REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:

dott. Tullio SIMONETTI               Presidente

dott. Nicola MASTROPASQUA  Consigliere

dott. Antonio  VETRO                 Consigliere relatore

dott. Davide MORGANTE           Consigliere

dott. Rocco DI PASSIO                Consigliere

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

(Numero 281/2005)

sull'appello iscritto al n. xx del registro di segreteria, proposto dal Procuratore regionale avverso la sentenza 31.1.2003 n. xx della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Campania e nei confronti di 1) R.C., rappresentato e difeso dall'avv. M.R. 2) T.C., rappresentato e difeso dall'avv. F.D.V. 3)A.P., rappresentato e difeso dall'avv. F.D.V. 4) F.I., rappresentato e difeso dall'avv. F.D.V. ed elett. dom. a Roma, presso l'avv. Alfredo F.D.V. (Studio Liberati e D'Amore), 5) G.C., non costituito.

Visti gli atti e documenti della causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 24.6.2005, il consigliere relatore, gli avv. M.R. e F.D.V. ed il V.P.G. A.G..

FATTO

Con sentenza 31.1.2003 n. xxx della Sezione giurisdizionale per la regione Campania è stato statuito quanto segue:

“Il Procuratore regionale della Corte dei conti ha chiamato in giudizio le persone indicate in epigrafe, nella loro qualità di impiegati amministrativi di Cancellerie civili (N.N.T.A.), per sentirli condannare al risarcimento di danni erariali, oltre agli accessori ed alle spese di giudizio.

