REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA TOSCANA
- I^ SEZIONE -
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 2086/1999 proposto da BADALAMENTI GIUSEPPE, rappresentato e
difeso dall’avv. Massimo Torniai presso il cui studio é elettivamente
domiciliato in Firenze, via Masaccio n. 219;
c o n t r o
FONDAZIONE DEL TEATRO DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso la quale è domiciliato, in
Firenze via degli Arazzieri n. 4;
per
a) l’accertamento del diritto del ricorrente alla reintegrazione in servizio,
previo annullamento, ex art. 428 c.c., delle dimissioni volontarie a suo tempo
presentate e della correlativa delibera di accettazione adottata dall’Ente di
appartenenza;
b) per l’accertamento del diritto del ricorrente all’inquadramento nella
superiore qualifica di dirigente a far tempo dalla data in cui (1° ottobre 1991)
ha svolto, in forza di apposita delega, le corrispondenti mansioni superiori per
un periodo ultratrimestrale, in uno con la conseguente condanna dell’Ente al
pagamento delle correlative differenze retributive;
c) la condanna dell’Ente alla corresponsione, a titolo risarcitorio, delle
retribuzioni non percepite a far tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro
sino alla data del reintegro in servizio, in uno con interessi e rivalutazioni
monetarie e salvaguardia della posizione previdenziale;
d) la condanna dell’ente al risarcimento, in via equitativa, del danno provocato
alla salute del ricorrente anche sotto il profilo psicologico;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Fondazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2000, il Consigliere
dott. Saverio Romano;
Uditi, altresì, per le parti gli avv.ti M.Torniai e G.Onano dell’Avvocatura
dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso notificato il 16-20 luglio 1999, il dott. Giuseppe Badalamenti
esponeva:
- di essere stato assunto in data 1.10.1991 dal Teatro Comunale di Firenze con
la qualifica di Direttore del Personale;
- di essersi trovato ad affrontare una situazione di particolare “emergenza”
conseguente alla improvvisa scomparsa del Segretario Generale, che aveva
accentrato in sè la conduzione dei Settori amministrativi dell’Ente;
- che, detti Settori versavano in stato di scollamento e di confusione
organizzativa;
- che, inoltre, all’Ufficio del Personale facevano carico la gestione dei
rapporti di lavoro di tutto il personale stabile e a termine, la corretta tenuta
dei fascicoli personali, la gestione e l’organizzazione dei concorsi pubblici ed
interni, ecc...;
- che la consistenza numerica degli addetti agli Uffici del Personale, era del
tutto inadeguata rispetto al reale carico di lavoro e comunque inferiore
all’organico previsto dalle stesse Tabelle Organiche dell’Ente;
- che, in un periodo di turbolenza sindacale, determinata dalle innumerevoli
disfunzioni e dai tanti problemi irrisolti ereditati dalla passata gestione il
ricorrente era tenuto in pratica da solo a continue e defatiganti
“ricostruzioni” di situazioni pregresse, nonchè ad espletare incombenze e
funzioni di ogni genere, senza potersi dedicare con tranquillità al proprio
compito di Gestore del personale;
- che il ricorrente ebbe fin dall’inizio del rapporto di lavoro l’affidamento
per delega di una buona parte delle funzioni ed attribuzioni del Segretario
Generale che sovrintendeva ai Servizi amministrativi dell’Ente;
- che, al ricorrente fu subito assegnato anche l’incarico di Segretario della
CO.PER:, Commissione Consiliare a carattere consultivo e referente, il che
comportava un coinvolgimento totale nelle varie problematiche affrontate dal
collegio, impegnativo anche in termini di quantità di lavoro;
- che, per potere far fronte ai gravosi impegni che imponeva la sua triplice
qualità, il ricorrente era costretto a fare vere e proprie acrobazie, lavorava
anche il lunedì e di sabato fino a tardi subendo una forte pressione fisica e
psicologica;
- che, perciò, fu costretto a curarsi e talora ricoverarsi in Ospedale perchè
colto da coliche renali da imputare, a detta dei medici curanti, ad una
condizione di elevato stress del paziente;
- che la condizione psicologica del ricorrente era tale da abbassare
pericolosamente le difese immunitarie, di talchè aveva origine un’ampia gamma di
“somatizzazioni” come la disidrosi, reumalgie sparse, la faringotonsillite, le
frequenti gastriti ed episodi di vomito nonchè ricorrenti mal di testa e
nevralgie;
- che in data 24 maggio 1995, dopo un’assenza per malattia, ormai in preda ad
alterazione di giudizio ed incapace di valutare razionalmente i propri interessi
e gli effetti delle proprie scelte decisioni, il ricorrente si decise a
rassegnare le dimissioni intendendo con ciò porre fine al proprio calvario;
- che, indotto a ritornare sulla propria decisione, ritirava le dimissioni con
lettera del 6.6.1995;
- che successivamente, rassegnava definitivamente le dimissioni con effetto dal
1° luglio 1996.
