Corte di Cassazione, Sezione Lavoro - Sentenza 26 maggio 2004, n. 10175



Corte di Cassazione, Sezione Lavoro - Sentenza 26 maggio 2004, n. 10175

Composta dai Magistrati:

(omissis)

ha pronunciato la seguente

Sentenza
nel ricorso proposto da (...) ellett.te dom.to in Roma, piazza S.Croce in Gerusalemme n. 4, presso lo studio dell'avv. Alberto Pucciarelli che lo difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso
ricorrente

contro
Rete Ferroviari Italiana S.p.A. (già Ferrovie dello Stato S.p.A.), in persona dell'institore avv. G.A., in virtù dei poteri conferiti con procura notaio Paolo Castellini di Roma in data 4.7.2000, rep. n. 63122, ellett.te dom.ta in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 326 presso l'avv. Renato Scognamiglio che la difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso

controricorrente
per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Roma n° 8870/01 in data 22 febbraio/6 marzo 2001 (R.R. 23986/96).

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio 2004 dal cons. Bruno Battimiello;
udito l'avv. Claudio Scognamiglio per delega dell'avv. Renato Scognamiglio;
udito il Pm in persona del Sostituto Procuratore Generale Vincenzo Nardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, accogliendo l'appello delle Ferrovie dello Stato, ha ritenuto insussistente una responsabilità dell'azienda per i due infarti del miocardio che colpirono il dipendente (...) nel maggio 1978 e nel gennaio 1980 e ne ha conseguentemente rigettato la domanda di risarcimento danni, fondata sulla violazione degli obblichi imposti all'imprenditore dall'articolo 2087 C.c. in tema di tutela delle condizioni di lavoro. Inoltre, ritenendo che la misura dell'equo indennizzo riconosciuto allo stesso (...) per i medesimi fatti debba essere ridotto del 50%, ai sensi dell'articolo 50 del Dpr n. 686 del 1957, essendo il lavoratore titolare di pensione privilegiata, ha ridotto proporzionalmente la somma al cui pagamento il Pretore aveva condannato la società.
Avverso questa decisione (...) ricorre per cassazione con quattro motivi, cui Rete Ferroviaria Italana S.p.A. (già Ferrovie dello Stato S.p.A.) resiste con controricorso illlustrato anche da memoria.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione "di norme di diritto", con riferimento all'articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c., il ricorrente sostiene che il Tribunale non ha considerato che egli dopo il primo infarto tornò a svolgere le stesse attività di prima, sicché non risponderebbe al vero, come invece affermato dal Tribunale, che l'azienda provvide subito a distorglielo dai compiti che gli avevano causato l'infarto, essendosi invece limitata a ridurre ed attenuare la gravosità del lavoro, mentre sarebbe stato suo obbligo assicurare con immediatezza la garanzia della tutela assoluta della salute, esonerandolo subito del tutto dall'attività lavorativa sino ad allora espletata.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 2043 C.c., con riferimento all'articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c., il ricorrente critica l'impugnata sentenza per avere il Tribunale escluso la responsabilità datoriale sul semplice rilievo della non pericolosità delle lavorazioni cui egli fu adibito dopo il primo infarto. In questo modo però non risulterebbe soddisfatto l'onere probatorio posto dall'articolo 2087 C.c., il quale fa obbligo al datore di lavoro "di garantire ad ogni costo la salute del lavoratore". Il Tribunale non avrebbe considerato che la destinazione al Ministero da ultimo disposta poteva e doveva essere decretata prima. Invece l'azienda aveva ignorato la denuncia del lavoratore, il quale aveva lamentato una continua adibizione a mansioni usuranti in ambienti freddi e umidi, e l'imposizione di ritmi di lavoro insostenibili.
I suddetti due motivi, che la Corte esamina congiuntamente per la stretta connessione tra le argomentazioni ivi contenute, sono infondati.
Il ricorrente motiva le sue critiche con il rilievo che il Tribunale non avrebbe spiegato come sia pervenuto ad affermare che l'azienda non ignorò che l'infarto comportava la necessità di attenuare o comunque ridurre la gravosità del lavoro ed adottò con sufficiente tempestività misure di tutela immediata apportando modifiche alla mansioni per evitare rischi. Con tale giudizio il Collegio di merito mostrerebbe di ignorare la testimonianza resa dal (...), compagno di lavoro del (...), il quale aveva dichiarato che questi doveva attraversare fasci di binari con treni in transito.
Si tratta di censure prive di fondamento, avendo il Tribunale motivato - dopo aver esaminato e dato conto in dettaglio delle iniziative prese dalla società in conformità alle richieste del dipendente - che il (...) non fu più assegnato allo svolgimento delle precedenti mansioni, ma esonerato, dopo pochissimo tempo dalla ripresa del servizio seguita au'assenza di 115 giorni, innanzitutto dai turni di notte e poi adibito a compiti di scritturazione, le quali comportavano un lavoro all'esterno per circa due ore, prevalentemente nei turni pomeridiani.
Si tratta di un ragionamento conforme a diritto e privo di errori logici, avendo il Tribunale ritenuto che l'azienda osservò un comportamento improntato alla diligenza del buon padre di famiglia (articolo 1176 C.c.), perché, in difetto di elementi che imponevano un radicale cambiamento delle mansioni (l'infarto non è in assoluto impeditivo della ripresa della precedente attività), ridimensionò drasticamente l'esposizione a rischio, appena il dipendente ne fece richiesta.