In particolare la richiesta di condanna è così formulata: R.C. R. € 80.000, Z.C. € 60.000, A.P. Armando € 40.000,G.C. Giuseppe € 25.000, F.I. Felice € 25.000. Risulta dagli atti che con sentenza del Tribunale di Napoli n. 402 del N.N. i convenuti sono stati assolti dal reato di associazione per delinquere e condannati a pene variabili da 3 anni di reclusione (A.P. A.) ad 1 anno e 8 mesi (F.I. e G.C.) per i reati di corruzione e rivelazione di segreti di ufficio (artt. 319,320,321 e 326 c.p.). Detta sentenza ha fatto seguito al decreto di rinvio a giudizio emesso dal G.U.P. di Napoli in data N.N.. Avverso la sentenza di condanna è stato interposto appello dai convenuti. I fatti (anteriori al 21/2/1996) addebitati ai citati impiegati infedeli consistono nell'aver ricevuto indebitamente “somme di denaro in più riprese in cambio delle quali fornirono ad estranei ed in particolare a numerose agenzie di informazioni notizie riservate relative a procedure civilistiche di decreti ingiuntivi non ancora divenuti esecutivi e/o procedure fallimentari, prima che fossero pronunciate le sentenze dichiarative di fallimento”. Il Procuratore regionale di questa Corte è venuto a conoscenza dei fatti in questione nel marzo 2001 sulla base della sentenza penale di primo grado ed ha emesso l'atto di citazione, ravvisando nel comportamento tenuto dai convenuti gravi violazioni degli obblighi di servizio. La domanda di risarcimento dei danni erariali trova fondamento nella “sottrazione di attività lavorativa alle mansioni di ufficio, attività spesa per curare l'acquisizione, la comunicazione di notizie e la consegna di documentazione riservata, con impiego di attrezzature pubbliche ed addebito di costi alla P.A., tra i quali sicuramente rilevante l'aggravio delle utenze telefoniche”, ma, altresì, fondamento nel danno all'immagine dell'Amministrazione di appartenenza dei convenuti: “la lesione dell'immagine della P.A. colpisce la dignità della funzione, dei doveri, e la fiducia che ogni organismo pubblico deve riscuotere da parte dei cittadini, talché il risarcimento di tale lesione deve essere valutato non tanto in funzione statica, quanto nella prospettiva dinamica degli strumenti e degli impegni necessari per il ripristino di una credibilità fortemente menomata anche per il futuro”. L'atto di citazione è stato preceduto da avvisi a dedurre notificati agli interessati nel periodo dal 7/6/2002 al 22/7/2002. Ad avviso dell'organo requirente l'azione risarcitoria è da reputare tempestiva e non può essere preclusa da eccezioni di prescrizione della domanda, trovando applicazione “l'art. 1 comma 2 della legge n. 20 del 14/1/94, sia la disposizione di cui all'art. 2947 comma 3 del codice civile”. Si sono costituiti in giudizio i convenuti chiedendo la sospensione del giudizio in attesa dell'esito del procedimento penale in sede di appello. I difensori hanno eccepito la prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità e chiesto comunque l'assoluzione dei propri assistiti. Alla pubblica udienza odierna il giudizio è passato in decisione, dopo che le parti hanno confermato le rispettive posizioni.          Il P.M., peraltro, ha prospettato l'eventualità di accertare presso l'Amministrazione se esistono altri atti interruttivi della prescrizione. Si legge nell'atto di citazione: “In merito alla possibilità di far ricorso alla richiamata disposizione art. 2947 punto 3 c.c. mette conto di rilevare che l'applicabilità di detta previsione normativa nel giudizio contabile è chiaramente supposta dall'art. 7 della legge n. 97 del 27/3/2001, laddove, in presenza di sentenza definitiva di condanna per reati a contenuto patrimoniale … si impone al Procuratore regionale della Corte dei conti di dar corso, senza indugio, all'azione di responsabilità. Orbene, conoscendo i tempi lunghi generalmente occorrenti al processo penale per pervenire alla pronuncia di sentenza definitiva, non par dubbio che il legislatore ha postulato che il più lungo periodo prescrizionale stabilito per il reato regoli anche l'azione di responsabilità nel giudizio contabile, altrimenti il succitato art. 7, come tutta l'impostazione sanzionatoria della legge 97/2001, sarebbero inutiliter dati. Peraltro … in materia di danno non patrimoniale, l'applicabilità ai fini risarcitori della ridetta disposizione art. 2947, 3° comma c.c. costituisce effetto naturale del combinato disposto di cui agli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., posto che tale danno è risarcibile soltanto quando è conseguente ad un fatto costituente reato”.          La Sezione non condivide tale assunto.          Invero, l'ultimo periodo dell'art. 7 della legge n. 87/2001 fa “salvo quanto disposto dall'art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1979 n. 271”. Il terzo comma del citato art. 129 dispone che quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il Procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia dell'imputazione. A prescindere dall'obbligo generale di denuncia, che incombe all'autorità da cui dipende l'agente cui viene addebitato un danno erariale, la norma in questione ha la funzione di consentire all'organo inquirente contabile di espletare gli incombenti di sua competenza, non esclusi gli atti interruttivi della prescrizione quinquennale di cui all'art. 2 punto 21 l. 14/1/94 n. 20 nel testo risultante dall'art. 3 punto 1 lettera b della legge 639/96 (il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta). Pertanto non convince l'affermazione secondo cui la legge 97/2001 ha implicitamente comportato un “più lungo periodo prescrizionale stabilito per il reato”.          Nel caso di specie, dal momento in cui (21/2/1996) furono adottate misure restrittive della libertà personale della magistratura napoletana nei confronti dei convenuti indicati in epigrafe per i fatti delittuosi loro ascritti, non è a parlare di occultamento doloso del danno reclamato in questa sede. (cfr. C.d.c. III Sez. centr. 27/2/2002 n. 120). Inoltre “ai fini del verificarsi della scoperta dell'illecito doloso, che individua la decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità, non occorre la conoscenza dei fatti da parte del P.M. contabile, ma è sufficiente la conoscenza da parte dell'Amministrazione danneggiata (Sez. III centr. 3/6/2002 n. 179/A). Va aggiunto che il dies a quo della prescrizione va fissato alla data di rinvio a giudizio degli amministratori in sede penale (Sez. I centr. 3/4/2002 n. 102/A). Per quanto concerne il danno all'immagine la decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità per il risarcimento del danno in conseguenza della commissione di reati, va individuata nel momento in cui il responsabile viene rinviato a giudizio penale (Sez. I centr. 30/1/2002 n. 28/A). La Sezione non ha motivi per discostarsi dalla citata giurisprudenza. Peraltro la tesi sostenuta dall'organo requirente, allorquando stabilisce un necessario collegamento tra la sentenza definitiva di condanna in sede penale e l'inizio dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile, facendo leva sull'art. 7 della legge 97/2001, mal si concilia col principio della ragionevole durata dei processi contemplata dall'art. 111 (novellato) della Costituzione e (l.c. 29/11/1999 n. 2), con l'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e col principio di tendenziale autonomia del processo contabile rispetto a quello penale. Considerato che l'Amministrazione di appartenenza dei convenuti è venuta a conoscenza dei provvedimenti restrittivi della libertà personale emessi nei confronti dei convenuti ed il decreto di rinvio a giudizio dei medesimi reca la data del 24/2/1997, gli atti di costituzione in mora notificati dal 7/6/2002 al 22/7/2002 non possono essere considerati tempestivi ai fini della interruzione della prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità. Il P.M. ha prospettato in udienza l'esigenza di accertare se l'Amministrazione, da cui dipendono i convenuti, ha posto in essere altri atti interruttivi dell'azione di responsabilità, ma la richiesta formulata in termini generici ed ipotetici non è stata accolta dal Collegio, in quanto non è stato fornito il benché minimo indizio in tale direzione. Pertanto la domanda attrice di cui all'atto di citazione va disattesa. Resta assorbita ogni altra questione”.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la Procura regionale, per i seguenti motivi:

 “A) Sul danno patrimoniale. 1- ... Ferma restando la convinzione di questo requirente circa l'autonoma configurabilità delle fattispecie di responsabilità amministrativa rispetto alle fattispecie criminose ai fini della indipendenza dei rispettivi giudicati, resta da stabilire, ai fini della prescrizione del diritto al risarcimento del danno patrimoniale, quale sia il momento da prendere a riferimento e se ed in quale modo influisce la pendenza del processo penale. 2 - In via del tutto preliminare deve farsi un'osservazione. È noto che l'art. 2941, co. 8, c.c. e soprattutto l'art. 1, co. 2, della legge 14/1/1994 n. 20, così come sostituito dall'art.3, punto1, B, del d.l. 23/10/1996 n. 543, convertito in legge 20/12/1996 n. 639, impongono la sospensione della prescrizione in caso di doloso occultamento, finché il dolo non sia stato scoperto: la differenza, non marginale, tra i due testi normativi ora ricordati è che la norma specifica giuscontabile (legge n. 639/1996) fa riferimento all'occultamento doloso del "danno" e non della "esistenza del debito", come recita invece l'art. 2941, punto 8, c.c.; ed è evidente che quello di "danno" è concetto più complesso e di più difficile individuazione ed accertamento. Ora, ad una più attenta analisi, proprio per la diversa configurazione della responsabilità amministrativa di natura contrattuale, rispetto a quella derivante da reato, di natura aquiliana "ex delictu", deve ritenersi che l'occultamento doloso di cui alla suddetta norma    giuscontabile    fa    riferimento    al    dolo    "civile"    o  "contrattuale" (specificatamente   ammesso   dalla   giurisprudenza)   e   non    al    dolo    penale    da     reato,      di      guisa      che     non        ha 

