidazione appariva affetta da irragionevoli disparità di trattamento, questa Corte è stata chiamata a sindacarne la legittimità costituzionale: ad esempio, ciò è avvenuto con la sentenza n. 1 del 1991 (richiamata impropriamente dalla Corte dei conti e dalla parte privata), concernente la riliquidazione per legge delle pensioni dei dirigenti, civili e militari, dello Stato, effettuata sulla base di incrementi stipendiali successivi al collocamento a riposo, ma irragionevolmente limitata ai soli lavoratori collocati in quiescenza a partire da una certa data e dalla quale erano invece esclusi coloro che erano andati in pensione anteriormente.
Peraltro il legislatore, già in periodo alquanto risalente, al fine di garantire il mantenimento del potere di acquisto delle pensioni in generale, aveva disposto l’adeguamento dei trattamenti pensionistici agli indici reali di svalutazione (art.21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1984” e art.24 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1986”); su questa linea, soprattutto in epoca più recente, il legislatore per fronteggiare gravi esigenze di contenimento della spesa pubblica ed allo scopo – enunciato nell’art.1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) – di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo, ha consapevolmente svincolato i trattamenti pensionistici dall’andamento delle successive retribuzioni e cercato di salvaguardarne nel tempo il potere d’acquisto e l’adeguatezza attraverso il solo meccanismo della perequazione automatica dell’importo alle variazioni del costo della vita.
In attuazione di tale delega, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ha disposto – all’art.11 – che gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni si applicano sulla base del solo adeguamento al costo della vita con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, stabilendo che tali aumenti vengano calcolati “applicando all’importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, relativo all’anno precedente il mese di decorrenza dell’aumento, all’analogo valore medio relativo all’anno precedente”. La stessa norma, peraltro, rinviava ad ulteriori aumenti eventualmente stabiliti con la legge finanziaria, in relazione all’andamento dell’economia nazionale.
Successivamente, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure di stabilizzazione della finanza pubblica), all’art.59, comma 4, ha disposto che la perequazione automatica delle pensioni, prevista dal citato articolo 11, costituisca, a decorrere dal 1998, l’unica forma di adeguamento delle prestazioni pensionistiche, “con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”.
Le modalità di applicazione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni sono state definite dall’art.34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), mentre l’art.69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) ha fissato la misura entro la quale si applica l’indice di rivalutazione automatica a decorrere dal 1° gennaio 2001 (limitandola al 90%, per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS, e al 75% per le fasce di importo superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo).
In attuazione delle disposizioni sopra richiamate, annualmente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro del lavoro, viene determinata la percentuale di variazione sulla cui base devono essere calcolati gli aumenti di perequazione automatica delle pensioni.
Se questa recente evoluzione legislativa è chiaramente orientata nel senso di salvaguardare nel tempo il potere d’acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici unicamente attraverso il meccanismo della perequazione automatica dell’importo alle variazioni del costo della vita, essa risulta sostanzialmente anche coerente sia con il prevalente carattere contributivo assunto dal sistema pensionistico a seguito della riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sia anche con la profonda riforma che ha interessato il pubblico impiego ed in particolare la dirigenza pubblica, il cui trattamento economico è, per la parte accessoria, correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità ed ai risultati conseguiti (art.24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).
Mentre tutto ciò rende sempre più difficile riferirsi allo scostamento tra le pensioni e le successive modificazioni dei diversi trattamenti stipendiali, il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell’esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie, di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (ordinanza n. 241 del 2002; ordinanza n. 439 del 2001; ordinanza n. 254 del 2001). Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere d’acquisto della moneta, sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt.36 e 38 della Costituzione.
4. – Sulla base delle considerazioni svolte, è possibile esaminare le censure mosse dalla rimettente.
Infondata è la questione sollevata con riferimento all’art.3 della Costituzione.
Le norme impugnate si limitano a disporre aumenti stipendiali per il personale in servizio alla data della loro entrata in vigore, mentre non contengono alcuna disposizione relativamente al trattamento economico del personale già in quiescenza.
Alla luce del costante orientamento di questa Corte, la circostanza che il legislatore, nel prevedere un incremento delle retribuzioni del personale in servizio, non lo abbia esteso anche alle pensioni già liquidate, non costituisce violazione di alcun canone costituzionale.
