REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’ABRUZZO

Sezione staccata di Pescara

N.D..204/03......

N.R.G. 758/2000 e 431/2002

composto dai magistrati:

-Antonio CATONI presidente

-Michele ELIANTONIO consigliere

-Dino NAZZARO consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi proposti con ric. n. 778/2000 e 431/2002 da DI MARZIO Crescenzo, costituito con gli avv. Marcello RUSSO, Aldo LA MORGIA e Maria Gabriella IOVINO, come in ricorso;

CONTRO

IL MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – il Comando regionale Abruzzo della Guardia di Finanza – il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Teramo, quali rappresentati, in giudizio con l’Avvocatura dello Stato;

PER L’ANNULLAMENTO

- dei provvedimenti 9.8.2000 prot. 23540 (trasferimento d’autorità da Lanciano a Teramo, per esigenze di servizio) [ric. N. 758/2000] e 17.4.2002 prot. 24.5.2002 (rigetto istanza di trasferimento da Teramo a Lanciano, ostandovi motivi di servizio) [ric. 431/2002];

visto i ricorsi, le costituzioni, le memorie ed i documenti depositati;

uditi all’udienza del 9 gennaio 2003 il consigliere Dino NAZZARO, gli avv. M. RUSSO e F. TORTORA;

ritenuta la causa per la decisione e considerato, quanto segue, in

FATTO e DIRITTO

Parte ricorrente, appartenente al corpo della Guardia di Finanza, ha impugnato i due atti con distinti ricorsi; con essi è stato sollevato il problema del “trasferimento d’ufficio” e del successivo diniego del “trasferimento a domanda”, in relazione alle proprie esigenze familiari ed alla stessa linearità di comportamento dell’Amministrazione, che aveva già valutato positivamente i problemi di salute dei familiari del dipendente (madre e due figli), residenti a Lanciano, per poi vanificare il tutto, sovrapponendo delle “immotivate esigenze di servizio”, che, a parere dell’interessato, non sarebbero reali e servirebbero a coprire un tipico eccesso di potere, per una vicenda accaduta durante il servizio nella città di Lanciano, peraltro conclusasi favorevolmente all’interessato, con le archiviazioni sia in sede penale, sia in quella disciplinare.

Le censure possono così sintetizzarsi, per entrambi i gravami: a) violazione dell’artt. 3 e 7 della L. 241/1990 (omessa motivazione e mancato invio dell’avvio del procedimento); b) eccesso di potere per palese contraddizione con la precedente valutazione positiva dell’interesse del dipendente a prestare servizio in Lanciano e difetto d’istruttoria per il secondo provvedimento; d) violazione del diritto al giusto trattamento ed al diritto alla salute (artt. 32 e 97 cost.), ipotizzandosi un caso di “mobbing”.

L’Avvocatura accentra le sue argomentazione sulla natura di “ordini” degli atti, che sarebbero sottratti alla L. 241/1990 e sulla validità dell’operato dell’Amministrazione.

Va premessa la ritualità e l’autonomia dei gravami, relativi a due distinti provvedimenti, che, in quanto connessi, sono riuniti.

La giurisprudenza, invero,  ha, in forma tralatizia, affermato il principio che il trasferimento d’ufficio di un appartenente ad un corpo di polizia ad ordinamento militare (art. 2 L. 331/14.11.2000), rientra nel “genus” degli ordini, in quanto precetti imperativi tipici della disciplina militare (C.S., IV, n. 1235/15.7.1999; Tar Lazio, sez. II, n. 5016/31.5.2002), che attengono ad una semplice modalità di svolgimento del servizio, e gli stessi, quindi, sarebbero sottratti alla disciplina generale dettata dalla L. 7.8.1990 n. 241 (C.S., IV, n. 1677/20.3.2001 e n. 3693/21.5.2002); l’Amministrazione, quindi, non sarebbe tenuta a dare contezza delle ragioni che presiedono al trasferimento di un militare da una sede di servizio ad un’altra, in quanto atto ampiamente discrezionale, rispetto al quale non sarebbe possibile riconoscere al militare alcuna posizione soggettiva giuridicamente tutelabile, come è, invece, per il dipendente civile, né sussisterebbe un onere di motivazione delle esigenze che giustificano il provvedimento (C.S., IV, n. 33/21.1.1997).

