supremi giudici danno rilevanza anche alle coppie di fatto
Per la reversibilità si tiene conto anche della convivenza PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 2471/2003)
   
   
Nell'attribuzione della pensione di reversibilità si deve tenere conto anche dei periodi di convivenza. La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con una sentenza che estende le tutele anche alle coppie di fatto, ha stabilito che anche i periodi di convivenza devono essere conteggiati dai giudici per l'attribuzione delle quote della pensione di reversibilità del marito defunto, tra la prima moglie, titolare di assegno di divorzio, e la moglie sposata in seconde nozze e rimasta vedova; a favore di quest'ultima si devono considerare anche tutti gli anni nei quali si è protratta la convivenza prima delle seconde nozze. La Suprema Corte ha affermato che anche l'esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata quale elemento da apprezzare per una compiuta valutazione delle situazioni. (17 aprile 2003)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.2471/2003

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sig.ra F.P., premesso di avere contratto matrimonio il 27 aprile 1972 con A.P.; di essersi separata da questi legalmente nel 1979 e che era poi (26 luglio 1989) stata pronunciata la cassazione degli effetti civili del loro matrimonio, con obbligo dell’ex coniuge di corrisponderle per il mantenimento suo e della figli £ 500.000 mensili rivalutabili; che nel 1990 il P. aveva contratto nuove nozze con M. C. e che lo stesso era deceduto il 14 marzo 1994, chiese al Tribunale di Parma di determinare la quota della pensione a lei spettante quale moglie divorziata del P. e pagata dall’INPS in favore ella C.

Si costituirono l’INPS e la C.

Quest’ultima propose varie eccezioni di carattere pregiudiziale e resistette nel merito.

Il Tribunale, con sentenza n. 322/1998, attribuì alla ricorrente la quota di 17/21 della pensione e alla C. i restanti 4/21,

considerando, da un lato, che la P. era titolare di assegno di divorzio, non era passata a nuove nozze, e aveva prodotto in corso di causa l’atto notorio previsto dall’art. 9 comma 5; dall’altro, che il suo matrimonio era durato anni 17, mesi 9 e giorni 11 e che quello della resistente era durato anni 3, mesi 9 e giorni 12.

Con sentenza 8 novembre 1999 la Corte d’appello di Bologna confermò la decisione del giudice di primo grado, osservando: che l’allegazione dell’atto notorio, previsto dall’art. 9, comma 5, L. 898 del 1970, non poteva configurarsi come presupposto processuale per l’esperibilità della domanda, e, quindi, legittimamente esso era stato prodotto in corso di causa; che la P. al momento del decesso del coniuge riceveva l’assegno di mantenimento e sussisteva pertanto la condizione per il riconoscimento del suo diritto ad una quota di pensione di reversibilità; che il criterio di ripartizione della pensione era stato correttamente effettuato esclusivamente sulla base della durata legale dei rispettivi matrimoni.

Avverso questa sentenza la C. ha proposto ricorso per cassazioni con cinque motivi.

Ha resistito con controricorso la P.

La ricorrente ha depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando la violazione dell’ art. 9, L. 898/70 [1] e vizi di motivazione, la ricorrente ripropone la questione relativa agli effetti della mancata allegazione alla domanda proposta dalla P. dell’atto notorio, censurando la sentenza impugnata la quale aveva escluso che la sua mancata allegazione comportasse un vizio di procedibilità, ed aveva quindi deciso la causa nel merito alla stregua della successiva produzione dell’atto nel corso dello stesso giudizio di primo grado.

La censura è infondata.

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che non è causa di inammissibilità, ne di improcedibilità della domanda la mancata produzione, da parte dell’ex coniuge superstite, dell’atto notorio da cui risultino tutti gli eventuali aventi diritto, a norma dell’art. 9, comma 5, L. 898/1970.

Dal tenore della stessa disposizione emerge, infatti, chiaramente, che (ferma restando la responsabilità del dichiarante per le dichiarazioni mendaci) la pronuncia di accoglimento non pregiudica la tutela dei diritti, nei confronti dei beneficiari, di altri eventuali soggetti pretermessi (cfr. Cass. 20 maggio 1999, n. 4902).

