Orario di lavoro: chiarimenti dal Ministero |
Emanata una circolare esplicativa sul
D.Lgs. 66/2003 e successive modificazioni. Indicazioni per le pause dei
videoterminalisti.
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Con la circolare n.8/2005
il ministero del Lavoro ha voluto fare chiarezza sulla disciplina
dell’organizzazione dell'orario di lavoro, in particolare sul D.Lgs. 66/2003 e
successive modificazione, che ha recepito la direttiva comunitaria n.93/104/CE.
La lunga circolare si sofferma sui seguenti aspetti: orario settimanale di
lavoro, durata massima dell’orario di lavoro, lavoro straordinario, riposi
giornalieri e riposi settimanali, ferie, lavoro notturno, pause.
Nella trattazione di quest’ultimo aspetto, oltre alle disposizioni generali,
viene affrontato specificatamente il caso dei videoterminalisti, integrando
quanto previsto dall’ art. 8 del D.Lgs. 66/2003 con le specifiche disposizioni
dell’art.54 del D.Lgs.626/94.
L’art. 8 del D.Lgs. 66/2003 prevede che il lavoratore abbia diritto ad
un’interruzione di pausa dall’esecuzione della prestazione lavorativa quando la
stessa ecceda le sei ore nell’ambito dell’orario di lavoro. Se non diversamente
stabilito nell’ambito della contrattazione collettiva, il lavoratore ha diritto
ad un intervallo non inferiore a 10 minuti.
Nel caso del “videoterminalista”, (intendendo con questo termine colui che
utilizza un’attrezzatura il vdt in modo sistematico o abituale, per venti ore
settimanali), l’art. 54 del D.Lgs. 626/94 prevede che il lavoratore, qualora
svolga la sua attività per almeno quattro ore consecutive, ha diritto ad una
interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività.
L'art.54 prevede che:
“ […] 3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l'interruzione
di cui al comma 1, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici
minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al viedoterminale.
[…]
5. E' comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all'inizio ed al
termine dell'orario di lavoro.
6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa
della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti
gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto
di lavoro.
7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell'orario di
lavoro e, come tale, non è riassorbibile all'interno di accordi che prevedono la
riduzione dell'orario complessivo di lavoro.”
La circolare n.8/2005 chiarisce che il periodo di pausa di cui all’articolo 8
del del D.Lgs. 66/2003 è assorbito da quello previsto dall’art. 54 del D.Lgs.
626/94 quando quest’ultimo comporti una interruzione dell’attività lavorativa e
non consista in un cambiamento dell’attività.
Di seguito riportiamo il testo integrale del punto 13 della circolare n.8/2005
relativo alle pause.
[…]“
13. Pause
Il lavoratore ha diritto ad un intervallo di pausa dall’esecuzione della
prestazione lavorativa quando la stessa ecceda le sei ore nell’ambito
dell’orario di lavoro.
Le funzioni per le quali è previsto il diritto alla pausa sono individuate
nell’esigenza di consentire il recupero delle energie, nell’eventuale
consumazione del pasto e nell’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono.
La durata e le modalità della pausa sono stabilite dalla contrattazione
collettiva.
In mancanza di contrattazione collettiva che preveda una pausa per una finalità
qualsiasi, anche ulteriore rispetto a quelle previste dal decreto, il lavoratore
ha diritto ad un intervallo non inferiore a 10 minuti.
Il periodo di pausa può essere fruito anche sul posto di lavoro, in quanto la
finalità della pausa è quella di costituire un intervallo tra due momenti di
esecuzione della prestazione, ma non può essere sostituito da compesazioni
economiche. La eventuale “concentrazione” della pausa all’inizio o alla fine
della giornata lavorativa, che determina in sostanza una sorta di riduzione
dell’orario di lavoro, può essere ritenuta lecita come disciplina derogatoria,
ex art. 17 comma 1 e per il legittimo esercizio della quale è necessario
accordare ai lavoratori degli equivalenti periodi di riposo compensativo o,
comunque, assicurare una appropriata protezione. Quindi si ritengono superate,
dalle disposizioni di legge, quelle regole collettive o individuali che
prevedono al posto della pausa la sola compensazione economica.
La determinazione del momento in cui godere della pausa è rimessa al datore di
lavoro che la può individuare, tenuto conto delle esigenze tecniche
dell’attività lavorativa, in qualsiasi momento della giornata lavorativa e non
necessariamente successivamente al trascorrere delle 6 ore di lavoro. Quindi,
nell’ipotesi in cui l’organizzazione del lavoro preveda la giornata c.d.
spezzata, la pausa potrà coincidere con il momento di sospensione dell’attività
lavorativa.
La pausa minima stabilita per legge e corrispondente a 10 minuti deve essere
fruita consecutivamente affinché possa essere raggiunta la finalità per la quale
è prevista. I periodi di pausa, stante la definizione di orario di lavoro, non
vanno computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata.
I periodi di pausa non sono retribuiti, salvo diverse disposizioni dei contratti
collettivi. In particolare non sono retribuiti i riposi intermedi che siano
presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda; il tempo impiegato per
recarsi al posto di lavoro ; le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci
minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l’inizio e la
fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia
richiesta alcuna prestazione.
Pausa per alcune particolari attività
I lavoratori che utilizzino un’attrezzatura munita di videoterminali in modo
sistematico o abituale, per venti ore settimanali, hanno diritto, qualora
svolgano tale attività per almeno quattro ore consecutive, ad una pausa
stabilita, nelle modalità, dalla contrattazione collettiva. Qualora nulla
disponga la contrattazione collettiva, questi lavoratori hanno diritto a 15
minuti di pausa ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale,
senza possibilità di cumulo all’inizio ed al termine dell’orario di lavoro. Il
tempo di pausa è considerato orario di lavoro.
Il periodo di pausa di cui all’articolo 8 è assorbito da quello appena indicato
quando quest’ultimo comporti una interruzione dell’attività lavorativa e non
consista in un cambiamento dell’attività.
[…]”

Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
DIREZIONE GENERALE PER L'ATTIVITA'
ISPETTIVA
CIRCOLARE N. 8
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Roma, 3 marzo 2005
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Prot. n. 210
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e, p.c.:
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Alle Direzioni Regionali del Lavoro
LORO SEDI
All'INPS
Direzione Centrale Vigilanza
All'INAIL
Direzione Centrale Ispettorato
Al Gabinetto dell'On.le Ministro
Alla Direzione Generale degli
ammortizzatori sociali e incentivi all'occupazione
Alla Direzione Generale per la
famiglia, i diritti sociali e la responsabilità sociale delle imprese
Alla Direzione Generale per la
gestione del fondo nazionale per le politiche sociali e monitoraggio
della spesa sociale
Alla Direzione Generale per le
politiche, per l'orientamento e la formazione
Alla Direzione Generale delle
risorse umane e affari generali
All Direzione Generale per il
volontariato, l'associazionismo e le formazioni sociali
Alla Provincia Autonoma di Trento
Alla Regione Siciliana
Assessorato Lavoro e Previdenza
sociale
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1. Premessa
Con il decreto legislativo n. 66 dell'8
aprile 2003, integrato e modificato dal decreto legislativo n. 213 del 19
luglio 2004, è stata data piena attuazione anche nel nostro ordinamento alla
direttiva comunitaria n. 93/104/CE e successive modifiche.
E' da sottolineare, in via preliminare,
che la direttiva 93/104/CE aveva già trovato parziale attuazione nell'art.
13 della legge n. 196 del 1997 (che aveva, tra l'altro, fissato l'orario
normale di lavoro in 40
ore settimanali) e nell'accordo
interconfederale Confindustria - CGIL - CISL e UIL del 12 novembre 1997.
In seguito, la legge n. 409 del 1998,
aveva disciplinato l'esecuzione del lavoro straordinario nelle imprese
industriali, mentre con il decreto legislativo n. 532 del 1999, relativo
alla disciplina del lavoro notturno, era stata data attuazione, non solo
alla direttiva 93/104, ma anche alla delega conferita al Governo dall'art.
17, comma 2, della legge n. 25 del 1999.
Pertanto, l'adempimento agli obblighi
derivanti dalla appartenenza alla Unione Europea ha fornito l'occasione per
dare un assetto organico e definitivo all'intera materia dell'orario di
lavoro. Il decreto in esame unifica infatti la disciplina del tempo di
lavoro e quella dei riposi, attuando in larga parte i contenuti del
menzionato Accordo interconfederale del 1997 e garantendo un ampio spazio di
intervento all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione dei
tempi di lavoro (orario normale multiperiodale, gestione degli straordinari,
limiti di orario massimo, ecc.) in rapporto alle esigenze produttive e
organizzative.
Per le parti riguardanti anche il
personale dipendente dalle pubbliche Amministrazioni, la circolare è stata
redatta d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica.
2. Finalità e definizioni
Il decreto detta una disciplina di
carattere generale che definisce l'apparato terminologico di cui lo stesso
decreto fa uso. Le diverse definizioni verranno illustrate nel prosieguo
della circolare. Peraltro, per alcune di esse si ritiene già in questa sede
utile effettuare delle precisazioni.
In proposito occorre evidenziare una
novità sostanziale rispetto alla precedente disciplina dell'orario di lavoro
in ordine ai rinvii operati alla contrattazione collettiva. Infatti, alle
varie definizioni viene aggiunta quella di "contratti collettivi di lavoro"
che, conformemente alla prassi legislativa attualmente in vigore, sono
individuati in quelli stipulati da organizzazioni dei datori di lavoro e dei
lavoratori comparativamente più rappresentative. Non è specificato alcun
livello di contrattazione collettiva di riferimento. Salve diverse
specifiche disposizioni (art. 17, comma 1°), dunque, il rinvio alla
contrattazione collettiva deve intendersi come rinvio a tutti i possibili
livelli di contrattazione collettiva: nazionale, territoriale, aziendale.
Orario di lavoro
La nozione di orario di lavoro è stata
sinora ancorata al concetto di lavoro "effettivo", già definito dall'art. 3
R.D.L. 692/23 come quel lavoro "che richieda un'applicazione assidua e
continuativa".
Il decreto legislativo n. 66/2003, nel
riprendere la definizione dettata dalla direttiva europea, stabilisce (art.
2, punto a)), invece, che per orario di lavoro si intende "qualsiasi periodo
in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni".
Tale formulazione ha una portata
certamente più ampia, così come ha chiarito la stessa Corte di giustizia
europea che ha ritenuto compresi nell'orario di lavoro i periodi in cui i
lavoratori "sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato
dal datore di lavoro e a tenervisi a disposizione di quest'ultimo per poter
fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità" (sentenza del 9
settembre 2003).
D'altro canto ciò è confermato dalla
circostanza che, nella nuova disciplina, non è stata più riproposta
l'esclusione dalla nozione di orario di lavoro e dalla disciplina sulla
durata massima della prestazione di lavoro di "quelle occupazioni che
richiedano per loro natura o nella specialità del caso, un lavoro
discontinuo o di semplice attesa o custodia" (art. 3 R.D.L. n. 692/1923);
nella nuova disposizione, invece, tali lavorazioni vengono esplicitamente
escluse solo dall'ambito di applicazione della disciplina della durata
settimanale (art. 16 DLgs n. 66/2003).
3. Campo di applicazione
La disciplina dell'orario di lavoro di
cui al decreto legislativo n. 66 del 2003 si applica a tutti i settori di
attività, pubblici e privati, in relazione a rapporti di lavoro subordinato.
Si applica anche agli apprendisti che abbiano raggiunto la maggiore età che,
pertanto, possono svolgere lavoro straordinario e notturno (già possibile,
per quanto attiene al lavoro notturno, nelle aziende artigianali di
panificazione e di pasticceria e di quelle del comparto turistico e dei
pubblici esercizi).
Per gli apprendisti minorenni si applica
la disciplina speciale di cui alla legge n. 977 del 1967 e successive
modificazioni.
La disciplina non si applica qualora
"altri strumenti comunitari contengano prescrizioni più specifiche in
materia di organizzazione dell'orario di lavoro per determinate occupazioni
o attività professionali". In particolare, non si applica al lavoro della
gente di mare di cui alla direttiva 1999/63/CE del 21 giugno 1999, che attua
l'accordo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare
concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla
Federazione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea (FST). In
forza di questo atto, espressamente richiamato dal decreto n. 66 del 2003,
per "gente di mare" si intende ogni persona occupata o impegnata a qualunque
titolo a bordo di una nave marittima di proprietà pubblica o privata,
registrata nel territorio di uno Stato membro.