L’ordinamento militare, invero, si presenta come un “corpus” di disposizioni specifiche, conferendo ad esso una peculiarità, particolarmente sul piano della disciplina, intesa come osservanza consapevole delle norme del proprio “status”, in relazione ai compiti istituzionali, che rappresenta una regola fondamentale per i cittadini alle armi (C.Cost. n. 113/22.4.1997); ciò, peraltro, non significa che lo stesso sia sottratto all’osservanza dei principi di “democrazia amministrativa”, specie se non si ravvisino ragioni particolari e valide, che ne giustifichino la deroga.

La costituzione repubblicana, infatti, ha superato la concezione istituzionalistica dell’ordinamento militare, che è stato ricondotto nell’ambito di quello generale dello Stato, cui deve uniformarsi (C.Cost. n. 278/23.7.1987, n. 332/24.7.2000 e n. 445/12.11.2002); per tale motivo anche gli atti ampiamente discrezionali sono sindacabili sotto il profilo della ragionevolezza (C.S., IV, n. 3647/3.7.2000) e dell’effettiva sussistenza del presupposto (A.P. n. 14/1999).

Dalle norme della L. 241/1990, infatti, vanno desunti i “principi generali” valevoli per l’intero ordinamento giuridico (art. 29), né è possibile fare un’eccezione totale ed assoluta per l’ordinamento delle Forze armate che “si informa allo spirito democratico della Repubblica” (art. 52 cost.) e, quindi, anche ai principi della “democrazia amministrativa”, da rapportare alle varie fattispecie.

Le formule generale e astratte tipo “esigenze di servizio” possono avere una loro validità e funzione in particolari circostanze, in cui l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, assumono carattere assorbente, ma quando si è in presenza di un mero atto organizzatorio, collegato a vicende e/o fatti personali di un dipendente, come nel caso di specie, esse assumono un valore volutamente ermetico e possono rappresentare una forma di eccesso di potere sul piano della logicità e del giusto trattamento, specie se l’Amministrazione ha già dimostrato come fosse possibile conciliare le esigenze di servizio con quelle familiari del dipendente (trasferimento a domanda da L’Aquila a Lanciano – atto del 29.5.1998 prot. 8698/P - e “parere favorevole” per il trasferimento da Teramo a Lanciano –nota del 10.4.2002 prot. 5251/P-).

Non ha senso fare un discorso astratto, dando sempre per scontate le “ineludibili esigenze di organizzazione, coesione interna e massima operatività delle forze armate”, perché se bisogna operare una “comparazione con la cura concreta dell’interesse pubblico perseguito ed il sacrificio imposto alla sfera giuridica del privato”, anche gli “ordini”, incidenti in modo repentino e perentorio nella vita del militare, devono far comprendere la necessità del proprio allontanamento dal nucleo familiare, onde non lasciare adito a sospetti di “altri fini”; ciò perché il cittadino in armi non è affatto un declassato, ma deve vedere tutelati i diritti fondamentali della persona anche in presenza di atti che potrebbero apparire marginali sul piano generale, perché attinenti alle sole modalità di prestazione del servizio.

L’equo bilanciamento dei valori costituzionali non può essere limitato solo ad ipotesi tassative e/o a quelle più eclatanti, tipo le discriminazioni ideologiche (C.S., IV, n. 2641/8.5.2000), perché, se c’è la possibilità del sindacato di legittimità sulla scelta operata, per valutarne la proporzionalità e ragionevolezza, non si comprende, sul piano della logica, come analogo esame non possa valere anche per altre fattispecie, dove l’interessato ritiene di aver subito un’ingiustizia, resa ancora più non accettabile dal comportamento arcano dell’Amministrazione, consapevole di potere beneficiare di un “privilegium”, anche quando i fatti concreti le potrebbero dare torto.

Gli ordini, pertanto, non possono dirsi sottratti “a priori” ai principi generali della L. 24171990, sul presupposto che l’ordinamento militare è di tipo gerarchico e, perciò, sottratto alle regole della logica e della buona amministrazione; gli stessi, infatti, vanno valutati caso per caso, secondo la loro incidenza e funzione, per allontanare ogni possibilità di arbitrio.

