Repubblica Italiana

In Nome del Popolo Italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana

composta dai magistrati:

dott. Antonino Sancetta           Presidente

dott. Salvatore Cilia                 Consigliere

dott. Giuseppe Cozzo               Consigliere

dott. Luciana Savagnone          Consigliere  relatore

dott. Mariano Grillo                  Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA  337/A/2009

sul ricorso in appello, iscritto al numero 2540/AC del registro di segreteria, proposto dal sig. A.F., elettivamente domiciliato a Palermo, presso lo studio dell’avv. Salvino Pantuso che lo rappresenta e difende

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato;

Prefettura di Palermo, Ufficio territoriale del governo, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato

avverso

la sentenza n. 468/2007 del 7 febbraio 2007, pubblicata il 21 febbraio 2007, del giudice unico presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana.

Uditi alla pubblica udienza del 24 febbraio 2009 il relatore, consigliere dott.ssa Luciana Savagnone, e l’Avvocato dello Stato.

Esaminati gli atti ed i documenti della causa. 

Fatto

Il signor A.F., sovrintendente della Polizia di Stato, con decreto del Capo della Polizia n. 333-D/39221 del 20 settembre 1995 veniva destituito con decorrenza dal 4 ottobre 1995.

Sospesa dal TAR – Sicilia, con ordinanza del 23 gennaio 1996, l’esecutività del provvedimento, il signor A.veniva riammesso in servizio il 19 agosto 1996.

Il decreto di destituzione veniva, quindi, annullato con sentenza n. 315/97 del TAR - Sicilia, Sez. II, pronuncia ribaltata in appello dal C.G.A., con decisione n. 490/2005, che respingeva l'originario ricorso confermando la destituzione.

Nelle more del giudizio l’A.cessava dal servizio per dimissioni volontarie a decorrere dal 30 giugno 1999 e, con decreto n. 1703/03 del 13 ottobre 2003, il Prefetto di Palermo gli attribuiva il trattamento di quiescenza, con decorrenza dal 1° luglio 1999.

Successivamente, in applicazione della pronuncia del C.G.A., il Capo della Polizia emetteva il decreto n. 333-D/39221 del 20 settembre 2005 con il quale ripristinava gli effetti del decreto del 20 settembre 1995 e dichiarava privo di effetti giuridici ai fini di quiescenza e previdenza il periodo di servizio dal 18 agosto 1996 al 30 giugno 1999 e, conseguentemente, il Prefetto di Palermo con provvedimento del 21 febbraio 2006 disponeva la sospensione del pagamento della pensione con effetto immediato per difetto del requisito di anzianità.

Avverso il suddetto provvedimento l'interessato proponeva ricorso dinanzi alla Corte dei conti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 54 del D.P.R. n. 1092/73 e delle altre norme ivi richiamate, in relazione all'art. 9 della legge n. 19/90; manifesta ingiustizia, difetto e contraddittorietà della motivazione; violazione del D.P.R. n. 1092/73, della legge n. 502/1993 e della legge n. 335/1995. Chiedeva, altresì, la declaratoria del diritto al trattamento pensionistico privilegiato.

Con sentenza n. 468/2007, il giudice unico delle pensioni, preliminarmente, estrometteva l’I.N.P.D.A.P. dal giudizio e dichiarava inammissibile la domanda relativa alla pensione privilegiata ordinaria, considerato che nessun provvedimento risultava essere stato emesso sul punto da parte dell'Amministrazione, né risultava essersi formato il silenzio rifiuto sulla medesima questione.

Respingeva il ricorso relativo al diritto a pensione, qualificando di fatto il servizio reso durante la temporanea riammissione in servizio ed escludendo, in quanto tale, che potesse essere valutato a fini di quiescenza. Affermava, poi, che, anche ad ammetterne la valenza ai fini pensionistici, ugualmente il ricorso avrebbe dovuto essere respinto mancando al ricorrente il requisito dell’età anagrafica.

Avverso questa sentenza il signor @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. Salvino Pantuso, ha proposto appello.

Con il primo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 54 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 e delle altre norme ivi richiamate, in relazione all'art. 9 della legge n. 19/90 e la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, nonché omessa, illogica, contraddittoria e carente motivazione della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo di appello ha lamentato la errata valutazione discretiva operata dalla Pubblica Amministrazione, per violazione, manifesta ingiustizia, nonché difetto e contraddittorietà della motivazione.

Con il terzo motivo ha contestato la manifesta ingiustizia per violazione del DPR n. 1092/1973, della l. n. 502/1993, della l. n. 335/1995 e per il mancato riconoscimento della pensione privilegiata.

In definitiva, ha chiesto che venga dichiarato il diritto del suo assistito al trattamento di quiescenza con l’anzianità contributiva di anni 31, mesi 6 e giorni 15, con decorrenza dal giorno successivo all’inizio della sospensione cautelare, condannando l’Amministrazione al pagamento delle somme dovute con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

Con memoria depositata il 29 settembre 2008, si è costituito in giudizio il ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato che ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma dell’impugnata sentenza.

