L.R.

ha pronunciato la seguente

Reg. Sent. n.57/2005

Reg. Ric.  n. 211/2004

S E N T E N Z A

 

rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe Massi e Sergio Menna,  con domicilio eletto in L’Aquila, presso la Segreteria dell’adito TAR

c o n t r o

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, lo Stato Maggiore dell’Esercito, in persona del suo Capo di Stato maggiore, il 9° RGT Alpini della Brigata Taurinense di stanza in L’Aquila, in persona del suo Comandante p.t., tutti  rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato dell’Aquila,  con domicilio eletto in L’Aquila, presso la sua sede,

per l’annullamento

del provvedimento n.61/092-DISP/CP  del 4.2.2004 dello Stato Maggiore Esercito Impiego del personale-Ufficio Impiego Ufficiali-, con cui si dispone il trasferimento dell’Ufficiale ricorrente dal 9° Rgt.Alp.,sede L’Aquila, a 2° Rgt.g.gua., sede Trento, a decorrere dal 9.2.2004;

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Visto l’atto di costituzione in giudizio;

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore alla pubblica udienza del 15 dicembre 2004 il magistrato,  Consigliere Luciano Rasola;

      Uditi, altresì, i difensori delle parti costituite come da verbale;

      Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Il ricorrente è Ufficiale Superiore dell’Esercito Italiano con grado di Maggiore.

Dopo aver premesso d’aver prodotto nel mese di settembre 2004 il ricorso n.533/2003 avverso la sanzione del rimprovero, in cui paventava e presagiva  “un’ingiusta azione punitiva di trasferimento”, timore confermato con il provvedimento impugnato con l’odierno gravame, il ricorrente illustra in breve il curriclum in suo possesso, da cui emerge in buona sostanza una documentazione caratteristica di primissimo piano, avendo ricevuto incarichi di prestigio (l’ultimo dei quali quello di Capo Ufficio Logistico del 9°Reggimento Alpini), nonché valutazioni, spesso, di “Eccellente” e anche di “Eccellente con compiacimento”  o  di “Eccellente con vivo compiacimento” e apprezzamenti quali “si distingue tra i pari grado per tratto, forma e concretezza d’azione “;  “la sua opra è stata costantemente di primissimo piano…Figura di spicco che ha di fatto dimostrato e messo in evidenza tutte le sua straordinarie facoltà”.

Sottolineato  quindi d’aver subìto negli ultimi anni ben sei trasferimenti d’autorità, mai opposti,  con una media di uno ogni due anni e mezzo, di cui uno in sede disagiata ove è rimasto non già tre anni, come dovuto, ma cinque anni, il Maggiore fa presente d’essere stato inviato in missione il 26.2.2003 in Afghanistan, prima a Bagram e poi a Khowst, ove svolgeva i compiti del Capo Gestione del materiale del 9°Rgt Alpini (il Capo Ufficio Logistico è anche Capo Gestione del materiale;  a Khowst l’incarico assegnato era di Addetto – e non già Capo –  Cellula S4, nonostante fosse previsto negli organici che il Capo Ufficio Logistico del Reggimento avrebbe assunto l’incarico di capo Cellula S4). Ogni esigenza veniva comunque sottoposta al Comandante della sede di Khowst, Col. Berto, già Comandante del 9° Rgt Alpini.

Alla subìta deminutio  dell’incarico si sono associati, per il ricorrente,  problemi di ordine familiare (la moglie, sola all’Aquila, al 5°mese di gravidanza,  subìva ripetute e serie minacce d’aborto e il figlio di 3 anni manifestava ceritificati squilibri psicofisici) che lo hanno indotto ad avanzare domanda di rimpatrio, accolta in relazione alla gravità dei documenti che la suffragavano.

Qualche giorno dopo la presentazione di tale domanda, il Maggiore (omissis), in data 5.4.2003,  subiva la sanzione del rimprovero per una richiesta di materiali (30 estintori per un contingente di circa 700 militari) giudicata superficiale;  la sanzione veniva inflitta al di fuori di ogni regola procedurale, non consentendo all’Ufficiale di spiegare che la richiesta era conforme al D.M. 10.3.1998 del Ministro dell’Interno relativa ai criteri generali di sicurezza antincendio.

