La
responsabilità penale del R.S.S.P.
Di Pierluigi Varischi,
Avvocato.
***
Il Ruolo
consultivo e propositivo del Servizio di Prevenzione e Protezione.
La ragione della istituzione del
servizio di prevenzione e protezione risiede nella necessità, riconosciuta dal
legislatore, di far acquisire al datore di lavoro, obbligato a concretizzare la
sicurezza in azienda, una conoscenza globale e specifica delle situazioni di
rischio presenti nell'ambito lavorativo, in quanto ineliminabili ([1]
), valutare il grado di intensità di esse, disponendo, possibilmente di notizie
aggiornate sulle misure più idonee a fronteggiarle.
Dal momento che tutto ciò implica il
possesso di competenze professionali e specialistiche non comuni, uno studio
accurato di realtà spesso complesse e variamente articolate e una preparazione
tecnica e giuridica che solo esperti della materia possono vantare, è derivata
pertanto la necessità che lo sforzo prevenzionale del datore di lavoro sia
affiancato ed assistito da un organismo aziendale in grado di fornire, sia pure
a livello meramente consultivo e propositivo, quei supporti tecnici e
professionali indispensabili all'elaborazione e all'attuazione di un efficace
piano di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro inteso quale
programmazione del miglioramento delle condizioni di prevenzione e protezione.
La dottrina è unanime nel ritenere
che il soggetto designato dal datore di lavoro a svolgere le funzioni di
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con i compiti delineati
dall'art. 9 del D.Lvo 626/94, sia da intendersi come organo meramente consultivo
e propositivo, svolgendo «il ruolo di mero coordinatore» del servizio di
prevenzione e protezione, con funzione di «supporto tecnico al datore di lavoro»
([2]),
il quale farà sua la consulenza «per meglio ottemperare agli obblighi di cui è
esclusivo destinatario»([3]).
In effetti, è facile constatare la
natura meramente consultiva del servizio e del suo responsabile, il quale
certamente non ha per sé il potere di adottare le misure di sicurezza e disporre
per le relative spese «pertanto in tale veste deve considerarsi semplice
ausiliario del datore di lavoro» ([4]),
in quanto «nel modello di gestione partecipata proposto dalla nuova disciplina,
il datore di lavoro è obbligato ad operare le proprie scelte in materia,
interpellando sempre i suoi esperti e consultando contemporaneamente i
rappresentanti dei beneficiari della tutela, affinché le decisioni da adottare
sia le più meditate possibili e vengano assunte alla stregua delle indicazioni
scaturenti dalla costruttiva dialettica di tutte le parti interessate» ([5]).
In altre parole, il responsabile e
gli addetti del servizio di prevenzione e protezione mantengono una «funzione
essenzialmente consultiva e promozionale» e ciò la dottrina prevalente lo
inferisce dall'assenza di obblighi penalmente sanzionati in capo ai predetti, in
quanto «non sono stati compresi tra i soggetti sanzionati penalmente per le
violazioni eventualmente commesse nell'esercizio delle loro attribuzioni» ([6]).
R.S.P.P.
e i reati propri del datore di lavoro.
In questo proposito è stato affermato
che «i componenti del servizio aziendale di prevenzione, essendo semplici
ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere
direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere
decisionale. Essi sono soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e
delle loro elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore
dell'amministrazione dell'azienda (ad esempio, in campo fiscale, tributario,
giuslavoristico ecc.), vengono fatti propri da chi li ha scelti sulla base di un
rapporto di affidamento liberamente instaurato e della loro opera si avvale per
meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario» ([7]).
In altre parole l'RSPP ha il compito
di coadiuvare il datore di lavoro nell'assolvimento dei suoi doveri, fornendogli
quelle competenze tecniche ed organizzative di cui ha bisogno, attesa la varietà
e complessità degli interventi diretti a garantire la tutela della salute e
della sicurezza dei dipendenti, ma non ha autonomo obbligo di effettuare
controlli sulla effettiva applicazione dei presidi antinfortunistici, in quanto
privo di quella posizione di garanzia che il legislatore ha identificato
espressamente in capo al datore di lavoro, al dirigente e al preposto,
nell'ambito delle loro rispettive attribuzioni e competenze.
La norma che ha istituzionalizzato il
servizio di prevenzione e protezione non ha identificato un nuovo garante della
sicurezza, tantomeno, ha inteso trasferire su di esso quote di posizione di
garanzia già attribuite al datore, al dirigente e al preposto.
Ciò in quanto non è rinvenibile al di
là dell'art. 9 Dlgvo 626/94 - che precisa e delimita gli ambiti in cui è
legittima la consultazione di un RSPP da parte del datore di lavoro - una
correlativa norma che imponga allo stesso RSPP di concorrere nella politica
aziendale delle scelte sulla sicurezza o, tantomeno, di determinarsi a
verificare che la normativa prevenzionale sia rispettata ([8]).
Solo chi è giuridicamente obbligato
ad agire per attuare i precetti contenuti nella normativa sulla sicurezza e
igiene sul lavoro è correlativamente il responsabile della loro violazione.