D'altra parte, neppure il lavoratore fu subito consapevole della incompatibilità delle mansioni fino ad allora esercitate con il suo stato di salute, se solo il 26 gennaio 1979 fece richiesta di esonero dal lavoro notturno (aveva ripreso servizio nel settembre 1978 dopo il primo infarto del maggio di quell'anno).
Il ricorrente, nelle sue critiche, non chiarisce di quali elementi il Tribunale disponesse per poter affermare che l'iniziativa delle Ferrovie avrebbe dovuto esplicarsi anteriormente alla richiesta dell'interessato, dal momento che l'accertamento della dipendenza della malattia da causa di servizio intervenne solo nel gennaio 1981, dopo il secondo infarto del gennaio 1980. Ed invero la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell'obbligo posto dall'articolo 2087 C.c. non ricorre per la sola insorgenza della malattia del lavoratore durante il rapporto di lavoro, richiedendosi che l'evento sia ricollegabile a un comportamento colposo dell'imprenditore che, per negligenza, abbia determinato uno stato di cose produtti dell'infermità (Cass. 10 aprile 1976 n. 1252; 11 aprile 1987 n. 3641).
La testimonianza del (...) non verte su circostanza significativa, perché il ricorrente, come accertato in fatto dal Tribunale, chiese essenzialmente di non svolgere turni di notte, e perché, nonostante quella circoscritta richiesta, l'azienda si adoperò anche per ridurre le ore di lavoro all'esterno, limitandole a sole due per turno.
Il Tribunale ha dunque ben motivato sulla esclusione di una responsabilità datoriale in ordine al secondo infarto (del gennaio 1980), rilevando che nel corso del 1979 l'azienda si conformò alle richieste del dipendente, non solo esonerandolo dal servizio notturno, ma riducendo a sole due ore il lavoro all'esterno. A questo riguardo il ricorrente non motiva in base a quali apprezzamenti, che non sia il postumo accertamento (nel 1981) della causa di servizio, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere sussistente una colpa dell'azienda (alla quale non risulta che siano state esibite certificazioni mediche attestanti una incompatibilità assoluta delle mansioni) per non essersi essa avveduta, anteriormente alla richiesta del dipendente, che l'infarto era stato provocato dalla specifica attività lavorativa e non da altra causa, e per non aver valutato che il rischio di ricadute poteva essere evitato solo con un radicale mutamento delle mansioni (destinazione al Ministero).
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 C.p.c. (articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c.). Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ridotto alla metà l'equo indennizzo, ignorando l'eccezione del lavoratore il quale aveva fatto rilevare che "la relativa domanda non era stata avanzata nel giudizio di primo grado e neppure ripetuta nel grado di appello".
Il motivo è infondato. A prescindere dal fatto che non costituisce domanda o eccezione in senso proprio la sollecitazione al giudice ad applicare la legge, dall'esame degli atti, che la Corte può compiere, essendo stato denunciato un error in procedendo, risulta che l'(allora) Ente Ferrovie dello Stato eccepì, nella comparsa di costituzione depositata in cancelleria il 14 gennaio 1992, che "dall'allegata normativa e in particolare dall'articolo 50 del citato Dpr n. 686 del 1957 l'equo indennizzo, eventualmente competente, andrebbe decurtato del 50% perché il ricorrente già percepisce la pensione privilegiata". In seguito, non avendo il Pretore tenuto conto di tale precisazione, la S.p.A. Ferrovie dello Stato, con il ricorso in appello depositato nella cancelleria del Tribunale di Roma il 6 giugno 1996 e notificato alla controparte in data 2 gennaio 1997, assieme al decreto presidenziale del 6 agosto 1996, lamentò che la sentenza impugnata non aveva "preso affato in esame l'argomentazione difensiva proporsa in comparsa costitutiva, penultima pagina, circa la decurtazione dell'equo indennizzo", sottoponendo quindi al Collegio giudicante "l'eccezione che ai sensi dell'articolo 50 del Dpr n. 686/1957 l'equo indennizzo eventualmente spettante deve essere decurtato del 50% nei riguardi del lavoratore che già percepisce la pensione privilegiata". Pertanto, non sussiste il denunciato vizio di ultrapetizione.
Con il quarto motivo, denunciando "violazione di legge in riferimento all'articolo 50 del Dpr 3 maggio 1957 n. 686, la quale prevede che l'equo indennizzo è ridotto della metà se il dipendente consegua anche la pensione privilegiata, non si applica ai dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato, perché l'articolo 209 della legge 26 marzo 1958 n. 425 faceva riferimento, prima dell'istituzione dell'Ente, alla legge generale concernente lo statuto degli impiegati civili dello Stato; e tale legge è rapresentata dal Dpr 10 gennaio 1957 n. 3 e non anche dal regolamento approvato con il citato Dpr n. 686 del 1957, che all'articolo 50 stabilisce la lamentata riduzione.
Anche quest'ultimo motivo è infondato. L'ipotesi di concorso tra le prestazioni dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata è regolata, per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, dagli articoli 3 e 14 del Dm 2 luglio 1983 (regolamento per la concessione dell'equo indennizzo ai dipendenti dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato) i quali, in perfetta simmetria con il Dpr n. 686 del 1957 (dettato per gli impiegati civili dello Stato), prevedono per il diretto beneficiario la riduzione alla metà dell'equo indennizzo. (Cass. 4 dicembre 1998 n. 12303; 1 settembre 2003 n. 12754).
Il ricorso va conclusivamente rigettato, con le conseguenze di legge in ordine alle spese (non vertendosi in materia previdenziale: (Cass. 27 agosto 2003 n. 12547), che si liquidano come in dispositivo.

