REPUBBLICA ITALIANA N. 2677   Reg.Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Anno    2003
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA N. 3027   Reg.Ric.
SEDE DI BARI – SEZ. I Anno   1998
ha pronunciato la seguente  
SENTENZA  

 
 

sul ricorso (n. 3027/1998)  proposto dalla signora  Maria Fionda ved. Albo, in proprio e nella qualità di rappresentante legale delle figlie minori Cristina Albo e Giovanna Albo, rappresentata e difesa dall’avv. Arcangela Romanelli ed elettivamente domiciliata in Bari, Via Putignani n. 158,  presso lo studio dell’avv. Antonio Vinci,

contro

il Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze), in persona  del Ministro pro tempore, e il Comando generale della Guardia di finanza, in persona del Comandante generale  pro tempore, ambedue  rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di  Bari, presso i cui uffici in Via Melo n. 97 sono per legge domiciliati,

per l'annullamento

del decreto 22 agosto 1998 n. 125, con il quale il Comandante generale della Guardia di finanza ha accolto  solo in parte il ricorso gerarchico da lei proposto il 4 novembre 1997 avverso il provvedimento 3 marzo 1997 n. 754  del Comando generale della Guardia di finanza – Servizio amministrativo – III Divisione; di tutti gli atti presupposti, conseguenti e correlati ancorché non conosciuti; in particolare del cit. decreto n. 754 del 3 marzo 1997, nonchè

per l’accertamento

del  diritto della ricorrente ad ottenere la rideterminazione dell’equo indennizzo, oltre interessi e rivalutazione monetaria,  e per

la conseguente condanna

dell’Amministrazione resistente a corrispondere alla ricorrente l’equo indennizzo così come rideterminato, con rivalutazione monetaria ed interessi.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e finanze e del Comando generale della Guardia di finanza;

Viste le memorie presentate in giudizio dalle parti in causa a supporto delle rispettive difese;

Visti  gli atti  tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del  25 giugno 2003  il  Pres.  Gennaro  Ferrari; uditi i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale (l’avv. Romanelli per la ricorrente e l’avv. Stato Matteo per le Amministrazioni resistenti);   

Ritenuto e considerato,  in fatto e in diritto,  quanto segue:

FATTO 

1.  Con atto (n. 3097/98) notificato in data  18 novembre 1998  e depositato il successivo 10 dicembre la signora  Maria Fionda, vedova  del Mar. Magg. della Guardia di finanza Pietro Albo, deceduto per cirrosi epatica riconosciuta dipendente da causa di servizio, ha proposto ricorso a questo Tribunale avverso la decisione gerarchica in epigrafe indicata e ne ha chiesto l’annullamento nella parte in cui ha dichiarato il “cancro-cirrosi epatica” malattia  infermità nuova e diversa dalla “epatopatia cronica persistente” già riscontrata a carico del defunto coniuge, ancorché interdipendente da questa, e per l’effetto ha ritenuto correttamente applicata, in sede di liquidazione dell’equo indennizzo, la nuova e meno favorevole disciplina introdotta dall’art. 1, co. 119, L. 23 dicembre 1996 n. 662.

Deduce:

a) Violazione e falsa applicazione della normativa in materia di determinazione dell’equo indennizzo e, in particolare, delle LL. nn. 312 del 1980,  729 del 1994 e  662 del 1996,  atteso  che in data 4 febbraio 1995 il defunto coniuge aveva presentato  istanza di “aggravamento” dell’infermità  di cui era già portatore, e non di “interdipendenza” fra questa e una nuova infermità, come erroneamente affermato nel decreto decisorio, con la conseguenza che dovevano continuare a trovare applicazione  le norme previgenti alla L. 23 dicembre 1994 n. 724, come espressamente previsto dall’art. 1, co. 120, L. finanziaria  23 dicembre 1996 n. 662 per le domande di aggravamento  sopravvenuto,  presentate  con decorrenza dal 1° gennaio 1995;

b) Eccesso di potere per contraddittorietà con precedente determinazione, violazione di legge, difetto di motivazione, difetto di istruttoria e di presupposti,  atteso che, come ha confermato anche la più  recente giurisprudenza del giudice amministrativo, il momento rilevante per la individuazione della normativa applicabile in sede di liquidazione dell’equo indennizzo è quello in cui si manifesta la perdita dell’integrità fisica  o l’aggravamento, che costituisce fatto costitutivo del diritto all’indennizzo. In ogni caso manca nel provvedimento impugnato una congrua motivazione in ordine alle ragioni della riduzione operata.