Tutti gli altri soggetti, non avendo obblighi di determinarsi per realizzare la
sicurezza non possono essere chiamati a rispondere della omissione di presidi
antinfortunistici obbligatori.
Applicando le regole generali del
diritto penale ai reati contravvenzionali in materia di sicurezza e prevenzione
degli infortuni sui luoghi di lavoro, emerge che si tratta di reati propri, tali
da poter essere commessi solo da soggetti che rivestano le speciali qualifiche
individuate nel precetto legislativo sanzionato, ossia il datore di lavoro o il
committente nel caso di appalto, il dirigente, il preposto, il medico
competente, il progettista, il fabbricante, il venditore, ecc., figure
soggettive tra le quali non spicca mai il responsabile o l'addetto al servizio
di prevenzione e protezione.
Se dunque vi è quasi unanimità nella
dottrina nel ritenere che l'RSPP non sia responsabile della commissione del
classico reato omissivo proprio in materia prevenzionale vi è da segnalare,
tuttavia, che qualche problema interpretativo potrebbe insorgere con la
realizzazione di un evento lesivo di danno alla persona, ossia quando
dall'omissione di una misura di prevenzione idonea ad impedire un evento (che
come si è detto sopra di per sé non comporta responsabilità per l'RSPP) si
verifichi conseguentemente un infortunio o una malattia professionale a carico
di un lavoratore.
Condotta
omissiva dell'R.S.P.P. e causazione di un infortunio al lavoratore subordinato.
Ci si domanda se dall'omissione di
misure di prevenzione, la mancata o erronea valutazione dei rischi, l'assenza di
idonee misure di prevenzione e protezione (per le quali non vi è punibilità
dell''RSPP) possa comportare una responsabilità del consulente allorquando dalle
stesse derivi un infortunio.
E' necessario analizzare, dunque, se
dalle norme generali del diritto penale, in relazione alla parte speciale, sia
dommaticamente rinvenibile o meno una responsabilità dell'RSPP nel non aver
svolto i compiti di cui all'articolo 9 del D.lvo n. 626/94, contribuendo così
alla causazione dell'evento lesivo occorso al lavoratore in concorso con il
datore di lavoro.
In proposito è stato risposto che va
distinto nettamente «il piano delle responsabilità prevenzionali
derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle
responsabilità per reati colposi di evento, quando cioè si siano verificati
infortuni sul lavoro o tecnopatie» in quanto, «nel caso in cui l'errore
valutativo del consulente abbia comportato non la creazione di un semplice stato
di pericolo, ma la produzione di un evento lesivo dell'incolumità e della salute
di un terzo, ci si trova davanti ad un reato comune di danno e la ricerca delle
responsabilità va, quindi, compiuta alla stregua del normale criterio secondo
cui qualunque comportamento colposo abbia contribuito a produrre l'evento
lesivo, nella misura in cui tale condotta si inserisca eziologicamente nel
determinismo causale, genera in chi l'ha posto in essere la responsabilità per
ciò che è accaduto. Pertanto, anche il consulente che, agendo con imperizia,
imprudenza, negligenza o osservanza di leggi e discipline, abbia dato un
suggerimento sbagliato, oppure abbia trascurato di segnalare una situazione di
rischio, inducendo così il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una
doverosa misura prevenzionale, risponderà assieme a questi dell'evento di danno
derivatone, essendo a lui ascrivibile a titolo di colpa professionale che può
assumere, in alcuni casi, un carattere addirittura esclusivo» ([9]).
In relazione a ciò è stato affermato
che «è evidente la sussistenza a carico dello stesso RSPP di un obbligo di
sicurezza che trova una sanzione mediata nel codice penale» e addirittura che
«quella posta dal D.Lgs. n. 626/94 è norma perfetta ed attuabile ma riceve
tutela penale dall'intervento della sanzione contenuta nel codice penale,
realizzando così un sistema che - nel caso di specie - richiede al RSPP la
realizzazione di un risultato e non semplicemente l'applicazione della ordinaria
diligenza» ([10])
La
cooperazione colposa con il datore di lavoro mediante comportamento omissivo
dell'RSPP in caso di infortunio del lavoratore.
Sulla scorta di tali considerazioni
non è infrequente rilevare un orientamento di alcuni magistrati che, a fronte
della causazione di un evento lesivo di danno occorso ad un lavoratore per
omissioni di adeguati presidi antinfortunistici, oltre a rilevare la
responsabilità dei soggetti obbligati giuridicamente ad attivarsi per impedire
l'infortunio (datore di lavoro, dirigenti, preposti), contestino, a titolo di
cooperazione colposa ex art. 113 c.p., anche all'RSSP la responsabilità per aver
concorso nell'omissione, conferendo agli stessi pertanto un obbligo di attivarsi
che in realtà non pare rinvenirsi dai principi generali del diritto penale,
mancando in principio l'obbligo di attivarsi in capo all'RSPP.