 

PQM


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidata in euro 25,70 (venticinque/70) per esborsi ed euro 2.500.00 (duemilacinquecento/00) per onorario, oltre a spese generali, Iva e Cap.

 

Così deciso in Roma il 29 gennaio 2004

Depositato in Cancelleria 26 maggio 2004

ha pronunciato la seguente

Sentenza
nel ricorso proposto da (...) ellett.te dom.to in Roma, piazza S.Croce in Gerusalemme n. 4, presso lo studio dell'avv. Alberto Pucciarelli che lo difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso
ricorrente

contro
Rete Ferroviari Italiana S.p.A. (già Ferrovie dello Stato S.p.A.), in persona dell'institore avv. G.A., in virtù dei poteri conferiti con procura notaio Paolo Castellini di Roma in data 4.7.2000, rep. n. 63122, ellett.te dom.ta in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 326 presso l'avv. Renato Scognamiglio che la difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso

controricorrente
per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Roma n° 8870/01 in data 22 febbraio/6 marzo 2001 (R.R. 23986/96).

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio 2004 dal cons. Bruno Battimiello;
udito l'avv. Claudio Scognamiglio per delega dell'avv. Renato Scognamiglio;
udito il Pm in persona del Sostituto Procuratore Generale Vincenzo Nardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, accogliendo l'appello delle Ferrovie dello Stato, ha ritenuto insussistente una responsabilità dell'azienda per i due infarti del miocardio che colpirono il dipendente (...) nel maggio 1978 e nel gennaio 1980 e ne ha conseguentemente rigettato la domanda di risarcimento danni, fondata sulla violazione degli obblichi imposti all'imprenditore dall'articolo 2087 C.c. in tema di tutela delle condizioni di lavoro. Inoltre, ritenendo che la misura dell'equo indennizzo riconosciuto allo stesso (...) per i medesimi fatti debba essere ridotto del 50%, ai sensi dell'articolo 50 del Dpr n. 686 del 1957, essendo il lavoratore titolare di pensione privilegiata, ha ridotto proporzionalmente la somma al cui pagamento il Pretore aveva condannato la società.
Avverso questa decisione (...) ricorre per cassazione con quattro motivi, cui Rete Ferroviaria Italana S.p.A. (già Ferrovie dello Stato S.p.A.) resiste con controricorso illlustrato anche da memoria.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione "di norme di diritto", con riferimento all'articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c., il ricorrente sostiene che il Tribunale non ha considerato che egli dopo il primo infarto tornò a svolgere le stesse attività di prima, sicché non risponderebbe al vero, come invece affermato dal Tribunale, che l'azienda provvide subito a distorglielo dai compiti che gli avevano causato l'infarto, essendosi invece limitata a ridurre ed attenuare la gravosità del lavoro, mentre sarebbe stato suo obbligo assicurare con immediatezza la garanzia della tutela assoluta della salute, esonerandolo subito del tutto dall'attività lavorativa sino ad allora espletata.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 2043 C.c., con riferimento all'articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c., il ricorrente critica l'impugnata sentenza per avere il Tribunale escluso la responsabilità datoriale sul semplice rilievo della non pericolosità delle lavorazioni cui egli fu adibito dopo il primo infarto. In questo modo però non risulterebbe soddisfatto l'onere probatorio posto dall'articolo 2087 C.c., il quale fa obbligo al datore di lavoro "di garantire ad ogni costo la salute del lavoratore". Il Tribunale non avrebbe considerato che la destinazione al Ministero da ultimo disposta poteva e doveva essere decretata prima. Invece l'azienda aveva ignorato la denuncia del lavoratore, il quale aveva lamentato una continua adibizione a mansioni usuranti in ambienti freddi e umidi, e l'imposizione di ritmi di lavoro insostenibili.