Il decreto non si applica neppure ai
lavoratori mobili, per quanto attiene ai profili di cui alla direttiva n.
2002/15/CE dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di
lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Per
"lavoratori mobili" si intendono quelli impiegati quali membri del personale
viaggiante o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto
passeggeri o merci su strada, per via aerea o per via navigabile, o a
impianto fisso non ferroviario.
In ragione della peculiare
organizzazione del lavoro e della concorrente competenza regionale in
materia di istruzione, il decreto legislativo n. 66 del 2003 non si applica
al personale della scuola di cui al Testo Unico delle disposizioni
legislative in materia di istruzione, né al personale delle Forze armate e
di polizia, nonché gli addetti al servizio di polizia municipale e
provinciale, in relazione alle attività operative specificamente
istituzionali.
Infine, il decreto in oggetto non si
applica nei confronti dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli
del corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle strutture
giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali
alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza
pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello
Stato. Nei confronti di queste attività le norme del decreto non trovano
applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio
espletato o di protezione civile, nonché degli altri servizi espletati dal
corpo nazionale dei vigili del fuoco, così come individuate con decreto del
ministro competente, di concerto con i ministri del lavoro e delle politiche
sociali, della salute, dell'economia e delle finanze e per la funzione
pubblica. Nelle more dell'emanazione dei decreti ministeriali indicati si
deve ritenere che continuino a trovare applicazione le attuali discipline,
anche contrattuali, previgenti, ove compatibili.
4. Orario normale settimanale
Il decreto legislativo n. 66 del 2003
riprende i contenuti dell'art. 13, della legge n. 196 del 1997 e fissa in 40
ore settimanali l'orario normale di lavoro, assegnando alla contrattazione
collettiva la facoltà sia di stabilire un orario inferiore che di riferire
l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un
periodo non superiore all'anno in modo tale che, nonostante la
flessibilizzazione, nel dato arco temporale non venga superata la media
riferita, ovviamente, all'orario normale.
Tale orario di lavoro, purché venga
rispettata la media nei termini suddetti, è orario normale di lavoro e
l'eventuale superamento settimanale delle 48 ore, senza che concorrano ore
di lavoro straordinario, non dovrà essere oggetto di comunicazione, stante
la chiara lettera della legge (purché ovviamente nel periodo di riferimento
sia effettuato il relativo recupero).
Si ricorda, a questo proposito, che in
caso di organizzazione multiperiodale dell'orario di lavoro, costituisce
straordinario ogni ora di lavoro effettuata oltre l'orario programmato
settimanale. Pertanto qualora ad esempio in una settimana sia svolto un
orario programmato di 50 ore la cinquantunesima ora di lavoro sarà imputata
a lavoro straordinario e quindi costituirà motivo sufficiente per la
comunicazione.
Si evidenzia, inoltre, che anche nel
caso di orario multiperiodale, pur non venendo in essere l'obbligo di
comunicazione (in quanto non siano state effettuate ore di lavoro
straordinario che abbiano concorso al superamento delle 48 ore di lavoro
settimanali) resta fermo il limite massimo delle 48 ore medie nel periodo di
riferimento.
E' da sottolineare come nella nuova
formulazione si fa riferimento ai "contratti collettivi" e non ai contratti
"collettivi nazionali" di cui al citato art. 13. Di conseguenza anche i
contratti territoriali e aziendali, oltre quelli nazionali, possono
stabilire – purché stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente
più rappresentative (art. 1, comma 2, lett. m) – una durata minore ovvero
prevedere orari multiperiodali.
Ovviamente, in questo quadro di
flessibilizzazione, i contratti collettivi dovranno, comunque, rispettare il
limite massimo settimanale dell'orario, come determinato dall'art. 4.
Per quanto concerne il settore del
pubblico impiego, si ritiene che la contrattazione collettiva decentrata non
possa introdurre discipline difformi dalla contrattazione collettiva
nazionale.
L'orario normale di lavoro è di 40 ore
nell'arco della settimana, da intendersi non necessariamente come settimana
di calendario, salva la facoltà della contrattazione collettiva, di
qualsiasi livello, di introdurre il c.d. regime degli orari multiperiodali,
cioè la possibilità di eseguire orari settimanali superiori e inferiori
all'orario normale a condizione che la media corrisponda alle 40 ore
settimanali o alla durata minore stabilita dalla contrattazione collettiva,
riferibile ad un periodo non superiore all'anno.
Il riferimento all'anno non deve
intendersi come anno civile (1° gennaio - 31 dicembre) ma come un periodo
mobile compreso tra un giorno qualsiasi dell'anno ed il corrispondente
giorno dell'anno successivo, tenendo conto delle disposizioni della
contrattazione collettiva.
Nel computo dell'orario normale di
lavoro, stante la definizione di orario di lavoro, non rientrano i periodi
in cui il lavoratore non è a disposizione del datore, nel senso precisato
nel paragrafo 2, ovvero nell'esercizio della sua attività e delle sue
funzioni. Quindi le ore non lavorate potranno essere recuperate in regime di
orario normale di lavoro.
Laddove, pertanto, uno di questi eventi
venga a coincidere con giornate in cui, a seguito della programmazione
multiperiodale, sia stato previsto un orario superiore o inferiore a quello
normale, le parti del rapporto sono tenute a concordare lo spostamento in
altra data di un eguale incremento o riduzione della prestazione.
Le eventuali ore di incremento prestate
e non recuperate assumono la natura di lavoro straordinario e devono essere
compensate secondo le modalità previste dai contratti.
I contratti collettivi possono stabilire
che la durata dell'orario normale sia ridotta rispetto al limite legale
delle 40 ore. Questa facoltà ha ad oggetto una riduzione d'orario valida ai
soli fini contrattuali.
La possibilità di modulare l'orario di
lavoro su base settimanale, mensile o annuale è stata attuata dal decreto
legislativo n. 66 del 2003 anche attraverso l'eliminazione del limite
giornaliero di durata della prestazione lavorativa. Nel nostro ordinamento
non vige più, pertanto, un limite positivo alla durata giornaliera del
lavoro ma, semmai, un limite che può ricavarsi, a contrario, dal combinato
disposto dagli articoli 7 e 8 del decreto nella misura di 13 ore
giornaliere, ferme restando le pause. Tale individuazione risulta conforme
al dettato costituzionale che impone alla legge di definire la durata
massima della giornata lavorativa.
La limitazione positiva della durata
della prestazione lavorativa giornaliera, benché non sia disposta per legge,
potrebbe essere disposta dalla autonomia privata, ma ai soli fini
contrattuali, imponendo un limite anche alla modulazione, pertanto alla
flessibilità, dell'organizzazione del lavoro nella sue caratteristiche
temporali.
Deroghe alla durata settimanale
dell'orario
L'art. 16 del decreto, che recepisce le
corrispondenti disposizioni dell'Accordo interconfederale del 1997,
ampliandole con le fattispecie di cui alle lettere "m" ed "n", riporta
l'elencazione delle ipotesi per le quali non si applica la disposizione
sulla durata settimanale di 40 ore di lavoro. Per queste attività, quindi,
non esiste un orario settimanale normale stabilito per legge.
Si tratta di una serie di attività e di
prestazioni suscettibili di aggiornamento e armonizzazione con i principi
della nuova normativa mediante decreto del Ministero del lavoro, da adottare
sentite le OO.SS. datoriali e dei lavoratori maggiormente rappresentative.
Pertanto, tutte le attività che
rientrano tra le ipotesi dell'articolo in questione continuano a mantenere
la loro specificità, salvo i necessari adeguamenti al principio della durata
media settimanale di 48 ore che dovranno essere adottati con i decreti di
armonizzazione previsti dal secondo comma dell'art. 16.
L'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 66/2003
prevede che "l'orario normale di lavoro é fissato in 40 ore settimanali". Ai
soli fini contrattuali, i contratti collettivi di lavoro possono prevedere
una minore durata.
A tal proposito va chiarito che le 40
ore settimanali di lavoro sono calcolate non necessariamente sulla base
della settimana lavorativa ma per ogni periodo di sette giorni.
La violazione della previsione è punita
in via amministrativa con la sanzione da € 25,00 a € 154,00 inoltre, se la
violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata
nel corso dell'anno solare per più di cinquanta giornate lavorative, la
sanzione amministrativa va da € 154,00 a € 1.032,00 e non è ammesso il
pagamento della sanzione in misura ridotta.
Per tale violazione non trova
applicazione l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del d.lgs. n.
124/2004.
6. Durata massima dell'orario di
lavoro
Il decreto, al fine di tutelare la
salute e sicurezza dei lavoratori, di consentire una più attuale
distribuzione dei tempi di vita e di lavoro e di garantire eque condizioni
di concorrenza tra le imprese, nel mercato comunitario, prevede un sistema
di limiti alla durata della prestazione lavorativa organizzati in modo
flessibile.
La durata massima settimanale
dell'orario di lavoro, comprensiva sia del lavoro ordinario sia di quello
straordinario, è stabilita dai contratti collettivi e riguarda, in generale,
sia il settore pubblico sia il settore privato.
L'orario settimanale, sia in presenza
sia in assenza di contrattazione applicabile, non può superare le 48 ore,
comprese le ore di lavoro straordinario, per ogni periodo di sette giorni
calcolate, come media, su un periodo di riferimento non superiore a 4 mesi.
A tale limite deve attenersi l'autonomia
individuale.
Il limite delle 48 ore medie, nel
periodo di riferimento, deve essere rispettato sia nel caso in cui il datore
stabilisca un orario rigido e uniforme sia nel caso in cui l'orario di
lavoro venga disciplinato in senso multiperiodale mediante il rispetto del
limite come media, per ogni periodo di sette giorni, in un determinato
periodo. Quindi il decreto non vieta prestazioni che superino, nell'arco di
sette giorni, le 48 ore in quanto il periodo di riferimento sia un periodo
più ampio della settimana e non superiore a quattro mesi, salvi i più ampi
periodi che può fissare la contrattazione collettiva. Nella settimana
lavorativa si potrà superare il limite delle 48 ore settimanali purché vi
siano settimane lavorative di meno di 48 ore in modo da effettuare una
compensazione e non superare il limite delle 48 ore medie nel periodo di
riferimento.
L'attività potrà essere concentrata in
alcuni periodi e ridotta in altri in modo da realizzare una efficiente
gestione dei fattori produttivi. Ad esempio, in un periodo di 4 mesi dal 1
gennaio al 30 aprile, l'orario settimanale di lavoro del mese di gennaio
potrebbe essere di 60 ore, di 40 ore il mese di febbraio e di 35 ore il mese
di marzo e di 48 ore il mese di aprile.
Nel caso in cui la contrattazione
collettiva non provveda a disciplinare l'orario di lavoro multiperiodale,
l'autonomia individuale potrà intervenire esclusivamente con riferimento
all'orario di lavoro straordinario.
La contrattazione collettiva, oltre che
determinare la durata massima settimanale dell'orario di lavoro, ha facoltà
di elevare il periodo di riferimento, in relazione agli specifici interessi
del settore cui i datori di lavoro ed i lavoratori appartengono, da 4 fino a
6 mesi e, in caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all'organizzazione del lavoro, fino a 12 mesi.
La durata massima dell'orario di lavoro,
pari a 48 ore medie nel periodo di riferimento, si applica anche nei
confronti degli apprendisti maggiorenni. I lavoratori adolescenti, anche non
apprendisti, rimangono assoggettati alla disciplina della l. n. 977 del 1967
che, all'articolo 18, pone un limite orario settimanale di 40 ore ed uno
giornaliero di 8 ore. Di tale limitazione, anche giornaliera, deve tenersi
conto anche nell'ipotesi di distribuzione dell'orario di lavoro su base
multiperiodale. Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, la stessa
disposizione legislativa prevede al primo comma che l'attività lavorativa
non può essere prestata per più di 7 ore giornaliere e 35 settimanali.
L'articolo 4, comma 2, del decreto
legislativo n. 66/2003 stabilisce che "la durata media dell'orario di lavoro
non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le
quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario". In base ai
successivi commi 3 e 4, la durata media dell'orario di lavoro deve essere
calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi e i
contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare tale limite fino
a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche
o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti
collettivi.
In riferimento invece all'arco temporale
di quattro, sei o dodici mesi sul quale va calcolata la media delle ore di
lavoro effettuate, si precisa che lo stesso è da considerarsi scorrevole
limitatamente ai periodi di ferie e malattia e periodi equiparabili alla
malattia a differenza di quanto avviene negli altri periodi di sospensione
(ad es. sciopero).
