Il rischio del silenzio-assenso sul
trasferimento del TFR ai fondi pensione |
Articolo del Prof.re Sergio Sabetta
La volontà manifestata dal Governo di varare entro i primi mesi del 2005 il
decreto legislativo necessario per l’uso del TFR mediante il
“silenzio-assenso” al fine del potenziamento della previdenza complementare,
stimato in un introito dai 7 ai 10 miliardi di euro l’anno, rende urgente la
necessità di meglio chiarire i criteri per potere effettuare una scelta
ponderata estremamente delicata per ogni singolo lavoratore.
Il secondo pilastro del sistema previdenziale nasce in Italia nel 1993 con
il D.Lgs.vo n. 124/93, ma comincia ad avviarsi solo nel 1997 con
l’istituzione dei nuovi fondi pensione, attualmente vi sono un totale di 648
fondi con oltre 2.000.000 di iscritti per un ammontare di risorse destinate
a prestazioni pari a circa 36 miliardi di euro (fonte: Covip – 2003).
Come è noto ai sensi dell’art. 2120 c.c. l’importo dovuto è pari alla
retribuzione percepita per ciascun anno di servizio divisa per un
coefficiente fisso del 13,5; in altre parole un 7,4% della retribuzione
dovuta. Il trattamento spettante è incrementato su base composta con gli
interessi maturati a seguito dell’applicazione di un tasso pari alla somma
tra l’1,5% in misura fissa ed il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al
consumo accertato dall’ISTAT nel mese di dicembre dell’anno precedente, ne
deriva che il meccanismo di calcolo descritto legato all’inflazione in caso
di indice dei prezzi inferiore al 6% resta positivo determinando un
rendimento superiore all’inflazione.
Quanto finora detto ha valenza per i lavoratori privati, un quadro normativo
differente riguarda i dipendenti pubblici per i quali il TFR poggia sul DPCM
del 20/12/99 che ha recepito l’accordo quadro nazionale sottoscritto il
29/7/99 (G.U. 27/8/99 n. 201).
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A seguito dell’accordo solo ai dipendenti pubblici assunti dopo il
30/5/2000, data di entrata in vigore del DPCM 20/12/99, si applica il
trattamento di fine rapporto, il termine è stato tuttavia ulteriormente
spostato al 30/12/2000 dal DPCM del 2/5/2001, pertanto per i lavoratori del
pubblico impiego in servizio al 31/12/2000 il passaggio al TFR non scatta
automaticamente ma attraverso l’adesione preliminare ad un fondo
pensionistico complementare pubblico a cui segue l’esercizio di un’opzione
(art. 59, c.56, L.449/97 ), circostanza non proponibile considerata
l’attuale mancata costituzione degli stessi tranne per i comparto scuola con
il fondo Espero; al contrario per i dipendenti pubblici assunti dopo il
31/12/2000 l’applicazione del TFR è del tutto automatica.
Per il personale assunto anteriormente occorre distinguere tra indennità
premio servizio per i dipendenti degli enti locali e l’indennità di
buonuscita per i dipendenti statali, in entrambi i casi necessita
un’iscrizione anche non continuativa di almeno un anno nei rispettivi fondi
di previdenza ex INADEL ed ex ENPAS.
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La necessità del Governo di fare decollare il secondo pilastro in parallelo
alla riduzione delle prestazioni pensionistiche dirette ha indotto alla
creazione con la legge di riforma delle pensioni (L. 23/8/04 n. 243)
dell’istituto del “silenzio-assenso” nel trasferimento del TFR ai fondi
pensioni al fine di disporre della massa critica necessaria.
Secondo le stime del Ministero del Welfare il 70% degli interessati non
esprimerà alcuna volontà determinando, pertanto, un trasferimento
automatico. Unico rischio che vi possa essere una resistenza strisciante
delle imprese per il mantenimento del TFR se si considera che questi
costituisce una fonte di finanziamento a buon mercato. Il rischio dovrebbe
essere ridotto attraverso facilitazioni per l’accesso al credito e
l’eliminazione del prelievo dello 0,2% da destinarsi al fondo di garanzia
INPS del TFR.
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Se appare del tutto evidente per i neo-assunti la necessità di aderire ai
fondi pensione come per i lavoratori prossimi alla pensione di trattenere i
TFR o equivalenti al fine di incassarne le somme dovute evitando di
impegnarsi su fondi non ancora bene strutturati, altrettanto non può dirsi
per coloro che si trovano ad avere circa 20 / 25 anni di contributi i quali
dovranno, pertanto, possedere gli elementi necessari per una decisione
consapevole.
L’uscita del decreto delegato prevista, come promesso dal ministro, nei
primi mesi del 2005 dovrà essere accompagnata da informazioni sufficienti
sulla tipologia dei fondi, le linee azionarie e obbligazionarie, i
rendimenti stimati, le condizioni di recesso anticipate, nonché le garanzie
introdotte. Sicuramente per essere competitivi con i TFR i fondi dovranno
avere un rendimento superiore al 6% annuo attualmente di tutto rispetto,
inoltre in caso di scelta di una linea azionaria si dovrà tenere presente i
fattori di rischio finanziario assunti con tale scelta oltre alla
circostanza che il ritorno è stimato statisticamente sui 10 anni.
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Altra circostanza da considerare è il fatto che non vi è una garanzia di una
partenza immediata nel sistema fondi se si pensa che è stata ventilata
l’ipotesi della necessità di un trasferimento parallelo da parte dell’INPS
di una quota del contributo sociale ad essa corrisposto, magari con la
contestuale riduzione di una frazione di punto dell’aliquota di rendimento
annuo su cui si calcola la pensione, al fine di favorire la formazione della
massa finanziaria necessaria (L. Maggi, Ecco perché il TFR non basta, M.F.
21/8/2004, 27).
Infine, ma non ultimo dovrà inoltre essere valutato il trattamento fiscale
riservato dal Governo a favore della deducibilità dei versamenti effettuati
che dovrà essere senz’altro modificato oltre agli attuali 1291 euro annui se
si intenderà favorire la crescita dei fondi pensione