I suddetti due motivi, che la Corte esamina congiuntamente per la stretta connessione tra le argomentazioni ivi contenute, sono infondati.
Il ricorrente motiva le sue critiche con il rilievo che il Tribunale non avrebbe spiegato come sia pervenuto ad affermare che l'azienda non ignorò che l'infarto comportava la necessità di attenuare o comunque ridurre la gravosità del lavoro ed adottò con sufficiente tempestività misure di tutela immediata apportando modifiche alla mansioni per evitare rischi. Con tale giudizio il Collegio di merito mostrerebbe di ignorare la testimonianza resa dal (...), compagno di lavoro del (...), il quale aveva dichiarato che questi doveva attraversare fasci di binari con treni in transito.
Si tratta di censure prive di fondamento, avendo il Tribunale motivato - dopo aver esaminato e dato conto in dettaglio delle iniziative prese dalla società in conformità alle richieste del dipendente - che il (...) non fu più assegnato allo svolgimento delle precedenti mansioni, ma esonerato, dopo pochissimo tempo dalla ripresa del servizio seguita au'assenza di 115 giorni, innanzitutto dai turni di notte e poi adibito a compiti di scritturazione, le quali comportavano un lavoro all'esterno per circa due ore, prevalentemente nei turni pomeridiani.
Si tratta di un ragionamento conforme a diritto e privo di errori logici, avendo il Tribunale ritenuto che l'azienda osservò un comportamento improntato alla diligenza del buon padre di famiglia (articolo 1176 C.c.), perché, in difetto di elementi che imponevano un radicale cambiamento delle mansioni (l'infarto non è in assoluto impeditivo della ripresa della precedente attività), ridimensionò drasticamente l'esposizione a rischio, appena il dipendente ne fece richiesta.
D'altra parte, neppure il lavoratore fu subito consapevole della incompatibilità delle mansioni fino ad allora esercitate con il suo stato di salute, se solo il 26 gennaio 1979 fece richiesta di esonero dal lavoro notturno (aveva ripreso servizio nel settembre 1978 dopo il primo infarto del maggio di quell'anno).
Il ricorrente, nelle sue critiche, non chiarisce di quali elementi il Tribunale disponesse per poter affermare che l'iniziativa delle Ferrovie avrebbe dovuto esplicarsi anteriormente alla richiesta dell'interessato, dal momento che l'accertamento della dipendenza della malattia da causa di servizio intervenne solo nel gennaio 1981, dopo il secondo infarto del gennaio 1980. Ed invero la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell'obbligo posto dall'articolo 2087 C.c. non ricorre per la sola insorgenza della malattia del lavoratore durante il rapporto di lavoro, richiedendosi che l'evento sia ricollegabile a un comportamento colposo dell'imprenditore che, per negligenza, abbia determinato uno stato di cose produtti dell'infermità (Cass. 10 aprile 1976 n. 1252; 11 aprile 1987 n. 3641).
La testimonianza del (...) non verte su circostanza significativa, perché il ricorrente, come accertato in fatto dal Tribunale, chiese essenzialmente di non svolgere turni di notte, e perché, nonostante quella circoscritta richiesta, l'azienda si adoperò anche per ridurre le ore di lavoro all'esterno, limitandole a sole due per turno.
Il Tribunale ha dunque ben motivato sulla esclusione di una responsabilità datoriale in ordine al secondo infarto (del gennaio 1980), rilevando che nel corso del 1979 l'azienda si conformò alle richieste del dipendente, non solo esonerandolo dal servizio notturno, ma riducendo a sole due ore il lavoro all'esterno. A questo riguardo il ricorrente non motiva in base a quali apprezzamenti, che non sia il postumo accertamento (nel 1981) della causa di servizio, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere sussistente una colpa dell'azienda (alla quale non risulta che siano state esibite certificazioni mediche attestanti una incompatibilità assoluta delle mansioni) per non essersi essa avveduta, anteriormente alla richiesta del dipendente, che l'infarto era stato provocato dalla specifica attività lavorativa e non da altra causa, e per non aver valutato che il rischio di ricadute poteva essere evitato solo con un radicale mutamento delle mansioni (destinazione al Ministero).