In altre parole, l'arco temporale di
riferimento può superare il quadrimestre (ovvero il semestre o l'anno) in
quanto nella sua determinazione non vanno computate le assenze dovute a
ferie e malattia o periodi equiparabili alla malattia; ad esempio, nel
considerare il quadrimestre gennaio/aprile, tale periodo, in considerazione
delle assenze dovute a malattia, potrebbe scorrere nel mese di maggio.
Si precisa, inoltre, che per effetto
delle disposizioni di cui all'art. 16 del decreto legislativo n. 66 del
2003, con riferimento al personale nei confronti del quale non si applica il
limite dell'orario normale di lavoro pari a 40 ore settimanali, non opera la
sanzione in esame, giacché tale personale è escluso dall'obbligo di
comunicazione.
9. Lavoro straordinario
Il "lavoro straordinario", a norma
dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del
2003, è quello prestato oltre l'orario normale così come definito
dall'articolo 3 del decreto.
Il ricorso al lavoro straordinario "deve
essere contenuto".
Non è più prevista una durata massima
giornaliera delle prestazioni straordinarie (così come la prevedeva, per i
datori di lavoro che non fossero imprenditori industriali, l'art. 5 r. d.
l. n. 692 del 1923), bensì una durata massima settimanale che, cumulata con
le ore di lavoro normale, non può superare il livello medio di 48 ore.
Infatti, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, la durata medio/massima
dell'orario di lavoro per ogni periodo di sette giorni, non può superare le
48 ore medie, comprensive del lavoro straordinario, nel periodo di
riferimento.
Il ricorso al lavoro straordinario è
legittimo in presenza di un accordo collettivo applicato ovvero applicabile,
che preveda una disciplina del lavoro straordinario ovvero, in mancanza di
esso, in presenza di un previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore. In
questo ultimo caso il ricorso al lavoro straordinario non può superare le
250 ore annue, oltre alle casistiche previste al comma 4 dell'art. 5 del
decreto.
Perché possa essere superato il suddetto
limite è necessario, quindi, che esista un contratto collettivo applicato
ovvero applicabile, inoltre è necessario che il contratto collettivo
disciplini il ricorso al lavoro straordinario.
In aggiunta ai limiti fissati dal
contratto collettivo o dalla legge (250 ore annuali) il ricorso al lavoro
straordinario è consentito, salvo diversa disciplina collettiva, in
relazione all'ipotesi in cui non sia possibile fronteggiare i casi di
eccezionali esigenze tecnico-produttive attraverso l'assunzione di altri
lavoratori; nei casi di forza maggiore; nei casi in cui la mancata
esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a un
pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla produzione.
Inoltre è consentito in caso di eventi
particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate alla attività
produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti
per le stesse, preventivamente comunicati agli uffici competenti ai sensi
dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'art. 2, comma
10, della legge n. 537 del 1993.
In quest'ultimo caso gli eventi indicati
devono essere comunicati in tempo utile alle rappresentanze sindacali
aziendali.
Anche in questi casi, a fronte della
richiesta del datore, il lavoratore è tenuto alla prestazione del lavoro
straordinario, salvo sussistano ragioni che consentano al lavoratore di
rifiutarne l'esecuzione.
Il lavoro straordinario deve essere
computato separatamente dal computo del lavoro normale e deve essere
retribuito con una maggiorazione, rispetto al lavoro normale, il cui
ammontare è stabilito dalla contrattazione collettiva. Quest'ultima può
disporre che, in aggiunta o in alternativa alla maggiorazione retributiva, i
lavoratori possano usufruire di riposi compensativi. In questo caso le
prestazioni straordinarie eseguite non sono computabili ai fini della durata
media dell'orario di lavoro prevista, nella misura massima complessiva delle
48 ore settimanali, dall'articolo 4, comma 2.
In caso di superamento delle 48 ore di
lavoro settimanale, questa volta da intendersi come valore assoluto,
attraverso prestazioni di lavoro straordinario, entro trenta giorni dalla
scadenza del periodo di riferimento di 4 mesi o di quello superiore previsto
dai contratti collettivi, il datore di lavoro che occupa più di dieci
dipendenti nell'unità produttiva interessata è tenuto a informare la
direzione provinciale del lavoro - Settore ispezione del lavoro competente
per territorio. Qualora il superamento del limite delle 48 ore non avvenga
attraverso prestazioni di lavoro straordinario non è dovuta la comunicazione
ex art. 4, comma 5.
L'obbligo di comunicazione può essere
adempiuto secondo le modalità previste dai contratti collettivi, in questo
caso il mancato rispetto delle disposizioni contrattuali non costituisce
violazione dell'obbligo di comunicazione purché sia comunque raggiunto lo
scopo comunicativo.
Ai fini del calcolo dei dipendenti non
devono essere computati i lavoratori con contratto di somministrazione, mentre
i lavoratori a tempo parziale devono essere computati in proporzione
all'orario svolto tranne che nel settore del pubblico impiego.
La disposizione, quindi, fissa sia
limiti quantitativi che tipologici alla prestazione di lavoro straordinario,
che non riguardano, evidentemente, il personale di cui all'art. 16 del
decreto legislativo n. 66 del 2003, per il quale non trova applicazione la
disciplina dell'orario normale di lavoro.
Per tale violazione non trova
applicazione l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto
legislativo n. 124 del 2004.
11. Criteri di computo
L'art. 6, comma 1, del decreto
legislativo n. 66 del 2003 prevede che i periodi di ferie e di assenze per
malattia non devono essere considerati ai fini del computo della media di
cui all'art. 4. Il riferimento alla malattia, coma già accennato, si
ritiene debba intendersi equivalente a quello di "stato invalidante" e
comprendere quindi anche le assenze comunque legate alla salute del
lavoratore (infortunio, gravidanza ecc.). L'interpretazione più corretta
sembra consistere nel considerare neutre tali assenze rispetto al calcolo
della media, con il conseguente slittamento del periodo di riferimento sul
quale calcolare la media.
Lo "slittamento" del periodo di
riferimento è, ovviamente, riferito al solo calcolo della media delle ore
settimanali lavorate (non superiore alle 48) ma non rileva ai fini della
scadenza dei termini per la comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 4
(superamento tramite straordinario) che indipendentemente dalle assenze
resterà cristallizzato nei termini di legge od in quelli fissati dalla
contrattazione collettiva.
Il comma 2 dello stesso articolo prevede
che non vengano computate, ai fini del calcolo della media in questione, le
ore di lavoro straordinario per le quali il lavoratore abbia beneficiato del
riposo compensativo. In questo caso sembra doversi ritenere che tale
meccanismo di calcolo possa essere adottato solo qualora sia il lavoro
straordinario sia il relativo riposo compensativo siano effettuati in un
medesimo periodo di riferimento, dovendosi, al contrario provvedere a
computare le ore di straordinario effettuate qualora il riposo compensativo
sia effettuato in un successivo periodo di riferimento.
Diversamente, stante la lettera
dell'art. 6 che fa riferimento ai criteri di computo ai fini del solo
calcolo della media, il lavoro straordinario effettuato nella settimana,
qualora il relativo riposo compensativo non sia goduto nella stessa, sarà
computato ai fini della comunicazione, di cui al comma 5 dell'art. 4,
relativa al superamento delle 48 ore nella singola settimana a causa della
prestazione di lavoro straordinario.
Il criterio di calcolo basato sulla
media individua il limite entro il quale deve considerarsi rispettato il
principio della tutela della salute e della sicurezza del lavoro,
indipendentemente dalla durata effettiva del rapporto di lavoro.
Va inoltre chiarito che, nel caso di
rapporti a tempo determinato di durata inferiore al periodo di riferimento
(4, 6 o 12 mesi), per il calcolo dell'orario medio di lavoro è necessario
considerare l'effettiva durata del contratto di lavoro a termine. Invece nei
rapporti di lavoro risolti inaspettatamente prima della scadenza del periodo
di riferimento, il periodo da prendere in considerazione quale base di
calcolo della media è pari a 4 mesi (ovvero 6 o 12 mesi qualora previsto
dalla contrattazione collettiva).
12. Riposo giornaliero
Il lavoratore ha diritto a undici ore di
riposo consecutive ogni 24 ore, calcolate dall'ora di inizio della
prestazione lavorativa. Rimane ferma la durata del normale orario
settimanale fissato in 40 ore o nel minor valore individuato dalla
contrattazione.
Il periodo di riposo di undici ore è un
periodo minimo, salvi i casi di deroghe previste, quindi l'eventuale accordo
che diminuisca tale periodo è nullo e sostituito di diritto dalla
disposizione normativa.
Le parti possono accordarsi per un
periodo di riposo maggiore di quello stabilito dall'art. 7 del decreto
legislativo n. 66 del 2003, in questo caso il lavoratore ha facoltà di
rinunciare al periodo di riposo compreso tra la misura convenzionale e
quella minima prevista.
Il lavoratore ha diritto al
periodo di riposo giornaliero anche qualora sia titolare di più rapporti di
lavoro.
Peraltro, poiché non esiste
alcun divieto di essere titolari di più rapporti di lavoro non
incompatibili, il lavoratore ha l'onere di comunicare ai datori di lavoro
l'ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto
dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal senso.
Il riposo giornaliero deve essere fruito
in modo consecutivo salvo che per le attività caratterizzate da periodi di
lavoro frazionati durante la giornata, ossia per quelle attività che, per
loro natura, sono svolte in tal modo come, in particolare, l'attività del
personale addetto alle pulizie. Per queste ultime attività, sarà la
contrattazione collettiva a disciplinare le più opportune modalità di
fruizione del riposo giornaliero.
Nel periodo di riposo non si computano i
riposi intermedi, nonché le pause di lavoro di durata non inferiore a dieci
minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l'inizio e
la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia
richiesto alcun tipo di prestazione lavorativa in quanto non si tratta di
un periodo di riposo continuativo.
Questi periodi non rientrano nell'orario
di lavoro né nel periodo di riposo.
Il terzo comma dell'articolo 8 del
decreto legislativo n. 66 del 2003 recita testualmente che "Salvo diverse
disposizioni dei contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati
come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui
all'art. 5, regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti
applicativi, e dell'art. 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e
successive integrazioni". Questi periodi, pertanto, non rientrano
nell'orario di lavoro.
Il richiamo operato all'art. 5 del R.D.
10/9/23, n. 1955, ha la sola finalità di individuare i periodi suddetti.
Deve, pertanto, ritenersi abrogato il disposto di cui al secondo comma del
citato articolo 5 il quale prevedeva che "i riposi normali, perché possano
essere detratti dal computo del lavoro effettivo, debbono essere
prestabiliti ad ore fisse ed indicati nell'orario di cui all'art. 12".
Da ciò deriva che, alla luce della
vigente disciplina, la pausa intermedia di 10 minuti possa essere anche
mobile. Allo stesso modo deve pure considerarsi decaduto l'obbligo della
esposizione dell'orario "in modo facilmente visibile ed in luogo
accessibile a tutti i dipendenti" così come l'obbligo di comunicarlo
all'Ispettorato del Lavoro previsto dall'art. 12 del citato regio decreto.
Deroghe in materia di riposo giornaliero
L'art. 7, nella parte che determina la
misura e la consecutività del riposo giornaliero, può essere derogato ai
sensi dell'art. 17. La deroga può essere disposta da contratti collettivi o
accordi conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali
nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali
dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro
o, conformemente alle regole fissate nelle medesime intese, mediante
contratti collettivi o accordi conclusi al secondo livello di
contrattazione. Per poter derogare alla disposizione in materia di riposo le
parti devono accordare ai prestatori di lavoro periodi equivalenti di riposo
compensativo. Se, in casi eccezionali ed oggettivi, non possono essere
previsti dei periodi di riposo compensativo ai lavoratori interessati, deve
essere accordata loro una protezione appropriata. In presenza di una
siffatta tutela devono considerarsi ancora in vigore le previgenti
disposizioni collettive che regolamentano l'orario di lavoro non
rispettando il limite di 11 ore di riposo consecutivo.
Nelle ipotesi di attività frazionate le
deroghe alla disciplina in materia di riposi alle condizioni di cui all'art.
17, comma 4, possono avere ad oggetto la durata del riposo.
13. Pause
Il lavoratore ha diritto ad un
intervallo di pausa dall'esecuzione della prestazione lavorativa quando la
stessa ecceda le sei ore nell'ambito dell'orario di lavoro.
Le funzioni per le quali è previsto il
diritto alla pausa sono individuate nell'esigenza di consentire il recupero
delle energie, nell'eventuale consumazione del pasto e nell'attenuazione del
lavoro ripetitivo e monotono.