rilevanza il rinvio a giudizio o la richiesta di rinvio a giudizio o addirittura l'ordine di arresto bensì la conoscibilità della scoperta della condotta dolosa civile o contrattuale da parte della Pubblica Amministrazione, "melius", da parte del Pubblico Ministero cui compete l'azione contabile (in tal senso, cfr. anche: Sez. Puglia 21/3/2003 n. 227). 3 - Ma, in disparte tale preliminare e assorbente considerazione e volendo pure ammettere che le fattispecie penale e contabile possano presentarsi come indissolubilmente legate dalla identità oggettiva e soggettiva del fatto materiale, non si può continuare a ripetere acriticamente e, talvolta con espressioni tralaticie, che occorre avere riferimento, ai fini della prescrizione, all'arresto o al rinvio a giudizio o alla richiesta di rinvio a giudizio dei responsabili poiché è da questi momenti che si verificherebbe la scoperta del dolo. Ciò significa, innanzitutto, non attribuire alcuna valenza all'art. 7 della legge 27/3/2001 n. 97 che, come si dirà, può restare inapplicato e, inoltre, non ponderare come la scoperta di un "danno" possa risultare legata a momenti processuali penali non ancora corroborati dalla fase dibattimentale.  Occorre por mente al disposto dell'art. 7 della legge 27/3/2001 che impone al Procuratore regionale di promuovere l'azione di responsabilità entro trenta giorni dalla comunicazione della "sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti ... per delitti contro la Pubblica Amministrazione". Non può non scorgersi un collegamento con l'art. 2947, comma 3, c.c. che prevede, in caso di fatti previsti dalla legge come reato, una prescrizione più lunga decorrente, tra l'altro, "dalla data in cui la sentenza è diventata irrevocabile”. Nel caso che ne occupa, la sentenza penale non era divenuta irrevocabile (le parti avevano addirittura chiesto la sospensione del giudizio, pendendo l'appello) e, allorché lo diverrà, risulterà già stata dichiarata la prescrizione dell'azione contabile, con la conseguenza di rendere impossibile, per il divieto del "ne bis in idem", una nuova azione di responsabilità che, invece, il citato art. 7 rende obbligatoria allorché verrà data comunicazione della irrevocabilità della sentenza penale, stessa (fatto - questo - inevitabile, o per lo spirare dei termini di impugnativa o per l'esaurimento dei gravami). È evidente che, a meno di voler pensare ad un legislatore "disattento", che legifera inutilmente non prevedendo fattispecie normative che finiscono con il rendere poi inapplicabile la norma stessa, a quest'ultima debba essere attribuito un qualche significato, almeno per ipotesi residuali quale è quella in esame. Lo scrivente non ignora che la Sezione prima centrale d'appello ha preso in esame la questione (cfr. Sez. 1° n. 4 dell'8/1/2003) ritenendo che il citato art. 7 porrebbe un limite temporale finale al P.M. al quale spetta di esercitare l'azione nel termine quinquennale di prescrizione previsto dalla legge. Tale statuizione, però, non solo non è riferibile, neanche come precedente, a fattispecie come quella in esame ove un termine finale non è ipotizzabile essendo già stata dichiarata la prescrizione, ma lascia anche aperto il problema della scoperta dei "danno" come causa di sospensione della prescrizione. Come può ritenersi scoperto un "danno" con la semplice comunicazione ex art. 129 disp. att.ne c.p.p. (nella specie, come si dirà, neanche avvenuta), o addirittura con l'arresto dei responsabili e anche con lo stesso decreto che dispone il rinvio a giudizio se ancora non è intervenuto alcun accertamento dibattimentale sul fatto-reato, anche ammesso che possa identificarsi con il fatto dannoso contabile? Ritiene, dunque, il requirente che, dopo la legge n. 97/2001, non occorre, ai fini che ne occupano, affermare la necessità o la opportunità della sospensione del processo contabile ma solo rivisitare quella giurisprudenza che ha negato ogni forma di sospensione automatica della prescrizione contabile in pendenza di processo penale nel senso che, se di automatismo non è corretto parlare, tuttavia, in alcuni limitati casi in cui la materialità del fatto è comune ad entrambe le fattispecie di responsabilità (penale ed amministrativa) lo "exordium praescriptionis" non può che restare sospeso fino all'accertamento irrevocabile sulla scoperta "del danno". È appena il caso di rilevare, poi, che la specifica previsione sulla "scoperta del danno" contabile integra una causa autonoma di sospensione della prescrizione nel pieno rispetto della tassatività delle ipotesi previste. Il richiamo che l'art. 7 citato fa all'art. 129 delle norme di attuazione del codice di procedura penale non comporta, come opinato dai primi giudici, che quella comunicazione rende edotto il P.M. ai fini della prescrizione, ma solo che quest'ultimo viene messo in condizione di avviare i propri accertamenti intesi all'esistenza di una condotta foriera di danno pubblico e concluderli o meno ma senza alcuna limitazione prescrizionale che gli deriva solo dal passaggio del termine quinquennale dalla irrevocabilità della sentenza penale sempre che, naturalmente, vi sia una identità oggettiva e soggettiva dei fatti materiali in contestazione. 4 - Anche in punto di fatto, ciò che sembra dirimente è che nella fattispecie in esame il primo giudice fonda la sua motivazione sulla valenza dell'art. 129 delle norme di attuazione c.p.p., affermando che il "dies a quo" della prescrizione va fissato "alla data di rinvio a giudizio degli amministratori" e dimentica completamente che il requirente non ha ricevuto tempestiva comunicazione della richiesta di rinvio a giudizio datata 14/1/1997, né copia del decreto che dispone il giudizio in data 24/2/1997. Soltanto in data 26/4/2001 questo requirente ha ricevuto copia di tali atti da parte del s.p. della Repubblica ... e quindi, tempestivamente, nel successivo giugno-luglio 2002, venivano notificati gli inviti a dedurre e, successivamente, la citazione. Ci si chiede come fosse possibile, in presenza di occultamento doloso del danno e in completa assenza di ogni comunicazione tempestiva ex art. 129 disp. att.ne c.p.p., l'esercizio da parte del requirente del diritto al risarcimento del danno pubblico di cui è questione. b) Danno all'immagine. 