Pertanto, premesso che l'Ente datore di lavoro:
- ha posto in essere nei suoi confronti un comportamento reticente circa la
prospettazione delle reali mansioni e gravemente negligente;
- ha omesso di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore pregiudicandone lo stato di benessere psico-fisico;
- ha affidato al ricorrente mansioni superiori e ciò per un periodo di gran
lunga superiore ai tre mesi richiesti dall’art. 13 della legge n. 300/1970;
- per la delega affidata al ricorrente, ha corrisposto per il periodo ottobre
1991/ novembre 1992 un compenso economico aggiuntivo denominato “indennità”
(pertanto, per tale periodo, il ricorrente non avanza richiesta di trattamento
economico corrispondente alle mansioni superiori);
- ha ridotto il ricorrente in stato di temporanea incapacità di intendere e di
volere tale da indurlo a dare le dimissioni, che sono da considerarsi
palesemente inficiate dalla suddetta temporanea incapacità naturale e pertanto
meritevoli di annullamento ai sensi dell’art. 428 c.c..
Tutto ciò premesso, il dott. Badalamenti - dopo aver proposto un precedente
ricorso al Pretore del lavoro conclusosi con una decisione dichiarativa del
difetto di giurisdizione dell'A.G.O. - ha proposto ricorso giurisdizionale al
T.A.R., rassegnando le conclusioni in epigrafe indicate.
In via incidentale e d'urgenza, il ricorrente ha chiesto l'emanazione di un
provvedimento di riammissione in servizio nell'organico dell'Ente, nella
posizione precedentemente occupata, nonché, con ordinanza immediatamente
esecutiva, la corresponsione di una somma di almeno 50 milioni a titolo di
provvisionale in acconto sulle spettanze dovute a titolo risarcitorio e/o per
differenze retributive connesse all'eventuale riconoscimento dell'inquadramento
dirigenziale richiesto.
Con ordinanza n. 246 del 1999, le domande cautelari sono state rigettate.
Con successiva memoria, il ricorrente, ritenuta la necessità di incombenti
istruttori, ha chiesto che venga disposta istruttoria dibattimentale, con
ammissione dei mezzi di prova indicati in ricorso e di quelli ritenuti
opportuni.
Costituita in giudizio, la Fondazione intimata ha eccepito la tardività della
domanda di annullamento delle dimissioni, l'infondatezza della pretesa per
mancanza dei necessari presupposti di fatto, nonché l'infondatezza della domanda
di superiore inquadramento e della connessa pretesa retributiva, concludendo con
la richiesta di reiezione del ricorso.
All’udienza suindicata, la causa è passata in decisione.
D I R I T T O
1 - Con il ricorso in esame, premesso che si verte in materia di lesione di
diritti soggettivi perpetrata nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego per
fatti antecedenti al 30 giugno 1998, si chiede a questo Giudice: a) di accertare
e dichiarare che le dimissioni rassegnate dal ricorrente, dal Teatro Comunale
intimato, sono state formulate in stato di incapacità di intendere e di volere
addebitale all'Ente e, pertanto, devono essere annullate, con conseguente
caducazione della delibera di accettazione delle predette dimissioni; b) di
condannare la Fondazione resistente a corrispondere al ricorrente, a titolo
risarcitorio, le retribuzioni non percepite a far tempo dalla cessazione del
rapporto di lavoro fino alla data della reintegrazione in servizio, oltre
interessi e rivalutazione monetaria; c) di accertare e dichiarare che il
ricorrente ha subito un danno alla salute, per fatto e colpa della resistente,
che deve essere risarcito in via equitativa; d) di accertare e dichiarare che il
ricorrente ha diritto all'inquadramento nella posizione di dirigente nei ruoli
della Fondazione resistente per avere ricoperto, dalla data del 1.10.1991, e per
un periodo superiore al trimestre, mansioni dirigenziali in forza di delega
ricevuta dal Consiglio di amministrazione dell'Ente e che ha, conseguentemente,
diritto alle differenze retributive decorrenti dal 1.12.1992, in quanto per il
periodo precedente ha percepito il compenso adeguato alle funzioni svolte.