La durata e le modalità della pausa sono
stabilite dalla contrattazione collettiva.
In mancanza di contrattazione collettiva
che preveda una pausa per una finalità qualsiasi, anche ulteriore rispetto a
quelle previste dal decreto, il lavoratore ha diritto ad un intervallo non
inferiore a 10 minuti.
Il periodo di pausa può essere fruito
anche sul posto di lavoro, in quanto la finalità della pausa è quella di
costituire un intervallo tra due momenti di esecuzione della prestazione, ma
non può essere sostituito da compesazioni economiche. La eventuale
"concentrazione" della pausa all'inizio o alla fine della giornata
lavorativa, che determina in sostanza una sorta di riduzione dell'orario di
lavoro, può essere ritenuta lecita come disciplina derogatoria, ex art. 17
comma 1 e per il legittimo esercizio della quale è necessario accordare ai
lavoratori degli equivalenti periodi di riposo compensativo o, comunque,
assicurare una appropriata protezione. Quindi si ritengono superate, dalle
disposizioni di legge, quelle regole collettive o individuali che prevedono
al posto della pausa la sola compensazione economica.
La determinazione del momento in cui
godere della pausa è rimessa al datore di lavoro che la può individuare,
tenuto conto delle esigenze tecniche dell'attività lavorativa, in qualsiasi
momento della giornata lavorativa e non necessariamente successivamente al
trascorrere delle 6 ore di lavoro. Quindi, nell'ipotesi in cui
l'organizzazione del lavoro preveda la giornata c.d. spezzata, la pausa
potrà coincidere con il momento di sospensione dell'attività lavorativa.
La pausa minima stabilita per legge e
corrispondente a 10 minuti deve essere fruita consecutivamente affinché
possa essere raggiunta la finalità per la quale è prevista. I periodi di
pausa, stante la definizione di orario di lavoro, non vanno computati come
lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata.
I periodi di pausa non sono retribuiti,
salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi. In particolare non sono
retribuiti i riposi intermedi che siano presi sia all'interno che
all'esterno dell'azienda; il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro
; le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e
complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l'inizio e la fine di
ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta
alcuna prestazione.
Pausa per alcune particolari
attività
I lavoratori che utilizzino
un'attrezzatura munita di videoterminali in modo sistematico o abituale,
per venti ore settimanali, hanno diritto, qualora svolgano tale attività per
almeno quattro ore consecutive, ad una pausa stabilita, nelle modalità,
dalla contrattazione collettiva. Qualora nulla disponga la contrattazione
collettiva, questi lavoratori hanno diritto a 15 minuti di pausa ogni 120
minuti di applicazione continuativa al videoterminale, senza possibilità di
cumulo all'inizio ed al termine dell'orario di lavoro. Il tempo di pausa è
considerato orario di lavoro.
Il periodo di pausa di cui all'articolo
8 è assorbito da quello appena indicato quando quest'ultimo comporti una
interruzione dell'attività lavorativa e non consista in un cambiamento
dell'attività.
14. Riposi settimanali
Il lavoratore ha diritto ad un periodo
di riposo di almeno 24 ore consecutive, ogni sette giorni, di regola
coincidenti con la domenica. Il periodo di riposo settimanale deve essere
cumulato con il riposo giornaliero, per un totale di 35 ore consecutive
nelle ipotesi in cui il periodo di riposo sia individuato in 11 ore.
Il decreto pone una intricata disciplina
in materia di eccezioni e deroghe ai principi indicati in materia di riposi
settimanali.
In particolare prevede due categorie di
eccezioni.
Da un lato prevede che le regole della
periodicità, della coincidenza con la domenica, della durata e della
consecutività possano essere derogate per alcune attività, quelle di cui
alle lettera a), b), c) dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo n. 66
del 2003. Inoltre prevede che la contrattazione collettiva possa introdurre
delle deroghe purché ai lavoratori siano concessi periodi equivalenti di
riposo compensativo o, in caso di eccezionale impossibilità oggettiva, che
sia predisposta una protezione appropriata a favore degli stessi.
Dall'altro lato prevede che la regola
della coincidenza del riposo domenicale possa essere derogato nelle ipotesi
elencate - peraltro già contenute nell'art. 5 della legge n. 370 del 1934 -
in cui il riposo settimanale di 24 ore consecutive può essere spostato in un
giorno diverso dalla domenica e attuato mediante turni del personale.
Innanzitutto, per quanto riguarda la
prima categoria di eccezioni, la disposizione che prevede che il periodo di
riposo settimanale debba coincidere con la domenica può essere derogata in
quanto la coincidenza è esclusivamente tendenziale. La disposizione che
prevede la cadenza del riposo ogni sette giorni può essere derogata, in
conformità agli orientamenti consolidati e prevalenti in giurisprudenza, in
presenza, si ritiene, di una triplice condizione: che esistano degli
interessi apprezzabili, che si rispetti, nel complesso, la cadenza di un
giorno di riposo ogni sei di lavoro, che non si superino i limiti di
ragionevolezza con particolare riguardo alla tutela della salute e sicurezza
dei lavoratori. La disposizione che prevede la durata del riposo può essere
derogata nel limite delle 24 ore che costituiscono la soglia minima di
tutela. Qualora esistano delle disposizioni che prevedono la durata del
riposo al di sotto di tale soglia, le stesse dovranno prevedere un recupero
compensativo. La disposizione che prevede la consecutività delle ore di
riposo può anch'essa essere derogata nel rispetto del limite delle 24 ore.
Il decreto fa salve le disposizioni
speciali in materia di riposi settimanali e deroghe previste dalla
disciplina dettata in materia di riposi domenicali e settimanali.
Le ulteriori attività per le quali il
decreto legislativo n. 66 del 2003 ammette la derogabilità della disciplina
del riposo settimanale, che non siano già previste da disposizioni vigenti,
saranno individuate con decreto del Ministero del Lavoro, adottato dopo aver
sentito le organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente
più rappresentative, nonché le organizzazioni nazionali dei datori di
lavoro.
Pertanto, qualora un contratto
collettivo finisca per identificare una nuova attività, diversa da quelle
già previste, si dovrà attivare la procedura di cui all'art. 9.
A tal proposito si rileva che la
previsione normativa, pur non commisurata al numero delle giornate e dei
lavoratori, trova applicazione con riferimento alla singola condotta
datoriale che comunque si sostanzia nel non consentire i periodi di riposo a
ciascun lavoratore coinvolto ed in relazione a ciascun periodo considerato
(giorno o settimana). Ne consegue che, in tali ipotesi, vadano applicate
tante sanzioni quanti sono i lavoratori interessati ed i riposi giornalieri
o settimanali non fruiti, fermo restando quanto stabilito dall'art. 8, comma
1, L. n. 689 del 1981.
Per tale violazione non trova
applicazione l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto
legislativo n. 124 del 2004.
16. Ferie annuali
La disciplina in materia di ferie è,
innanzitutto, regolata dall'art. 36, comma 3, della Costituzione, che tutela
il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali retribuite cui non
può rinunciare.
L'art. 2109, comma 2, del Codice Civile
dispone poi che la durata delle ferie è fissata dalla legge, dai contratti
collettivi, dagli usi e secondo equità; che il momento di godimento delle
ferie è stabilita dal datore di lavoro che deve tenere conto delle esigenze
dell'impresa e degli interessi del lavoratore; che il periodo feriale deve
essere possibilmente continuativo; che il periodo feriale deve essere
retribuito.
Oltre a quanto sopra indicato la
Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata con legge 10 aprile
1981, n. 157) prevede un periodo di ferie minimo di tre settimane di cui due
da godere ininterrottamente. Inoltre, dispone che la fruizione del periodo
bisettimanale "dovrà essere accordata e usufruita entro il termine di un
anno al massimo, e il resto del congedo annuale pagato entro il termine di
diciotto mesi, al massimo, a partire dalla fine dell'anno che dà diritto al
congedo". Inoltre, "ogni parte di congedo annuale che superi un minimo
stabilito potrà, con il consenso della persona impiegata interessata, essere
rinviata, per un periodo limitato, oltre i limiti indicati" in precedenza.
La Corte costituzionale, con sentenza 19
dicembre 1990, n. 543, ha, fra l'altro, affermato che il godimento
infra-annuale dell'intero periodo di ferie deve essere contemperato con le
esigenze di servizio che hanno carattere di eccezionalità o comunque con
esigenze aziendali serie.
In questo quadro normativo si è inserito
il decreto legislativo 66 del 2003 che ha disposto che "il prestatore di
lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a
quattro settimane".
Quindi, nel caso di fruizione di un
periodo feriale consecutivo di quattro settimane, tale periodo equivale a 28
giorni di calendario.
Con il decreto legislativo n. 66 del
2003 è stata introdotto per la prima volta in Italia, in modo espresso, il
divieto di monetizzare il periodo di ferie corrispondente alle quattro
settimane previste dalla legge, salvo il caso di risoluzione del rapporto di
lavoro nel corso dell'anno. Per quanto riguarda i contratti a tempo
determinato, di durata inferiore all'anno, è quindi sempre ammissibile la
monetizzazione delle ferie.
L'impossibilità di sostituire il
godimento delle ferie con la corresponsione dell'indennità sostitutiva è
operante per la quota di ferie maturata a partire dal giorno dell'entrata in
vigore del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia dal 29 aprile 2003.
Nei casi di sospensione del rapporto di
lavoro che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della
infra-annualità, le stesse dovranno essere godute nel rispetto del principio
dettato dall'art. 2109 cod civ, espressamente richiamato nell'art. 10 del
decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia "nel tempo che l'imprenditore
stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del
prestatore di lavoro".
Il legislatore delegato ha, ora, dettato
una specifica disciplina sul punto, in forza della quale si possono
distinguere 3 periodi di ferie.
Un primo periodo, di almeno due
settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell'anno di
maturazione, su richiesta del lavoratore. La richiesta del lavoratore dovrà
essere inquadrata nel rispetto dei principi dell'art. 2109 del Codice
Civile. Pertanto, anche in assenza di norme contrattuali, dovrà essere
formulata tempestivamente, in modo che l'imprenditore possa operare il
corretto contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del
prestatore di lavoro.
La contrattazione collettiva e la
specifica disciplina per le categorie di cui all'articolo 2 comma 2 possono
disporre diversamente. Allo scadere di tale termine, se il lavoratore non ha
goduto del periodo feriale di due settimane, il datore sarà passibile di
sanzione.
Il periodo cui si riferisce la
violazione è quello di due settimane. sarà sufficiente che il lavoratore non
abbia goduto anche solo di una parte di detto periodo perché il datore di
lavoro sia considerato soggetto alla sanzione indicata, anche nelle ipotesi
in cui il godimento di detto congedo annuale sia in corso di godimento in
quanto il periodo deve essere fruito nel corso dell'anno di maturazione e
non oltre il termine di esso.
Un secondo periodo, di due settimane, da
fruirsi anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell'anno di
maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla
contrattazione collettiva. Nell'ipotesi in cui la contrattazione stabilisca
termini meno ampi per la fruizione di tale periodo (ad esempio nel settore
del pubblico impiego ove il termine è di 6 mesi) il superamento di questi
ultimi, quando sia comunque rispettoso del termine dei 18 mesi, determinerà
una violazione esclusivamente contrattuale.
Un terzo periodo, superiore al minimo di
4 settimane stabilito dal decreto, potrà essere fruito anche in modo
frazionato ma entro il termine stabilito dall'autonomia privata dal momento
della maturazione. Questo ultimo periodo può essere monetizzato tenendo
conto, per il settore del pubblico impiego, delle previsioni dettate al
riguardo.
Per tale violazione non trova
applicazione l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto
legislativo n. 124 del 2004.
Personale dipendente da aziende
autoferrotranviarie. Regime sanzionatorio
Con riferimento al decreto legislativo
n. 213 del 2004, correttivo delle disposizioni del decreto legislativo n. 66
del 2003, e, segnatamente, alla predisposizione di apposite sanzioni (v.
art. 1, lett. f), relative, in particolare, alla violazione delle norme
sulla durata del riposo giornaliero (art. 18 bis, comma 4, del D.lgs n. 66
del 2003), sul riposo settimanale (art. 18 bis, comma 4) e sulla durata del
lavoro notturno (art. 18, comma 7), è necessario chiarire che, in virtù
della speciale disciplina applicabile al settore autoferrotranviario, ove
ricorrano le fattispecie predette, continuano a trovare attuazione le
sanzioni previste dall'art. 11 del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328 e
dall'art. 14 della legge n. 138 del 1958 (disposizione quest'ultima
applicabile al solo personale mobile dei servizi automobilistici di linea
extraurbani), in virtù dell'espresso richiamo effettuato a tali
provvedimenti di legge nell'art. 19, comma 3, dello stesso decreto
legislativo. n. 66 del 2003.