5 - E' noto che il danno non patrimoniale all'immagine, o danno "esistenziale" della P.A., ha ormai una collocazione autonoma su cui si tornerà tra breve, ma subito si vuole sottolineare che i primi giudici hanno accolto eccezioni di prescrizione di tale ulteriore danno, non specificamente formulate dalle parti convenute che hanno sì eccepito la prescrizione ma non del danno all'immagine. L'eccezione di prescrizione, atteso il suo carattere dispositivo, deve recare le specifiche indicazioni di fatto (il fatto dannoso "lesione dell'immagine è autonomo rispetto al danno patrimoniale azionato, sia nello "an" che nel "quantum") e non deve essere genericamente formulata, pena la inammissibilità dell'eccezione stessa (cfr. Cass. 16/4/1999 n. 3798), così come, anche indipendentemente da formule di rito, la parte che la propone ha l'onere di tipizzarla (cfr. Cass. 24/10/1995 n. 11047) e il giudice che applichi una prescrizione diversa da quella eccepita viola il noto principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato previsto dall'art. 112 c.p.c. (Cass. 7/12/1996 n. 10904). Si chiede, pertanto, preliminarmente la inammissibilità delle eccezioni di prescrizione nella parte in cui non fanno riferimento al "danno all'immagine" e l'annullamento della impugnata sentenza per la conseguente statuizione della intervenuta prescrizione del danno all'immagine in carenza delle relative eccezioni. 6 - ... Le Sezioni riunite n.10/2003/QM hanno sottolineato, tra l'altro, come si tratti di un danno diverso da quello patrimoniale diretto; che riguarda l'immagine e la credibilità della P.A. e che si radica, al pari del danno biologico e di quello all'integrità per le persone fisiche, nella generale previsione dell'art. 2043 c.c.; che ha natura di danno-evento e non di danno-conseguenza. Ciò è sufficiente per rilevare come tale tipo di danno, per le ricordate caratteristiche, non può coincidere, anche cronologicamente, con quello patrimoniale diretto. La natura di danno-evento porta ad identificare la lesione con la stessa condotta, come del resto la stessa suprema Corte insegna a proposito del danno biologico o alla salute inteso come evento lesivo dell'integrità psico-fisica della persona tutelata dall'art. 32 della Costituzione, o dello stesso danno alla vita di relazione che viene considerato danno-evento diverso dal danno patrimoniale e da quello morale (cfr. Cass. 12/5/1999 n. 4653; Cass. 17/11/1999 n. 12740; Cass. 10/2/2003 n. 1937). Appare evidente, però, che la lesione dell'integrità della persona fisica che si realizza con l'offesa a quest'ultima, si discosta dal danno all'immagine o alla credibilità di una persona giuridica pubblica in quanto quest'ultima lesione, pur connessa alle condotte causalmente rilevanti, necessita del carattere della percepibilità da parte della pubblica opinione o della comunità degli amministrati poiché solo così l'incrinamento della fiducia pubblica realizza quella perdita di prestigio della P.A. che dà corpo al danno all'immagine. Non si intende quindi negare che il danno all'immagine della P.A. sia un danno-evento, ma si vuole solo dire che si tratta di un evento che per sua natura si sposta nel tempo o, forse più correttamente, che si tratta di un danno permanente o, meglio ancora, di un danno istantaneo ad effetti permanenti: figura - quest'ultima - per nulla sconosciuta anche alla giurisprudenza della suprema Corte. Soccorrono, a tal fine, non solo lo "strepitus fori" che non si esaurisce in un'unica scansione temporale, ma anche lo "strepitus iudicii" che certamente principia con l'incriminazione ma che persiste nelle aule giudiziarie fino - e ancora più marcatamente - al dibattimento e nei vari gradi di giudizio non sottacendosi neanche lo stesso disagio organizzativo che viene gradatamente a crearsi negli uffici ove operano personaggi corrotti, truffaldini o concussi che ingenerano pernicioso esempio con sicura ripercussione sul buon andamento dell'attività amministrativa. D'altronde, proprio il canone di cui all'art. 97 della Costituzione relativo al buon andamento e all'imparzialità della P.A., recante principi coperti da garanzia costituzionale, dà corpo alla immediata lesione all'immagine della P.A. stessa e al conseguente diritto al risarcimento del relativo danno, analogamente a quanto avviene per la riconosciuta risarcibilità del danno biologico che trova diretto fondamento nell'art. 32 della Costituzione. Se quanto sin ora opinato appare condivisibile, non può non trarsene la conseguenza che il danno all'immagine dello Stato azionato con l'atto di citazione di questo requirente non è prescritto in quanto gli effetti della lesione sono perdurati almeno per tutto l'arco temporale del processo penale e fino alla definitiva sentenza (cfr. sul punto anche Sez. d'appello per la regione siciliana n. 124/A/2003 dell'8/7/2003; Sez. III° centrale d'appello n. 274/A del 16/10/2001; Sez. II° centr. appello n. 285/A del 9/10/2003). Si confida nell'accoglimento dei motivi di gravame proposti con il presente appello. 7 - Infine, si fa presente che con il proprio atto di citazione la P.r. aveva chiamato in giudizio, tra gli altri, il sig. Costanzo T.C. e non ZUPPITELLI, come invece erroneamente indicato nella impugnata sentenza. Pertanto si chiede la correzione della sentenza della Sezione Campania relativamente a tale erronea indicazione”.