Con il secondo, col terzo, col quarto e col quinto motivo, denunciando la violazione dell’art. 9 L. 898/1970 e vizi di motivazione, la ricorrente ripropone la questione della legittimità dei criteri di ripartizione adottati dai giudici del merito in ordine alla attribuzione della quota alle aventi diritto per effetto della morte dell’ex coniuge divorziato, e censura il mancato accoglimento delle istanze istruttorie volte a dimostrare la reale situazione di fatto circa il diritto alla pensione di reversibilità, la mancata valutazione dei co plessi rapporti esistenti tra le parti (in particolare, del rapporto di fatto) e delle condizioni economiche del coniuge superstite rispetto al coniuge divorziato.

La censura è fondata alla stregua (e nei limiti) delle seguenti considerazioni.

La Corte d’appello ha stabilito che la pensione doveva essere ripartita tra coniuge divorziato e coniuge superstite in rigorosa applicazione della durata dei rispettivi matrimoni e in rigorosa proporzione dei rispettivi periodi.

I principi applicati sono conformi ai criteri interpretativi enunciati da questa Corte con la sentenza del 12 gennaio 1998, n. 159 a Sezioni unite.

Secondo questi criteri, nella ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato non può essere utilizzato un parametro diverso da quello della durata del rapporto, ossia tra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge (sent. 159/1998, cit.).

Richiamata, a sostegno dell’interpretazione accolta, la sentenza 24 gennaio 1991, n. 23 del giudice delle leggi, nella parte in cui questa ha sottolineato che la ripartizione va operata in base all’unico criterio della durata di ciascun matrimoni, le Sezioni unite ha fondato l’affermazione di principio sul dato letterale dell’art. 9, comma 3, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel teso introdotto dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, e sul mancato richiamo, nel contesto di quel comma, degli elementi di cui al sesto comma dell’art. 5; dato letterale ribadito, ha sottolineato la Corte, dall’esegesi sistematica, secondo cui il criterio della durata del matrimonio è l’unico armonico alle caratteristiche ontologiche introdotto dalla disciplina dell’art. 13 della legge n. 74/1987, e coerente con l’interpretazione del quadro normativo; la durata del matrimonio, intesa come durata legale del matrimonio, risultando l’unico criterio coerente con le caratteristiche ontologiche della nuova disciplina.

Sul problema è, poi, intervenuta, in sede di verifica della legittimità costituzionale della norma, il giudice delle leggi, che, con sentenza 4 novembre 1999, n. 419, ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione dell’art. 9, comma 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Secondo la Corte costituzionale, la norma in esame, pur imponendo al giudice di tenere presente l’elemento temporale di durata dei rispettivi matrimoni, non postula che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra gli aventi diritto debba essere effettuato sulla base del criterio matematico della durata legale dei rispettivi matrimoni, e in rigorosa proporzione coi relativi periodi, escludendo l’adozione di altri elementi di valutazione, anche in funzione di mera emenda o di correzioni del risultato conseguito.

Ha rilevato, infatti, che il legislatore ha inteso assicurare all’ex coniuge, cui sia stato attribuito l’assegno di divorzio, la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pensione che trae origine da un rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una quota di tale pensione, qualora esista un coniuge superstite che abbia diritto alla reversibilità.

Ha pure osservato che, nella valutazione complessiva del fenomeno, non si può prescindere dal considerare la funzione solidaristica svolta dalla pensione di reversibilità: nei confronti del coniuge superstite, come una sorta di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento già assicurato dal reddito del coniuge deceduto; nonché nei confronti dell’ex coniuge, cui è riconosciuta la continuità nel sostegno e la conservazione del diritto alla reversibilità del trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale.

Il Collegio ritiene che ragioni di coerenza e il principio di unità sistematica dell’ordinamento impongono di riconsiderare, alla luce di tali rilievi, la soluzione del problema, e di verificare se, come suggerisce il giudice delle leggi, dal quadro normativo sia possibile ricavare un’interpretazione, diversa da quella accolta dalla sentenza già richiamata di questa Corte, conforme ai precetti costituzionali di eguaglianza sostanziale e di solidarietà sociale.