18. Lavoro notturno
Gli articoli dall'11 al 15, in materia
di lavoro notturno, riprendono in larga misura il contenuto del decreto
legislativo n. 532 del 1999 con il quale era stata data attuazione alla
delega conferita al Governo dall'art. 17, comma 2 della legge n. 25 del
1999, nonché alla direttiva 93/104.
La normativa di cui ai citati articoli
non si allontana, sostanzialmente, da quella del 1999, ma viene riordinata e
razionalizzata.
Definizione di lavoro e di
lavoratore notturno
Il lavoro notturno è quello prestato in
un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la
mezzanotte e le cinque del mattino.
Quindi il lavoro notturno è quello
svolto tra le 24 e le 7, ovvero tra le 23 e le 6, ovvero tra le 22 e le 5,
indipendentemente dalla eventuale maggiorazione retributiva prevista dalla
contrattazione collettiva.
Il lavoratore notturno è il lavoratore
che svolge, durante il periodo notturno, almeno tre ore del suo tempo di
lavoro giornaliero impiegato in modo normale; è, inoltre, lavoratore
notturno anche colui che svolge durante il periodo notturno almeno una parte
del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi
di lavoro. Qualora la disciplina collettiva nulla stabilisca sul punto è
considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, durante il
periodo notturno almeno una parte del suo tempo di lavoro giornaliero, per
un minimo di 80 giorni lavorativi all'anno.
Quest'ultimo criterio di definizione del
lavoratore notturno non va a sovrapporsi con il primo in quanto prende in
considerazione lo svolgimento di una prestazione lavorativa in parte
esercitata durante il periodo notturno, a prescindere che l'attività in
oggetto rientri nell'orario normale di lavoro. Quindi, deve considerarsi
lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale
durante il periodo notturno ma che, nell'arco di un anno, svolga almeno 80
giorni di lavoro notturno. Ad esempio se al lavoratore è richiesto lo
svolgimento, per esigenze contingenti, di prestazioni durante il periodo
notturno, tale prestatore è considerato lavoratore notturno ai fini della
disciplina in oggetto se detto periodo, anche frazionato, abbia durata di
almeno 80 giorni lavorativi nell'arco temporale di un anno solare.
Ove il limite degli 80 giorni venga
superato in ragione del sopravvenire di eventi eccezionali e straordinari
(gravi incidenti agli impianti o nell'esercizio di particolari servizi,
calamità naturali), non potrà configurarsi la fattispecie in esame.
Il suddetto limite minimo è
riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.
Il lavoratore, per poter svolgere
prestazioni di lavoro notturno, deve esserne ritenuto idoneo mediante
accertamento ad opera delle strutture sanitarie pubbliche competenti o per
il tramite del medico competente.
I lavoratori notturni, la cui idoneità
sia già stata verificata ai sensi della legge previgente, non devono essere
sottoposti ad un nuovo accertamento.
Oltre a questa iniziale valutazione che
deve precedere l'esecuzione di prestazioni di lavoro notturno, lo stato di
salute dei lavvoratori notturni deve essere periodicamente verificato. La
periodicità di tali controlli è individuata dal legislatore in almeno due
anni. I controlli potranno essere più frequenti sia nel caso in cui il
medico competente abbia prescritto una periodicità inferiore sia nel caso in
cui siano mutati i rischi relativi alle lavorazioni cui il lavoratore è
addetto.
Tali controlli devono essere effettuati
dalle competenti strutture sanitarie pubbliche, o dal medico competente di
cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994. In ogni caso
tali controlli devono avvenire a cura e spese del datore di lavoro.
Limitazioni al lavoro notturno
L'esecuzione di prestazioni di lavoro
notturno è obbligatoria per i lavoratori idonei fatto salvi i casi di
divieto o di esclusione dall'obbligo di eseguire la prestazione.
È vietato adibire al lavoro dalle 24
alle 6 le donne in gestazione dall'accertamento dello stato di gravidanza
fino al compimento di un anno di età del bambino o, comunque, dal momento in
cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza della fattispecie generatrice
del divieto.
Alcuni lavoratori hanno facoltà di non
prestare lavoro notturno dandone comunicazione, in forma scritta, al datore
di lavoro entro 24 ore precedenti al previsto inizio della prestazione. Il
datore ha facoltà di accettare la comunicazione del rifiuto avvenuta in un
termine inferiore rispetto a quello previsto.
L'individuazione dei requisiti dei
lavoratori che determinano l'insorgere della facoltà sono stabiliti dai
contratti collettivi. Il decreto prevede, inoltre, che abbiano facoltà di
rifiutarsi di prestare lavoro notturno:
la lavoratrice subordinata, madre di un
figlio di età inferiore di tre anni o, qualora la stessa non abbia
esercitato la facoltà di rifiutare l'esecuzione di prestazioni di lavoro
notturno, il lavoratore padre convivente che sia anch'esso lavoratore
subordinato; l'unico genitore affidatario e convivente di un minore di età
inferiore a 12 anni; coloro che abbiano a loro carico un soggetto disabile
ai sensi della legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate .
Obblighi di comunicazione
Il datore di lavoro ha l'obbligo di
comunicare per iscritto, annualmente, l'esecuzione di lavoro notturno
continuativo oppure compreso in turni periodici regolari.
La comunicazione deve essere effettuata
ai servizi ispettivi della DPL competente e alle organizzazioni sindacali
titolari del diritto ad essere consultate al fine dell'introduzione del
lavoro notturno.
Se il contratto collettivo applicato in
azienda disciplina in modo specifico l'esecuzione di lavoro notturno
continuativo oppure compreso in turni periodici regolari, non sorge
l'obbligo di comunicazione.
Durata della prestazione
Ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. n.
66/2003, per tutti i lavoratori notturni, l'orario non può superare le 8
ore, in media, nell'arco di 24 ore calcolate dal momento di inizio
dell'esecuzione della prestazione lavorativa.
Tale limite costituisce, data la sua
formulazione, un media fra ore lavorate e non lavorate pari ad 1/3 (8/24)
che, in mancanza di una esplicita previsione normativa, può essere applicato
su di un periodo di riferimento pari alla settimana lavorativa – salva
l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un
periodo più ampio sul quale calcolare detto limite – considerato che il
Legislatore ha in più occasioni adoperato l'arco settimanale quale parametro
per la quantificazione della durata della prestazione (vedi ad esempio gli
articoli 3 e 4 del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di orario normale di lavoro
e orario medio).
Per il settore della panificazione
industriale la media su cui calcolare il limite di durata della prestazione
lavorativa è riferito, comunque, alla settimana lavorativa e, pertanto, la
norma si configura quale limite alla contrattazione collettiva di estendere
ulteriormente il periodo di riferimento sul quale calcolare l'orario di
lavoro.
Inoltre, conformemente alla direttiva
93/104/CE, per alcune lavorazioni che comportano rischi particolari o
rilevanti tensioni fisiche o mentali, il limite orario è di otto ore nel
corso di ogni periodo di 24 ore. In questo caso il limite è fisso e non va
considerato come media.
L'individuazione di tali lavorazioni è
rimessa ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali – di
concerto col Ministro per la funzione pubblica per quanto riguarda, in modo
non esclusivo, i pubblici dipendenti – previa consultazione delle
organizzazioni sindacali nazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Per le materie di esclusivo interesse
dei pubblici dipendenti il decreto è adottato dal ministro della funzione
pubblica di concerto col Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
La durata massima della settimana
lavorativa non potrà, quindi, superare le 48 ore comprensive delle ore di
straordinario, tenendo presente che queste ultime non potranno essere
superiori, in assenza di determinazioni collettive, di 250 ore annue.
Nel computo della media su cui calcolare
il limite delle 8 ore non si deve tener conto del periodo di riposo minimo
settimanale quando questo ricade nel periodo di riferimento stabilito dai
contratti collettivi.
Trasferimento al lavoro diurno
Qualora sopraggiungano condizioni di
salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno il
lavoratore può essere trasferito al lavoro diurno.
La sopraggiunta inidoneità deve essere
accertata dalle competenti strutture sanitarie pubbliche o dal medico
competente.
Il decreto dispone che il trasferimento
al lavoro notturno è subordinato alla esistenza e alla disponibilità di un
posto di lavoro la cui esecuzione sia relativa a mansioni equivalenti a
quelle svolte. In mancanza di tali condizioni il datore di lavoro ha facoltà
di risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.
Alla contrattazione collettiva è
attribuita la facoltà di definire le modalità di applicazione delle
disposizioni illustrate in materia di trasferimento al lavoro diurno e di
individuare le soluzioni per le ipotesi in cui manchino le condizioni per
l'assegnazione al lavoro diurno del prestatore di lavoro notturno.
Quindi, mentre il decreto legislativo n.
532 del 1999 stabiliva che il trasferimento al lavoro diurno o ad altra
mansione era automatico, con la nuova disciplina tale trasferimento è
vincolato alla disponibilità in azienda, secondo le modalità stabilite dalla
contrattazione collettiva che potrà ricercare anche soluzioni alternative in
caso di inesistenza di altro posto di lavoro disponibile.
L'art. 14, comma 1, del decreto
legislativo n. 66 del 2003, come modificato dall'art. 1, comma 1 lett. e),
del decreto legislativo n. 213 del 2004, stabilisce che "la valutazione
dello stato di salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese
del datore di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie
pubbliche di cui all'articolo 11 o per il tramite del medico competente di
cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive
modificazioni, attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due
anni, volti a verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a
cui sono adibiti i lavoratori stessi".
Sotto il profilo della quantificazione
della sanzione, applicata con riferimento ad "ogni giorno e per ogni
lavoratore adibito al lavoro notturno oltre i limiti previsti", non sembra
possibile, anche sulla base dell'orientamento giurisprudenziale prevalente,
applicare in tali ipotesi l'articolo 8, comma 1, della legge n. 689 del 1981
che prevede l'istituto del concorso formale. In tal caso, infatti, si è in
presenza di un c.d. precetto a struttura pluralistica per il quale il
legislatore ha ritenuto opportuno commisurare la sanzione al numero dei
lavoratori ed alle giornate lavorative e l'eventuale applicazione della
l'istituto del concorso formale vanificherebbe in sostanza la volontà del
legislatore stesso.
Per tale violazione trova applicazione
l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124
del 2004.
20. Deroghe alla disciplina in
materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima
settimanale.
La norma recepisce una serie di
disposizioni contenute nella direttiva 93/104/CE come modificata dalla
direttiva 2000/34/CE.
Si tratta di una serie di deroghe alle
norme contenute nello stesso decreto legislativo in materia di riposo
giornaliero (art. 7), pause (art. 8), modalità di organizzazione del lavoro
notturno (art. 12), durata del lavoro notturno (art. 13).
La derogabilità è affidata alla
previsione dei contratti collettivi nazionali (comma 1) ovvero, ove
abilitata da questi ultimi, anche alla contrattazione collettiva di secondo
livello.
In mancanza di contrattazione, ovvero
qualora non risultasse possibile definire alcun accordo, è previsto che le
deroghe possano essere adottate con decreto del Ministero del lavoro, su
richiesta delle OO.SS. nazionali di categoria comparativamente più
rappresentative, ivi compresa la eventuale previsione di un periodo di
riferimento più ampio di un quadrimestre, ma contenuto nel periodo di sei
mesi, ai fini del calcolo della media della durata massima dell'orario
settimanale.
Sempre mediante decreto del Ministero
del lavoro e alle condizioni di cui al comma 2 dell'articolo in esame, si
può derogare alla disciplina del riposo giornaliero nelle ipotesi di cui
alle lettere a) e b) del comma 3.
Infine, sempre nel rispetto dei principi
generali di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, viene
previsto (comma 5) che gli artt. 3 (orario normale di lavoro), 4 (durata
massima dell'orario di lavoro), 5 (lavoro straordinario), 7 (riposo
giornaliero), 8 (pause), 12 (modalità di organizzazione del lavoro notturno)
e 13 (durata del lavoro notturno) non trovano applicazione nei confronti dei
lavoratori e delle prestazioni di cui alle lettere a), b), c) e d) del
richiamato comma 5 che, essendo delle esemplificazioni, come lascia
intendere l'espressione "in particolare", non sono ipotesi tassative.