In ordine alla domanda sub a), il ricorrente - dopo un'ampia disamina della
situazione di crisi in cui versava l'Ente e dei numerosi e gravosi impegni ai
quali é stato chiamato - riconduce all'attività lavorativa espletata l'insorgere
di un'incapacità di valutare i propri interessi e gli effetti delle proprie
scelte decisionali, che avrebbe gravemente viziato la volontà manifestata nella
lettera di dimissioni da lui rassegnate nel 1995 e definitivamente confermate
nel 1996, dopo il momentaneo ritiro delle medesime.
In particolare, l'Ente datore di lavoro avrebbe omesso di tutelare l'integrità
fisica e la personalità del ricorrente pregiudicandone lo stato di salute
psico-fisica; il comportamento dell'Ente avrebbe pertanto violato "il
fondamentale dovere, sancito dal codice civile (art. 2087), e prima ancora dalla
Costituzione (art. 32), di garantire le condizioni di sicurezza e non nocività
per la salute dei suoi dipendenti sui luoghi di lavoro......in spregio al
fondamentale principio del neminem laedere (art. 2043 c.c.)".
Infatti, l'Ente, anche attraverso il pesante sovraccarico di lavoro al quale il
ricorrente é stato sottoposto, lo avrebbe assoggettato, per circa cinque anni, a
ripetute violenze morali, a vessazioni e persecuzioni tali da intaccare la
fiducia del dipendente nelle proprie capacità e minarne la professionalità, con
il risultato finale di provocarne la temporanea incapacità di intendere e di
volere.
Pertanto, il ricorrente chiede in via principale l'accertamento del danno subito
riconducibile - secondo la giurisprudenza civilistica formatasi in materia di "mobbing"-
a comportamenti riprovevoli di parte datoriale connessi alla patologia
dell'organizzazione del lavoro; per l'effetto, chiede che la verità dei fatti
posti a sostegno della domanda avanzata sia accertata attraverso le deposizioni
testimoniali dei dipendenti e dei colleghi di lavoro.
Il ricorso, in parte qua, é inammissibile.
Dall'insieme dell'atto introduttivo del giudizio e della memoria prodotta in
vista dell'udienza di trattazione, si evince chiaramente che tutte le domande
formulate dal ricorrente si basano, logicamente e cronologicamente, sul previo
accertamento, attraverso i mezzi istruttori previsti dal codice di procedura
civile (ed in primis mediante adeguate prove testimoniali), del temporaneo stato
di incapacità di intendere e di volere che sarebbe stato determinato dal
comportamento illecito dell'Ente datoriale e che avrebbe viziato la volontà
manifestata dal ricorrente nell'atto di dimissioni dall'impiego, del quale il
Tribunale dovrebbe conseguentemente dichiarare la nullità.
Rileva il Collegio che gli artt. 28 e 30 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 e gli
artt. 7 e 8 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, nel prevedere che il giudice
amministrativo possa conoscere di diritti soggettivi, in via principale o in via
incidentale, riservano in ogni caso al giudice ordinario la cognizione delle
questioni relative allo stato e alla capacità dei privati individui, tranne la
capacità di stare in giudizio.
Tali norme costituiscono un'importante eccezione al principio secondo cui il
giudice amministrativo, nel definire la controversia dedotta, può decidere in
via incidentale di tutte le questioni attinenti a diritti, espressione del
principio più generale della competenza del giudice della questione principale
anche sulle questioni pregiudiziali.