Con memorie di costituzione per T.C., A.P. e F.I., l'avv. F.D.V. ha eccepito:

“ ... Il Procuratore regionale tende a confondere la conoscenza del fatto dannoso con il suo accertamento: non si accorge che è proprio all'accertamento del fatto dannoso che è preordinato il processo contabile, travolge il concetto stesso di autonomia del giudizio contabile rispetto al giudizio penale e mette in ombra tutta quella tradizionale giurisprudenza che fa risalire all'inchiesta amministrativa, alla relazione ispettiva e, comunque, all'adozione delle misure restrittive della libertà personale, il momento della conoscenza del danno. Senonché parte appellante richiama, a sostegno della sua tesi, la recente legge 27 marzo 2001, n. 97, art. 7 ... La norma de qua non può essere interpretata nel senso indicato dal Procuratore regionale. ... Al riguardo va osservato che l'art.7 della l. n. 97 del 2001 rende espressamente salvo l'art. 129 delle norme di attuazione del codice di procedura penale.. ... Il che, a meno che non si voglia ritenere, svuotando così la norma di ogni pregnante significato, che il predetto art. 129, co. 3°, venga fatto salvo soltanto per i reati che, pur cagionando danno all'erario, siano diversi da quelli indicati nella l. n. 97 cit., sta a significare che il Procuratore può, in ogni caso, esercitare l'azione di responsabilità già prima di aver ricevuto la comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna e che quindi l'art. 7 della l. n. 97 va letto nel senso che, nei casi ivi considerati, l'azione di responsabilità, fermi restando i termini di prescrizione, non può, comunque, essere esercitata oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna. Interpretato diversamente, l'art. 7 della l. n. 97 verrebbe ad assumere effetti dirompenti nei confronti del quadro normativo preesistente, in quanto non solo derogherebbe alla disciplina generale sulla prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa, ma inciderebbe pesantemente sullo stesso principio di autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa (costringendo il P.M. contabile ad attendere l'esito del giudizio penale, con il rischio di ritardare il ristoro del danno erariale) e determinerebbe, altresì, difficoltà interpretative non facilmente superabili in ordine alla disciplina da applicare per l'ipotesi che il giudizio penale si concluda con una sentenza di assoluzione non preclusiva dell'azione contabile o in cui vi siano corresponsabili non coinvolti nel giudizio penale. ... Quanto al danno all'immagine il P.R. si duole del fatto che “i primi giudici hanno accolto eccezioni di prescrizione non specificamente formulate dalle parti convenute”. La Procura appellante mostra di non aver tenuto conto, nel proporre l'impugnazione, dell'attuale orientamento della suprema Corte di cassazione sul rapporto tra il potere del giudice di dicere ius e quello della parte di disporre delle eccezioni sostanziali non rilevabili d'ufficio (Sezioni unite  25 luglio 2002 n. 10955; 19 novembre 1998 n. 11720) ... : “La qualificazione giuridica dei fatti addotti dalla parte, che non è tenuta a specificare la norma di legge invocata ed il tipo di prescrizione invocata e l'individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie è compito del giudice”. In realtà è a dirsi che l'eccezione preliminare di prescrizione formulata in primo grado non è mai stata riferita da questa difesa solo al danno patrimoniale bensì alla domanda attorea nella sua interezza, compreso il c.d. danno all'immagine. In relazione a quest'ultimo si censura fin d'ora la tesi di parte appellante che postula un "danno permanente" dove "gli effetti della lesione sono perdurati almeno fino alla sentenza definitiva". Si richiamano alcuni precedenti che valgono a stravolgere la tesi del P.r. ... (Sez. Umbria 31.1.2002 n. 39, Sez. I 19.10.2001 n. 305 e 30.1.2002 n. 28, Sez. III 16,1,2002 n. 10, Sez. Emilia Romagna 15.1.2001 n. 29). La decorrenza della prescrizione va, dunque, individuata nel momento in cui il soggetto ritenuto responsabile viene rinviato a giudizio e gli avvisi a dedurre notificati il 7.6.2002 e il 22.7.2002 si rivelano intempestivi rispetto all'ordinario termine quinquennale. Si ripropongono tutte le eccezioni e le difese già avanzate in primo grado. Prescrizione. L'art. 1, co. 2, della legge n. 20/94, come integrato dall'art. 3 della legge n. 639/96, afferma che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta. I "fatti dannosi" si sono verificati nel gennaio del 1995 e, pertanto, si sono prescritti l'azione di responsabilità ed il risarcimento del danno. Il P.M., per prevenire tale eccezione, fa riferimento allo "occultamento del danno" per affermare che il dies a quo deve coincidere con la data della sua scoperta, che identifica, addirittura, nel giorno (1.3.2001) in cui la Procura, esaminando gli atti di altra istruttoria, è venuta "casualmente" a conoscenza dei fatti.  ... Non basta che la condotta produttiva di danno sia stata dolosa né che vi sia stato il consapevole e volontario occultamento suscettibile di produrre in futuro un danno concreto, ma è invece essenziale che, essendosi il danno già prodotto (con caratteri, quindi, di certezza e di attualità), della sua esistenza siano state tenute nascoste dall'autore le tracce visibili, idonee ad evidenziane l'esistenza all'esterno (cfr. Sez. centrale III n. 120/2002. Quanto fin qui detto comporta che l'esame dell'eccezione preliminare di prescrizione, nei casi di preteso occultamento doloso del danno, non può prescindere da un concomitante accertamento degli elementi fondanti della responsabilità amm.va (condotta, elemento psicologico, nesso di causalità), per stabilire la concreta sussistenza, sia pure al limitato fine dell'accertamento dell'occultamento doloso (che non coincide totalmente con l'accertato carattere doloso della condotta dannosa) e, quindi, della effettiva data di decorrenza del termine prescrizionale. Non vi è traccia nell'atto di citazione della verifica dell'esistenza dei suddetti presupposti, anche considerando che, per espressa ammissione, l'esame della Procura si è svolto su "atti di altra istruttoria". Peraltro, del tutto atecnico si appalesa il tentativo di individuare il dies a quo nella "scoperta" effettuata dallo stesso P.M.. Se pure, per astratto, si volesse ritenere sussistente l'occultamento, il dies a quo dovrebbe comunque identificarsi nell'inizio del procedimento penale ovvero nel 16.2.1996 (cfr. SS.RR. n. 63/A del 25.10.1996). Anche in tal caso tardiva appare l'iniziativa del P.M. Si aggiunga, infine, che il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 1 legge 20/94 non può essere travolto dall'applicazione dell'art. 2947 c.c. richiamato da parte attorea: i termini e la decorrenza della prescrizione previsti dalla disposizione civilistica richiamata riguardano la responsabilità aquiliana, cosicché tale norma è inapplicabile all'azione contabile-­amministrativa che ha natura contrattuale. Quanto alla "mancata comunicazione" ascrivibile, secondo il Procuratore, al requirente penale supplisce il co.3 dell'art. 1 l. n. 20/94 che afferma: «qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardi nella denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia». Il danno non patrimoniale. ... Il Procuratore nella sua prospettazione intende pedissequamente e astrattamente riportarsi a quel recente orientamento che ha ipotizzato una "valutazione patrimoniale" del danno all'immagine dello Stato sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso. Tuttavia le argomentazioni che hanno supportato le pronunzie favorevoli alla configurabilità di un danno non patrimoniale nei confronti di un ente pubblico hanno, altresì, puntualizzato che tale danno non può essere inteso come danno morale ex art. 2059 c.c. e 185 c.p., ovvero come "ristoro delle sofferenze fisiche e morali", essendo il soggetto danneggiato una persona giuridica, bensì lo stesso, inteso in senso lato, deve trovare fondamento in una concreta lesione dell'onore e della reputazione dell'Amministrazione. La giurisprudenza ha, dunque, preteso la prova che l'atto o il comportamento contestato siano "causalmente idonei" a provocare una menomazione dell'immagine di una amm.ne o di un ente pubblico. ... La Procura si muove con passi incerti privi di riscontri effettivi. ... L'immagine della P.A. non è mai stata compromessa dal comportamento del dipendente. I fatti di corruzione, mai ammessi dall'interessato e contestati anche attraverso l'impugnazione della sentenza, non hanno mai avuto eco attraverso la diffusione dei mass media e, pertanto, non godono, in concreto, di forza causale rispetto al danno non patrimoniale ipotizzato. Il danno patrimoniale. La prospettazione della voce di danno patrimoniale è ancor più forzata. Le mansioni d'ufficio sono state sempre espletate regolarmente. L'asserito aggravio di costi e impiego di attrezzature d'ufficio è frutto di una mera presunzione del Procuratore. Quest'ultimo non ha e non offre alcuna prova del danno in questione. I fatti contestati in sede penale sono stati sempre negati dall'imputato. In particolare, le notizie rilasciate non erano segrete, né riservate, trattandosi di informazioni dovute alle parti sui ricorsi di fallimento. Nessun abuso dei mezzi o degli strumenti di ufficio si è verificato. Il Procuratore, peraltro, omette qualsiasi riferimento alle qualifiche rivestite dai singoli soggetti. Non vi è alcuna verifica della violazione dei doveri d'ufficio o dell'abuso delle posizioni professionali rivestite da ogni dipendente, bensì solo un generico riferimento al principio generale della "riservatezza dei procedimenti di amministrazione della giustizia" che di per sé non è idoneo ad identificare e dimostrare un danno patrimoniale all'erario. Sospensione del processo. E' noto che il codice di procedura penale ha fatto venir meno il principio della pregiudizialità penale, tuttavia ciò non impedisce al giudice contabile di ritenere necessario, ai fini della decisione che è chiamato ad adottare, l'accertamento dei fatti da parte del giudice penale in relazione a fattispecie criminose nelle quali l'elemento costitutivo del reato coincide con il pregiudizio erariale. Nel caso di specie la pendenza del giudizio di appello alla sentenza penale di I grado (su cui astrattamente ma integralmente si basa l'azione della Procura) impone la sospensione del presente giudizio contabile. In via subordinata si invoca il potere riduttivo dell'addebito previsto dagli artt. 52 r.d. n. 1214/34 e 85 r.d. n. 2440/33”.