Relativamente alla categoria di
lavoratori di cui alla lettera a) del citato comma 5 (dirigente, personale
direttivo aziendale o di altre persone aventi potere di decisione autonomo)
non può sottacersi – come del resto già fatto presente con circolare n. 10
del 15/2/2000 – che nell'ampia formulazione della norma trovano ingresso
nuove figure professionali che, sebbene prive di potere gerarchico,
conservano, nel disimpegno delle loro attribuzioni, ampia possibilità di
iniziativa, di discrezionalità e di determinazione autonoma sul proprio
tempo di lavoro.
Più in generale, si ritiene, poi, che la
deroga al limite delle 48 ore settimanali riguardi anche quelle attività le
cui peculiarità non consentono di predeterminarne la durata.
Si tratta di attività nelle quali la
professionalità dei lavoratori, dotati di competenze specialistiche, è
condizione essenziale per il funzionamento del servizio, di modo che
l'attività del personale impegnato, talora anche a ragione della continuità
del servizio offerto, reso in alcuni casi anche all'esterno dell'azienda, si
concreta in una serie di interventi che non consentono la pianificabilità,
in termini di tempo, del lavoro necessario al funzionamento del servizio.
21. I lavoratori a bordo di navi da
pesca marittima
La disciplina dell'orario di lavoro dei
lavoratori imbarcati su navi da pesca marittima è contenuta nell'articolo 18
del decreto e differisce da quella dei lavoratori imbarcati su navi da
trasporto.
La durata dell'orario di lavoro è di 48
ore settimanali medie calcolate su un periodo di riferimento di un anno. I
contratti collettivi possono stabilire una durata diversa nei limiti
stabiliti dal decreto. In particolare, la prestazione lavorativa non può
essere eseguita per un periodo superiore a 14 ore nell'arco di 24 ore.
Il periodo di riposo non potrà essere
inferiore a 10 ore nell'arco di 24 ore. Quindi, il lavoratore che inizia a
lavorare alle 08.00 dovrà cessare la sua attività entro le 22.00 del giorno
stesso e non potrà riprendere a lavorare prima delle 08.00 del giorno
successivo.
A questi limiti si sommano quelli
settimanali, in forza dei quali non possono essere superate 72 ore
settimanali di lavoro e devono essere godute almeno 77 ore di riposo.
Le ore di riposo possono essere godute
in modo anche non continuativo ma suddivise in due periodi, in questo caso
uno dei due periodi di riposo non deve essere inferiore a sei ore e tra un
periodo di riposo e l'altro non devono trascorrere più di 14 ore. Quindi, ad
esempio, un lavoratore che inizia a svolgere la sua prestazione alle 08.00
potrebbe cominciare a fruire di un periodo di riposo alle 21.00 per 6 ore.
Quindi riprendere a svolgere la restante ora di prestazione dalle 03.00 alle
4.00 e fruire del rimanente periodo di riposo di 4 ore fin alle 08.00.
A questi lavoratori non si applicano le
disposizioni contenute nel decreto per la generalità dei lavoratori in
materia di durata massima dell'orario di lavoro, di riposo giornaliero, di
pause, di riposi settimanali e di lavoro notturno. La disciplina di questi
aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro trova la propria fonte
nell'autonomia privata.
22. L'orario di lavoro nella P.A.
Il decreto legislativo n. 66/2003 si
applica a tutti i settori di attività, pubblici e privati salve le eccezioni
espressamente previste.
Nello specifico alla disciplina della
durata dell'orario normale di lavoro il decreto legislativo in questione non
cambia nulla rispetto alla legislazione e alla prassi contrattuale vigente.
L'art. 3, che disciplina la materia della durata normale dell'orario di
lavoro, riprende infatti testualmente l'art. 13 della legge n. 196 del 1997,
il quale, a sua volta, dava attuazione alla intesa del 1997 tra
Confindustria e CGIL, CISL, UIL, in materia di orario di lavoro.
Stante il processo di privatizzazione
del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche, nessun dubbio
sussisteva in merito alla applicabilità dell'art. 13 della legge n. 196 del
1997 anche ai lavoratori del settore pubblico. Già oggi vige dunque nel
settore pubblico il principio delle 40 ore settimanali come orario normale
di lavoro, fermo restando che – secondo quanto previsto sia nella legge n.
196 del 1997 sia nel decreto legislativo n. 66 del 2003 – "i contratti
collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata
minore …". Questo è quanto avviene già oggi nel settore pubblico.
Inoltre, l'articolo 3, nella parte
relativa alla disciplina dell'orario plurisettimanale, consente alla
contrattazione collettiva di riferire l'orario normale di lavoro alla durata
media delle prestazioni lavorative in riferimento plurisettimanale. Questa
disciplina è già presente nella contrattazione collettiva del lavoro alle
dipendenze della pubblica amministrazione.
Quindi il decreto legislativo n. 66 del
2003 è destinato a non modificare in modo importante la disciplina in
materia nella P.A. sul presupposto che non sono messe in discussione le
clausole dei contratti collettivi compatibili con la disciplina comunitaria,
quali sono appunto le clausole sulla durata della prestazione e sulla
organizzazione dell'orario di lavoro in generale.
Merita peraltro puntualizzare che in
materia di deroghe agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13, di cui all'articolo
17, comma 5, tra i lavoratori cui si applicano le stesse rientrano, a titolo
esemplificativo, gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e quelli
di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, in
considerazione della durata non predeterminata o predeterminabile della
prestazione lavorativa di tale personale.
L'indicazione delle figure necessarie
allo svolgimento di particolari compiti e delle esigenze di servizio per i
quali sia necessario ricorrere alla deroga di cui sopra spetta
all'amministrazione di competenza.
La deroga, comunque, è prevista al fine
di consentire una organizzazione dell'orario di lavoro compatibile con le
primarie esigenze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Pertanto la facoltà di deroga potrà essere esercitata solo qualora non vi
sia altro modo, quindi altra modalità organizzativa dell'orario di lavoro,
per sopperire alle esigenze indicate. Anche qualora sia esercitata la
facoltà di deroga, questa non potrà costituire un facile espediente per non
modificare l'organizzazione degli orari ma un completamento di essa.
23. Sanzioni
In base al principio di irretroattività
delle leggi che prevedono sanzioni amministrative di cui all'art. 1 della
legge n. 689 del 1981, alle violazioni riferite al periodo antecedente alla
data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 213 del 2004, sarà
applicata la sanzione prevista dalla precedente disciplina, anche se
l'accertamento avvenga in data successiva e anche nel caso di emissione di
ordinanza ingiunzione
A tal riguardo è peraltro possibile
citare quanto dettato dalla sentenza della Suprema Corte n. 16699 del 26
novembre 2002, la quale stabilisce che "in materia di illeciti
amministrativi, l'adozione del principio di legalità, di irretroattività e
di divieto di applicazione dell'analogia, risultante dall'art. 1 della L. n.
689/1981, comporta l'assoggettamento della condotta considerata alla legge
del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della
disciplina posteriore più favorevole"; inoltre la medesima pronuncia
chiarisce che la nuova disciplina non opera "limitatamente ai rapporti
non esauriti, per essere ancora in corso i relativi procedimenti, né in
relazione alle violazioni commesse precedentemente, ma per le quali
l'ordinanza ingiunzione è stata emessa dopo l'entrata in vigore della legge,
atteso che l'ordinanza ingiunzione non è esercizio di un potere e
provvedimento amministrativo costitutivo, ma atto puramente esecutivo,
preordinato soltanto alla riscossione di un credito già sorto per effetto
della violazione commessa".
Per quanto riguarda le sanzioni di
carattere penale si applicano i principi in materia.
24. Abrogazioni
Le disposizioni di legge e di
regolamento in materia di orario di lavoro sono abrogate salve quelle
espressamente richiamate dal decreto legislativo n. 66 del 2003. In
particolare è da ritenersi abrogato l'art. 12 del Rd 10 settembre 1923, n.
1955, relativo all'obbligo di esporre in luogo accessibile a tutti i
lavoratori, l'orario di lavoro, e l Decreto ministeriale 3 agosto 1999,
pubblicato sulla G.U. del 10 agosto 1999, n. 186, perché emanato in
attuazione dell'art. 1, comma 2 bis, della legge n. 409 del 1998, oramai
abrogata.
Roberto Maroni
Decreto Legislativo 8 aprile
2003, n.66
Attuazione delle direttive 93/104/CE e
2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di
lavoro.
(Approvato in via definitiva dal Consiglio
dei Ministri del 4 aprile 2003 - Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14
aprile 2003, n.87 - Suppl. Ord.)
Titolo I
Disposizioni generali
Art. 1
Finalità e definizioni
1. Le disposizioni contenute nel presente
decreto, nel dare attuazione organica alla direttiva n. 93/104/Ce del
Consiglio, del 23 novembre 1993, così come modificata dalla direttiva n.
2000/34/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 2000, sono
dirette a regolamentare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, e
nel pieno rispetto del ruolo della autonomia negoziale collettiva, i profili
di disciplina del rapporto di lavoro connessi alla organizzazione dell'orario
di lavoro.
2. Agli effetti delle disposizioni di cui
al presente decreto si intende per:
a) ´orario di lavoro': qualsiasi periodo
in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni;
b) ´periodo di riposo': qualsiasi periodo
che non rientra nell'orario di lavoro;
c) ´lavoro straordinario': è il lavoro
prestato oltre l'orario normale di lavoro così come definito all'articolo 3
del presente decreto;
d) ´periodo notturno': periodo di almeno
sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque
del mattino;
e) ´lavoratore notturno':
- qualsiasi lavoratore che durante il
periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero
impiegato in modo normale;
- qualsiasi lavoratore che svolga durante
il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme
definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina
collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga
lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all'anno; il suddetto
limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale;
f) ´lavoro a turni': qualsiasi metodo di
organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori
siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un
determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo
o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere
un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane;
g) ´lavoratore a turni': qualsiasi
lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni;
h) ´lavoratore mobile': qualsiasi
lavoratore impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso
una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada,
per via aerea o per via navigabile, o a impianto fisso non ferroviario;
i) ´lavoro offshore': l'attività svolta
prevalentemente su una installazione offshore (compresi gli impianti di
perforazione) o a partire da essa, direttamente o indirettamente legata alla
esplorazione, alla estrazione o allo sfruttamento di risorse minerali,
compresi gli idrocarburi, nonché le attività di immersione collegate a tali
attività, effettuate sia a partire da una installazione offshore che da una
nave;
j) ´riposo adeguato': il fatto che i
lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa
in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi,
a causa della stanchezza della fatica o di altri fattori che perturbano la
organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o
a terzi o danneggino la loro salute, a breve o a lungo termine;
k) ´contratti collettivi di lavoro':
contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori
comparativamente più rappresentative.
Art. 2
Campo di applicazione
1. Le disposizioni contenute nel presente
decreto si applicano a tutti i settori di attività pubblici e privati con le
uniche eccezioni del lavoro della gente di mare di cui alla direttiva
1999/63/Ce, del personale di volo nella aviazione civile di cui alla direttiva
2000/79/Ce e dei lavoratori mobili per quanto attiene ai profili di cui alla
direttiva 2002/15/Ce.
2. Nei riguardi delle forze armate e di
polizia, dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del corpo
nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle strutture
giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali
alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza
pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello stato
le disposizioni contenute nel presente decreto non trovano applicazione
unicamente in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato
o di ragioni connesse ai servizi di ordine e sicurezza pubblica, di difesa e
protezione civile, nonché degli altri servizi espletati dal corpo nazionale
dei vigili del fuoco, così come individuate con decreto del ministro
competente, di concerto con i ministri del lavoro e delle politiche sociali,
della salute, dell'economia e delle finanze e per la funzione pubblica, da
emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto.
3. Le disposizioni del presente decreto
non si applicano al personale della scuola di cui al decreto legislativo 16
aprile 1994, n. 297
4. La disciplina contenuta nel presente
decreto si applica anche agli apprendisti maggiorenni.
Titolo II
Principi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro
Art.3
Orario normale di lavoro
1. L'orario normale di lavoro è fissato in
40 ore settimanali.
2. I contratti collettivi di lavoro
possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l'orario
normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non
superiore all'anno.
Art.4
Durata massima dell'orario di lavoro
1. I contratti collettivi di lavoro
stabiliscono la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
2. La durata media dell'orario di lavoro
non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore,
comprese le ore di lavoro straordinario.
3. Ai fini della disposizione di cui al
comma 2, la durata media dell'orario di lavoro deve essere calcolata con
riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi.
4. I contratti collettivi di lavoro
possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi
ovvero fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all'organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi.
