REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

Sezione terza giurisdizionale centrale d'appello

composta dai magistrati:

 

dott. Gaetano Pellegrino                             Presidente

dott. Silvio Aulisi                                        Consigliere

dott. Angelo De Marco                               Consigliere

dott. Enzo Rotolo                                        Consigliere

dott. Eugenio Francesco Schlitzer              Consigliere relatore

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

(Numero 285/2005)

 

nel giudizio pensionistico d'appello iscritto al n° 19587 del registro di segreteria,

ad istanza

della sig.ra L.F., rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Pietrunti,

Contro

l'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'Amministrazione pubblica [Inpdap],

Avverso

la sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Molise 31 ottobre 2003 n° 198/03.

Vista la sentenza impugnata, l'atto di appello e ogni altro atto e documento di causa.

Uditi nella pubblica udienza del 4 febbraio 2005, con l'assistenza del segretario sig.ra Gerarda Calabrese, il relatore consigliere Eugenio Francesco Schlitzer, l'avv. Domenico Bonaiuti [su delega dell'avv. Pietrunti] e, per l'Inpdap, la dott.ssa Patrizia Miceli.

Ritenuto in

FATTO

Con sentenza 31 ottobre 2003 n° 198/03 la Sezione giurisdizionale per la regione Molise, in composizione monocratica, ha dichiarato il diritto della sig.ra L.F. all'indennità integrativa speciale anche sulla pensione iscr. ...., in costanza di percezione di altro trattamento iscr. 3530563/R, nei limiti peraltro dell'integrazione al “minimo Inps” e con salvezza della prescrizione quinquennale.

Avverso tale sentenza la pensionata ha interposto appello col patrocinio dell'avv. Giovanni Pietrunti, richiamando l'orientamento già espresso al riguardo da questa Sezione e chiedendo il pieno riconoscimento del beneficio che ne occupa, oltre accessori.

L'inpdap si è costituito in giudizio il 12 gennaio 2005, chiedendo il rigetto dell'impugnativa.

All'udienza dibattimentale del 4 febbraio 2005 le parti hanno ribadito le conclusioni rispettivamente rassegnate.

In tale stato il giudizio è passato in decisione.

Considerato in

DIRITTO

1. Sul tema posto all'attenzione del Collegio con il presente atto di appello [indennità integrativa speciale in misura intera su plurimi trattamenti di pensione anteriori al 1 gennaio 1995] questa Sezione giurisdizionale centrale ha avuto occasione di pronunciarsi più volte, con giurisprudenza costante, anche recentissima.

In particolare è stata affermata la spettanza, anche per il periodo fino al 31 dicembre 1994, dell'indennità integrativa speciale in misura intera su plurimi trattamenti pensionistici ordinari [“normali”, privilegiati o “tabellari”], sulla base delle considerazioni che seguono.

In conseguenza della declaratoria di incostituzionalità del secondo comma dell'art. 99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092, le problematiche sull'operatività del divieto di cumulo, già ancorato [Sezioni riunite, 3 gennaio 2000 n° 1/2000/QM] al “limite di reddito” al quale si era sovente richiamato il Giudice delle leggi, sono state risolte, in assenza di norme indicanti i limiti cui aveva fatto riferimento la Corte co­stituzionale, nel senso della riespansione del diritto prima compresso dalla disposizione dichiarata illegittima.

Principio questo che, come da giurisprudenza divenuta comune a quasi tutte le Sezioni giurisdizionali, trovava conferma tanto nel fatto che con la pronuncia di incostituzionalità di una norma eccezionale non si era verificato alcun vuoto normativo nel sistema, tro­vando immediata applicazione la regola generale; quanto nella circostanza che la Corte costituzionale aveva confermato, con ordinanze 14/23 dicembre 1998 n° 438 e 15/21 novembre 2000 n° 517, nonché con sentenza 15/21 novembre 2000 n° 516, l'avvenuto annullamento delle norme dichiarate illegittime.