In via generale, si può anche concordare che al militare non spetta uno “ius in officio”, nella scelta della sede di servizio, ma ciò,  in relazione alle circostanze reali ed ai fatti personali, non esclude una giustificazione e partecipazione, almeno informativa, dell’interessato.

La valutazione, invero, deve essere spostata sul piano della sufficienza della motivazione e/o giustificazione, nonchè sulla necessità o meno dell’avviso nella procedura del trasferimento d’autorità, che è quasi sempre una determinazione repentina “a forma libera, di norma unisussistente”, per le quali vi sono ragioni di celerità.

L’art. 23 del D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, in punto di “ordini”, dice che essi vanno emanati in conformità e nei casi previsti dalla legge e devono essere formulati con chiarezza in modo che non possa nascere dubbio od esitazione in chi li riceve; il che significa “legalità” e “comprensione” degli stessi, non solo sul piano letterale; la norma, invero, va collegata al successivo art. 28, che afferma spettare ai militari i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini, anche se, per i fini previsti dalle norme di principio sulla disciplina militare, sono imposti limitazioni e particolari doveri, quali ad esempio il fatto che non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali, la subordinazione della costituzione di associazioni o circoli fra militari al preventivo assenso del Ministro della difesa.

L’art. 1 della L. 15.9.1986 n. 214 definisce il militare come “il cittadino” che fa parte delle Forze armate volontariamente o in adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge sulla leva, cui spettano tutti i diritti costituzionali, ivi compreso il rispetto, da parte della P.A., delle regole di buona amministrazione ed imparzialità (art. 97 cost.).

IL militare ha accettato di essere soggetto ad una particolare disciplina, a doveri e responsabilità, nonché a limitazioni nell'esercizio di taluni diritti previste dalla Costituzione, definite dalla legge e riportate nel regolamento, ma tale “supremazia speciale” dell’Amministrazione deve estrinsecarsi secondo i canoni di ragionevolezza.

La L. 11 luglio 1978, n. 382  è oltremodo esplicita nell’assicurare che l'osservanza di particolari doveri deve avvenire “nell'ambito dei principi costituzionali” e che lo Stato, a tale fine, avrebbe predisposto misure effettive, volte a tutelare e promuovere lo sviluppo della personalità dei militari, nonché ad assicurare loro un dignitoso trattamento di vita.

IL militare che ha un proprio nucleo familiare ha, quindi, diritto ad un trattamento di vita dignitoso, che si traduce nell’evitare di disgregare la famiglia senza una valida ragione.

In ipotesi di ordine, incidente sul suo sistema di vita familiare, questi dovrà accettare senza discutere il trasferimento, ma una qualche valida giustificazione “oggettiva” deve esservi, diversamente esso apparirà solo e sempre come una ingiustificata punizione e/o frutto di un arbitrio.

Nella fattispecie in esame, la vicenda è abbastanza lineare perché il dipendente, in sevizio a L'Aquila, è stato trasferito a Lanciano “a domanda”, in base alla reale situazione familiare (figli minori affetti da infezioni respiratorie ricorrenti e bisognevoli di continue cure mediche specialistiche, madre con affezione tumorale); successivamente, dopo il verificarsi di una vicenda che ha interessato il dipendente, il quale ha visto acclarare la insussistenza delle accuse sia in sede penale (archiviazione –R.G. GIP n. 576/2000-), sia in quella disciplinare (chiusura del procedimento non essendosi oggettivamente individuata una qualche responsabilità a carico del dipendente – atto 22.3.2001 prot. 5210/P-), si è visto notificare il trasferimento d’autorità “per esigenze di servizio”, quasi un contrordine rispetto al precedente trasferimento a domanda, per il quale l’Amministrazione aveva ammesso l’esistenza di valide ragioni personali, che giustificavano il suo ricongiungimento al proprio nucleo familiare.