5. In caso di superamento delle 48 ore di
lavoro settimanale, attraverso prestazioni di lavoro straordinario, per le
unità produttive che occupano più di dieci dipendenti il datore di lavoro è
tenuto a informare, alla scadenza del periodo di riferimento di cui ai
precedenti commi 3 e 4, la direzione provinciale del lavoro - Settore
ispezione del lavoro competente per territorio. I contratti collettivi di
lavoro possono stabilire le modalità per adempiere al predetto obbligo di
comunicazione.
Art. 5
Lavoro straordinario
1. Il ricorso a prestazioni di lavoro
straordinario deve essere contenuto.
2. Fermi restando i limiti di cui
all'articolo 4, i contratti collettivi di lavoro regolamentano le eventuali
modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro straordinario.
3. In difetto di disciplina collettiva
applicabile, il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo
accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le 250
ore annuali.
4. Salvo diversa disposizione dei
contratti collettivi il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario è
inoltre ammesso in relazione a:
a) casi di eccezionali esigenze
tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l'assunzione
di altri lavoratori;
b) casi di forza maggiore o casi in cui la
mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a
un pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla
produzione;
c) eventi particolari, come mostre, fiere
e manifestazioni collegate alla attività produttiva, nonché allestimento di
prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse, preventivamente
comunicati agli uffici competenti ai sensi dell'articolo 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241, come sostituito dall'articolo 2, comma 10, della legge
24/12/1993, n. 537, e in tempo utile alle rappresentanze sindacali in
aziendali.
5. Il lavoro straordinario deve essere
computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai
contratti collettivi di lavoro. I contratti collettivi possono in ogni caso
consentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i
lavoratori usufruiscano di riposi compensativi.
Art.6
Criteri di computo
1. I periodi di ferie annue e i periodi di
assenza per malattia non sono presi in considerazione ai fini del computo
della media di cui all'articolo 4.
2. Nel caso di lavoro straordinario, se il
riposo compensativo di cui ha beneficiato il lavoratore è previsto in
alternativa o in aggiunta alla maggiorazione retributiva di cui al comma 5
dell'articolo 5, le ore di lavoro straordinario prestate non si computano ai
fini della media di cui all'articolo 4.
Titolo III
Pause, riposi e ferie
Art. 7
Riposo giornaliero
1. Ferma restando la durata normale
dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo
consecutivo ogni 24 ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo
consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro
frazionati durante la giornata.
Art. 8
Pause
1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero
ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo
per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti
collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della
eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono
e ripetitivo.
2. Nelle ipotesi di cui al comma che
precede, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a
qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una pausa,
anche sul posto di lavoro, tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero
di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui collocazione deve
tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
3. Salvo diverse disposizioni dei
contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini
del superamento dei limiti di durata i periodi di cui all'articolo 5 rd
10/9/1923, n. 1955 e successivi atti applicativi e dell'articolo 4 del rd 10
settembre 1923, n. 1956 e successive integrazioni.
Art. 9
Riposi settimanali
1. Il lavoratore ha diritto ogni sette
giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in
coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di
cui all'articolo 7.
2. Fanno eccezione alla disposizione di
cui al comma 1:
a) le attività di lavoro a turni ogni
volta che il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire, tra la fine del
servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva, di
periodi di riposo giornaliero o settimanale;
b) le attività caratterizzate da periodi
di lavoro frazionati durante la giornata;
c) per il personale che lavora nel settore
dei trasporti ferroviari: le attività discontinue; il servizio prestato a
bordo dei treni; le attività connesse con gli orari del trasporto ferroviario
che assicurano la continuità e la regolarità del traffico ferroviario;
d) i contratti collettivi possono
stabilire previsioni diverse, nel rispetto delle condizioni previste
dall'articolo 17, comma 4.
3. Il riposo di 24 ore consecutive può
essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato
mediante turni per il personale interessato a modelli tecnico-organizzativi di
turnazione particolare ovvero addetto alle attività aventi le seguenti
caratteristiche:
a) operazioni industriali per le quali si
abbia l'uso di forni a combustione o a energia elettrica per l'esercizio di
processi caratterizzati dalla continuità della combustione e operazioni
collegate, nonché attività industriali ad alto assorbimento di energia
elettrica e operazioni collegate;
b) attività industriali il cui processo
richieda, in tutto o in parte, lo svolgimento continuativo per ragioni
tecniche;
c) industrie stagionali per le quali si
abbiano ragioni di urgenza riguardo alla materia prima o al prodotto dal punto
di vista del loro deterioramento e della loro utilizzazione, comprese le
industrie che trattano materie prime di facile deperimento e il cui periodo di
lavorazione si svolge in non più di tre mesi all'anno, ovvero quando nella
stessa azienda e con lo stesso personale si compiano alcune delle suddette
attività con un decorso complessivo di lavorazione superiore a tre mesi;
d) i servizi e attività il cui
funzionamento domenicale corrisponda a esigenze tecniche ovvero soddisfi
interessi rilevanti della collettività ovvero sia di pubblica utilità;
e) attività che richiedano l'impiego di
impianti e macchinari ad alta intensità di capitali o ad alta tecnologia;
f) attività di cui all'articolo 7 della
legge 22 febbraio 1934, n. 370;
g) attività indicate agli articoli 11, 12,
13 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
4. Sono fatte salve le disposizioni
speciali che consentono la fruizione del riposo settimanale in giorno diverso
dalla domenica nonché le deroghe previste dalla legge 22 febbraio 1934, n.
370.
5. Con decreto del ministro del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il ministro per la funzione pubblica
per quanto coinvolge i pubblici dipendenti, adottato sentite le organizzazioni
sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative nonché
le organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, saranno individuate le
attività aventi le caratteristiche di cui al comma 3, che non siano già
ricomprese nel decreto ministeriale 22 giugno 1935, e successive modifiche e
integrazioni, pubblicato nella G.U. n. 161 del 12 luglio 1935, nonché quelle
di cui al comma 2, lett. d), salve le eccezioni di cui alle lettere a), b) e
c). Con le stesse modalità il ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il ministro per la funzione pubblica per quanto coinvolge i
pubblici dipendenti, provvede all'aggiornamento e alla integrazione delle
predette attività. Nel caso di cui al comma 2, lett. d), e salve le eccezioni
di cui alle lettere a), b), e c) l'integrazione avrà senz'altro luogo decorsi
30 giorni dal deposito dell'accordo presso il ministero stesso. I predetti
decreti, per le materie di esclusivo interesse dei dipendenti pubblici, sono
adottati dal ministro per la funzione pubblica, di concerto con il ministro
del lavoro e delle politiche sociali.
Art. 10
Ferie annuali
1. Fermo restando quanto previsto
dall'articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un
periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. I
contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore.
2. Il predetto periodo minimo di quattro
settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non
godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
3. Nel caso di orario espresso come media
ai sensi dell'articolo 3, comma 2, i contratti collettivi stabiliscono criteri
e modalità di regolazione.
Titolo IV
Lavoro notturno
Art. 11
Limitazioni al lavoro notturno
1. L'inidoneità al lavoro notturno può essere accertata attraverso le
competenti strutture sanitarie pubbliche.
2. I contratti collettivi stabiliscono i
requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare
lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore
24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento
di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro
notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di
età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con
la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia
l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12
anni;
c) la lavoratrice o il lavoratore che
abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio
1992, n. 104, e successive modificazioni.
Art. 12
Modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di comunicazione
1. L'introduzione del lavoro notturno deve
essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti
collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali in azienda, se
costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo
applicato dall'impresa. In mancanza, tale consultazione va effettuata con le
organizzazioni territoriali dei lavoratori come sopra definite per il tramite
dell'associazione cui l'azienda aderisca o conferisca mandato. La
consultazione va effettuata e conclusa entro un periodo di sette giorni.
2. Il datore di lavoro, anche per il
tramite dell'associazione cui aderisca o conferisca mandato, informa per
iscritto i servizi ispettivi della direzione provinciale del lavoro competente
per territorio, con periodicità annuale, della esecuzione di lavoro notturno
svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, salvo che
esso sia disposto dal contratto collettivo. Tale informativa va estesa alle
organizzazioni sindacali di cui al comma 1.
Art. 13
Durata del lavoro notturno
1. L'orario di lavoro dei lavoratori
notturni non può superare le otto ore in media nelle 24 ore, salva
l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un
periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto
limite.
2. È affidata alla contrattazione
collettiva l'eventuale definizione delle riduzioni dell'orario di lavoro o dei
trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Sono
fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di
trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori notturni anche se
non concesse a titolo specifico.
3. Entro 120 giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, con decreto del ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il ministro per la funzione pubblica per
quanto coinvolge i pubblici dipendenti, previa consultazione delle
organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più
rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene
stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o
rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di
ogni periodo di 24 ore. Il predetto decreto, per le materie di esclusivo
interesse dei dipendenti pubblici, è adottato dal ministro per la funzione
pubblica, di concerto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali.
4. Il periodo minimo di riposo settimanale
non viene preso in considerazione per il computo della media quando coincida
con il periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al
comma 1.
5. Con riferimento al settore della
panificazione non industriale la media di cui al comma 1 del presente articolo
va riferita alla settimana lavorativa.
Art. 14
Tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno
1. La valutazione dello stato di salute
dei lavoratori addetti al lavoro notturno deve avvenire attraverso controlli
preventivi e periodici adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto,
secondo le disposizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi.
2. Durante il lavoro notturno il datore di
lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui
all'articolo 12, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di
protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno.
3. Il datore di lavoro, previa
consultazione con le rappresentanze sindacali di cui all'articolo 12, dispone,
ai sensi degli articoli 40 e seguenti del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, per i lavoratori notturni che effettuano le lavorazioni che
comportano rischi particolari di cui all'elenco definito dall'articolo 13,
comma 3, appropriate misure di protezione personale e collettiva.
4. I contratti collettivi di lavoro
possono prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione relativamente
alle prestazioni di lavoro notturno di particolari categorie di lavoratori,
quali quelle individuate con riferimento alla legge 5 giugno 1990, n. 135, e
alla legge 26 giugno 1990, n. 162.
Art. 15
Trasferimento al lavoro diurno
1. Qualora sopraggiungano condizioni di
salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno,
accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il
lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se
esistenti e disponibili.
2. La contrattazione collettiva definisce
le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma precedente e
individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal comma
citato non risulti applicabile.
Titolo V
Disposizioni finali e deroghe
Art. 16
Deroghe alla disciplina della durata settimanale dell'orario
1. Fatte salve le condizioni di miglior
favore stabilite dai contratti collettivi, sono escluse dall'ambito di
applicazione della disciplina della durata settimanale dell'orario di cui
all'art. 3
a) le fattispecie previste dall'art. 4 del
rd n. 692/1923 e successive modifiche;
b) le fattispecie di cui al rd n.
1957/1923 e successive modifiche, alle condizioni ivi previste, e le
fattispecie di cui agli artt. 8 e 10 del rd n. 1955/1923;
c) le industrie di ricerca e coltivazione
di idrocarburi, sia in mare che in terra, di posa di condotte e installazione
in mare;
d) le occupazioni che richiedono un lavoro
discontinuo o di semplice attesa o custodia elencate nella tabella approvata
con rd 6 dicembre 1923, n. 2657, e successive modificazioni e integrazioni,
alle condizioni ivi previste;
e) i commessi viaggiatori o piazzisti;
f) il personale viaggiante dei servizi
pubblici di trasporto per via terrestre;
g) gli operai agricoli a tempo
determinato;
h) i giornalisti professionisti,
praticanti e pubblicisti dipendenti da aziende editrici di giornali, periodici
e agenzie di stampa, nonché quelli dipendenti da aziende pubbliche e private
esercenti servizi radiotelevisivi;
i) il personale poligrafico (operai e
impiegati) addetto alle attività di composizione, stampa e spedizione di
quotidiani e settimanali, di documenti necessari al funzionamento degli organi
legislativi e amministrativi nazionali e locali, nonché alle attività
produttive delle agenzie di stampa;
j) il personale addetto ai servizi di
informazione radiotelevisiva gestiti da aziende pubbliche e private;
k) i lavori di cui all'art. 1 della legge
20/4/1978, n. 154 e all'art. 2 della legge 13/7/1966, n. 559;
l) le prestazioni rese da personale
addetto alle aree operative, per assicurare la continuità del servizio, nei
settori appresso indicati:
- personale dipendente da imprese
concessionarie di servizi nei settori delle poste, delle autostrade, dei
servizi portuali e aeroportuali, nonché personale dipendente da aziende che
gestiscono servizi pubblici di trasporto e da imprese esercenti servizi di
telecomunicazione;
- personale dipendente da aziende
pubbliche e private di produzione, trasformazione, distribuzione, trattamento
ed erogazione di energia elettrica, gas, calore e acqua;
- personale dipendente da quelle di
raccolta, trattamento, smaltimento e trasporto di rifiuti solidi urbani;
- personale addetto ai servizi funebri e
cimiteriali limitatamente ai casi in cui il servizio stesso sia richiesto
dall'autorità giudiziaria, sanitaria o di pubblica sicurezza;
m) personale dipendente da gestori di
impianti di distribuzione di carburante non autostradali;
n) personale non impiegatizio dipendente
da stabilimenti balneari, marini, fluviali, lacuali e piscinali.