Con la sentenza 15/21 novembre 2000 n° 516, in particolare, la Corte costituzionale, nell'esaminare il disposto di cui alla tab. “O” , lett. “b”, terzo comma, legge regionale siciliana 29 ottobre 1985 n° 41 [ove, anche, era prevista la sospensione dell'indennità di contingenza senza indicare in presenza di quali presupposti poteva giustificarsi e concretamente operare detta decurtazione], aveva precisato che la detta statuizione era costituzionalmente illegittima perché, per l'appunto, non determinava la misura del trattamento complessivo oltre il quale doveva divenire operante, per i titolari di pensioni e assegni vitalizi, il divieto di cumulo dell'indennità di contingenza e di benefici similari.

Dalla quale ultima precisazione questa Sezione giurisdizionale centrale, dopo aver sottolineato che il punto rilevante della richiamata pronuncia risiedeva nel soppresso riferimento all'integrazione differenziale al “minimo Inps”, invece ricorrente in precedenti sentenze [8/22 aprile 1991 n° 172, 29/31 dicembre 1993 n° 494 e 26 ottobre/7 novembre 1994 n° 376], deduceva che un divieto generalizzato di cumulo, che non prevedesse limiti al di sotto dei quali ne fosse preclusa l'operatività, non poteva aver diritto di cittadinanza nell'ordinamento.

E “giustificava” detta ultima “deduzione” :

dal fatto che la stessa non si poneva in contrasto con altre sentenze del Giudice costituzionale riguardanti fattispecie del tutto analoghe, essendo se non altro doveroso eliminare qualsiasi conseguente ingiustificata disparità di trattamento tra posizioni pensionistiche pubbliche, a seconda che si verta in ipotesi di concorso con trattamenti pensionistici statali o regionali;

dal fatto che non poteva negarsi che con la sentenza 29/31 dicembre 1993 n° 494, solo apparentemente additiva sull'illegittimità dell'art. 99, secondo comma, Dpr 29 dicembre 1973 n° 1092, la Corte costituzionale aveva voluto in realtà promuovere una pronuncia ablatoria di tale disposizione; natura, quest'ultima, riconoscibile dal fatto che la Corte, nello statuire, non aveva tenuto conto, nel riferimento al parametro della sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172, della valenza provvisoria di quest'ultima, dovuta alla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità e al conseguente effetto caducatorio dell'art. 17 legge 21 dicembre 1978 n° 843 [sentenza 15/29 aprile 1992 n° 204], con l'annullamento del quale non poteva che considerarsi venuto meno, all'atto della dichiarata incostituzionalità del secondo comma dell'art. 99 citato, anche quel principio, attinto dalla sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172, relativo all'affermato parallelismo tra la condizione del titolare di due pensioni e quella del pensionato lavoratore [in tal senso: Sezione giurisdizionale per la regione Marche, 23 febbraio 2000 n° 2873];

dal fatto che l'inesistenza del divieto di cumulo, in tutte le ipotesi di pensione in concomitanza di prestazione lavorativa subordinata ovvero di doppia pensione, aveva trovato ulteriore e definitivo conforto nelle argomentazioni svolte dalla stessa Corte costituzionale nell'ordinanza 14/23 dicembre 1998 n° 438, laddove era stata inequivocabilmente affermata l'inesistenza del sesto e settimo comma dell'art. 2 legge 27 maggio 1959 n° 324, siccome rispettivamente trasfusi nel secondo e quinto comma dell'art. 99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092, a loro volta colpiti da declaratoria di incostituzionalità e quindi espunti dall'ordinamento [in tal senso, ancora una volta, ordinanza 15/21 novembre 2000 n° 517].

Orbene, tutto ciò premesso, si pone al Collegio la necessità di una rivisitazione della problematica, stante quanto affermato dalle Sezioni riunite nella sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM.

La prima domanda da porsi, pregiudiziale e comunque rilevante ai fini di qualsiasi soluzione si ritenga di dover adottare, riguarda la “possibilità” che il Giudice delle leggi, nei suoi decennali interventi in materia, più che eliminare aspetti di illegittimità per violazione degli artt. 3 e 36 Costituzione, abbia finito per creare egli stesso ancora più eclatanti casi di disparità, come tali rilevanti ai sensi del medesimo art. 3.

