L’ORIGINE ORGANIZZATIVA DEL MOBBING
Articolo del Prof. Sergio Sabetta
 

L’origine organizzativa del mobbing

 

( Prof. Sergio Sabetta)

 

 

 

La recente sentenza del TAR – Lazio, Sez. III n. 5454 del 4/7/05 che ha annullato la circolare n. 71/03 dell’INAIL sul risarcimento del danno alla salute, ricollegabile alle “costrittività organizzative” prodotte sul luogo di lavoro, ha riproposto il tema del “mobbing” e in particolare delle situazioni che lo originano. Si è negato all’INAIL la possibilità di “integrare surrettiziamente il complesso delle malattie professionali cosiddette gabellate”, ossia di quelle per le quali il nesso di causalità si presume invertendo, pertanto, discrezionalmente l’onere della prova e dovendo quindi procedere ad un’analisi più dettagliata a carico del lavoratore mentre l’Ente deve solo indicare gli elementi essenziali della patologia in base a rigorose e serie definizioni scientifiche.

Dalla censura si è salvato il D.M. 27/4/2004, emanato in attuazione dell’art. 10 del D. Lgs. n. 38/2000, recante l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia ex art. 139 del D.P.R. n. 1124/65, anche in rapporto alle “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro”.

Sorge l’esigenza di regole certe e condivise che evitino il rischio di una frammentazione legislativa a livello regionale, come richiesto in un recente convegno sul mobbing dall’ABI, anche al fine di evitare le strumentalizzazioni. D'altronde da più parti si è manifestata l’esigenza di una azione non solo medicale bensì preventiva, agendo attraverso gli strumenti di cui al D. Lgs. n. 626/94 e interpretando la sicurezza non solo in termini di esposizione a fattori di rischio fisici, chimici o biologici, ma anche in termini di benessere organizzativo quale elemento atto all’integrità psico-fisica del lavoratori (ex art. 17, lett. a).

Dobbiamo considerare, inoltre, che in ambito pubblico all’eventuale risarcimento civile per danno al lavoratore si aggiunge la possibile responsabilità contabile del responsabile la struttura, se non altro per una eventuale omessa vigilanza.

E’ stata recentemente contestata la possibilità di un effettivo mobbing all’interno del pubblico impiego. Con una visione prevalentemente giuridica si è osservato che con la privatizzazione del rapporto di lavoro realizzata negli ultimi due decenni si è sostituito il ricorso al giudice amministrativo per eccesso di potere, quale garante configuratosi nel tempo dei diritti dei pubblici dipendenti secondo la precedente struttura weberiana, con il ricorso al giudice del lavoro per il risarcimento del danno da mobbing, finendo per permettere di fatto l’esame sui motivi degli atti amministrativi come già riservato al giudice amministrativo.

Sebbene è fuori di dubbio che vi sia talvolta un uso strumentale improprio di pressione dell’istituto, prevalentemente mediante minaccia dell’azione, sia nel caso di mobbing orizzontale che discendente (bossing), e che il contenuto dell’art. 2087 cc con fatica si attaglia, se non con alcune forzature, allo Stato, non può negarsi la crescita del fenomeno anche a causa di una maggiore sensibilità del personale, questa anche nel settore pubblico.

Né la lettura del fenomeno del mobbing orizzontale può risolversi come rappresentazione di un semplice “gioco sociale” seppure feroce, circostanza che viene a sminuire le gravi conseguenze sia sul piano organizzativo che individuale, come del resto esattamente si può evidenziare dall’esame in controluce della direttiva del Ministero della funzione pubblica 24/3/2004 (G.U. n. 80 – 5/4/04) sulle misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni.

I fenomeni di mobbing sono difficili da dimostrare anche a causa della lentezza dell’azione e si manifestano solo in un lungo lasso di tempo, con pesanti conseguenze psicologiche e sociali per la durata e profondità del fenomeno, circostanza che induce a privilegiare le azioni di prevenzione rivolte alla salute organizzativa.

In ogni organizzazione agiscono due dinamiche, l’una razionale relativa ai ruoli, competenze e finalità proprie dell’azienda od altra organizzazione che sia, l’altra emotiva che si rifà alle pulsioni intime di ciascun soggetto in rapporto agli altri attori presenti sulla scena. Quest’ultima definita “dinamica tribale” non è rilevabile dagli atti ufficiali e si ritrova nell’informalità dei rapporti personali, calati nella memoria storica dei vari gruppi costituenti l’organizzazione, spesso travolti da lotte di potere condotte da leadership non necessariamente coincidenti con i ruoli, ufficiali.

Deve tenersi presente che l’appartenenza tribale è superiore motivamente alle strutture organizzative formali, si che in un contrasto tra formale e informale prevarrà l’identità tribale con lo scatenarsi di fenomeni di mobbing, pertanto necessita per una salute organizzativa che i due aspetti del copione aziendale e di quello tribale vengano a coincidere.

