•  Privacy del lavoratore e limiti all'accesso ai dati sanitari da parte dell'azienda - Consiglio di Stato sez. VI, decisione 09.05.2002 n° 2542

     

     

    In tema di accesso ai documenti amministrativi ove l'interessato non ritenga di prestare il proprio consenso alla divulgazione dei dati riguardanti il proprio stato di salute, non hanno rilievo le ragioni concrete da lui addotte, giacché, la divulgazione è di per sé lesiva di un bene protetto in via primaria, salvo che tale presunzione non venga vinta dalla contrapposizione di un interesse altrettanto meritevole di tutela.

     

     


    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


    DECISIONE


    sul ricorso in appello n. 598 del 2002, proposto da GRUPPO COIN S.p.A., in persona del procuratore speciale Dr. Nicola Scattolin, rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio Lo Fiego e Adriano Casellato, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, Viale Regina Margherita n. 290;

    contro

    l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro – I.N.A.I.L. -, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pasquale Rossi e Teresa Ottolini, elettivamente domiciliato presso i medesimi in Roma, Via IV Novembre n. 144,

    e nei confronti

    di N.L., non costituitasi,

    per l'annullamento

    della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna, sede di Bologna, Sez. I, n. 1207 del 6 dicembre 2001.

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’I.N.A.I.L.;

    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Relatore alla Camera di Consiglio del 26 febbraio 2002 il Cons. Giuseppe Minicone;

    Uditi gli avv.ti Lo Fiego, Casellato e Ottolini;

    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


    FATTO


    Con ricorso ex art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il Gruppo COIN S.p.A. chiedeva al Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna:

    a) che fosse ordinato all’I.N.A.I.L. di consentire l’accesso a tutti gli atti e i documenti, compresi quelli sanitari e attinenti allo stato di salute, già acquisiti o da acquisire, relativi al procedimento avviato dall’Ente per il riconoscimento della malattia professionale alla sig.ra L.N., già dipendente della Società;

    b) che fosse ordinato al medesimo I.N.A.I.L. di consentire l’intervento nel procedimento di cui sopra.

    Con successivi motivi aggiunti la ricorrente impugnava, poi, il diniego espresso opposto dall’Istituto all’accesso, conseguente al rifiuto manifestato dalla sig.ra N. circa l’ostensione della documentazione di cui sopra.

    Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso sul rilievo che l’interesse all’accesso azionato dalla Società, alla stregua delle ragioni esposte ed avuto riguardo alla circostanza che lo stesso era rivolto ad acquisire la conoscenza di dati riconosciuti sensibili, attinenti alla sfera della salute, non si presentava di immediatezza e rilevanza tali da prevalere sul contrapposto diritto alla riservatezza della titolare dei dati stessi.

    Negava, altresì, la tutelabilità del diritto alla partecipazione al procedimento, non essendo previsto un diritto siffatto né dal T.U. 30 giugno 1965 n. 1124 né dal Regolamento I.N.A.I.L. attuativo della legge n. 241/90.

    Avverso detta decisione ha proposto appello la Società interessata, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

    1) Erroneità dell’omesso esame, da parte del primo giudice, della censura di difetto di motivazione del diniego di accesso, organizzata sull’assunto che detto diniego era stato fondato non su una attività valutativa svolta autonomamente dall’Ente, ma sulla semplice opposizione dell’interessata, che avrebbe dovuto, a sua volta, evidenziare gli effetti pregiudizievoli dell’accesso medesimo sul suo diritto alla riservatezza e non limitarsi ad impedirlo per ragioni attinenti alla possibilità di inquinamento delle prove da parte del datore di lavoro.

    2) Sussistenza di un interesse all’accesso di spessore prevalente sul diritto alla riservatezza della sig.ra N., in quanto l’esito del procedimento di accertamento della malattia professionale, ove positivo, potrebbe comportare:

    - lesioni all’immagine della Società;

    - accertamento di fatti penalmente rilevanti a carico degli organi amministrativi e di gestione, con conseguente possibilità di azione di regresso dell’I.N.A.I.L. per le somme corrisposte in relazione all’evento accertato;

    - possibilità di richiesta di risarcimento da parte del lavoratore per danni non indennizzabili dall’Istituto assicuratore;

    - possibilità di aumento del tasso di premio applicato alla Società, essendo lo stesso correlato all’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.

    Per contro, in caso di rigetto della domanda della lavoratrice, verrebbe meno l’esonero dalla responsabilità civile, con conseguente possibilità di richiesta di risarcimento danni direttamente da parte di quest’ultima.