Se la risposta a detta domanda deve essere [e non può che essere] negativa e se, quindi, è necessario valutare in quest'ottica gli interventi della Corte costituzionale [cui peraltro non è consentita una vera e propria funzione legislativa, sì da poter “aggiungere” norme o frammenti di norme che nulla hanno a vedere con l'eliminazione della riscontrata illegittimità], appare impossibile una lettura delle pronunce de quibus che importerebbe, per fare un esempio [e a ciò condurrebbero le argomentazioni delle Sezioni riunite di cui alla sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM], che, nel caso di due dipendenti in attività di servizio titolari entrambi anche di un trattamento pensionistico, cessati l'uno il 1 gennaio 1995 e l'altro il 31 dicembre 1994, il primo potrebbe beneficiare di doppia indennità integrativa speciale [quella conglobata nella sua “nuova” pensione e quella sulla precedente, in quanto non si sarebbe in presenza di cumulo], mentre il secondo si vedrà privato di una delle due indennità in quanto nessuna delle due conglobata.

E allora è necessario ripensare se, dopo tanti interventi della Corte costituzionale [dal 1989 al 2003], questo debba essere il risultato!

Il Collegio è di contrario avviso, anzi ritiene che non vi sia spazio perché possa ipotizzarsi una siffatta conclusione.

E limitando, dopo queste prime riflessioni [che devono pur sempre guidare l'operatore del diritto], il successivo ragionamento al “petitum” che interessa il presente giudizio [duplice trattamento di pensione ante 1995] e alle questioni ad esso “speculari”, può ora osservare quanto segue.

In materia di indennità integrativa speciale sul trattamento di pensione esistevano, fino all'anno 1989, tre disposizioni di assoluta chiarezza:

il primo comma dell'art. 99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092 [“Al titolare di pensione ... spetta una indennità integrativa speciale…”], che lascia chiaramente intendere come su ogni pensione [del cumulo si dirà subito appresso] spetti il beneficio in parola;

il secondo comma dello stesso art. 99 [“Al titolare di più pensioni … l'indennità integrativa speciale compete a un solo titolo”];

il quinto comma ancora del ripetuto art. 99, che prevedeva eguale “divieto di cumulo” [l'indennità veniva “sospesa”] per il caso del pensionato che prestava opera retribuita presso lo Stato o pubbliche Amministrazioni.

E' proprio partendo da quest'ultimo divieto di cumulo [in ciò si risolveva la sospensione] che nel lontano 1989 fu “chiesto” alla Corte costituzionale di far “conoscere” se potesse ritenersi legittimo che un soggetto, avendo intrapreso un [nuovo] rapporto di lavoro dopo il collocamento a riposo, venisse privato dell'importo dell'indennità integrativa speciale afferente la pensione, spesso determinante per le esigenze vitali, a fronte magari di una retribuzione di entità notevolmente minore.

L'esito fu che con sentenza 13/22 dicembre 1989 n° 566 il quinto comma dell'art.99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092 venne, puramente e semplicemente, dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 36 della Carta costituzionale.

L'evidentissimo effetto di tale pronuncia [diritto di ottenere, senza condizione alcuna, la corresponsione dell'indennità integrativa speciale in misura intera sulla pensione, in ipotesi di contemporaneo svolgimento di attività lavorativa], oggi patrimonio comune della giuri­sprudenza di tutte le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, non venne immediatamente percepito, tanto che le Sezioni riunite erano venute ad affermare che tale beneficio:

rimaneva tout court ancora precluso, ai sensi dell'art. 12 preleggi, fino all'intervento in materia del legislatore [sentenza 13 luglio 1994 n° 100/C];

ovvero poteva essere concesso solo sub specie di integrazione della pensione al minimo Inps [sentenza 11 agosto 1997 n° 39-40/ QM];

ovvero poteva essere concesso solo nel caso che la retribuzione percepita, al lordo dell'irpef e al netto della stessa indennità, non superasse il limite della nullatenenza [sentenza 3 gennaio 2000 n° 1/2000/QM].

All'attualità, come precisato, pur in presenza delle pronunce delle Sezioni riunite appena ricordate, non vi è la minima voce discorde, nella giurisprudenza di questa Corte dei conti, in ordine all'avvenuta cancellazione [senza condizione alcuna] del divieto di cumulo in ipotesi di pensionato che presti opera retribuita [alle dipendenze sia di pubbliche Amministrazioni, che di terzi privati].

