Fissarli rientra nel potere discrezionale del Parlamento
Pensione privilegiata, i termini li decide il legislatore PAGINA PRECEDENTE
(Corte Costituzionale 246/2003)
   
   
Il fatto che l’art. 169 del TU di cui al DPR n. 1092/1973, concernente le norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, ai fini dell’ottenimento della pensione privilegiata, abbia stabilito, al primo comma, che la domanda debba essere presentata entro cinque anni dalla cessazione dal servizio, mentre, al secondo comma, abbia previsto che, in caso di morbo di Parkinson, la domanda possa essere presentata entro dieci anni dalla cessazione dal servizio, non determina alcuna situazione di disparità di trattamento tra coloro che chiedono la pensione privilegiata perché affetti da sclerosi multipla, ai quali si applica il primo dei due citati commi, e coloro che chiedono la pensione privilegiata perché affetti da parkinsonismo, ai quali si applica il secondo dei due commi indicati. In tal senso si è pronunciata la Corte Costituzionale nella Ordinanza n. 246 del 30 giugno-15 luglio 2003, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 169, comma 2, del TU di cui al DPR n. 1092/1973, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia la quale, in considerazione della circostanza che anche nei casi di sclerosi multipla, come nella ipotesi di parkinsonismo, la malattia sarebbe caratterizzata da mutevoli esordio e decorso, non accertabili con sicurezza tramite esami clinici, aveva ritenuto che il termine di dieci anni, per la presentazione della domanda di pensione privilegiata, previsto da quella norma soltanto per il parkinsonismo e non anche per la sclerosi multipla, determinasse una obiettiva situazione di irragionevolezza. Al riguardo, secondo la Corte Costituzionale, resta valido quanto affermato nella Ordinanza n. 300/2001, nella quale la questione specifica è già stata dichiarata inammissibile in quanto “la scelta di prorogare i termini della domanda per l’una o l’altra malattia, sulla base di sicuri dati scientifici, appartiene indubbiamente alla discrezionalità del legislatore”. Tale osservazione, ad avviso della stessa Corte Costituzionale, può essere confermata anche perché la Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia non ha aggiunto alcun motivo di censura sostanzialmente nuovo o diverso rispetto a quelli già esaminati nel giudizio concluso con la richiamata Ordinanza n. 300/2001. (14 novembre 2003)  


ORDINANZA della Corte costituzionale N. 246/2003

 

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

……………………omissis………………..

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’ art. 169, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza dell’11 giugno 2002 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Giuseppe Russo contro Ministero della difesa, iscritta al n. 404 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 2003 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto

che nel corso di un giudizio – promosso da un aviere in congedo, affetto da sclerosi multipla, avverso il provvedimento di diniego della domanda per il riconoscimento della pensione privilegiata ordinaria – la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione [1], dell’ art. 169, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato);

che la norma impugnata, nello stabilire (al primo comma) che la domanda per l’ottenimento della pensione privilegiata debba essere inoltrata entro cinque anni dalla cessazione dal servizio, prevede (al secondo comma) che detto termine sia elevato a dieci anni in caso di morbo di Parkinson, con ciò determinando, a parere del giudice a quo, un’obiettiva situazione di irragionevolezza;

che, ad avviso della remittente, tale situazione impone di sottoporre nuovamente all’esame di questa Corte l’odierna questione, già affrontata e ritenuta manifestamente inammissibile con l’ordinanza n. 300 del 2001 [2];

che in particolare la norma, nell’elevare a dieci anni dalla cessazione dal servizio il termine di proponibilità della domanda di pensione privilegiata in caso di parkinsonismo, muove dal presupposto che tale malattia sia di difficile diagnosi, ma tale difficoltà si ripropone nei medesimi termini in riferimento alla sclerosi multipla, malattia dai mutevoli esordio e decorso, non accertabile con sicurezza tramite esami clinici, nonostante i significativi progressi compiuti dalla scienza medica;

che pertanto, atteso l’indubbio parallelismo ravvisabile tra la sclerosi multipla ed il morbo di Parkinson – patologie entrambe di difficile diagnosi, a decorso lento e latente – la Corte dei conti ritiene che la norma impugnata, nel consentire l’innalzamento del termine a dieci anni per il solo caso del parkinsonismo, sia in evidente contrasto con il principio di ragionevolezza, che imporrebbe l’estensione di tale più ampio termine anche al caso della sclerosi multipla;

che la questione è rilevante perché, in caso di accoglimento, la domanda di pensione privilegiata dovrebbe essere accolta, in quanto proposta dopo i cinque ma prima dei dieci anni dalla cessazione dal servizio.

Considerato

che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 169, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce (al primo comma) che i pubblici dipendenti affetti da sclerosi multipla debbano presentare la domanda per l’ottenimento della pensione privilegiata entro cinque anni dalla cessazione dal servizio, a differenza dei soggetti affetti dal morbo di Parkinson per i quali è previsto (al secondo comma) l’innalzamento del suddetto termine da cinque a dieci anni;

che la Corte remittente, mentre non censura la scelta del legislatore di far decorrere il termine per la domanda di pensione privilegiata dalla data di cessazione dal servizio indipendentemente dalle modalità di manifestazione della malattia, sospetta invece di illegittimità costituzionale la norma per non aver equiparato la sclerosi multipla al morbo di Parkinson;

che detta questione, nei termini di cui sopra, è già stata scrutinata da questa Corte e dichiarata manifestamente inammissibile con l’ordinanza n. 300 del 2001, nella quale si è affermato che "la scelta di prorogare i termini della domanda per l’una o per l’altra malattia, sulla base di sicuri dati scientifici, appartiene indubbiamente alla discrezionalità del legislatore";

che l’odierna ordinanza di rimessione, pur soffermandosi dettagliatamente sugli aspetti diagnostici e clinici della sclerosi multipla, non aggiunge motivi di censura sostanzialmente nuovi o diversi da quelli già scrutinati dalla Corte nell’ordinanza sopra menzionata;

che pertanto anche la presente questione deve ritenersi manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 169, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione [1], dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003. Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2003.

 
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