2.  - Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, le quali hanno eccepito l’inammissibilità: a)  delle censure di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di presupposti, in quanto non dedotte in sede gerarchica ma proposte per la prima volta in sede giurisdizionale; b) dell’intero ricorso in conseguenza della mancata impugnazione del parere del C.p.p.o. che, nella parte in cui  ha ritenuto insussistente l’aggravamento della precedente infermità  ed ha ravvisato un mero nesso di interdipendenza  fra le due patologie, è divenuto immodificabile; c) sempre dell’intero ricorso, dal momento che le censure dedotte attengono a valutazioni riservate all’apprezzamento discrezionale di un organo tecnico altamente specializzato, quale è il C.p.p.o.

In via gradata le Amministrazioni hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, delle censure dedotte .

3.  - Con memoria depositata in data 14 giugno 2003 la ricorrente ha  riconfermato la fondatezza delle proprie doglianze richiamando precedenti giurisprudenziali, contributi dottrinari nella materia de qua e le conclusioni alle quali è pervenuto un perito di parte.

4. - All’udienza pubblica di discussione le parti presenti hanno diffusamente svolto le proprie difese.

DIRITTO

1.  -  Nel corso dell’udienza di discussione il difensore della ricorrente, rispondendo ad un quesito rivoltole dal Presidente, ha chiarito che, a seguito del parziale accoglimento del ricorso gerarchico proposto dalla sua assistita, l’Amministrazione ha provveduto al ricalcalo dell’equo indennizzo già liquidato all’istante, ricomprendendo in esso anche la parte che era stata erroneamente trattenuta ex art. 2, co. 2, L. 23 dicembre 1970 n. 1094,  per asserito superamento del 50° di età da parte del defunto  sottufficiale.

Segue da ciò che la materia del contendere, sottoposta all’esame del Collegio, deve intendesi  circoscritta alla  ricerca della normativa applicabile in sede di liquidazione dell’equo indennizzo, che le Amministrazioni resistenti hanno individuato in quella più restrittiva  introdotta con riferimento alle domande prodotte a decorrere dal 1° gennaio 1995.

Si legge infatti nell’impugnato decreto decisorio,  a firma del Comandante generale della Guardia di finanza, che la domanda di accertamenti medico-legali, “prodotta dalla signora Fionda per l’interdipendenza dell’infermità carcinoma-epatico”, è stata presentata in piena vigenza della L. finanziaria (anno 1995) 23 dicembre 1994 n. 724, che all’art. 22 dispone:

- (co. 28)  la misura dell’equo indennizzo …. è pari a due volte l’importo dello stipendio tabellare determinato a norma del co. 27 dello stesso art. 22 (id est l’importo dello stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda o dell’avviso del procedimento d’ufficio);

- (co. 30) le disposizioni di cui ai co. 27, 28 e 29 si applicano per le domande presentate a decorrere dal 1° gennaio 1995.

Giova peraltro rilevare che lo stesso Comando generale della Guardia di finanza  -  Ufficio relazioni con il pubblico,  rispondendo ad una richiesta di chiarimenti avanzata dalla ricorrente, aveva precisato (nota n. 289951 del 4 agosto 1997) che “il minor importo liquidato (rispetto a quello in un primo momento comunicato) trova giustificazione nell’emanazione di nuove norme”, espressamente individuate nell’art.1,  co. 119 e 120,  L. 23 dicembre 1996 n. 662.

2. - Ciò premesso in punto di fatto, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità dedotte in memoria dalle Amministrazioni resistenti con riferimento sia a singoli motivi di doglianza  che al ricorso nella sua interezza. Ed invero:

a) le censure dedotte in sede giudiziaria ricalcano nella sostanza (salvo l’errata numerazione e la sovrabbondante intitolazione)  quelle già proposte in sede gerarchica, e cioè la  carente indicazione  di ragioni  idonee a giustificare, sotto il profilo istruttorio e motivazionale,  la drastica riduzione dell’importo dell’equo indennizzo rispetto a quello già comunicato. Di conseguenza non appare pertinente il richiamo ai pacifici principi giurisprudenziali che affermano l’inammissibilità dei motivi di ricorso  non dedotti in sede gerarchica e proposti per la prima volta in sede giudiziale, così come non  è neppure chiaro il risultato vantaggioso che le Amministrazioni si propongono di ricavare dall’eventuale accoglimento dell’eccezione, atteso  che le censure principali ed assorbenti sono quelle dedotte con il primo motivo;