Le stesse Sezioni riunite infine, con la sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM, hanno confermato la natura ablatoria delle sentenze 13/22 dicembre 1989 n° 566 e 15/29 aprile 1992 n° 204, sicché è ormai definitivamente accertato che le norme, dichiarate illegittime con tali pronunce, non esistono più.

Relativamente all'ipotesi di cumulo dell'indennità integrativa speciale su plurime pensioni, la prima norma sospettata di illegittimità costituzionale fu l'art. 17 legge 21 dicembre 1978 n° 843, ritenuto dalla Sezione giurisdizionale siciliana costituzionalmente illegittimo in quanto volto ad assicurare una [almeno parziale] salvaguardia nei confronti del pensionato che prestava opera retribuita alle dipendenze di terzi [al quale doveva essere assicurato il cosiddetto “minimo Inps”], ma non nei confronti del titolare di doppia pensione.

In questo caso il Giudice delle leggi [sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172] ebbe a pronunciare l'illegittimità della norma, per violazione dell'art. 3 della Carta costituzionale, "nella parte in cui non prevede[va] che anche nei confronti del titolare di due pensioni ... debba comunque farsi salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti” [cosiddetto “minimo Inps” ]; con il che la norma, senza necessità di intervento legislativo, poteva ritenersi [come fu ritenuta da tutta la giurisprudenza] direttamente ritrascritta in tali sensi, vale a dire in termini di un'assoluta equiparazione tra pensionato che prestava anche opera retribuita [cosiddetto cumulo pensione/retribuzione] e pensionato titolare di più trattamenti pensionistici [cosiddetto cumulo pensione/ pensione].

Sospettata di illegittimità costituzionale fu successivamente la norma di cui al secondo comma dell'art. 99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092, che la Corte costituzionale con sentenza 29/31 dicembre 1993 n° 494 dichiarò illegittima, con un dispositivo non del tutto conforme alla motivazione, “nella parte in cui non prevede[va] che, nei confronti del titolare di due pensioni, … debba comunque farsi salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti” [cosiddetto “minimo Inps” ; dispositivo analogo alla sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172, riguardante tutt'altra ipotesi normativa].

E ancora seguì la sentenza 26 ottobre/7 novembre 1994 n° 376, con la quale la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità dell'art. 4 legge regionale siciliana 24 luglio 1978 n° 17, sempre nella parte in cui non prevedeva che nei confronti del titolare di più pensioni fosse fatto salvo l'importo di cui al cosiddetto “minimo Inps” [con dispositivo analogo a quello della sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172, non conforme alla motivazione].

Seguirono, infine, ulteriori due interventi della Corte costituzionale:

la sentenza 15/21 novembre 2000 n° 516, con la quale fu dichiarata l'illegittimità della tabella “O”, lettera “b”, terzo comma, legge regionale siciliana 29 ottobre 1985 n° 41 [questa volta con un dispositivo più chiaro e coerente con la motivazione], nella parte in cui non determina[va] la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni e assegni vitalizi, il divieto di cumulo dell'indennità di contingenza e benefici similari;

l'ordinanza 15/21 novembre 2000 n° 517, con la quale fu dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, settimo comma, legge 27 maggio 1959 n° 324 e dell'art. 130, ultimo comma, dPR 29 dicembre 1973 n° 1092 e ciò in quanto [come chiaramente si legge nelle premesse della detta ordinanza] “il giudice rimettente muove[va] da un erroneo presupposto secondo cui persisterebbe, nell'ordinamento vigente, un divieto generale di cumulo tra due indennità integrative speciali su pensioni o retribuzioni”, aggiungendo che il medesimo divieto non poteva rivivere sotto forma di interpretazione.

Con la recente sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM le Sezioni riunite sono andate di diverso avviso, avendo risolto la deferita “questione” con la conferma che, per il periodo antecedente il 1 gennaio 1995, in ipotesi di fruizione di plurime pensioni, l'indennità integrativa speciale spetta in misura intera su un solo trattamento e sull'altro nei soli limiti necessari per l'integrazione della pensione al “minimo Inps”.