Con ordinanza n. 102/A/2008, questa Sezione giurisdizionale ha chiesto all’appellante di produrre le sentenze del TAR – Sicilia, Sez. II, n. 315/97, e del C.G.A. n. 490/2005, riguardanti l’impugnazione del decreto di destituzione dal servizio dell’appellante ed il provvedimento, indicato nella sentenza di primo grado come decreto prefettizio del 21 febbraio 2006, con il quale è stata disposta la sospensione del trattamento pensionistico al sig. A.

All’udienza dibattimentale, l’Avvocato dello Stato ha insistito nel rigetto del gravame.

Diritto

Al fine di individuare le norme dalle quali deve essere disciplinato l’accesso al trattamento pensionistico del sig. A, occorre premettere che la data di decorrenza del suo collocamento a riposo deve essere individuata in quella indicata nel decreto di destituzione, 4 ottobre 1995, la cui legittimità è stata confermata dal C.G.A. con la decisione n. 490/2005.

Ciò posto, rileva, anzitutto, il Collegio che alla fattispecie non è applicabile la disciplina giuridica introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare di tutto il pubblico impiego. Infatti, per quanto riguarda alcune categorie di personale, in considerazione della peculiarità dei rapporti di impiego, dei differenti limiti di età previsti per il collocamento a riposo, con riferimento al criterio della residua speranza di vita anche in funzione di valorizzazione della conseguente determinazione dei trattamenti medesimi, il Governo della Repubblica veniva delegato dal legislatore (art. 2, comma 23) ad emanare norme intese ad armonizzare ai principi ispiratori della legge i trattamenti pensionistici del personale di cui all'articolo 2, commi 4  e  5  del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Per quanto qui interessa, il 4° comma del citato decreto legislativo prevedeva, quali categorie di personale, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.

In attuazione delle deleghe conferite, veniva così emanato il decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165, che al Titolo I, art. 1, individuava il proprio campo di applicazione nell’emanazione di disposizioni di armonizzazione ai principi ispiratori della legge 8 agosto 1995, n. 335, del trattamento pensionistico del personale militare delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, nonché del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Il successivo art. 8 dello stesso Titolo, indicava nel 1° gennaio 1998 la data di entrata in vigore delle norme della legge n. 335 alle sopraindicate categorie, specificando espressamente che fino a tale data dovevano continuare ad applicarsi le disposizioni dei rispettivi ordinamenti.

Da quanto fin qui esposto consegue che poiché il sig. A.è cessato dal servizio ad una data anteriore a quella individuata nel decreto legislativo sopra citato per l’entrata in vigore delle norme della legge n. 335 nei confronti del personale della polizia, gli si devono applicare le disposizioni originariamente previste nel suo ordinamento.

In particolare, per il personale di polizia andato in pensione successivamente al 1° gennaio 1993 e fino al 1° gennaio 1998, data di entrata in vigore, come sopra detto, delle disposizioni della legge n. 335, trova applicazione il DLgs 30 dicembre 1992, n. 503, che in attuazione della delega al Governo di cui all'art. 3, della legge n. 421/1992, dettava "Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici". L'art. 8 del citato decreto legislativo apportava modifiche alle preesistenti discipline sulle pensioni anticipate previste per varie cause di cessazione anticipata dal servizio, quali le dimissioni volontarie, la destituzione, la revoca, la decadenza e la dispensa dal servizio, esclusa quella determinata da motivi di salute.

In base a tali disposizioni, l’anzianità necessaria per conseguire il diritto a pensione a decorrere dal 1° gennaio 1993 è la seguente:

- per i soggetti che lo hanno maturato alla data del 31 dicembre 1992, resta valido il preesistente limite minimo dei 20 anni di servizio effettivo (DPR n. 1092/1973);

- per gli iscritti che al 1° gennaio 1993 hanno maturato un'anzianità contributiva non superiore ad otto anni, il preesistente limite dei 20 anni è elevato a 35 anni di anzianità contributiva ovvero di servizio utile;

- per coloro che al 1° gennaio 1993 hanno maturato un'anzianità contributiva superiore agli otto anni (cioè almeno 8 anni, 6 mesi e 1 giorno) ma inferiore al limite preesistente dei venti anni, occorre fissare, caso per caso e con le modalità dettate dalla norma, un nuovo limite di servizio.

Risulta agli atti del giudizio che il sig. @@@@@@@, alla data di riferimento del 31.12.1992, possedeva 24 anni, 10 mesi e 12 giorni di servizio ed aveva, quindi, superato il limite minimo dei venti anni prescritto dalla norma: pertanto, in base alle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 1092/1973, gli anni di anzianità raggiunti alla data del 4 ottobre 1995 erano sufficienti per consentirgli di conseguire il diritto a pensione.

Passando all’esame della domanda con la quale l’appellante chiede di aggiungere a tale servizio, ai fini pensionistici, quello svolto successivamente alla ordinanza di sospensiva del TAR e fino alla data delle dimissioni, rileva il Collegio che la stessa appare priva di alcun fondamento normativo.