Attesa la natura eccezionale della disposizione derogatoria, da parte di
dottrina e giurisprudenza si ritiene che debba adottarsi la massima cautela
nell'ampliarne l'ambito di applicazione.
Per quanto riguarda le questioni sullo stato e la capacità delle persone, é
pacifico che la riserva di giurisdizione a favore del giudice ordinario si
riferisce alle persone fisiche ed alla loro capacità giuridica e di agire.
Ove sorga la necessità di risolvere in via pregiudiziale una questione di stato
e/o di capacità delle persone, il giudice amministrativo prefigge alle parti un
termine per la proposizione dell'azione davanti al giudice ordinario: se nessuno
vi ottempera, deve pronunciare la decadenza del ricorso.
La questione pregiudiziale é quella la cui risoluzione si pone come preliminare
rispetto a quella della questione che forma oggetto del giudizio, sicché questa
non può essere decisa senza aver deciso prima l'altra.
Nella fattispecie, peraltro, il Tribunale é chiamato a decidere della capacità
del ricorrente, e della conseguente nullità delle dimissioni da lui rassegnate,
in via principale, trattandosi della prima domanda proposta con il ricorso in
esame, dal cui accoglimento deriverebbe la caducazione, per difetto del
presupposto, della deliberazione di accettazione dell'Ente (non censurata sotto
altri profili).
Le altre domande proposte - di condanna alla corresponsione delle retribuzioni
non percepite dal ricorrente dopo le sue dimissioni e fino alla pretesa
reintegrazione, nonché di diritto all'inquadramento nella qualifica superiore -
presuppongono infatti la positiva risoluzione della questione relativa alla
capacità del ricorrente.
Tale questione, come precisato, é per legge riservata alla cognizione del
giudice ordinario.
Ne consegue che il ricorso, con il quale é stata proposta in via principale la
questione relativa alla capacità del ricorrente, va, in parte qua, dichiarato
inammissibile.
2 - Per quanto riguarda la domanda con la quale si chiede di accertare e
dichiarare che il ricorrente ha subito un danno alla salute, per fatto e colpa
dell'Ente resistente, come tale risarcibile in via equitativa, il Tribunale la
ritiene inammissibile.
E' competente l'autorità giudiziaria ordinaria a decidere su di una richiesta di
condanna avanzata da un dipendente per danno biologico da mobbing.
La giurisdizione é del giudice ordinario anche se la pretesa involge aspetti
organizzativi di servizi pubblici (nella specie, sanitari), atteso che l'art.
33, comma 2 lett. e, del D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo modificato dalla
L. 21 luglio 2000 n. 205, esclude dalla giurisdizione amministrativa "le
controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a
cose" (Cons. St., V, ord. 6.12.2000 n. 6311).
Rileva il Collegio che il fenomeno del mobbing, che rappresenta la somma di
comportamenti direttamente connessi all’organizzazione del lavoro, oscillanti
dall’eccessivo carico di lavoro ai soprusi del superiore, appare connesso più ad
aspetti organizzativi che a specifiche, singole situazioni traumatizzanti.
Vero è che, nell’ambito del pubblico impiego, il mobbing e le sue manifestazioni
diagnosticabili neurologicamente come sindrome ansioso-depressiva reattiva,
labilità emotiva, nervosismo, insonnia, inappetenza, ansia, perdita di
autostima, crisi di pianto, uso farmacologico di ansiolitici, antidepressivi e
disintossicanti, sembra postulare accertamenti su carriere, sul divenire del
rapporto, sugli inquadramenti e su tutto ciò che accompagna il dipendente nella
sua vita insieme alla pubblica amministrazione.
Peraltro, nella fattispecie, la domanda, con la quale viene denunciata la
lesione del diritto alla salute generata da “mobbing”, qualificata dallo stesso
ricorrente come azione di riconoscimento del danno derivante da illecito civile
ex art. 2043 c.c., esorbita chiaramente dalla giurisdizione del giudice
amministrativo (cfr. Cass. Sez. Un., 10.10.67 n. 2358; Id. 14.5.1987 n. 4441).
In ogni caso, la domanda appare anche infondata nel merito.