Questa conclusione non appare condivisibile per diverse ragioni:

1) in quanto nei suoi interventi il Giudice delle leggi si è riferito all'art. 36 Costituzione, ritenuto inciso da una non giustificata decurtazione della pensione tanto in ipotesi di cumulo fra pensione e stipendio, quanto in ipotesi di plurime pensioni, costantemente affermando il principio di eguaglianza fra le due posizioni [significativa al riguardo la motivazione della sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172, ove si legge che il carattere irragionevole e discriminatorio della disciplina sottoposta a scrutinio (art. 17 legge 21 dicembre 1978 n° 843, nella parte in cui non si prevedeva la garanzia del “minimo Inps” anche nei confronti del titolare di plurime pensioni) è di tutta evidenza in quanto il “passaggio dalla condizione di lavoratore dipendente a quella di pensionato non può … giustificare una minore tutela, in relazione a prestazioni desti- nate ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni fondamentali della vita” ];

2) perché con l'ordinanza 15/21 novembre 2000 n° 517 è stata esaminata anche la posizione del fruitore di doppio trattamento pensionistico, come facilmente può dedursi dalle premesse, ove si riconosce, come già ricordato, che “il giudice rimettente muove[va] da un erroneo presupposto secondo cui persisterebbe, nell'ordinamento vigente, un divieto generale di cumulo tra due indennità integrative speciali su pensioni o retribuzioni” e si afferma che “un divieto di cumulo ormai caducato non può rivivere, sotto forma di interpretazione, senza un intervento del legislatore” ;

3) in quanto, una volta riconosciuta da parte delle stesse Sezioni riunite la natura ablatoria delle sentenze 13/22 dicembre 1989 n° 566 e 15/29 aprile 1992 n° 204 e con ciò l'annullamento tout court del divieto in ipotesi di cumulo tra pensione e retribuzione, non sembra possibile convenire con l'affermazione che il divieto operi invece nel momento in cui il soggetto, già titolare di trattamento pensionistico e di trattamento di attività, diviene titolare di doppia pensione, con la conseguente violazione sia dell'art. 36 Costituzione [derivante da una considerevole falcidia del reddito complessivo per la perdita dell'indennità integrativa speciale precedentemente goduta sulla pensione e per il minor importo tra stipendio e nuovo trattamento di pensione], sia dell'art. 3 della stessa Carta costituzionale [per ricreare quella irrazionale e illegittima discriminazione che la sentenza 8/22 aprile 1991 n° 172 aveva inteso evitare, ancorché su un piano diverso];

4) perché non appare neanche condivisibile l'assunto che il divieto di cumulo aveva ricevuto conferma con la sentenza 29/31 dicembre 1993 n° 494, in quanto proprio la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare [ordinanze 14/23 dicembre 1998 n° 438 e 15/21 novembre 2000 n° 517] che il secondo comma dell'art. 99 dPR 29 dicembre 1973 n° 1092 non aveva più esistenza nel nostro ordinamento;

5) perché ancora non appare condivisibile l'ulteriore passaggio della sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM in cui si afferma la natura additiva della sentenza 26 ottobre/7 novembre 1994 n° 376 [in merito all'art. 4 legge regionale siciliana 24 luglio 1978 n° 17], in quanto pure detta pronuncia va letta in chiave ablatoria, dato che la disposizione dichiarata illegittima, anche relativamente alla posizione del titolare di plurime pensioni, era analoga a quella annullata con la sentenza 15/21 novembre 2000 n° 516, che le stesse Sezioni riunite ritengono di natura ablatoria;

6) perché non può essere condivisa la conclusione cui è giunta la decisione di massima 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM, se­condo la quale “la sentenza n. 516 del 2000 determina … il venir meno della efficacia della disposizione recata dalla Tab.O, lett. B, 3° comma, della legge della Regione siciliana n. 41 del 1985, con l'effetto che nell'ordinamento giuridico della Sicilia torna ad acquistare forza espansiva e cogente la disposizione di cui all'art. 4 della legge n. 17 del 1978, come 'manipolata' - relativamente all'ipotesi della doppia pensione - dalla sentenza costituzionale n. 376 del 1994”, in quanto la legge regionale 29 ottobre 1985 n° 41 [nuove norme sul personale della Regione siciliana] ha sostituito la precedente legge 24 luglio 1978 n° 17, talché per la Regione Sicilia, essendo stata annullata con sentenza 15-21 novembre 2000 n° 516 l'unica norma che ancora vigeva in ordine al divieto di cumulo su plurime pensioni, non può validamente riassumere vigore una norma da ritenersi quanto meno abrogata, ai sensi dell'articolo 15 delle preleggi, dalla successiva legge disciplinante l'intero settore; e ciò indipendentemente da quanto sostenuto da questo Collegio sulla natura comunque ablatoria della sentenza 26 ottobre/7 novembre 1994 n° 376.