b) il parere del C.p.p.o. non doveva formare oggetto di impugnazione per almeno due ragioni: b’) in punto di diritto,  perché si tratta di un parere (obbligatorio ma non vincolante) che, come tale, è sprovvisto di autonoma capacità lesiva,  la quale è da imputarsi per intero all’atto dell’organo di amministrazione attiva che lo ha recepito facendolo proprio; è utile a questo proposito il richiamo ad una antica e pacifica giurisprudenza che nega al Comitato la legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto l'an e/o il quantum dell’equo indennizzo e ne dispone l’estromissione dal giudizio, ove costituitosi, proprio partendo dal presupposto che l’atto lesivo ed impugnabile non è quello, endoprocedimentale, dell’organo consultivo, bensì quello finale adottato dall’organo di amministrazione attiva che ad esso si sia adeguato; b”) in punto di fatto, atteso che è quanto meno dubbio che il Comitato, nel momento in cui riconosceva la dipendenza da causa di servizio anche dell’infermità letale “cancro cirrosi epatica” e ne affermava la interdipendenza con l’affezione “epatica”, abbia inteso sostenere che la prima costituiva patologia nuova e diversa da quella precedente, e non piuttosto fisiologica evoluzione in senso peggiorativo di quest’ultima  e, per ciò stesso, interdipendente da essa;

c) in ogni caso la circostanza che il parere reso dal C.p.p.o. sia espressione di discrezionalità tecnica non  comporta che esso sfugga del tutto al sindacato del giudice della legittimità, anche quando le censure contro esso dedotte sono di violazione e falsa applicazione di legge.

3. - Passando al merito del ricorso va precisato, in punto di fatto, che in data 4 febbraio 1995 e, quindi, pochi giorni prima di morire il  coniuge dell’odierna ricorrente aveva presentato “domanda di aggravamento di infermità”, nel corso della quale aveva sostenuto  che gli accertamenti clinici, ematoclinici e strumentali, ai quali era stato sottoposto, avevano chiarito che la riscontrata  patologia “cancro-cirrosi” costituiva “evoluzione degerativa” e “forma clinica di aggravamento” della  “epatopatia cronica”  di cui era già sofferente e che era già stata riconosciuta dipendente da causa di servizio.

Trattasi quindi di “domanda di aggravamento sopravvenuto della menomazione ai sensi dell’art. 56 D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686” alla quale, secondo quanto previsto dall’art. 1, co.120, L. 23 dicembre 1996 n. 662,  ove presentata con decorrenza 1 gennaio 1995,  continuano ad applicarsi “per la determinazioni dell’equo indennizzo, le disposizioni previgenti alla L. 23 dicembre 1994 n. 724”, le quali assumono come  base di computo lo stipendio tabellare annuo iniziale del livello di appartenenza maggiorato dell’80% e moltiplicato per 2,5 (e non per 2, come invece previsto dagli artt. 22, co. 30, L. 23 dicembre 1994 n. 724 (finanziaria 1995) e 1, co. 120, L. 23 dicembre 1996 n. 662).

4. – Nel merito il ricorso è fondato, atteso che le Amministrazioni attribuiscono al C.p.p.o. un intendimento che non traspare dalla lettura del parere da esso reso.

Il Comitato ha infatti affermato la “interdipendenza” fra la epatopatia cronica preesistente -  già riconosciuta  dipendente da causa di servizio – e la sopravvenuta cirrosi epatica al solo fine di chiarire che si trattava di patologie aventi una comune eziologia, sicchè per la individuazione dei fattori responsabili della neoplasia e del successivo decesso del militare  non era necessario procedere ad una rinnovata verifica.

Nella dichiarata unicità del fattore responsabile dell’insorgere e dell’aggravarsi delle due patologie  e, quindi, nell’affermata inutilità di una nuova indagine sulle cause del decesso è la riprova che il Comitato, richiamando il concetto di interdipendenza, non ha inteso affatto affermare che si trattava di infermità indipendenti l’una dall’altra, aventi ciascuna una propria eziologia e una diversificata sintomatologia,  ma  soltanto individuare nella cirrosi epatica la naturale evoluzione in senso peggiorativo della prima malattia, l’epatite.

Non esiste quindi contrasto alcuno fra  il  “sopravvenuto aggravamento”  di una menomazione già riconosciuta dipendente da causa di servizio, come richiesto dalla norma, e la “interdipendenza” riscontrata dal C.p.p.o., essendo nell’ordine normale delle cose e nella comune esperienza  che l’aggravamento possa  comportare l’insorgenza di un quadro patologico diverso e più complesso di quello originario, senza che perciò venga meno l’unicità del fattore causale al quale - sotto il profilo indennitario - gli organi sanitari pubblici hanno riconosciuto  per intero la responsabilità dello stesso.

5. - Il ricorso deve pertanto essere accolto.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q..M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia - Sede di Bari,   Sez. I accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla in parte qua il decreto decisorio impugnato e l’atto di base.

Condanna le Amministrazioni resistenti al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in   1.500 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del  25 giugno 2003,  dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Sede di Bari, Sez. I , con l’intervento dei signori:

Gennaro Ferrari  est.           Presidente

Amedeo Urbano               Consigliere

Vito Mangialardi                   Consigliere.