Affermare che l'Ente avrebbe omesso di tutelare l'integrità fisica e la
personalità del ricorrente pregiudicandone lo stato di salute psico-fisica; che
con tale comportamento si sarebbe violato "il fondamentale dovere, sancito dal
codice civile (art. 2087), e prima ancora dalla Costituzione (art. 32), di
garantire le condizioni di sicurezza e non nocività per la salute dei suoi
dipendenti sui luoghi di lavoro......in spregio al fondamentale principio del
neminem laedere (art. 2043 c.c.)"; infine, che, anche attraverso il pesante
sovraccarico di lavoro al quale é stato sottoposto, il ricorrente sarebbe stato
assoggettato, per circa cinque anni, a ripetute violenze morali, a vessazioni e
persecuzioni tali da intaccare la fiducia del dipendente nelle proprie capacità
e minarne la professionalità, con il risultato finale di provocarne la
temporanea incapacità di intendere e di volere; tutto ciò, ad avviso del
Collegio, non vale a far ritenere validamente proposta la domanda di
risarcimento del danno psico-fisico, biologico ed esistenziale (tale
indistintamente qualificato ed invocato dal ricorrente).
La ricostruzione della vicenda delineata nel ricorso appare, quanto meno,
completamente carente di elementi probatori circa il nesso di causalità fra gli
episodi richiamati e le conseguenze pregiudizievoli lamentate (quali coliche
renali, svenimenti, gastriti, disturbi della sudorazione, i quali, per
ammissione dello stesso ricorrente, non hanno lasciato postumi invalidanti).
Non sembra, pertanto, neanche ipotizzabile una diretta responsabilità dell'Ente,
sia pure a titolo di colpa, nella diretta causazione del danno, a meno di
ritenere che la cattiva qualità dell'organizzazione del lavoro - che
verosimilmente si é verificata all'interno dell'ufficio nel lasso temporale
richiamato dal ricorrente (cfr. memoria della difesa dell'Ente) - sia di per sé
idonea a provocare nel dipendente il pregiudizio asserito.
3 - Resta da decidere la domanda con la quale si chiede al Tribunale di
accertare e dichiarare che il ricorrente ha diritto all'inquadramento nella
posizione di dirigente nei ruoli della Fondazione resistente per avere
ricoperto, dalla data del 1.10.1991, e per un periodo superiore al trimestre,
mansioni dirigenziali in forza di delega ricevuta dal Consiglio di
amministrazione dell'Ente e che ha, conseguentemente, diritto alle differenze
retributive decorrenti dal 1.12.1992, in quanto per il periodo precedente ha
percepito il compenso adeguato alle funzioni svolte.
Entrambe le pretese avanzate sono infondate.
Com'è noto, nell'ambito del pubblico impiego, dottrina e giurisprudenza
pacificamente escludono l'applicabilità dell'art. 2103 cod. civ., ritenendo che
sotto il profilo concernente lo svolgimento delle mansioni superiori il rapporto
di pubblico impiego non é assimilabile al rapporto di lavoro privato.
In particolare, salvo che una legge non disponga diversamente, le mansioni
svolte dal dipendente, che siano superiori a quelle dovute sulla base del
provvedimento di nomina, o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini
della progressione di carriera, ovvero della emanazione di un provvedimento di
preposizione ad un ufficio; infatti, l'indisponibilità degli interessi pubblici
inerenti alla scelta del tipo di attività che i dipendenti devono svolgere e
l'esigenza che la selezione del personale avvenga sulla base della generale
regola del concorso concernono non solo il momento della immissione nei ruoli
della Amministrazione pubblica, ma anche il successivo sviluppo del rapporto, il
che rende irrilevanti ai fini giuridici le mansioni superiori prestate dai
pubblici dipendenti, salvo i casi in cui una norma di legge intenda derogare a
tali principi e nei soli limiti da essa sanciti; né il principio é stato
superato dall'art. 57 D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (Cons. St., 8.1.1995 n. 89).
Infatti, tale decreto, confermando la disciplina previgente, é intervenuto ad
escludere sia l'adibizione definitiva a mansioni superiori sia la c.d.
promozione automatica prevista, nel settore privato, dall'art. 2103 cod. civ.