Proprio muovendo dal carattere solidaristico della pensione di reversibilità, più volte sottolineato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 962 del 1988, n. 495 del 1993, n. 18 del 1998 e n. 70 del 1999) e dal significato che esa assume anche nell’ambito dell’art. 9, comma 3, come una forma di protezione, otre la morte, della funzione di sostentamento assolta in vita dal de cuius, che persegue lo scopo di porre il superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno che potrebbe derivargli dalla scomparsa del coniuge, si ritiene di poter pervenire ad un risultato interpretativo in cui si compongono le diverse esigenze espresse dalla legge n. 898 del 1970.

L’art. 9, comma 3, della legge n. 898, nel testo vigente, stabilisce: qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli atri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5.

Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni (…).

La norma prevede, quindi, che nella ripartizione della pensione di reversibilità occorre tener conto della durata del matrimonio.

Espressione che, già in base al suo valore semantico secondo l’uso linguistico generale, non appare esaustiva, ma prescrive al giudice di considerare nella valutazione del rapporto matrimoniale del coniuge superstite e dell’ex coniuge, l’elemento temporale; nel senso che non sarebbe possibile prescinderne, e che ad esso potrà essere attribuito, secondo le circostanze, valore preponderale ed anche decisivo.

Ma tale criterio, nel contesto normativo, non si pone come unico ed esclusivo parametro cui conformarsi automaticamente ed in base ad un mero calcolo matematico; conclusione, questa, rafforzata dal rilievo che ‘espressione tenendo conto, risulta utilizzata nel sistema della legge 898, e, in particolare, nell’art. 5, comma sesto, proprio con riferimento a circostanze da sottoporre, come elementi di valutazione, all’apprezzamento del giudice del merito; e che, quando il legislatore è intervenuto per determinare in modo rigido ed automatico i criteri da scegliere per le prestazioni patrimoniali a favore dell’ex coniuge, ha utilizzato un’espressione diversa, come nell’art. 12- bis, che, per la ripartizione dell’indennità di fine rapporto tra il coniuge e l’ex coniuge, ha indicato il quaranta per cento dell’indennità totale, riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Nel suo apprezzamento il giudice potrà, dunque, ponderare ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzarsi, eventualmente, quali correttivi del risultato che conseguirebbe all’applicazione del mero criterio temporale.

Se, poi, si considera che lo stesso art. 9 (comma 3) già contiene un richiamo all’assegno di cui all’art. 5, esigenze di coordinamento sistematico portano ad individuare nell’ambito dello stesso art. 5 (comma sesto) tali ulteriori elementi di giudizio, tra i quali potranno assumere specifico rilievo l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge e le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda matrimoniale.

Se, infatti, la funzione dell’assegno divorziale è eminemente assistenziale (nel senso precisato da questa Corte già con la sentenza 29 novembre 1990, n. 11490, a Sezioni unite, e ribadito dalla giurisprudenza successiva), anche questo profilo, come è ormai pacifico secondo il più recente orientamento (Casss. 14 marzo 2000, n. 2920; Cass. 14 giugno 2000, mn. 8113; Casss. 10 gennaio 2001, n. 282 e Casss. 2 marzo 2001, n. 3037), deve essere suscettibile di valutazione in funzione correttiva del criterio, non eludibile, dell’elemento temporale.

In quest’ottica, ed al solo fine di evitare che l’ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio, ed il secondo coniuge del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata dal giudice del merito quale elemento da apprezzare, nel caso concreto, per una più compiuta valutazione delle situazioni (cfr. sent. 282/2002, cit.).

In conclusione, devono essere, quindi, accolti nei limiti considerati, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, e va rigettato il primo motivo.

La sentenza impugnata deve essere, in conseguenza, cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata ad altro giudice, che procederà ad un nuovo accertamento, attenendosi ai suelencati criteri interpretativi.

Il giudice del rinvio vorrà provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso.

Rigetta il primo motivo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.

Roma, 7 ottobre 2002.

Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2003.

[1] L'art.9 della Legge sul divorzio dispone che "qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, su istanza di parte, può disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondersi ai sensi degli articoli 5 e 6. In caso di morte dell'obbligato, il tribunale può disporre che una quota della pensione o di altri assegni spettanti al coniuge superstite sia attribuita al coniuge o ai coniugi rispetto ai quali sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentite le parti ed il pubblico ministero".