Prevista per gli statali dal contratto a partire dal primo gennaio di quell'anno
L’indennità di amministrazione pensionabile dal 1996 PAGINA PRECEDENTE
(Corte dei Conti III Sezione 8/2003)
   
   
L’indennità di amministrazione, prevista in favore dei dipendenti statali dall’art. 34 del CCNL del Comparto “Ministeri” 1994-1997 ed attribuita dal 1° dicembre 1995, ai fini del trattamento di quiescenza dei dipendenti della Amministrazioni dello Stato, compresi i dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione, è stata resa pensionabile dal 1° gennaio 1996 in forza dell’art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995. Peraltro, la pensionabilità dell’indennità di amministrazione dal 1° gennaio 1996, in base al comma 10 del citato art. 2 della legge n. 335/1995, è stata prevista limitatamente a quella parte della stessa indennità che è eccedente rispetto alla maggiorazione del 18 per cento applicato sulle voci della retribuzione che, anteriormente alla data del 1° gennaio 1996, erano pensionabili ai sensi dell’art. 43 del TU di cui al DPR n. 1092/1973, concernente il trattamento di quiescenza degli dipendenti civili e militari dello Stato. In tal senso si è pronunciata la Sezione terza giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, respingendo, con la sentenza 17 dicembre 2002–8 gennaio 2003, n. 8, l’appello proposto da una professoressa, dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione e collocata a riposo dal 1° dicembre 1998 per raggiunti limiti di età. L’interessata si era rivolta alla Sezione terza d’appello della Corte dei Conti, impugnando la sentenza con cui la Sezione giurisdizionale della Corte dei Corti per il Lazio le aveva rigettato il ricorso presentato avverso la mancata inclusione nella base pensionabile dell’indennità di amministrazione maggiorata del 18 per cento, che a suo dire, in quanto indennità fissa e continuativa avente carattere stipendiale, doveva invece essere considerata in base ad una corretta interpretazione dell’art. 43 del TU di cui al DPR n. 1092/1973. La Sezione centrale terza della Corte dei Conti ha, però, ritenuto di non potere condividere tale tesi, svolgendo varie considerazioni, tra cui le seguenti. Fino al 31 dicembre 1995, l’indennità di amministrazione prevista dal citato art. 34 del CCNL 1994-1997 del Comparto “Ministeri”, non poteva concorrere a determinare la base pensionabile perché non figurava tra gli assegni tassativamente indicati, dall’art. 43 del TU di cui al DPR n. 1092/1973, come pensionabili e suscettibili di essere maggiorati del 18 per cento nonché per il fatto che detta indennità, al contrario di quanto richiedeva l’ultimo comma dello stesso art. 43, non era stata esplicitamente considerata quiescibile da alcuna altra specifica disposizione. Dal 1° gennaio 1996, anche l’indennità di amministrazione è divenuta pensionabile in virtù dell’art. 2, comma 9, della legge n. 335/1995 il quale, allo scopo di dare attuazione alla finalità di procedere all’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici, ha disposto che da quella data ai dipendenti statali venga applicato il principio della omnicomprensività del trattamento pensionistico, già operante per le pensioni erogate dall’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO). Peraltro, l’attuazione completa della finalità dell’armonizzazione tra i due sistemi previdenziali, quello degli statali e quello dell’AGO, non ha potuto prescindere dal fatto che la base pensionabile dell’ordinamento degli statali, anche se ridotta rispetto a quella prevista dall’ordinamento dell’AGO con l’applicazione del principio della omnicomprensività, beneficiava comunque della maggiorazione del 18 per cento, per cui il legislatore, tenendo conto di ciò, ha disposto che gli elementi della retribuzione resi pensionabili dal 1° gennaio 1996 sono assoggettati a contribuzione e confluiscano in pensione soltanto per la parte che eccede la maggiorazione del 18 per cento. Conseguentemente, è stato giudicato del tutto legittimo l’operato dell’amministrazione competente che aveva liquidato la pensione senza comprendere nella base pensionabile l’indennità di amministrazione perché di importo inferiore alla maggiorazione del 18 per cento degli elementi retributivi pensionabili in base all’art. 43 del TU di cui al DPR n. 1092/1973. (27 marzo 2003)  


LA CORTE DEI CONTI SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO. Sentenza n. 8/2003

 

 

LA CORTE DEI CONTI SEZIONE TERZA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai signori magistrati :

…………..……….omissis………....…….

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al n. 14991 del registro di segreteria proposto da A.P. avverso la sentenza n. 603 del 30 gennaio 2001 pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per la regione Lazio;

Visto l’atto d’appello;

Esaminati tutti gli altri documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del giorno 13 dicembre 2002, con l’assistenza del Segretario Lucia Bianco, il relatore Consigliere dott. Amedeo Rozera e l’Avv. Prof. Giuseppe Abbamonte per l’appellante; non costituita l’Amministrazione.

