Il Governo sembra ben disposto a concedere ai datori di lavoro la
massima semplificazione in tema di adempimenti per la sicurezza e la salute
negli ambienti di lavoro e, visto che ci siamo, anche la massima
agevolazione in tema di rapporto di lavoro.
Approntate anche appetitose esche per il sindacato: il nuovo look
degli enti bilaterali.
Nelle “Indicazioni metodologiche sulla stesura del decreto legislativo di
riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro ex Art. 3,
legge 29 luglio 2003, n. 229”, riportate anche su questo sito, si dice tra
l’altro che:
“Con riferimento alle aziende fino a 100 dipendenti tali organismi” (gli
“enti bilaterali” n.d.r.) “possono, su istanza del datore di lavoro e a
seguito di sopralluoghi finalizzati a verificare il rispetto della normativa
antinfortunistica, rilasciare una certificazione di conformità alle vigenti
norme in materia di salute e sicurezza. Gli organi di vigilanza in materia
di sicurezza e salute possono tenere conto di tali certificazioni nella
programmazione delle proprie attività.”
….. (il concetto, a scanso di equivoci, viene in seguito ulteriormente
ribadito- n.d.r.) …
“Quindi è stata inserita una nuova norma relativamente agli organismi
paritetici secondo
cui, nelle aziende che occupano fino a 100 dipendenti, questi ultimi
possono, a richiesta dei
datori di lavoro, effettuare sopralluoghi finalizzati a verificare la
conformità. dell'azienda alle vigenti norme di legge in materia di sicurezza
e tutela della salute sui luoghi di lavoro e rilasciare relativa
certificazione.”
Tale certificazione oltre che prevista in alcune norme per ottenere
agevolazioni finanziarie (art. 7 c. 5 lett. d) legge 388/2000 - Finanziaria
2001), è anche richiesta per poter usufruire di alcune tipologie di lavoro
atipico (Lavoro a orario ridotto, modulato e flessibile – Somministrazione
di lavoro).
Infatti il D.Lgs10 settembre 2003, n.276 - Attuazione delle deleghe in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio
2003, n. 30- all’art. 20 c. 5 lett. c) e all’art. 32 c. 3 lett. c) prevede
che:
“...Il contratto di somministrazione di lavoro/ricorso al lavoro
intermittente è vietato:
..
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei
rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994,
n. 626, e successive modifiche (nell’art. 32 - chissà perché
-“modificazioni” n.d.r.).”
E’ anche previsto che “gli organi di vigilanza in materia di sicurezza e
salute possono tenere conto di tali certificazioni nella programmazione
delle proprie attività.”
Ciò significa che le aziende che occupano fino a 100 dipendenti, ricorrendo
alla certificazione rilasciata dagli enti bilaterali, possono limitare
fortemente le probabilità di incappare nelle maglie dell’organo di
vigilanza.
La norma sarebbe anche un incentivo surrettizio al ricorso delle ditte al
lavoro atipico, se non altro per costituirsi questo incredibile parafulmine.
Attualmente, in mancanza di disposizioni di legge in merito, l’organo di
vigilanza, quando richiesto dalla Agenzia delle Entrate, provvede al
rilascio della certificazione sulla base di una vigilanza ad hoc o
rifacendosi ai precedenti in archivio (eventuali violazioni contestate alla
ditta nell’ultimo anno). Pare che la mancata risposta venga equiparata al
rilascio della certificazione.
“Su istanza del datore di lavoro e a seguito di sopralluoghi finalizzati a
verificare il rispetto della normativa antinfortunistica” gli enti
bilaterali -già abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro ai
sensi dell’art. 76 del D.lgs 276/2003- potranno “rilasciare una
certificazione di conformità alle vigenti norme in materia di salute e
sicurezza”.
Che sia la strada per rifarsi una verginità e fruire delle facilitazioni sul
credito di imposta e dei contratti di lavoro atipici anche in caso di
precedenti inadempienze.?
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“Infine, conseguenzialmente con l’inserimento della buona tecnica e delle
buone prassi,
viene rivitalizzato l'istituto della “disposizione” che consiste nel potere
degli ispettori di vigilanza di impartire ordini di adeguamento alla buona
tecnica e alle buone prassi in sede amministrativa, pur mantenendosi - in
ultima istanza - il ricorso alla repressione di tipo penale in caso di
inosservanza delle indicazioni di sicurezza così impartite e prevedendo pene
contravvenzionali particolarmente elevate nella sanzione pecuniaria
alternativa all’arresto.