2. Le attività e le prestazioni indicate
alle lettere da a) a n) del comma 1 verranno aggiornate e armonizzate con i
principi contenuti nel presente decreto legislativo mediante decreto del
ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro
per la funzione pubblica per quanto concerne i pubblici dipendenti, da
adottarsi sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente
rappresentative nonché le organizzazioni nazionali dei datori di lavoro. Il
predetto decreto, per le materie di esclusivo interesse dei dipendenti
pubblici, è adottato dal ministro per la funzione pubblica, di concerto con il
ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Art. 17
Deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro
notturno, durata massima settimanale
1. Le disposizioni di cui agli articoli 7,
8, 12 e 13 possono essere derogate mediante contratti collettivi o accordi
conclusi a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali
comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di
lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro o, conformemente
alle regole fissate nelle medesime intese, mediante contratti collettivi o
accordi conclusi al secondo livello di contrattazione.
2. In mancanza di disciplina collettiva,
il ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro
per la funzione pubblica per quanto coinvolge i pubblici dipendenti, su
richiesta delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria
comparativamente più rappresentative o delle associazioni nazionali di
categoria dei datori di lavoro firmatarie dei contratti collettivi nazionali
di lavoro, adotta un decreto, sentite le stesse parti, per stabilire deroghe
agli articoli 4, terzo comma, nel limite dei sei mesi, 7, 8, 12 e 13 con
riferimento:
a) alle attività caratterizzate dalla
distanza fra il luogo di lavoro e il luogo di residenza del lavoratore,
compreso il lavoro offshore, oppure dalla distanza fra i suoi diversi luoghi
di lavoro;
b) alle attività di guardia, sorveglianza
e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei
beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai
o di imprese di sorveglianza;
c) alle attività caratterizzate dalla
necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in
particolare, quando si tratta:
1) di servizi relativi all'accettazione,
al trattamento o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi,
comprese le attività dei medici in formazione, da case di riposo e da carceri;
2) del personale portuale o aeroportuale;
3) di servizi della stampa, radiofonici,
televisivi, di produzione cinematografica, postali o delle telecomunicazioni,
di servizi di ambulanza, antincendio o di protezione civile;
4) di servizi di produzione, di conduzione
e distribuzione del gas, dell'acqua e dell'elettricità, di servizi di raccolta
dei rifiuti domestici o degli impianti di incenerimento;
5) di industrie in cui il lavoro non può
essere interrotto per ragioni tecniche;
6) di attività di ricerca e sviluppo;
7) dell'agricoltura;
8) di lavoratori operanti nel settore del
trasporto passeggeri in ambito urbano ai sensi dell'articolo 10, comma 1,
punto 14, 2° periodo, del dpr 26 ottobre 1972, n. 633.
d) in caso di sovraccarico prevedibile di
attività, e in particolare:
1) nell'agricoltura;
2) nel turismo;
3) nei servizi postali.
e) per personale che lavora nel settore
dei trasporti ferroviari:
1) per le attività discontinue;
2) per il servizio prestato a bordo dei
treni;
3) per le attività connesse al trasporto
ferroviario e che assicurano la regolarità del traffico ferroviario.
f) a fatti dovuti a circostanze estranee
al datore di lavoro, eccezionali e imprevedibili o eventi eccezionali, le
conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili malgrado la
diligenza osservata;
g) in caso di incidente o di rischio di
incidente imminente.
3. Alle stesse condizioni di cui al comma
2 si può derogare alla disciplina di cui all'articolo 7:
a) per l'attività di lavoro a turni tutte
le volte in cui il lavoratore cambia squadra e non può usufruire tra la fine
del servizio di una squadra e l'inizio di quello della squadra successiva di
periodi di riposo giornaliero;
b) per le attività caratterizzate da
periodo di lavoro frazionati durante la giornata, in particolare del personale
addetto alle attività di pulizie.
4. Le deroghe previste nei commi che
precedono possono essere ammesse soltanto a condizione che ai prestatori di
lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi
eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo
compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che ai
lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata.
5. Nel rispetto dei principi generali
della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le
disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 del presente decreto
legislativo non si applicano ai lavoratori la cui durata dell'orario di
lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata
o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in
particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti, di personale direttivo
delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
b) di manodopera familiare;
c) di lavoratori nel settore liturgico
delle chiese e delle comunità religiose;
d) di prestazioni rese nell'ambito di
rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro.
6. Nel rispetto dei principi generali
della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le
disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 9 e 13 del presente decreto
legislativo non si applicano al personale mobile. Per il personale mobile
dipendente da aziende autoferrotranviarie, trovano applicazione le relative
disposizioni di cui al rdl 19 ottobre 1923, n. 2328 e alla legge 14 febbraio
1958, n. 138.
7. Il decreto di cui al comma 2, per le
materie di esclusivo interesse dei dipendenti pubblici, è adottato dal
ministro per la funzione pubblica, di concerto con il ministro del lavoro e
delle politiche sociali.
Art. 18
Lavoratori a bordo di navi da pesca marittima
1. Gli articoli 4, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14
e 15 non si applicano ai lavoratori a bordo di navi da pesca marittima.
2. Fatte salve le disposizioni dei
contratti collettivi nazionali di categoria, la durata dell'orario di lavoro a
bordo delle navi da pesca è stabilita in 48 ore di lavoro settimanali medie,
calcolate su un periodo di riferimento di un anno, mentre i limiti dell'orario
di lavoro o di quello di riposo a bordo delle navi da pesca sono così
stabiliti:
a) il numero massimo delle ore di lavoro a
bordo non deve superare:
1. 14 ore in un periodo di 24 ore;
2. 72 ore per un periodo di sette giorni;
ovvero:
b) il numero minimo delle ore di riposo
non deve essere inferiore a:
1. 10 ore in un periodo di 24 ore;
2. 77 ore per un periodo di sette giorni.
3. Le ore di riposo non possono essere
suddivise in più di due periodi distinti, di cui uno è almeno di sei ore
consecutive e l'intervallo tra i due periodi consecutivi di riposo non deve
superare le 14 ore.
Art.19
Disposizioni transitorie e abrogazioni
1. Entro un anno dalla data di entrata in
vigore del presente decreto il ministro del lavoro e delle politiche sociali,
unitamente al ministro per la funzione pubblica per quanto coinvolge i
pubblici dipendenti, convoca le organizzazioni dei datori di lavoro e le
organizzazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative al fine di
verificare lo stato di attuazione del presente decreto nella contrattazione
collettiva.
2. Dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo sono abrogate tutte le disposizioni legislative e
regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo,
salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi
carattere sanzionatorio.
3. Per il personale dipendente da aziende
autoferrotranviarie, addetto ad attività caratterizzata dalla necessità di
assicurare la continuità del servizio, fermo restando quanto previsto dagli
articoli 9, comma 5, 16 e 17, restano in vigore le relative disposizioni
contenute nel rdl 19 ottobre 1923, n. 2328 e nella legge 14 febbraio 1958, n.
138, in quanto compatibili con le disposizioni del presente decreto
legislativo
DECRETO LEGISLATIVO 19 luglio
2004, n.213
Modifiche ed integrazioni al decreto
legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio
dell'orario di lavoro.
(G. U. n. 192 del 17-8-2004)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma,
della Costituzione;
Visti gli articoli 1, commi 1 e 4, e 22
della legge 1° marzo 2002, n. 39, recante disposizioni per l'adempimento degli
obblighi derivanti dall'appartenenza del-l'Italia alle Comunita' europee
(legge comunitaria 2001);
Visto il decreto legislativo 8 aprile
2003, n. 66, recante attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva
2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di
lavoro;
Vista la preliminare deliberazione del
Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 19 marzo 2004; Acquisiti i
pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei
Ministri, adottata nella riunione del 16 luglio 2004; Sulla proposta del
Ministro per le politiche comunitarie, del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali e del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i
Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e
per le pari opportunita';
Emana il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Modifiche al decreto legislativo 8 aprile
2003, n. 66
1. Al decreto legislativo 8 aprile 2003,
n. 66, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2 dell'articolo 2 sono
soppresse le parole: «delle Forze armate e di polizia,» e «ordine e sicurezza
pubblica, di difesa e»;
b) al comma 3 dell'articolo 2, aggiungere,
infine, il seguente periodo: «Non si applicano, altresi', al personale delle
Forze di polizia, delle Forze armate, nonche' agli addetti al servizio di
polizia municipale e provinciale, in relazione alle attivita' operative
specificamente istituzionali.»;
c) al comma 5 dell'articolo 4, le parole:
«alla scadenza del periodo di riferimento» sono sostituite dalle seguenti:
«entro trenta giorni dalla scadenza del periodo di riferimento»;
d) il comma 1 dell'articolo 10, e'
sostituito dal seguente: «1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109
del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di
ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto
previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita
alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due
settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso
dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi
successivi al termine dell'anno di maturazione.»;
e) il comma 1 dell'articolo 14 e'
sostituito dal seguente: «1. La valutazione dello stato di salute dei
lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore di lavoro, o per
il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche di cui all'articolo
11 o per il tramite del medico competente di cui all'articolo 17 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, attraverso
controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare
l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i
lavoratori stessi»;
f) dopo l'articolo 18 e' inserito il
seguente:
«Art. 18-bis. Sanzioni
1. La violazione del divieto di adibire
le donne al lavoro, dalle 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di
gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino, e' punita con
l'arresto da due a quattro mesi o con l'ammenda da 516 euro a 2.582 euro. La
stessa sanzione si applica nel caso in cui le categorie di lavoratrici e
lavoratori di cui alle lettere a), b) c), dell'articolo 11, comma 2, sono
adibite al lavoro notturno nonostante il loro dissenso espresso in forma
scritta e comunicato al datore di lavoro entro 24 ore anteriori al previsto
inizio della prestazione.
2. La violazione delle disposizioni di
cui all'articolo 14, comma 1, e' punita con l'arresto da tre a sei mesi o
con l'ammenda da 1.549 euro a 4.131 euro.
3. La violazione delle disposizioni
previste dagli articoli 4, comma 2, 3 e 4, e 10, comma 1, e' punita con la
sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per
ciascun periodo cui si riferisca la violazione.
4. La violazione delle disposizioni
previste dagli articoli 7, comma 1, e 9, comma 1, e' punita con la sanzione
amministrativa da 105 euro a 630 euro.
5. La violazione della disposizione
prevista dall'articolo 4, comma 5, e' punita con la sanzione amministrativa
da 103 euro a 200 euro.
6. La violazione delle disposizioni
previste dagli articoli 3, comma 1, e 5, commi 3 e 5, e' soggetta alla
sanzione amministrativa da 25 euro a 154 euro. Se la violazione si riferisce
a piu' di cinque lavoratori ovvero si e' verificata nel corso dell'anno
solare per piu' di cinquanta giornate lavorative, la sanzione amministrativa
va da 154 euro a 1.032 euro e non e' ammesso il pagamento della sanzione in
misura ridotta.
7. La violazione delle disposizioni
previste dall'articolo 13, commi 1 e 3, e' soggetta alla sanzione
amministrativa da 51 euro a 154 euro, per ogni giorno e per ogni lavoratore
adibito al lavoro notturno oltre i limiti previsti.»; g) all'articolo 19,
comma 2, le parole: «e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio» sono
soppresse.
Il presente decreto, munito del sigillo
dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana.
E' fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e farlo osservare.
Dato a Roma, addi' 19 luglio 2004
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei
Ministri
Buttiglione, Ministro per le politiche
comunitarie
Maroni, Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Mazzella, Ministro per la funzione
pubblica
Frattini, Ministro degli affari esteri
Castelli, Ministro della giustizia
Siniscalco, Ministro dell'economia e delle
finanze
Prestigiacomo, Ministro per le pari
opportunita'
Visto, il Guardasigilli: Castelli;