    A fronte di tali interessi concreti, seri ed attuali (sorretti, oltre tutto, anche dagli obblighi incombenti sul datore di lavoro per effetto del D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626), sufficienti ex se ad accreditare il diritto di accesso, alla luce della costante giurisprudenza (cui non si opporrebbero i Regolamenti I.N.A.I.L. emanati in subiecta materia nel 1992 e nel 1994, che andrebbero, comunque, ove in contrasto, disapplicati), non potrebbe prevalere il diritto alla privacy, come disciplinato dall’art. 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 e dall’art. 16, comma 2, del D. lgs. 11 maggio 1999, n. 135.

    Innanzi tutto, perché il diritto all’accesso, nel caso di specie, si fonderebbe su fonti costituzionali (artt. 24, 38, 41 e 97) ben più certe di quelle poste a fondamento del diritto alla riservatezza.

    In secondo luogo perché l’opposizione della controinteressata sarebbe, a sua volta, sorretta da considerazioni di carattere meramente economico e non sulla tutela della propria privacy.

    3) Sussistenza del diritto di partecipare al procedimento, tutelato dalla stessa legge n. 241 del 1990 in uno con quello all’accesso ai documenti, in quanto rivolto da attuare il “giusto procedimento”.

    Si è costituito in giudizio l’I.N.A.I.L., il quale, con diffuse argomentazioni,

    ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.

    Alla Camera di Consiglio del 26 febbraio 2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


    DIRITTO


    1. La Società Gruppo COIN si duole della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna ha respinto il suo ricorso, volto ad ottenere, ai sensi dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, la dichiarazione dell’obbligo dell’I.N.A.I.L. di consentire sia l’accesso ai documenti tutti (ivi compresi quelli sanitari) inerenti il procedimento per il riconoscimento della malattia professionale, attivato su istanza della sig.ra L.N., sia la partecipazione al procedimento stesso, attraverso la produzione di memorie e documenti.

    2. Con il primo motivo di gravame l’appellante, nel censurare l’affermazione del primo giudice circa l’irrilevanza del vizio di difetto di motivazione del diniego opposto dall’I.N.A.I.L. (sorretta dal rilievo che oggetto del giudizio è la verifica dell’esistenza o no dell’obbligo dell’Istituto di provvedere all’ostensione dei documenti richiesti, indipendentemente dalle ragioni addotte in concreto) e nel sostenere, invece, che, una volta dichiarato illegittimo, sia pure solo per tale profilo, il diniego stesso, non potrebbe che discendere il riconoscimento del diritto all’accesso, ripropone la censura, svolta nell’atto introduttivo, secondo la quale sarebbero stati privi di valide ragioni sia l’opposizione dell’interessata all’accesso (in quanto giustificata solo con il timore di un pregiudizio al buon esito del procedimento) sia il supino recepimento di tale opposizione da parte dell’Istituto, che avrebbe dovuto compiere, invece, una autonoma valutazione comparativa degli opposti interessi delle parti, per concludere motivatamente circa la prevalenza dell’uno o dell’altro.

    2.1. Le doglianza non merita accoglimento.

    2.2. Va osservato, innanzi tutto, che, come giustamente rilevato dal primo giudice, il giudizio in materia di accesso non ha carattere impugnatorio, bensì si atteggia come rivolto immediatamente all’accertamento della sussistenza o no del diritto dell’istante all’accesso medesimo (cfr., per tutte, Cons. Stato, VI Sez., 23.2.1999, n. 193).

    Esso è, dunque, un giudizio sul rapporto, come è reso, del resto, palese dal sesto comma dell’art. 25 della legge n. 241 del 1990, il quale, all’esito del ricorso, prevede che il giudice, “sussistendone i presupposti”, ordina l’esibizione dei documenti richiesti, con ciò postulando che tale ordine debba procedere dalla valutazione, in concreto, della esistenza del diritto, alla luce del parametro normativo, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il diniego.

    E, dunque, deve ritenersi irrilevante la circostanza che il diniego de quo sia stato, in concreto, fondato su una motivazione la cui idoneità è contestata dall’appellante, posto che tale vizio, anche se in ipotesi sussistente, non condurrebbe, comunque, ex se, al riconoscimento, da parte del giudice, di un diritto del quale non ricorrano i presupposti.

    2.3. In ogni caso, va pure detto, per completezza, che il diniego impugnato appare immune dai vizi denunciati.

    2.3.1. Va osservato, al riguardo, che la richiesta di accesso inoltrata dall’appellante riguardava, in particolare, tutta la documentazione clinica già acquisita e da acquisire nel procedimento di riconoscimento della malattia professionale attivato dalla sig.ra N., ovverosia atti concernenti lo stato di salute di questa.

