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L’infarto da stress emotivo e termico puo’ costituire infortunio sul lavoro da indennizzare - Anche se colpisce un soggetto cardiopatico (Cassazione Sezione Lavoro n. 19682 del 23 dicembre 2003, Pres. Mattone, Rel. Lupi)


L’INFARTO CAUSATO DA STRESS PER ATTIVITA’ LAVORATIVA PARTICOLARMENTE INTENSA PUO’ COSTITUIRE “CAUSA VIOLENTA” DI INFORTUNIO SUL LAVORO – Con conseguente obbligo per l’INAIL di corrispondere il trattamento assicurativo previsto dalla legge (Cassazione Sezione Lavoro n. 14085 del 26 ottobre 2000, Pres. De Musis, Rel. Cuoco).
G.L., dipendente della Camera del Lavoro di Genova con funzioni direttive, ha avuto nel febbraio del 1992 un periodo di intensa attività lavorativa (da 12 a 14 ore al giorno) per la preparazione dell’inaugurazione della nuova sede.
Al termine delle manifestazioni che hanno accompagnato la cerimonia inaugurale, svoltasi il 15 febbraio, ha confidato a un collega di lavoro di essere “distrutto” per l’attività compiuta; dopo essere rincasato è stato colpito da un attacco cardiaco che ha reso necessario il suo ricovero nell’ospedale, dove nel giro di poche ore è deceduto per infarto del miocardio.
La sua vedova ha chiesto all’INAIL il trattamento previsto per il decesso causato da infortunio sul lavoro. L’Istituto ha respinto la domanda in quanto ha escluso l’applicabilità dell’art. 2 D.P.R. n. 1124/1965 secondo cui il trattamento assicurativo è dovuto solo in caso di decesso “per causa violenta in occasione di lavoro”. Secondo l’INAIL la cardiopatia che aveva determinato il decesso non poteva ritenersi “causa violenta”.
Nel giudizio che ne è seguito davanti al Pretore di Reggio Emilia, l’INAIL si è difeso sostenendo, tra l’altro, che la morte non doveva attribuirsi ad infortunio bensì ad altri fattori di rischio, tra cui la personalità iperemotiva del lavoratore, una grave arteriosclerosi coronarica, un pregresso infarto, un’ipertensione arteriosa, il forte tabagismo nonché l’attività impegnativa e frenetica svolta istituzionalmente e non solo contingentemente; altre circostanze da tenere presenti erano, secondo l’INAIL, il fatto che l’evento era avvenuto presso l’abitazione di G.L. dopo alcune ore dalla cessazione dell’attività lavorativa ed era stato determinato non da un evento improvviso, bensì dalla lunga azione logorante, ad effetto graduale e diluito, esercitata dalle gravose e disagevoli condizioni di lavoro.
Il Pretore ha sentito alcuni testimoni ed ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale è emerso che concausa della morte era stata una condizione straordinaria di intenso stress psico-fisico; pur nella presenza di fattori di rischio (patologia coronaria, tabagismo, attività lavorativa logorante), G.L. nei giorni immediatamente precedenti l’evento era stato sottoposto a prestazioni lavorative di gran lunga superiori a quelle ordinarie (era significativo, al termine del lavoro, il suo sentirsi “distrutto”). Determinante causa dell’evento – ha accertato il Pretore - era stato lo stress emotivo (costituito dall’ansia di dare adeguato svolgimento alle manifestazioni, per le conseguenze che queste avrebbero avuto sull’immagine e, forse, sulle prospettive della sua carriera).
In considerazione dei risultati dell’istruttoria il Pretore ha accolto la domanda e la sua decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Reggio Emilia.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14085 del 26 ottobre 2000, Pres. De Musis, Rel. Cuoco) ha rigettato il ricorso dell’INAIL, affermando che determinante ai fini del riconoscimento del diritto al trattamento assicurativo previsto dalla legge è la connessione causale e topografica fra l’attività lavorativa e la lesione; la connessione non è esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali, di ogni altra origine.
Nell’ambito delle cause violente – ha precisato la Corte - è da inquadrare l’infarto, in quanto, per il suo attuarsi in un brevissimo arco temporale, ha il carattere della “violenza”; ed assume rilievo come causa di infortunio sul lavoro, ove sia legato all’attività lavorativa con una connessione causale; e pertanto un breve intervallo temporale fra lavoro e lesione (infarto) non esclude questa contiguità, ove sia inequivocabilmente riconducibile all’attività svolta in un tempo immediatamente precedente.
L’eventuale (pur frequente) preesistenza di fattori patologici sui quali l’infarto si innesti, la sua natura “interna”, ed il suo svilupparsi con occulto processo protratto nel tempo, anche per ritenuti meccanismi di stress - ha aggiunto la Corte - pur contribuendo casualmente al suo verificarsi, non escludono che il fatto (infarto), ove sia casualmente o topograficamente connesso con l’attività lavorativa, assuma il determinante rilievo della causa violenta in occasione di lavoro. E, poiché l’atto lavorativo può esaurirsi anche in un’azione che non esuli “dalle condizioni abituali e tipiche delle mansioni alle quali il lavoratore è addetto”, ove la morte sia stata determinata dall’infarto lo “sforzo” non è fattore necessario: l’attività lavorativa può anche rientrare nella normale quotidiana misura del lavoro. La violenza (minima misura temporale) non è dell’atto lavorativo, bensì della causa (la lesione) che determina la “morte od inabilità permanente”.
Nel caso in esame, - ha concluso la Corte - poiché è stato accertato che concausa dell’infarto era stata una condizione straordinaria di intenso stress psico-fisico, il fatto che l’attività lavorativa avesse contribuito alla determinazione della lesione attraverso un’azione “lenta e progressiva”, e con “meccanismi di stress ripetutisi nel tempo”, resta irrilevante; poiché attraverso la consulenza tecnica d’ufficio era stato accertato che concausa dell’infarto era stata la situazione di stress immediatamente precedente, la breve separazione temporale e spaziale fra attività lavorativa e lesione, non escludendo la connessione causale, resta irrilevante.