Cosi facendo, si rende possibile anche razionalizzare l'uso della sanzione
penale,
orientandone la funzione verso una vigilanza finalizzata, prima facie, ad
indurre i datori di
lavoro all'osservanza delle norme in sede prevenzionistica e cioè tecnico
amministrativa mentre, solo in caso di inottemperanza, viene attivata una
sanzione penale a forte capacità di deterrenza in virtù dell’inasprimento
della pena pecuniaria prevista. Non si tratta dunque di un intervento di
depenalizzazione, bensì di una diversa collocazione della sanzione penale a
favore di un intervento che mira ad elevare la soglia reale di garanzia di
adeguatezza dei luoghi e dei processi produttivi a tutela della salute e
della sicurezza dei lavoratori.
Ovviamente, avverso alle disposizioni potrà essere esperito, da parte del
datore di lavoro,
ricorso amministrativo presso l'autorità gerarchicamente superiore, cosi
come già previsto
dall'art. 21, penultimo e ultimo capoverso, della legge 23 dicembre 1978.,
n. 833 e dall'art. 10 del
D.P.R. n. 520/1955.” (cit. dalle “Indicazioni metodologiche”).
Riassumendo: rispolverando (“rivitalizzando”) la disposizione ex art. 10 del
DPR 520/55 e trasformando in buona prassi le norme contravvenzionali penali
si rende ora legittima (e si avalla) la posizione di chi (negli anni ’50-60)
riteneva che l’obbligo del rapporto alla A.G. sorgesse soltanto dopo la
eventuale constatazione di inottemperanza alla diffida (ora alla
“disposizione/ex-diffida”). Si ritorna così al nodo affrontato dalla
sentenza C. Cost. 105/1967 (vedi: “Diffide e semplificazione”, su questo
sito) dopo aver approntato i dispositivi di legge per dargli l’esito
opposto.
A mio avviso la crux non sta tanto nell’apprezzabile sforzo di deflazionare
il carico di lavoro degli Uffici Giudiziari (è, del resto, un caposaldo del
programma di questo Governo), quanto piuttosto nel voler sostituire la
“diffida” con la “disposizione”: essendo sanzionata la inottemperanza della
disposizione e non la violazione della norma tecnica, si viene a instaurare
un regime di impunità.
Il citato art. 21, penultimo e ultimo capoverso, della legge 23 dicembre
1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale" così recita:
“Contro i provvedimenti adottati dal personale ispettivo, nell'esercizio
delle funzioni di cui al terzo comma, è ammesso ricorso al presidente della
giunta regionale che decide, sentite le organizzazioni dei lavoratori e dei
datori di lavoro. Il presidente della giunta può sospendere l'esecuzione
dell'atto impugnato.”
Così a decidere del ricorso (che è un pronunciarsi -si badi bene- su aspetti
tecnici), se non sono direttamente gli enti bilaterali, saranno almeno i
loro padrini.
L’accenno al ricorso ex legge 833/78 è tuttavia di particolare conforto per
gli operatori delle Az. U.S.L.: tradisce infatti intenzioni del legislatore
ben diverse rispetto ai paventati sconvolgimenti sulla definizione di organo
di vigilanza e sembra confermare la permanenza della sicurezza sul lavoro
nell’alveo del pianeta sanità.
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“E' prevista una funzione importante per gli enti bilaterali, in termini di
orientamento e
promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori e dei loro
rappresentanti. Inoltre,
viene mantenuta la competenza degli organismi bilaterali in materia di
raffreddamento delle
controversie tra aziende e sindacati.
Gli organismi bilaterali possono, poi, formulare proposte in relazione
all’elaborazione dei piani di azione annuali per la promozione della salute
e della sicurezza, per l'elaborazione di linee guida e per quella dei piani
di coordinamento delle attività di sostegno alle imprese da parte
dell'INAIL, dell'ISPESL e dell’IIMS.”
Visti i mille compiti (anche a pagamento) degli “enti bilaterali” e la loro
nuova capacità certificatoria, non sarà arrivato il momento di affrontare
anche per loro il problema delle incompatibilità.?