Già l'art. 57, citato, vigente al momento della proposizione del ricorso,
prevedeva la possibilità di adibire il dipendente a mansioni immediatamente
superiori esclusivamente in via temporanea solo in due casi: a) nell'ipotesi di
vacanza del posto in organico; b) nell'ipotesi di sostituzione di altro
dipendente con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Lo stesso art. 57 prevedeva un procedimento formale per l’assegnazione a
mansioni superiori che doveva essere disposta dal dirigente preposto all’unità
organizzativa presso cui il dipendente prestava servizio con provvedimento
motivato; quest’ultimo poteva essere impugnato dal lavoratore che avesse
ritenuto di non accettare l’adibizione a mansioni superiori (3° comma); la norma
precisava, altresì, che non costituiva esercizio di mansioni superiori
“l’attribuzione di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse” (4°
comma).
Le modifiche introdotte con il successivo D.Lgs. 30.3.1998 n. 80 hanno
confermato tale disciplina nei suoi principi essenziali (art. 56 D. Lgs. 29/93
nel testo novellato dal D. Lgs. 80/98), con le seguenti statuizioni: che
“l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di
appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione di incarichi di direzione”, (1° comma); “Si considera
svolgimento di mansioni superiori, ai fini precedenti, solo l’attribuzione in
modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei
compiti propri di dette mansioni” (3° comma); infine, che “Le disposizioni del
presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina
degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la
decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare
diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun
caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di
appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici
nell’inquadramento professionale del lavoratore” (6° comma, come modificato dal
D.Lgs. n. 387/98).
Infine, va rilevato che l’art. 13 del contratto collettivo di lavoro del 1971
(confermato nei testi contrattuali successivi) prevedeva, per i dipendenti degli
enti lirici, derogando con ciò parzialmente alla disciplina generale, il diritto
al passaggio alla categoria superiore in conseguenza di un periodo ininterrotto
di 3 mesi di mansioni di categoria superiore, salvo che non si trattasse di
ipotesi di vacanza di posto in organico o di sostituzione di altro dipendente
con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Nella fattispecie, in seguito alla scomparsa del precedente Segretario Generale
e in attesa di provvedere alla nomina del nuovo, si è determinata una
distribuzione delle funzioni di tale figura ai Direttori dei vari servizi in
relazione alla relativa competenza; pertanto il ricorrente ha ricevuto solo una
delega parziale delle funzioni proprie del Segretario Generale ed esclusivamente
in attesa della nomina del nuovo Segretario Generale. Non sembra dunque
sostenibile il diritto dello stesso al passaggio alla categoria superiore, nè il
diritto alla corresponsione delle differenze retributive a far data
dall’1.12.1992, data in cui il ricorrente ha cessato di esercitare le funzioni
precedentemente delegategli.
Per il periodo intermedio, come del resto affermato nel ricorso, l’Ente ha
corrisposto un adeguato compenso economico al dipendente per l’esercizio delle
funzioni superiori temporaneamente affidategli.
Ne consegue che, al di là delle specifiche mansioni sostitutive del Segretario
Generale (nei limiti sopra indicati), non si configura in capo al ricorrente
un’ipotesi di esercizio generalizzato di mansioni superiori a quelle proprie
delle sua qualifica, giuridicamente significativo ai fini della decisione sulle
pretese avanzate.
4 - Conclusivamente, il ricorso, in parte, va dichiarato inammissibile, in parte
va rigettato in quanto infondato.
Le spese processuali possono essere compensate tra le parti.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione I^,
definitivamente pronunciando, dichiara il ricorso, in parte, INAMMISSIBILE; per
il resto, lo RESPINGE e compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Firenze, il 18.10.2000, dal Tribunale Amministrativo Regionale
della Toscana, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori:
Dott. Maurizio NICOLOSI - Presidente f.f.
Dott. Marcella COLOMBATI - Consigliere
Dott. Saverio ROMANO - Consigliere, est. rel.
F.to Maurizio Nicolosi
F.to Saverio Romano
F.to Alessandro Terzani - Segretario Generale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 27 FEBBRAIO 2001
Firenze, lì 27 FEBBRAIO 2001
IL SEGRETARIO GENERALE
F.to Alessandro Terzani