Ad esempio, in un caso di lesioni
personali colpose occorse ad una lavoratrice subordinata di una impresa di
pulizie, appaltatrice presso un centro commerciale del servizio di pulizia,
feritasi utilizzando una pressa per il recupero dei rifiuti cartacei ubicata nei
locali del datore di lavoro committente, è stato inscritto nel registro degli
indagati anche l'RSPP del committente, accusato di aver cooperato colposamente
(art. 113 c.p.) con il datore di lavoro per aver omesso di valutare ed eliminare
il pericolo insito nell'utilizzo di tale macchina.
Ad un esame più approfondito della
qualifica giuridica dell'RSPP è stato poi ritenuto che non vi fosse
responsabilità del consulente. Il magistrato, richiedendo l'archiviazione della
notizia di reato nei confronti dell'RSPP ha scritto che, egli «nella mera
qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione del
Supermercato ... non aveva alcun dovere di valutare la rispondenza o meno ai
prescritti requisiti di sicurezza della pressa concessa in uso, né di valutare
(e prevenire) eventuali rischi connessi ad attività di personale di ditte
esterne operanti in regime di appalto». Ciò in quanto «l'art. 8, 3° comma ultima
parte D.Lvo 626/94 esclude conseguenze pregiudizievoli connesse al mero incarico
di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ...» ([11]).
In altre parole la valutazione
giuridica della vicenda, fatta propria dal Gip del Tribunale di Gorizia, è
fondata sul principio che il ruolo di RSPP non comporta l'assunzione di un
obbligo di attivarsi per la prevenzione in quanto, la mera posizione di
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione non è da sola sufficiente
a creare una posizione di garanzia assimilabile a quella di un datore di lavoro,
o di un dirigente, o di un preposto.
E infatti, quand'anche l'RSPP abbia
omesso di agire per controllare l'adeguatezza della macchina concessa in uso dal
datore di lavoro, va tuttavia richiamato il principio secondo il quale il «non
impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo» (art. 40 c.p.) solo in quanto vi sia, appunto, un obbligo
giuridicamente identificabile, cosa che come si è detto sopra non è dato
rinvenire a carico dell'RSPP.
In questo caso non avrebbe nemmeno
senso parlare di cooperazione colposa (Art. 113 c.p.) dell'RSPP con il datore
di lavoro, diventando questa un'ipotesi di connivenza non punibile. E
infatti è come è stato autorevolmente affermato «L'esistenza di detto obbligo
impeditivo contraddistingue il concorso per omissione dalla mera connivenza, che
si ha quando il soggetto assiste passivamente alla mera perpetrazione di un
reato, che ha la possibilità ma non l'obbligo di impedire» ([12]).
Va rilevato, infatti, che per aversi
concorso per omissione, è necessario che l'omissione sia condizione necessaria o
agevolatrice del reato, e che tale omissione costituisca violazione dell'obbligo
giuridico di garanzia, cioè di impedimento dei reati altrui del tipo di quello
commesso dal datore di lavoro, per cui l'RSPP, tenendo il comportamento
doveroso, avrebbe impedito o reso più ardua la realizzazione del medesimo.
Il ruolo di preposto e di
dirigente e la designazione a RSPP.
A diversa conclusione sarebbe potuto
pervenire il giudice nel caso in cui il soggetto designato RSPP avesse in realtà
anche il ruolo effettivo di dirigente o preposto per la sicurezza, e in tale
veste si sarebbe dovuto determinare per controllare l'esatta corrispondenza
dello strumento di lavoro alle norme tecniche di sicurezza.
In questo caso è agevole rinvenire in
capo a tale una responsabilità penale concorsuale con quella del datore di
lavoro in quanto preposto o dirigente, per aver contribuito, omettendo i dovuti
controlli sulla sicurezza dello strumento di lavoro, alla causazione
dell'infortunio.
________
[1]
Ineliminabili in quanto strettamente connessi con l'attività lavorativa e
tra i quali non possono essere comprese quelle situazioni
tecnico-impiantistiche o organizzativo-funzionali che costituiscano di per
sé violazione di norme prevenzionali previgenti.
[2]
Giovanni Nicolini, ISL n. 3/99 p. 139.
[3]
Culotta, il responsabile esterno del servizio di sicurezza. Responsabilità
civile e penale, Culotta, Di Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza nei
luoghi di lavoro,1996, 98
[4]
Giovanni Nicolini, ISL n. 3/99 p. 139.
[5]
Culotta, Di Lecce, Costagliola, "Prevenzione e sicurezza nei luoghi di
lavoro, pp69, V ed. 1998, Il sole 24h.
[6]
Ibidem
[7]
Ibidem, p. 75
[8]
Così, Carmelo Catanoso, Il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione. 1995, Pirola.
[9]
Culotta, Di Lecce, Costagliola, "Prevenzione e sicurezza nei luoghi di
lavoro, pp69, V ed. 1998, Il sole 24h.
[10]
Gabriele Taddia, ISL 9/99, pag. 509
[11]
Tribunale di Gorizia, Ufficio del Giudice per le indagini preliminari,
decreto di archiviazione 11.03.00 nel proc. pen. n. 874/2000 R.G.N.R.
[12]
F. Mantovani, Diritto Penale, parte generale, p. 529, 1992, CEDAM.