Ritenuto in fatto

Con l’impugnata sentenza la Sezione giurisdizionale Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra A. P., collocata a riposo dal 1 dicembre 1998 per raggiunti limiti d’età, avverso la mancata inclusione, nella base pensionabile, dell’importo dell’indennità di amministrazione prevista dall’articolo 34 del C.C.N.L [1] del comparto "Ministeri" ed attribuita a decorrere dal 1 dicembre 1995 ai dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione in attività di servizio: secondo i primi giudici detta indennità è stata resa pensionabile dal 1° gennaio 1996 ai sensi dell’ art. 2, comma IX della legge n. 335/1995, nei limiti posti dal successivo comma X (rilevanza quiescibile degli elementi precedentemente non pensionabili alla sola parte del loro importo superiore all’importo del 18% della restante base).

Avverso la sentenza ha proposto appello, con il patrocinio degli Avv.ti Giuseppe ed Orazio Abbamonte, la sig.ra A., eccependo l’apoditticità dell’affermazione resa dai primi giudici in ordine alla non pensionabilità dell’indennità in questione prima del 1 gennaio 1996 e l’errata interpretazione ed applicazione dell’ articolo 43 del DPR 1092/1973: l’appellante, in particolare, ricordato che tale norma dichiara pensionabili tutti gli assegni che, costituendo parte integrante, fissa e continuativa, hanno natura stipendiale, osserva che l’indennità di amministrazione presenta tale natura, in quanto ha il carattere della fissità e della continuità ed è volta a remunerare non prestazioni sporadiche ed occasionali, bensì prestazioni ordinarie di lavoro; a tal fine richiama altre ipotesi di analoghe indennità già riconosciute pensionabili dalla Corte Costituzionale, e, per quanto riguarda la maggiorazione del 18%, fa riferimento all’indennità spettante ai dirigenti ai sensi della legge n. 334/1997;diversamente argomentando, si porrebbero questioni di ordine costituzionale per violazione dei principi che pongono la necessità della giusta proporzione fra pensione e retribuzione e, quindi, con la quantità e la qualità del lavoro prestato: l’atto d’appello conclude, quindi, in via principale, perché venga dichiarato che l’indennità di amministrazione percepita dalla ricorrente con decorrenza dal 1° dicembre 1995 è computabile in pensione con la maggiorazione del 18% e, in subordine, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 43 del DPR 1092/1973 e, per quanto occorra, dell’ art. 2, commi 9 ,10 e 11, della legge 335/1995 per violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione [2].

In data 29 novembre 2002 l’appellante ha depositato altra memoria con la quale conferma, svolgendo ulteriori considerazioni, contenuto e conclusioni dell’atto d’appello.

All’odierna pubblica udienza, l’Avv. Abbamonte ha concluso insistendo sulle conclusioni già sviluppate negli atti scritti e ribadendo, in particolare, gli evidenziati profili di costituzionalità.

L’Amministrazione non risulta costituita.

Considerato in diritto

L’appello è infondato e deve essere respinto.

Esso, come ricordato in narrativa, si articola, sostanzialmente, su due punti (mancato riconoscimento della pensionabilità dell’indennità in questione dal 1 dicembre 1995 con la maggiorazione del 18% ed errata applicazione dell’ articolo 43 del DPR 1092/1973, con conseguenziali profili di ordine costituzionale) già valutati e disattesi dal primo giudice con motivazione che il Collegio condivide e conferma, con alcune ulteriori precisazioni.

Premesso che la pronuncia resa è stata motivata nel senso che gli importi corrispondenti all’indennità di amministrazione sarebbero "ininfluenti per l’attribuzione di un maggior importo di pensione, poiché inferiori al 18% della base pensionabile prevista dalla legge 177/1976", ricorda il Collegio, nel concordare su tale impostazione, che, ai fini della misura della pensione dei dipendenti statali, la base pensionabile viene determinata mediante l’applicazione di apposite aliquote, commisurate agli anni di servizio utili.

Sul piano storico è opportuno ricordare che la disciplina della base pensionabile rinveniva la propria fonte nell’art. 43 del DPR n. 1092/1973, modificato dall’art. 15 della legge n. 177/1976, secondo il quale "ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili la base pensionabile, costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione, e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18%": di seguito, venivano individuati gli assegni utili a determinare la base pensionabile.

Particolare rilevanza assumeva l’ultimo comma della citata norma il quale stabiliva espressamente e tassativamente che "nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possono essere considerati se la relativa disposizione non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile".

In definitiva, a determinare la base pensionabile potevano concorrere esclusivamente gli assegni tassativamente indicati dalla norma stessa ovvero esplicitamente considerati quiescibili da specifiche disposizioni di legge: il tutto, veniva, poi, assoggettato alla maggiorazione del 18% e sull’importo derivatone operavano le aliquote relative agli anni di servizio utili a pensione.

