REPUBBLICA   ITALIANA N. 3012   Reg.Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Anno    2003
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA N. 3690    Reg.Ric.
SEDE DI BARI – SEZ. I Anno     1996
ha pronunciato la seguente  
SENTENZA  

 
 

sul ricorso (n. 3690/1996) proposto dal signor Andrea  Bellino,  rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Paccione presso il cui studio in Bari,  Via  Quintino Sella n. 120,   è  elettivamente  domiciliato,

contro

il Ministero dell’interno, in persona del  Ministro pro tempore,  e il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, in persona del legale rappresentante pro tempore, ambedue  rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di  Bari, presso i cui uffici in Via Melo n. 97 sono   per legge domiciliati,

per l'annullamento

a) del decreto ministeriale 30 settembre 1996 n.96/000377, recante reiezione della domanda di liquidazione dell’equo indennizzo;    

b) del sottostante parere n. 14065/93, espresso dal C.P.P.O. nella seduta del 21 giugno 1993;

c) di ogni atto presupposto, benché ignoto, purchè lesivo. 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno e del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie;

Viste le memorie prodotte dalle parti in causa a supporto delle rispettive difese;

Visti  gli atti  tutti della causa;

Relatore nella  pubblica udienza del 23 luglio 2003  il  Pres.  Gennaro  Ferrari; uditi per  il ricorrente l’avv.  Paccione  e per il Ministero dell’interno e per il C.p.p.o. l’avv. Stato Campanile, come da verbale.

Ritenuto e considerato,  in fatto e in diritto,  quanto segue:

FATTO 

1.  Con atto (n.3690/1996) notificato in data  24  dicembre 1996 e depositato il successivo 30 dicembre il  signor Andrea Bellino,  dipendente  del Ministero dell’interno con la qualifica di “esperto in documentazione” ed in servizio presso l’Ufficio patenti della Prefettura di Bari, ha proposto ricorso a questo Tribunale avverso il provvedimento, in epigrafe indicato, con il quale è stata respinta, in conformità al parere espresso dal C.p.p.o., la sua istanza di liquidazione dell’equo indennizzo per le infermità “bronchite cronica” e “gastroduodenite”, che assume di aver contratto per causa di servizio.   Premessa una breve ricostruzione dei fatti che hanno dato origine alla controversia,  ne ha chiesto l’annullamento,  deducendo contro di esso le seguenti censure:

a) Violazione ed omessa  applicazione del principio generale di autotutela amministrativa – Violazione della lettera e dello spirito del D.P.R. 20 marzo 1994 n. 349 – Abnormità procedimentale – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carente motivazione, illogicità e contraddittorietà,  atteso che il Ministero non poteva rigettare l’istanza di liquidazione dell’equo indennizzo senza aver preventivamente provveduto ad annullare d’ufficio, nella via dell’autotutela,  il precedente decreto che riconosceva la dipendenza da causa di servizio delle infermità di cui soffre il ricorrente;    

b) Violazione ed  erronea applicazione  del D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349, con riferimento all’art. 5 bis D.L. 21 settembre 1987 n. 387, nel testo aggiunto dalla legge di conversione 20 novembre 1987 n. 472 - Violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990 -  Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, erronea presupposizione e travisamento delle risultanze documentali, atteso che in presenza di pareri tecnici discordanti sulla imputabilità delle infermità a causa di servizio - il primo, favorevole, reso dalla C.m.o. a seguito di accertamenti tecnico-specialistici compiuti direttamente sulla persona dell’istante e “frutto di attenzione scientifica in ordine al caso concreto” e l’altro, negativo, espresso dal C.p.p.o. e costituente “claudicante esito di argomentazioni astratte derivanti da fredda lettura  statistica della genesi di forme morbose simili a quelle contratte” dal ricorrente - l’Amministrazione aveva l’obbligo di chiarire le ragioni della preferenza  accordata al secondo,  tanto più che  essa  aveva già riconosciuto con provvedimento formale la loro dipendenza da causa di servizio.

In ogni caso è palese l’illogicità e la carenza della motivazione addotta a giustificazione del diniego, atteso che il richiamo alla particolare composizione e competenza del C.p.p.o. non autorizza una supina adesione alle conclusioni alle quali, di volta in volta, detto organo perviene, mentre il richiamo alla “disamina completa ed obiettiva della documentazione amministrativa e sanitaria dell’istante” tradisce una implicita “diffidenza” nei riguardi della precedente istruttoria, incomprensibile in quanto proveniente dalla medesima Amministrazione.   

2. - Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e il C.p.p.o., i quali hanno depositato ampia documentazione ed una breve memoria con la quale hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte, con puntuale richiamo a precedenti giurisprudenziali del giudice delle leggi e del giudice amministrativo, ed hanno concluso per il rigetto del  ricorso.

3. - Con memoria depositata in data 12 luglio 1993 il ricorrente ha chiesto al Tribunale di disporre consulenza tecnica d’ufficio in ragione della “inconciliabile” diversità riscontrabile fra i due provvedimenti adottati,  in prosieguo di tempo,  dalla stessa Amministrazione.  

4. - All’udienza pubblica di discussione le parti presenti si sono concordemente rimesse ai rispettivi scritti difensivi. 

DIRITTO

1. -  Deve innanzi tutto disporsi l’estromissione dal giudizio del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, ancorché il parere da esso reso sia stato ritualmente impugnato e formi oggetto di specifiche censure preordinate al suo annullamento.

In più occasioni questo Tribunale ha chiarito che il C.p.p.o. non è legittimato a resistere al ricorso proposto dal pubblico dipendente contro  il diniego di liquidazione dell’equo indennizzo, atteso che il parere da esso reso non è dotato di autonoma capacità lesiva e il pregiudizio per l’istante discende in via immediata e diretta dal deliberato dell’organo di amministrazione attiva, che ad esso si  è  adeguato, facendolo proprio (T.A.R. Bari,  I Sez., 30 dicembre 1999 n.  2104,  2 novembre 2000 n. 4247  e  12 gennaio 2001 n. 113 e, da ultimo, 15 luglio 2003 n. 2868).

2. - Il ricorso deve essere respinto perché le censure con esso dedotte  ripropongono, nella sostanza, questioni  che  la giurisprudenza  sia del giudice delle leggi che del giudice amministrativo  ha da tempo definito in senso contrario a quanto sostenuto dal ricorrente. Né risultano proposte argomentazioni nuove ed originali, che possano indurre il Collegio ad un ripensamento rispetto alle conclusioni  alle quali, nella materia de qua, è pervenuta la suddetta giurisprudenza.  Ed invero:

a) la disciplina introdotta dall’art. 5 bis L. 20 novembre 1987 n. 472 in materia di equo indennizzo  consente all’Amministrazione di riesaminare il nesso di dipendenza da causa di servizio dell’infermità già dichiarato a conclusione dell’autonomo procedimento relativo al riconoscimento stesso, con la conseguenza di poter negare l’equo indennizzo senza dover prima annullare il precedente provvedimento con il quale aveva riconosciuto la riconducibilità al servizio della medesima infermità (Cons. Stato, VI Sez., 29 ottobre 1999 n. 1651; T.A.R. Bari, I Sez., 8 marzo 2000 n. 923 e 24 giugno 2000  n. 2641); segue da ciò la  non pertinenza al fine del decidere della tesi del ricorrente, secondo la quale gli atti di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio  s’imporrebbero  all’Amministrazione in sede di concessione dell’ equo indennizzo,  non potendo gli stessi  essere disapplicati ma, al limite, solo annullati d’ufficio nella via dell’autotutela;

b) nel procedimento preordinato alla verifica dei presupposti per la liquidazione dell’equo indennizzo l’Amministrazione non è tenuta ad indicare le ragioni per le quali aderisce al parere del C.p.p.o., ma deve solo verificare se quest’ultimo, nel pronunciare, ha tenuto conto delle argomentazioni, eventualmente di segno opposto, svolte dagli altri organi tecnici già intervenuti nella procedura, precedente ed autonoma, finalizzata ad accertare la dipendenza da causa di servizio dell’infermità denunciata dal pubblico dipendente (Cons. Stato, VI Sez.,  13 agosto 1999  n. 1053;  T.A.R.  Bari, I Sez., 2 febbraio 2000 n. 411; T.A.R. Salerno 3 febbraio 2000 n. 54;  T.A.R. Basilicata 14 febbraio 2000 n. 82).