    Oggetto dell’accesso erano, dunque, dati particolarmente sensibili, per i quali l’art. 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, prescrive addirittura il consenso scritto del titolare e, se trattati da enti pubblici, subordina la loro ostensibilità ad una espressa previsione di legge (cfr., per una applicazione di tale principio, in fattispecie analoga, Cons.St., Sez. VI, n. 59 del 26 gennaio 1999).

    2.3.2. E’ intervenuto, poi, sulla materia, il D. Lgs 11 maggio 1999 n. 135, il cui art. 16, nel dichiarare di rilevante interesse pubblico il trattamento dei dati personali, ove necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo, o per ciò che attiene alla riparazione di un errore giudiziario o di un'ingiusta restrizione della libertà personale (disposizione, questa, ritenuta applicabile anche in tema di accesso ai documenti amministrativi: cfr. Cons. St., Sez. VI, 30 marzo 2001, n. 1882), ha espressamente puntualizzato che, tuttavia, “quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere…è di rango almeno pari a quello dell'interessato”.

    2.3.3. Ne discende che, in presenza di actio ad exhibendum avente ad oggetto, come nella specie, tali dati, il titolare non è tenuto a dimostrare, in maniera specifica, la sussistenza di una lesione concreta del suo diritto alla riservatezza, essendo tale diritto tutelato in apice, per quanto riguarda i dati stessi, ed incombendo, per contro, sul richiedente l’accesso, la prova del “rango” dell’interesse sotteso alla sua istanza.

    In altri termini, ove l’interessato non ritenga di prestare il proprio consenso alla divulgazione dei dati riguardanti il proprio stato di salute, non hanno rilievo le ragioni concrete da lui addotte, giacché la divulgazione è di per sé lesiva di un bene protetto in via primaria, salvo che tale presunzione non venga vinta dalla contrapposizione di un interesse altrettanto meritevole di tutela.

    2.3.4. Che, poi, l’INAIL abbia abdicato al compito di ponderare l’interesse dell’istante con quello della lavoratrice, come lamenta l’appellante, è circostanza inidonea, ex se, a viziare il diniego e a dare ingresso ad un ordine di accesso da parte del giudice, posto che, alla luce delle premesse svolte, l’eventuale carenza o inadeguatezza della motivazione del rifiuto comporta solo il trasferimento al giudice stesso del sindacato circa la sussistenza del diritto di ostensione invocato dall’istante.

    2.3.5. Del resto, rientrava nei poteri del soggetto pubblico detentore della documentazione, quale responsabile del trattamento degli specifici dati sensibili e destinatario di una serie stringenti di prescrizioni in proposito, tutelare, innanzi tutto, la volontà del titolare di tali dati, volta ad esigere il rispetto della privacy, restando l’esercizio di tale potere soggetto, anch’esso, alla verifica da parte del giudice, chiamato a statuire sulla sussistenza del diritto all’accesso, indipendentemente dalla circostanza che l’opposizione del titolare dei dati non sia reiterata nella sede giurisdizionale (come è avvenuto nella fattispecie, in cui la controinteressata non si è costituita), senza che, in ciò, possa configurarsi, attesa la natura di giudizio sul rapporto, un vizio di ultrapetizione, come erroneamente invocato dall’appellante.

    3. Con il secondo motivo di gravame, che introduce il tema centrale della controversia, la società appellante, attraverso una diffusa esposizione ed il richiamo a numerosissime pronunce giurisdizionali, assume di essere titolare, in ogni caso, di un interesse serio, concreto ed attuale, tale da vincere il diritto alla riservatezza del soggetto titolare dei dati sensibili e sorreggere il suo diritto all’accesso.

    Tale interesse è individuato nei seguenti profili:

    a) in caso di accoglimento della domanda di riconoscimento della malattia professionale,
    - lesione dell’immagine imprenditoriale per la mancata adozione di misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti;
    - possibilità di accertamento di fatti penalmente rilevanti con responsabilità degli organi di amministrazione e di gestione e possibile azione di regresso dell’INAIL per le somme corrisposte in relazione all’evento accertato;
    - possibilità di richiesta di risarcimento da parte del lavoratore per danni non indennizzabili dall’Istituto assicuratore;
    - possibilità di aumento del tasso di premio applicato alla Società, essendo lo stesso correlato all’andamento degli infortuni e delle malattie professionali.

    b) in caso di rigetto della domanda,
    - esclusione dall’esonero dalla responsabilità civile, con conseguente possibilità di richiesta di risarcimento danni direttamente da parte della lavoratrice;

    3.1. Ora, va premesso che di un interesse così articolato la Società non ha fatto alcuna menzione nella domanda di accesso, come pure avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 25 della legge n. 241/90 e degli artt. 3 e 4 del DPR 27 giugno 1992, n. 352, che fanno obbligo, appunto, di “specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta”, onde potrebbe persino dubitarsi della possibilità di dolersi, in sede giurisdizionale, della mancata considerazione, da parte dell’Istituto, dello spessore di un interesse neppure ad esso rappresentato.