Le esigenze di servizio, in mancanza di chiarezza esplicita, all’epoca potevano ben essere intuitivamente collegate alle vicende locali, ma una volta che i procedimenti sono stati archiviati con esito favorevole per il dipendente, il mantenimento del trasferimento rappresenta, in carenza di altra valida giustificazione, una vera e propria sanzione, pur in assenza di un fatto punibile, essendo incontestabili l’esistenza di reali esigenze di famiglia del dipendente ed avendo il comandante provinciale di Teramo dato il proprio parere “favorevole” al trasferimento a Lanciano (nota 10.4.2002 prot. 5251/P); ciò stante, non basta, ai fini della motivazione, opporre l’ermetica espressione “ostandovi esigenze di servizio”, anche perché l’interessato, nella sua domanda dell’8.4.2002, fa presente che il trasferimento d’autorità appare essere una misura affittiva e che, ai già segnalati problemi familiari, si è aggiunto il proprio personale disagio fisico ed emotivo, documentato da un certificato medico, prospettandosi una lesione del diritto alla salute nella forma del “mobbing”.  

Se, invero, il trasferimento d’autorità è configurabile come un ordine da adempiere (Tar Lazio, sez. II, n. 5016/31.5.2002) e potevano esservi intuibili ragioni di opportunità (Tar Liguria sez. I, n. 664/13.6.2002), il diniego interposto alla nuova domanda di trasferimento a domanda, non è più tale e rappresenta un normale atto negativo, lesivo delle aspettative del dipendente, cui bisogna dare una risposta valutando le ragioni prospettate, particolarmente in presenza di un parere favorevole da parte del proprio comando provinciale.

Le stesse norme interne (nota 5.4.2000 prot. 11600/1241), invero, disciplinano il trasferimento a domanda come possibilità ordinaria ( dopo tre anni di permanenza minima in una sede)  e/o eccezionale, secondo scadenze periodiche ed allegando ogni utile documentazione; si è, quindi, stabilita, per i dipendenti, una normale procedura per la presentazione delle istanze, con predisposizione, ai fini della massima oggettività, di “schede punteggi” e di una graduatoria per determinare i trasferimenti, dando particolare rilievo alle “situazioni personali e familiari”.

Tra le situazioni “eccezionali”, infatti, rientra il ricongiungimento a familiari con patologie più o meno gravi, se non assistibili in modo alternativo a quello della presenza dell’interessato, per le quali sia stata allegata la documentazione rilasciata da strutture sanitarie pubbliche; il caso in esame, invero, in assenza di accertamento di una concreta possibilità alternativa (Tar Lazio, sez. II, n. 4589/22.5.2002), va fatta rientrare nella fattispecie; la domanda, comunque, andava esaminata, istruita e decisa in base a quanto documentato e/o verificato, esplicitando le ragioni del diniego, particolarmente quando non si è dato un corso regolare all’istanza, che aveva avuto il parere favorevole del proprio comando provinciale, a documentazione della non indispensabilità del dipendente in quella sede di servizio.

Conclusivamente, se il trasferimento d’autorità è possibile configurarlo come un ordine, rinvenendo le esigenze di servizio nella situazione locale, quale oggettivamente determinatasi, per il rigetto della domanda di trasferimento, che attiene ad una possibilità normativamente disciplinata dalla stessa Amministrazione per tutti i dipendenti, non è possibile non rilevare il difetto di motivazione, reso ancora più evidente dalla probante documentazione prodotta dal ricorrente circa la “eccezionalità” della sua situazione familiare, che era stata favorevolmente valutata dal proprio comando provinciale.

IL ricorso n. 758/2000, quindi, resta superato dal sopravvenuto diniego in punto di trasferimento a domanda, quale autonomo procedimento ad stanza di parte.

IL ric. N. 531/2002, invece, va accolto, in conformità di quanto precisato.

Le spese di causa seguono la soccombenza.     

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,

-riunisce i gravami in epigrafe;

-dichiara improcedibile il ricorso n. 758/2000;

-accoglie il ricorso n. 431/2002 e per effetto annulla il relativo provvedimento;

-condanna lAmministrazione al pagamento in favore del ricorrente, delle spese di causa, che si liquidano complessivamente (onorari di avvocato, diritti di procuratore e spese vive) in 2000= (duemilaeuro).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 9 gennaio 2003.

-Antonio CATONI presidente 
 

-Dino NAZZARO consigliere estensore

IL Segretario di udienza 
 

Pubblicata mediante deposito in segreteria in data 23.01.2003

IL Direttore di Segreteria