Secondo la giurisprudenza in materia, il servizio prestato dal pubblico dipendente a seguito di sospensione in sede giurisdizionale di un provvedimento di sospensione cautelare dall'impiego, successivamente seguito da una pronuncia di merito di rigetto del ricorso proposto contro il provvedimento definitivo di destituzione ex tunc, costituisce servizio di fatto, come tale da liquidarsi separatamente e non ricollegabile al precedente rapporto d'impiego agli ordinari fini di previdenza e quiescenza (Cons. Stato, Sez. VI, 09/04/2001, n. 2147).

Trattandosi di un servizio di fatto, ritiene il Collegio che debba farsi applicazione del disposto dell’art.1, secondo comma,  R.D. 21 novembre 1923, n. 2480, secondo cui per l'impiegato civile o per il militare collocato a riposo o comunque dispensato dall'impiego, che venga di fatto, per qualsiasi causa, trattenuto in servizio, il tempo trascorso in tale condizione non è valutato agli effetti di pensione. 

Tale disposizione, sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, è stata dichiarata di per sé non in contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione. Ha affermato, infatti, il giudice delle leggi che il cosiddetto servizio di fatto interviene dopo un provvedimento di collocamento a riposo o di dispensa dall'impiego, assunto dalla Pubblica Amministrazione, da cui non può non derivare la cessazione del rapporto di servizio, con tutte le conseguenze giuridiche che ne discendono, comprese quelle relative alla determinazione del trattamento di quiescenza. Pertanto, se al dipendente, trattenuto di fatto in servizio dopo tale provvedimento, viene corrisposto il normale stipendio senza che gli sia riconosciuta la corrispondente quota pensione, ciò dipende dalla circostanza che il servizio di fatto da lui prestato è successivo alla cessazione di quel tipo di rapporto cui la legge, nell'ambito della sua discrezionalità riconnette con gli altri effetti, quello di determinare, come quota differita della retribuzione, la maturazione del diritto a pensione (Corte cost., 16/03/1971, n.48).

In definitiva, quindi, il servizio svolto dal sig. A.dal 19 agosto 1996, data della riammissione in servizio disposta nell’ordinanza cautelare del TAR, al 1° luglio 1999, data delle dimissioni, non può essere considerato utile ai fini pensionistici, anche se per la sua prestazione l’appellante aveva diritto alla retribuzione che regolarmente gli è stata corrisposta. Tuttavia, la sua qualificazione quale servizio di fatto, impone all’Amministrazione di restituire gli oneri previdenziali  ritenuti.

Ritiene, ancora, il Collegio che deve essere respinta la domanda di pensione privilegiata, mancando agli atti qualunque prova, riferibile alla data di cessazione dal servizio, circa l’infermità lamentata in relazione alle cause di servizio da cui la patologia dovrebbe dipendere.

Ugualmente infondata, per mancanza di prova agli atti, è la domanda di risarcimento del danno morale ed esistenziale che l’appellante afferma di avere subito in conseguenza degli atti illegittimi da parte dell’Amministrazione.

L’appello proposto deve, quindi, essere accolto nei limiti di quanto sopra rilevato, riconoscendo al sig. A.il diritto a pensione per il periodo di servizio prestato a decorrere dal 4 ottobre 1995. Conseguentemente, il Ministero dell’Interno deve essere condannato al pagamento del relativo trattamento pensionistico, con compensazione, tuttavia, di quanto dovuto a titolo pensionistico con quanto già corrisposto quale trattamento di attività durante il servizio di fatto. Il tutto con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, con esclusione del loro cumulo, secondo i criteri stabiliti dall'art. 16, comma 6, della l. n. 112/91 e dall'art. 45, comma 6, della l. 29.12.98, n. 448.

La medesima amministrazione deve, inoltre, restituire all’appellante le somme trattenute a titolo di ritenute previdenziali nel periodo di servizio di fatto sopra indicato.

Ritiene, infine, il Collegio che, in considerazione della soccombenza parziale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.  

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la regione siciliana, definitivamente pronunciando

Accoglie

per quanto di ragione, l’appello proposto dal sig. A.F., riconoscendo il suo diritto a  pensione a decorrere dal 4 ottobre 1995.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento del relativo trattamento pensionistico, con compensazione di quanto dovuto a titolo pensionistico con quanto già corrisposto quale trattamento di attività dal 19 agosto 1996 al 1°luglio 1999, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali,  con esclusione del loro cumulo, secondo i criteri stabiliti dall'art. 16, comma 6, della l. n. 112/91 e dall'art. 45, comma 6, della l. 29.12.98, n. 448.

Condanna, altresì, la medesima amministrazione a restituire all’appellante le somme trattenute a titolo di ritenute previdenziali nel periodo qualificato “servizio di fatto”

Spese compensate.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 24 febbraio 2009.

    L’ESTENSORE                                                        IL PRESIDENTE

f.to (Luciana Savagnone)                                       f.to   (Antonino Sancetta)

 

Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.

Palermo 16/11/2009

Il direttore della segreteria

f.to   dott. Nicola Daidone

 

 

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
APPELLI SICILIA Sentenza 337 2009 Pensioni 16-11-2009