A conclusione dell'iter argomentativo della presente pronuncia, appare doveroso valutare gli effetti del cosiddetto “conglobamento” dell'indennità integrativa speciale, disposto dall'articolo 15, terzo comma, legge 23 dicembre 1994 n° 724, valutazione questa espressamente demandata dalle Sezioni riunite al Giudice di merito.

Al riguardo, ricordato che la norma in questione ha previsto tale meccanismo a far tempo dal 1 gennaio 1995 con salvaguardia delle posizioni pregresse e che l'articolo 2, comma 20, legge 8 agosto n° 335 ha esteso la salvaguardia delle precedenti più favorevoli disposizioni in merito ad alcune posizioni pensionistiche, osserva il Collegio che, applicando la massima di cui alla sentenza 11 luglio 2003 n° 14/2003/QM, si avrebbe l'effetto di creare una macroscopica sperequazione tra posi­zioni pensionistiche anteriori al 1995 e succes­sive, in quanto solo nei confronti delle prime [come del resto precedentemente indicato] continuerebbe a essere negato il cumulo, mentre nei confronti delle seconde, scomparsa l'indennità integrativa speciale come assegno accessorio [e la perdita della natura di assegno accessorio non può non valere anche con riferimento alle pensioni ante 1 gennaio 1995], non potrebbero verificarsi “duplicazione” e, quindi, effetti negativi.

Del resto simile problematica risulta essere stata già esaminata da questa Sezione giurisdizionale centrale in occasione della pronuncia su appelli avverso alcune sentenze della Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia che avevano riconosciuto il diritto all'indennità integrativa speciale in misura intera su plurime pensioni, ma solo a decorrere dal 1 gennaio 1995 [data dalla quale correttamente, secondo il predetto Giudice territoriale, il beneficio aveva perso la natura di assegno accessorio].

Nel riformare parzialmente le sentenze de quibus, pur convenendosi con quanto affermato dal primo Giudice in ordine alla perdita della natura accessoria, si è dichiarato il diritto alla percezione dell'indennità integrativa speciale in misura intera anche per il periodo precedente, ritenendo ablatorie tutte le pronunce costituzionali in materia [cfr. sentenza 5 maggio 2003 n° 182].

Sulla base delle suesposte considerazioni, la pretesa fatta valere dalla sig.ra L. deve trovare accoglimento, dovendosi dichiarare il diritto della medesima all'indennità integrativa speciale in misura intera su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento e, segnatamente, sulla pensione iscr. ...., entro i limiti della prescrizione quinquennale già dichiarata in prime cure.

2. Sugli arretrati liquidati per il titolo de quo, vanno riconosciuti, ai sensi dell'art. 429, terzo comma, c.p.c., gli interessi legali e la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat ex art. 150 disp. att. c.p.c., da calcolare, in base ai rispettivi valori rilevati anno per anno, sugli importi dovuti alle singole scadenze a far data dal momento di maturazione del diritto e fino al soddisfo, limitando il cumulo dei benefici stessi al solo credito differenziale da svalutazione, vale a dire alla quota di rivalutazione monetaria che ecceda l'importo degli interessi legali calcolato sulla sorte capitale [cfr. Sezioni riunite, 18 ottobre 2002 n° 10/2002/QM].

3. Sussistono valide ragioni per compensare le spese.

PER QUESTI MOTIVI

l'intestata Sezione terza giurisdizionale centrale d'appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando,

ACCOGLIE

l'appello promosso avverso la sentenza in epigrafe, nei termini preci­sati in parte motiva.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 febbraio 2005.

              L'ESTENSORE                                        IL PRESIDENTE

 f.to Eugenio Francesco Schlitzer                      f.to Gaetano Pellegrino

Depositata in Segreteria il giorno 16 maggio 2005

IL DIRIGENTE

f.to Antonio Di Virgilio