Quanto alla determinazione dei contributi previdenziali, questi, fino al 1° gennaio 1995, erano calcolati sulla base dello stipendio e degli altri assegni pensionabili, senza tener conto della maggiorazione del 18%, applicata, invece, a decorrere dal 1° gennaio 1995 a norma dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994 [3], con conseguenziale allineamento tra base pensionabile e retribuzione contributiva.

Tutto ciò fino all’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995 n. 335.

A partire da tale momento, infatti, il delineato contesto normativo ha subito una sostanziale e decisiva modifica a seguito della disposizione introdotta dall’ art. 2. comma nono della citata legge, secondo cui, a decorrere dal 1 gennaio 1996, si applicano ai dipendenti statali, ai fini della determinazione della base contributiva e pensionabile, i criteri previsti nell’art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153 [4], che, a quei fini, considera retribuzione "tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro": la norma stessa individua ed elenca, in termini tassativi, alcuni elementi retributivi che sono esclusi dalla retribuzione contributiva.

Il fine della "armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi" (art. 1, comma primo, legge 335 cit.), risulta, in tal modo, realizzato mediante l’adozione di un criterio unico, valido per tutti gli ordinamenti pensionistici, che ha comportato il sostanziale e formale recepimento da parte del legislatore del 1995 del principio dell’omnicomprensività del trattamento pensionistico.

Il che toglie rilievo a qualsiasi ipotesi di una diversa lettura dell’ art. 43 del DPR 1092/1973, stante che alla sua "rivisitazione" ha provveduto il legislatore nei termini appena ricordati.

Una completa e definitiva armonizzazione tra i diversi sistemi previdenziali non poteva, peraltro, prescindere dal superamento del divario che, di fatto, continuava a sussistere tra i due ordinamenti (quello statale e quello A.G.O.), in ragione del fatto che la base pensionabile del primo, pur ridotta rispetto a quella del secondo, tuttavia beneficiava della ricordata maggiorazione del 18%: ed è in tale prospettiva che il legislatore ha espressamente stabilito (art. 2, comma 10, legge n. 335 cit.) che "la disposizione di cui al comma nono opera per la parte eccedente l’incremento della base pensionabile previsto dagli articoli 15, 16 e 22 della legge 29 aprile 1976, n. 177 e per quello previsto dall’art. 15, comma 2, della citata legge n. 724 del 1994 [3]": in estrema sintesi, gli elementi retributivi resi pensionabili dal 1 gennaio 1996 sono assoggettati a contribuzione e confluiscono in pensione solo per la parte eccedente la maggiorazione del 18%.

Orbene, alla luce delle argomentazioni svolte, il decreto del Ministero della Pubblica Istruzione appare corretto ed immune da censure nei termini posti dalla sentenza impugnata che, di conseguenza, deve essere confermata.

Ed infatti, nella determinazione della base pensionabile, è stata puntualmente applicata la maggiorazione del 18% degli elementi retributivi pensionabili in base alla precedente normativa, (la sola operante in fattispecie stante la circostanza che la Prof.ssa A. è stata collocata a riposo secondo le regole del preesistente regime pensionistico ) e, rapportato il relativo importo a quello dell’indennità di amministrazione, non si è evidenziata alcuna eccedenza di quest’ultima rispetto alla prima, per cui della stessa non si è tenuto alcun conto ai fini della determinazione della misura della pensione: ciò ad evitare qualsiasi non consentita duplicazione, per la quota eccedente l’incremento del 18%, del relativo beneficio pensionistico.

Quanto alla dedotta questione di legittimità costituzionale, il Collegio - aderendo alle argomentazioni svolte dal primo giudice che debbono intendersi tutte confermate – non può che confermarne l’infondatezza, ricordando che, fermo restando che il trattamento di quiescenza deve essere proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, assicurando al lavoratore i mezzi adeguati alle esigenze della vita, sussiste, tuttavia, una sfera di discrezionalità del legislatore per la graduale attuazione dei suindicati principi, anche differenziando per le varie categorie le misure d i limiti dei benefici pensionistici (cfr., nel contesto di un indirizzo giurisprudenziale ampiamente consolidato, Corte Cost. n. 26/1980, n. 348/1985 e 173/1986): né è rilevante il richiamo all’indennità spettante ai dirigenti ai sensi della legge 334/1997, trattandosi di norma non applicabile alla specie, in quanto attinente ad altra categoria di personale.

Alle considerazioni che precedono segue il rigetto dell’appello.

Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei conti - Sezione Terza Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando, respinge l’appello proposto dalla Prof.ssa A.P. avverso la sentenza in epigrafe.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 13 e del 17 dicembre 2002 - Depositata nella segreteria della Sezione il giorno 8 gennaio 2003.