Indubbiamente tale mancata estensione produce uno scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi, ma, a differenza di quanto sostiene la rimettente, tale conseguenza non contrasta di per sé con l’art.3 della Costituzione, essendo giustificata dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vigente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati (ordinanza n. 162 del 2003; sentenza n. 180 del 2001).
5. – Anche la questione prospettata con riferimento agli artt.36 e 38 della Costituzione, è infondata.
Il rispetto dell’art.36 Cost., in origine assicurato da un trattamento proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato, è stato successivamente perseguito con un meccanismo di adeguamento al costo della vita (previsto dal d.lgs. n. 503 del 1992 e dalla legge n. 448 del 1998 sopra richiamati), che il giudice rimettente non ha preso in considerazione in rapporto alla permanente necessità che il trattamento pensionistico rimanga adeguato ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 2 del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonché in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37; dell’art. 5 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui miglioramenti economici relativi al periodo contrattuale 1988-1990, nonché disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), convertito, con modifiche, dall’art.1, comma 1, della legge 23 gennaio 1991, n. 21; degli artt. 2, 3 e 4 del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5 (Autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia), convertito con modifiche, dall’art.1 della legge 6 marzo 1992, n. 216, sollevate dalla Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, in riferimento agli artt.3, 36 e 38 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

NOTA DI COMMENTO
Il thema decidendum della ordinanza in esame è la questione dell’adeguamento delle pensioni agli stipendi.
La Corte Costituzionale è stata più volte chiamata a sindacare la conformità a Costituzione di normative contemplanti benefici economici per il personale in servizio non estensibili al personale già collocato in quiescenza anteriormente alla data della loro entrata in vigore. Le censure di legittimità costituzionale dei giudici rimettenti hanno sempre fatto riferimento agli artt.3, 36 e 38 della Costituzione Repubblicana, sotto il profilo dell’ingiustificata disparità di trattamento tra pensionati e personale in servizio, determinata unicamente dalla data in di collocamento a riposo, nonché della violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della pensione.
La risposta del giudice delle leggi è sta in più occasioni (1), come anche nell’ordinanza in commento, nel senso che non esiste nel nostro ordinamento un principio generale di adeguamento automatico della dinamica pensionistica alla dinamica stipendiale. La Consulta, infatti, ha evidenziato che dagli artt.36 e 38 Cost. discende il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionato alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato e deve in ogni caso assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita non solo all’epoca del collocamento a riposo, ma anche nel prosieguo in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta. I principi di proporzionalità e adeguatezza della pensione, tuttavia, non comportano un’automatica e costante estensione al personale in quiescenza dei miglioramenti retributivi riconosciuti al personale in servizio, ma, pur tenendo conto che quest’ultimo costituisca l’obiettivo ottimale, esigono piuttosto una commisurazione del trattamento pensionistico al reddito percepito in costanza di rapporto secondo determinazioni discrezionali del legislatore, che devono fondarsi sul ragionevole bilanciamento dei diversi valori ed interessi costituzionali coinvolti nell’attuazione di quei principi, compresi quelli connessi alla disponibilità delle risorse finanziarie e all’individuazione dei mezzi per farvi fronte (artt.81 e 97 Cost.).
Deve, infine, ricordarsi che l’inesistenza di un principio generale di adeguamento automatico della dinamica pensionistica alla dinamica stipendiale è stato affermato in diverse occasioni anche dalla Corte dei Conti (2).
Dott. LUCA BUSICO

NOTE
1) cfr. C. Cost., 15 marzo 1991 n. 119, in Foro Italiano 1991,I,2601 e Giustizia Civile 1991,I,1111; C. Cost., 7 maggio 1993 n. 226, in Diritto e Pratica Lavoro 1993,1535; C. Cost., 16 dicembre 1993 n. 441, ivi 1994,521 e Rivista della Corte dei Conti 1993,6,208; C. Cost., 27 luglio 1995 n. 409, in Giustizia Civile 1995,I,2599; C. Cost., 5 marzo 1999 n. 62, in Foro Italiano 1999,I,1390 e Giustizia Civile 1999,I,748.
2) cfr. C. Conti, Sezioni Riunite, 10 maggio 1999 n. 11/QM, in Foro Amministrativo 2000,246 e Rivista della Corte dei Conti 1999,3,63; C. Conti, Sez. III centrale, 4 maggio 2001 n. 98/A, ivi 2001,3,219.