Alla base di questa conclusione, assolutamente pacifica nella giurisprudenza del giudice amministrativo, è la considerazione che in materia di equo indennizzo l’ordinamento non mette a disposizione dell’Amministrazione una serie di pareri pariordinati, resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza, sui quali orientarsi, ma affida al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie il compito di esprimere un giudizio conclusivo anche sulla base di quelli resi, nell’ambito  della propria competenza, dalla C.m.o.; pertanto,  in quanto momento di  sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi in precedenza intervenuti, il parere del C.p.p.o. s’impone all’Amministrazione, la quale è tenuta solo a verificare se l’organo in questione, nell’esprimere le proprie valutazioni, ha tenuto conto delle considerazioni svolte da altri organi e, in caso di disaccordo, se le ha confutate con argomentazioni intese ad evidenziare gli errori in cui questi ultimi sono incorsi; segue da ciò che un obbligo di motivazione in capo all’Amministrazione sarebbe ipotizzabile solo per l’ipotesi che essa, per gli elementi di cui dispone e che non sono stati vagliati dal Comitato, ritenga di non poter aderire al suo parere, che è obbligatorio, ma non vincolante (Cons. Stato, IV Sez., 27 aprile 1993 n. 483; 6 febbraio 1995 n. 74;  6 giugno 1997 n. 616; VI Sez. 12 gennaio 2000 n. 204;  T.A.R. Bari, I Sez., 30 dicembre 1999 n. 2104;  8 marzo 2000 n. 923;  12 gennaio 2001 n.  113;  II Sez. 18 gennaio 2000 n. 196;  2 giugno 2000 n. 2381).

Alle  stesse  conclusioni è pervenuto anche il giudice delle  leggi (Corte cost. 21 giugno 1996 n. 209);

c)  priva di pregio è anche la censura di carenza motivazionale ed istruttoria,  atteso che il C.p.p.o. ha chiarito in modo esaustivo le ragioni del proprio dissenso  rispetto alle conclusioni alle quali era pervenuta la C.m.o. in ordine alla rilevanza che, sul determinismo o anche solo sull’aggravarsi delle infermità denunciate ed effettivamente riscontrate,  avrebbero esercitato fattori connessi alla natura dell’attività lavorativa svolta ovvero all’ambiente in cui l’istante era tenuto ad operare.  Dall’esame della documentazione amministrativa e sanitaria messa a sua disposizione sia dal ricorrente che dall’Amministrazione il Comitato ha desunto, con riferimento alle infermità denunciate, che il ricorrente, in quanto addetto all’ufficio patenti, operava in ambienti chiusi e non risultava quindi esposto ad inclemenze atmosferiche o a perfrigerazioni né svolgeva mansioni diverse e più gravose di quelle proprie della qualifica rivestita. Si tratta di valutazioni pienamente condivise dall’Amministrazione di appartenenza che, per il loro contenuto tecnico-discrezionale e per  l’inesistenza di vizi logici  o di carenze istruttorie ictu oculi rilevabili, si sottraggono al sindacato del giudice della legittimità.

3. – Con memoria depositata il 12 luglio 2003 il ricorrente, probabilmente edotto della scarsa consistenza delle censure dedotte, quanto meno alla luce delle conclusioni alle quali è pervenuta una lunga e consolidata giurisprudenza, ha chiesto al  Tribunale di disporre consulenza tecnica d’ufficio alla quale affidare la verifica della sussistenza di un rapporto causale fra le infermità denunciate e il servizio da lui svolto.

La richiesta deve essere disattesa.  Dopo l’entrata in vigore della L. 21 luglio 2000 n. 205, la consulenza tecnica d’ufficio è utilizzabile nella giurisdizione di legittimità, quale strumento d’ausilio nel sindacato su provvedimenti espressivi di discrezionalità tecnica, solo nel rispetto dei limiti del sindacato giurisdizionale su detti atti, id est solo se ed in quanto l’atto impugnato già appaia, prima facie, affetto da vizi logici o di travisamento ( Cons. Stato, VI Sez., 5 settembre 2002  n. 4485 e 8 maggio 2001 n. 2590; T.A.R. Napoli, IV Sez.,  6 marzo 2003 n. 2205), che è situazione che nel caso in esame, per le ragioni già esposte,  assolutamente non ricorre.

4.  - Il ricorso deve, pertanto, essere  respinto, ma le spese del giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia - Sede di Bari,  Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo  dichiara inammissibile in quanto proposto avverso il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, di cui dispone l’estromissione dal giudizio;  lo rigetta, invece,  in quanto proposto contro il Ministero dell’interno.

Compensa integralmente fra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.   

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 23 luglio 2003,  dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Sede di Bari, Sez. I ,  con l’intervento dei signori:

Gennaro Ferrari  est.           Presidente

Amedeo Urbano                       Consigliere

Vito Mangialardi                   Consigliere