Con memoria di costituzione l'avv.M.R. per R.C. ha eccepito:

“ ... Il requirente, sul presupposto che la sentenza penale relativa ai convenuti non era diventata irrevocabile (pendendo l'appello), richiamando il doloso occultamento dell'art. 1 l. 20/94, considera irrilevanti, ai fini della prescrizione, sia il rinvio a giudizio, sia la richiesta di rinvio a giudizio, sia l'ordine di arresto. Ma tale assunto non è in alcun modo condivisibile, poiché, secondo giurisprudenza pacifica, il doloso occultamente non coincide con la commissione dolosa del fatto dannoso ma richiede un'ulteriore condotta indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto e dunque, perché di occultamento doloso si possa parlare, occorre un comportamento che, se pur può comprendere la causazione del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire il disvelamento di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un danno ormai prodotto (vedasi per tutte Corte dei conti, I Sez. giurisdiz. centrale, n. 4/2003). E, nella fattispecie, alcun comportamento di tal genere è stato posto in essere dagli appellati. Ben vero, parte appellante richiama, a sostegno della sua tesi, la l. 27 marzo 2001, n. 97, art. 7. ...  Ma detta norma non può essere interpretata nel senso indicato dal Procuratore regionale, perché ... rende espressamente salvo l'art. 129 delle norme di attuazione del codice di procedura penale. ... Il Procuratore può, in ogni caso, esercitare l'azione di responsabilità già prima di aver ricevuto la comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna. ... 2) Quanto al danno all'immagine il P.r. si duole del fatto che “i primi giudici hanno accolto eccezioni di prescrizione ... non specificamente formulate dalle parti convenute”. Ma anche tale assunto non è condivisibile, poiché l'eccezione preliminare di prescrizione formulata in primo grado non è mai stata riferita da questa difesa solo al danno "patrimoniale" bensì alla domanda attorea nella sua interezza, compreso il c.d. danno all'immagine. Peraltro, va comunque esclusa nella specie la risarcibilità dell'ipotizzato "danno morale" in considerazione della totale assenza della patrimonialità, che costituisce presupposto necessario per l'esercizio della giurisdizione contabile. L'immagine della P.A., invero, non è mai stata compromessa dal comportamento del R.C., ed i fatti di corruzione, mai ammessi dall'interessato e contestati anche attraverso l'impugnazione della sentenza, non hanno mai avuto particolare eco, e, pertanto, non assumono in concreto la forza di "causa" del predetto tipo di danno. 3) Giova altresì segnalare che, nelle more del presente giudizio, si è definitivamente concluso il giudizio penale cui il R.C. (e gli altri odierni appellati) vennero a suo tempo sottoposti. In particolare, la I Sez. penale della suprema Corte di Cassazione, con sent. n. 333/05, (allegata in copia alla presente memoria), ha dichiarato estinti i reati contestati agli odierni appellati per intervenuta prescrizione”.

Nella pubblica udienza del 24.6.2005, non comparsi i difensori degli appellati costituiti, il P.M. ha chiesto l'accoglimento dell'appello, facendo presente che, per la determinazione del dies a quo della prescrizione, non ha rilevanza la data del rinvio a giudizio, trattandosi di dolo contrattuale; che la prescrizione inizia a decorrere dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale; che il richiamato art. 129 disp. att. non è quasi mai applicato, come nella fattispecie che ha visto il Procuratore regionale non avvisato tempestivamente dei fatti emersi in sede penale causativi di danno erariale; infine, che gli effetti del danno all'immagine si prolungano nel tempo sino alla definizione della causa penale nei vari gradi di giudizio.

DIRITTO

Come ricordato nell'appello dal Procuratore regionale, questa Sezione ha già avuto occasione di pronunziarsi su analoga questione, con sentenza 8.1.2003 n. 4, nei seguenti termini:

“ … Parte appellante richiama a sostegno della sua tesi la recente legge 27 marzo 2001, n. 97, il cui art. 7 prescrive che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti pubblici per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale va comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti "affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato". … Al riguardo va osservato che 1'art. 7 della legge n. 97 del 2001, nella sua seconda parte, rende espressamente salvo l'art. 129 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, il cui comma 3° dispone che "quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il Pubblico Ministero informa il Procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione". Il che - a meno che non si voglia ritenere, svuotando così la norma di ogni pregnante significato, che il predetto art. 129, comma 3°, venga fatto salvo soltanto per i reati che, pur cagionando danno all'erario, siano diversi da quelli indicati nella legge n. 97 cit. - sta a significare che il Procuratore può, in ogni caso, esercitare l'azione di responsabilità già prima di aver ricevuto la comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna e che, quindi, 1'art. 7 della legge n. 97 va probabilmente letto nel senso che, nei casi ivi considerati, l'azione di responsabilità, fermi restando i termini di prescrizione, non può, comunque, essere esercitata oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna. In senso diverso interpretato, 1'art. 7 della legge n. 97 verrebbe, invero, ad assumere effetti dirompenti nei confronti del quadro normativo preesistente, in quanto non solo derogherebbe alla disciplina generale sulla prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa, ma anche inciderebbe pesantemente sullo stesso principio di autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa (costringendo il P.M. contabile ad attendere l'esito del giudizio penale, con il rischio di ritardare il ristoro del danno erariale) e determinerebbe, altresì, difficoltà interpretative non facilmente superabili in ordine alla disciplina da applicare per l'ipotesi che il giudizio penale si concluda con una sentenza di assoluzione non preclusiva dell'azione contabile o in cui vi siano corresponsabili non coinvolti nel giudizio penale”.