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 C.p.c. (articolo 360 n. 3 e 5 C.p.c.). Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ridotto alla metà l'equo indennizzo, ignorando l'eccezione del lavoratore il quale aveva fatto rilevare che "la relativa domanda non era stata avanzata nel giudizio di primo grado e neppure ripetuta nel grado di appello".
Il motivo è infondato. A prescindere dal fatto che non costituisce domanda o eccezione in senso proprio la sollecitazione al giudice ad applicare la legge, dall'esame degli atti, che la Corte può compiere, essendo stato denunciato un error in procedendo, risulta che l'(allora) Ente Ferrovie dello Stato eccepì, nella comparsa di costituzione depositata in cancelleria il 14 gennaio 1992, che "dall'allegata normativa e in particolare dall'articolo 50 del citato Dpr n. 686 del 1957 l'equo indennizzo, eventualmente competente, andrebbe decurtato del 50% perché il ricorrente già percepisce la pensione privilegiata". In seguito, non avendo il Pretore tenuto conto di tale precisazione, la S.p.A. Ferrovie dello Stato, con il ricorso in appello depositato nella cancelleria del Tribunale di Roma il 6 giugno 1996 e notificato alla controparte in data 2 gennaio 1997, assieme al decreto presidenziale del 6 agosto 1996, lamentò che la sentenza impugnata non aveva "preso affato in esame l'argomentazione difensiva proporsa in comparsa costitutiva, penultima pagina, circa la decurtazione dell'equo indennizzo", sottoponendo quindi al Collegio giudicante "l'eccezione che ai sensi dell'articolo 50 del Dpr n. 686/1957 l'equo indennizzo eventualmente spettante deve essere decurtato del 50% nei riguardi del lavoratore che già percepisce la pensione privilegiata". Pertanto, non sussiste il denunciato vizio di ultrapetizione.
Con il quarto motivo, denunciando "violazione di legge in riferimento all'articolo 50 del Dpr 3 maggio 1957 n. 686, la quale prevede che l'equo indennizzo è ridotto della metà se il dipendente consegua anche la pensione privilegiata, non si applica ai dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato, perché l'articolo 209 della legge 26 marzo 1958 n. 425 faceva riferimento, prima dell'istituzione dell'Ente, alla legge generale concernente lo statuto degli impiegati civili dello Stato; e tale legge è rapresentata dal Dpr 10 gennaio 1957 n. 3 e non anche dal regolamento approvato con il citato Dpr n. 686 del 1957, che all'articolo 50 stabilisce la lamentata riduzione.
Anche quest'ultimo motivo è infondato. L'ipotesi di concorso tra le prestazioni dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata è regolata, per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, dagli articoli 3 e 14 del Dm 2 luglio 1983 (regolamento per la concessione dell'equo indennizzo ai dipendenti dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato) i quali, in perfetta simmetria con il Dpr n. 686 del 1957 (dettato per gli impiegati civili dello Stato), prevedono per il diretto beneficiario la riduzione alla metà dell'equo indennizzo. (Cass. 4 dicembre 1998 n. 12303; 1 settembre 2003 n. 12754).
Il ricorso va conclusivamente rigettato, con le conseguenze di legge in ordine alle spese (non vertendosi in materia previdenziale: (Cass. 27 agosto 2003 n. 12547), che si liquidano come in dispositivo.

 

PQM


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidata in euro 25,70 (venticinque/70) per esborsi ed euro 2.500.00 (duemilacinquecento/00) per onorario, oltre a spese generali, Iva e Cap.

 

Così deciso in Roma il 29 gennaio 2004

Depositato in Cancelleria 26 maggio 2004