E’ stato evidenziato che il mobbing si sviluppa con successo in sistemi sociali chiusi nei quali viene a mancare un termine di paragone esterno e, quindi, una valutazione oggettiva dei comportamenti dei singoli membri dell’organizzazione. In queste strutture l’attività relazionale non è più finalizzata al raggiungimento di obiettivi chiari ed evidenti, ma diventa fine a se stessa indirizzata esclusivamente a risolvere problemi individuali e lotte di potere; si hanno giochi sociali sorretti da pure interpretazioni soggettive manipolate, così da individuare possibili colpevoli di fatti non reali ma socialmente riconosciuti come tali.

Da quanto finora esposto appare chiara la possibilità del mobbing anche nelle P.A.., in quanto non soggette a concorrenza e, pertanto, non obbligate a migliorare la performance in relazione alla missione.

La mancanza di una buona tensione produttiva indotta da pressioni esterne fa sì che manchi di fatto lo stimolo all’efficienza e all’efficacia, rischiando la creazione di fenomeni entropici che inducono al mobbing a seguito di lotte interne di potere finalizzate alla propria carriera, senza che vi sia una controtendenza determinata dalla necessità di raggiungere risultati oggettivamente misurabili. Questo ancor più nel momento in cui negando una carriera formalizzata e predefinita, in organizzazioni prive di una chiara mission accompagnata da una propria definita e condivisa visione, si è attuata una organizzazione improntata su carriere non chiaramente meritocratiche, ma contrattate, anche a causa dell’assenza di oggettivi strumenti valutativi, dando corso a cordate di potere sorrette da istinti di appartenenza tribali, manipolando di fatto il concetto di flessibilità e facendo venire meno i punti di riferimento correttamente codificati delle competenze professionali, dell’esatta interpretazione dei ruoli e delle regole organizzative.

La passione tribale si sostituisce alla razionalità organizzativa.

La chiarezza dei compiti e dei ruoli è fondamentale, in quanto permette l’introduzione di regole e procedure di lavoro che esaltano le prestazioni lavorative rendendole visibili e riducendo conseguentemente l’arbitrio comportamentale, in cui prevalgono le recite a soggetto.

Nell’organizzazione destrutturata vi è l’impossibilità della misurabilità delle prestazioni e viene meno il principio di realtà oggettiva sostituito da elementi passionali e calcolatori, in realtà una forte destrutturazione può realizzarsi solo su attività di qualità, per gruppi di piccole dimensioni, con personale altamente professionalizzato e motivato.

Entra in causa lo stile direzionale che può essere o fortemente centrato sul proprio potere o sugli obiettivi lavorativi, tale stile a cascata viene ad influire intuitivamente sullo stile delle relazioni sociali presenti in ogni sottosistema. Dobbiamo comunque considerare che la presenza di posizioni gerarchiche di dubbia utilità e falsamente sostenute, induce a giustificare i ruoli con routine lavorative prive di significato, tessendo rapporti relazionali che possono sfociare nel mobbing, questo in particolare nelle organizzazioni di notevoli dimensioni.

Il mobbing distrugge ogni forma di collaborazione, riduce lo scambio di informazioni, sgretola lo spirito di gruppo, isola i membri dell’organizzazione distogliendo forze dall’attività lavorativa ai fini della singola sopravvivenza, ma soprattutto diffonde la cultura del sospetto rafforzando pregiudizi e diffidenza, permettendo alcuni (mobbers) di assurgere a posizioni iniziatiche a scapito degli altri attori lavorativi.

In quest’ambito assume particolare importanza la Direzione del Personale la quale dovrà sapientemente miscelare le funzioni effettive di controllo e di sviluppo, ossia l’amministrazione del personale, i rapporti sindacali, la vigilanza, la selezione, la formazione, lo sviluppo delle carriere ed il sistema premiante, fino a giungere al clima aziendale, tutti elementi che per la P.A. si ritrovano nella Direttiva già citata.

In questa attività la Direzione può usufruire anche del supporto del Return on investiment (ROI) calculator per determinare i costi aziendali del mobbing non controllato.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

- S. Agrifoglio, Il mobbing nel pubblico impiego, www.LexItalia.it/articoli/agrifoglio, 110/04;

 

- E. Kraepelin, La paranoia, ETS. Pisa, 1989;

 

 

- R. Vacconi, Mobbing la lunga marcia verso la prevenzione, 29, Economia e Management, Etas, n. 5/2004;

 

- P. Caiozzo, Gli sfumati confini del mobbing, 41, E.& M., Etas, n. 5/2004.

 

fonte citata su richiesta dell'autore http://www.lavoroprevidenza.com/index.php?iddoc=587