La sentenza sopra riportata va integralmente confermata.

Non sono invece condivisibili le seguenti tesi espresse dall'appellante.

1)”Non ha rilevanza la richiesta di rinvio a giudizio bensì la conoscibilità della scoperta della condotta dolosa civile o contrattuale da parte della P.A. o dal P.M.”.

I fatti contestati ai fini del giudizio di responsabilità sono gli stessi che hanno formato oggetto della richiesta di rinvio a giudizio e che consentivano la piena conoscibilità dei comportamenti, contrastanti con gli obblighi di servizio, causativi del danno erariale.

Pertanto, da tale momento è iniziato a decorrere il termine di prescrizione per l'azione di competenza del P.M. contabile.

2) “Il richiamo che l'art. 7 fa all'art. 129 non comporta che quella comunicazione rende edotto il P.M. ai fini della prescrizione ma solo che quest'ultimo viene messo in condizione di avviare i propri accertamenti intesi all'esistenza di una condotta foriera di danno pubblico”.

Non si comprende su quali basi si fondi tale affermazione.

Infatti, se la comunicazione ex art. 129 consente che l'attore sia “messo in condizione di avviare i propri accertamenti”, per ciò stesso inizia a decorrere il termine prescrizionale.

3)”Il primo giudice dimentica che il requirente non ha ricevuto tempestiva comunicazione della richiesta di rinvio a giudizio datata 14.1.1977, né copia del decreto che dispone il giudizio in data 24.2.1997. Soltanto in data 26.4.2001 questo requirente ha ricevuto copia di tali atti”.

In realtà non bisogna confondere la “conoscibilità” con la conoscenza effettiva dell'evento dannoso.

Come statuito dalle SS.RR. con sentenza 15.2.1999 n. 3, la prescrizione inizia a decorrere nel momento in cui il danno è conoscibile.

La Sez. III centr. ha altresì precisato che è sufficiente la “conoscibilità obbiettiva” del danno (sentenze 26.6.97 n. 183 e 7.4.98 n. 106) e non si vede come possa negarsi tale circostanza nel caso di specie nel quale fatti espressamente individuati nella richiesta di rinvio a giudizio sono stati richiamati del P.M. contabile per l'azione di competenza (sentenza Sez. I centr. 3.4.2002 n. 102).

D'altra parte, la legge prevede espressamente l'ipotesi che “la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardi nella denuncia del fatto” e prescrive che “rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia” (art. 1, comma III, legge n. 20/1994).

Quindi la legge non ricollega affatto all'omissione od al ritardo della denunzia l'effetto interruttivo della prescrizione, bensì l'obbligo di agire nei confronti dei soggetti cui è imputabile tale condotta.

4)”I primi giudici hanno accolto eccezioni di prescrizione del danno non patrimoniale, non specificamente formulate dalle parti convenute che hanno sì eccepito la prescrizione ma non del danno all'immagine”.

Come precisato nella sentenza di primo grado, “il Procuratore regionale ha emesso l'atto di citazione, ravvisando nel comportamento tenuto dai convenuti gravi violazioni degli obblighi di servizio. La domanda di risarcimento dei danni erariali trova fondamento nella sottrazione di attività lavorativa alle mansioni d'ufficio, ma altresì fondamento nel danno all'immagine dell'Amm.ne di appartenenza dei convenuti: la lesione all'immagine della P.A. colpisce la dignità della funzione, dei doveri e la fiducia che ogni organismo pubblico deve riscuotere da parte dei cittadini”.

Come appare evidente, il P.M. dagli stessi fatti, elencati nella richiesta di rinvio a giudizio e pubblicizzati dagli organi d'informazione, ha dedotto effetti pregiudizievoli per il pubblico erario, sia sotto il profilo del danno patrimoniale sia di quello non patrimoniale.

I convenuti hanno eccepito che, in relazione alla conoscibilità obbiettiva dei fatti ritenuti dannosi, l'azione della Procura regionale era iniziata quando già era maturata la prescrizione.

L'eccezione, quindi, riguarda sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale, non sussistendo elementi di sorta che inducano a ritenere che l'eccezione stessa dovesse intendersi come limitata al primo profilo.

5)”Il danno all'immagine è evento che per sua natura si sposta nel tempo; principia con l'incriminazione ma persiste nelle aule giudiziarie fino al dibattimento e nei vari gradi di giudizio”.

Questa Sezione non condivide affatto tale opinione, considerato che, in mancanza di ulteriori sviluppi non evidenziati dal P.M., il danno all'immagine è integralmente ricollegabile alla conoscenza dei fatti delittuosi indicati nella richiesta di rinvio a giudizio.

In conclusione, tutti i motivi dell'appello sono privi di fondamento e vanno respinti.

Da ultimo, si dà atto che nella sentenza di primo grado è erroneamente indicato il nome di Z.C. invece che T.C. C., per cui ne va disposta la correzione.

PER QUESTI MOTIVI

La Sezione, definitivamente pronunziando, respinge l'appello del Procuratore regionale. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24.6.2005.

IL RELATORE                                                    IL PRESIDENTE

   f.to A.V.       f.to Tullio Simonetti

Depositata in Segreteria in data  15/09/2005

IL DIRIGENTE

f.to Maria Fioramonti