    3.2. In ogni caso, è assorbente il rilievo che nessuno dei profili di interesse dedotti presenta il carattere della concretezza e della attualità, onde gli stessi difettano, in radice, dei presupposti necessari perché possa farsi luogo ad una loro comparazione con quello della titolare dei dati sensibili a che ne venga impedito, allo stato, l’ostensione.

    3.3. Tale rilievo pregiudiziale, di cui si tratterà più ampiamente in prosieguo, è sufficiente a dimostrare l’inutilizzabilità, ai fini della presente controversia, delle numerosissime citazioni giurisprudenziali richiamate dall’appellante per corroborare la propria tesi (si vedano, ad esempio, per citarne alcune, Cons. St., Ad. Pl, n. 14 del 15 settembre 1999, resa in tema di procedimento e non di accesso ovvero Cons. St., Sez. VI, n. 191 del 2001, che, oltre tutto, dà torto all’appellante sul punto della rilevanza della motivazione addotta dall’Amministrazione).

    3.3.1. In particolare, l’accenno ai principi di non necessità di una correlazione dell’interesse all’accesso con la proposizione o proponibilità di un’azione giudiziaria appare inconferente, giacché l’elaborazione giurisprudenziale in materia è stata condotta con riferimento all’esercizio del diritto di accesso alla documentazione amministrativa in genere, mentre, nel caso concreto, si tratta di dati sensibili, per i quali non è sufficiente addurre un diritto di difesa astrattamente esercitabile attualmente o addirittura in futuro, essendo, tutt’al più, tale circostanza elemento di quella comparazione richiesta dal d. lgs n. 135/99.

    3.4. Il fatto è che il punto nodale della questione oggetto del presente giudizio è lo spessore dell’interesse dedotto dalla Società nel concreto suo atteggiarsi in ordine al procedimento amministrativo de quo.

    3.5. Ora, nessuno dei profili prospettati dall’appellante appare suscettibile, nella presente fase procedimentale, di prevalere sul diritto alla privacy.

    3.5.1. Non la addotta lesione dell’immagine imprenditoriale, posto che la documentazione sanitaria di cui si pretende la visione è utilizzata dall’I.N.A.I.L. in un procedimento tipico rivolto ad accertare l’esistenza o no di una malattia professionale derivante da una causa di lavoro, che non si ricollega ex se a colpa o responsabilità del datore di lavoro, che, anzi, per effetto del rapporto assicurativo gode di esonero dalla responsabilità civile. Del resto, ai fini di conoscenza indicati dalla Società sarebbe sufficiente la comunicazione della Azienda USL di Ferrara del 4 dicembre 2000, il cui certificato medico allegato menziona le cause poste a base della denunciata malattia professionale.

    3.5.2. Quanto all’eventualità che emergano dal procedimento de quo fatti penalmente rilevanti, trattasi, allo stato, di mera ipotesi, che non esclude la possibilità di una compiuta difesa, ove venga avviato il relativo procedimento e divenga concreto ed attuale il diritto ad essa.

    3.5.3. Identiche considerazioni valgono per la possibilità di una azione di regresso da parte dell’I.N.A.I.L. o di una richiesta di risarcimento danni da parte della lavoratrice.

    E’ anzi da rilevare, al riguardo, per confermare la assoluta non attualità ed eventualità di tali profili di interesse, che questi ultimi si pongono in alternativa tra di loro, discendendo il primo, se del caso, dall’accoglimento della domanda e il secondo, all’opposto, dal suo rigetto.

    3.5.4. Quanto, poi, all’aspetto patrimoniale dell’aumento del tasso di premio conseguente alla ridefinizione del rischio professionale, è sufficiente osservare che tale premio si determina in base a dati statistici circa il rischio medio gravante sulle imprese, onde un interesse siffatto, ove dovesse considerarsi di giuridica rilevanza, non sarebbe neppure proprio dell’appellante, ma potrebbe essere fatto valere da tutti i datori di lavoro esercenti attività esposte allo stesso rischio, con conseguente ostensibilità erga omnes dei dati sensibili in questione e completo inammissibile aggiramento delle norme poste a tutela degli stessi.

    3.6. In definitiva, gli interessi addotti, così come articolati, non appaiono tali da giustificare, allo stato, un vulnus della riservatezza della dipendente, la quale ha diritto a che i propri dati inerenti alla salute non siano divulgati per soddisfare esigenze prospettate sulla semplice eventualità di dover apprestare, in presenza di determinati eventi, tutti ancora da verificare, la difesa di diritti neppure, al momento, posti in discussione.

    3.7. Tali considerazioni danno ragione anche dell’inconferenza del richiamo effettuato dall’appellante alla recente decisione di questa Sezione 30 marzo 2001, n. 1882, che ha risolto in senso positivo per il datore di lavoro analoga questione relativa al diritto di accesso a documenti afferenti alla salute del dipendente cui era stata riconosciuta la malattia professionale.

    Ed invero, detta decisione, della quale l’istante offre una lettura parziale, non ha affermato che il diritto all’accesso del datore di lavoro prevale, in via di principio, su quello alla riservatezza, ma ha ritenuto che l’ordinamento esiga una valutazione caso per caso, giungendo, nell’ipotesi esaminata, a riconoscere la prevalenza dell’interesse all’accesso sulla scorta di due considerazioni di fatto essenziali: l’esistenza di un giudizio in atto tra le parti per risarcimento danni e l’avvenuta (necessaria) produzione in quel giudizio della gran parte dei dati sensibili, onde il rischio di compromissione della sfera di riservatezza si era, nei fatti, ridotto per stessa iniziativa del titolare, che sul proprio stato di salute aveva fondato l’azione giudiziale.

    Diversamente, nella presente fattispecie, come si è detto, non vi è alcun giudizio in atto in cui sia coinvolta la Società istante, ma solo un procedimento amministrativo teso all’accertamento di una malattia professionale ai fini delle prestazioni previdenziali previste dalla legge, onde non vi è alcuna ragione valida perché la documentazione sanitaria in possesso dell’Istituto preposto a tale accertamento debba essere, al momento, divulgata.

    4. Con il terzo e ultimo motivo di gravame, l’appellante censura l’impugnata sentenza per la parte in cui ha rigettato anche la sua domanda volta ad ottenere l’emissione di un ordine nei confronti dell’I.N.A.I.L. di consentirgli di partecipare al procedimento in corso, al fine di interloquire, con memorie e documenti, sull’accertamento della sussistenza della malattia professionale.

    4.1. Osserva, al riguardo, il Collegio che non appare necessario soffermarsi sulle argomentazioni sviluppate dall’istante per confutare la decisione negativa del T.A.R., essendo assorbente la considerazione che l’azione a tutela del diritto di partecipazione, disciplinato dagli artt. 7 e ss. della legge n. 241/90, non può essere fatto valere, come pretende la ricorrente, con lo strumento processuale di cui all’art. 25 della stessa legge, che appresta un rito speciale (e, pertanto, non suscettibile di trasposizione analogica), connotato da accelerazione dei termini e semplificazione delle forme (cfr. anche l’art. 4, ultimo comma, L. 21 luglio 2000, n. 205).

    4.2. L’eventuale violazione del diritto di partecipazione al procedimento può essere fatta valere, dunque, sussistendone i presupposti, solo con il rito ordinario, o attraverso l’impugnazione dell’atto finale emesso senza l’osservanza delle garanzie procedimentali ovvero, se del caso, attraverso l’impugnazione del diniego di intervento.

    Tale impugnazione non può avere, però, come petitum, l’emissione di un ordine da parte del giudice, diretto ad ammettere direttamente l’intervento partecipativo (essendo tale potere ordinatorio riconosciuto solo per l’actio ad exhibendum della documentazione amministrativa), onde, anche per questo profilo, la domanda proposta nel presente giudizio deve essere dichiarata, in apice, inammissibile.

    5. Per le considerazioni esposte, l’appello deve essere respinto.

    Le spese del grado di giudizio possono essere equamente compensate fra le parti.


    P.Q.M


    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma, addì 26 febbraio 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

    Giovanni RUOPPOLO Presidente
    Alessandro PAJNO Consigliere
    Luigi MARUOTTI Consigliere
    Giuseppe ROMEO Consigliere
    Giuseppe MINICONE Consigliere Est.

    Il Presidente
    L'Estensore
    Il Segretario

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 9 maggio 2002.