Il 10.4.2003  il (omissis) faceva ritorno in Italia e il 29.5.2003 gli veniva notificata proposta di trasferimento dall’Aquila in altra sede di servizio alla quale l’interessato rispondeva invitando ad adottare le comunicazioni di rito che prevedono la dichiarazione di “gradimento” del destinatario.

Il 17.6.2003 veniva quindi notificata al Maggiore la documentazione caratteristica in cui il Col. Berto   dichiarava che lo stesso ha remore di carattere privato nell’essere utilizzato all’estero, facendo quindi menzione  della sanzione del rimprovero, poi eliminata in sede di autotutela il 5.12.2003 a seguito del ricorso al TAR n.533/2003.

Da detto giudizio il 2° Revisore Gen.le Battisti desumeva “difficoltà di inserimento nel  Contingente” dovute alla ragioni familiari, nonché un giudizio di inidoneità “per tali difficoltà a rimanere in un rgt di proiezione”.

Il 16.7.2003, con lett.02/2176, il 9°rgt Alpini informava che il trasferimento avrebbe avuto luogo entro l’anno presso il 2°rgt.genio guastatori di Trento.

Infine in data 4.2.2004 veniva notificato al ricorrente il provvedimento di trasferimento a Trento, recante quale  data di presentazione quella del 9.2.2004.

Avverso tale atto insorge l’Ufficiale ricorrente deducendo:

a)  Violazione della L.231/1990 e del D.M. 19993/603, art. 4 e del D.M.1996/690, art.4, nonché eccesso di potere sotto diversi profili.

Le comunicazioni rivolte all’Ufficiale (del 29.5, del 4.6 e del 16.7.2003),essendo di partecipazione al provvedimento di impiego/reimpiego,  sono comunicazioni emesse per il solo personale interessato ad un trasferimento di ente/sede per l’a. 2003 (alleg.E della Circ. relativa alla pianificazione decentratata per il quinquennio 2003/2007).   

Detta circolare definisce “l’avviso di orientamento d’impiego” la diversa comunicazione rivolta al personale interessato a trasferimenti per il periodo 2004/2007, che prevede l’eventuale “non gradimento” avverso detto avviso (alleg.F).

La Circolare del 21.3.2003 del Comando Forse Operative Terrestri prevede poi la partecipazione al “provvedimento di impiego/reimpiego”  esclusivamente per i trasferimenti per l’anno 2003;  la comunicazione degli “orientamenti di impiego” al rimanente personale per  il  periodo 2003/2006.

Le comunicazioni rivolte al Maggiore con le lettere innanzi citate, rispondendo al modello predisposto dal Comfoter nell’all. “E” alla anzidetta circolare del 21.3.2003, configurano una  “proposta di reimpiego” e non già una  “proposta di orientamento di reimpiego”.

Se ciò è, il trasferimento dell’Ufficiale sarebbe dovuto avvenire entro novanta giorni dalla comunicazione di conclusione del procedimento del 16.7.2003, secondo quanto disposto dal D.M. Difesa 16.9.1993, n.603, di cui si denuncia dunque la violazione palese, posto che l’Amministrazione della Difesa, dopo aver stabilito norme di condotta,  le disattende poi nel caso concreto, lasciando trasparire una volontà vessatoria.

b) Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di eccesso di potere per incoerenza ed illogicità dell’azione amministrativa e violazione delle Direttive SME  PERS per l’impiego del personale.

Ci si duole in particolare che il trasferimento non sia stato disposto nel periodo estivo (luglio-settembre), così come previsto, sia pure in via di massima,  dalla Direttiva SME PERS 2001 diramata il il 19.11.2001, la cui ratio  di agevolare la sistemazione  dei militari e dei loro nuclei familiari  nelle nuove sedi è stata del tutto disattesa.

Singolare peraltro appare che , dopo nove mesi di attesa,  il  trasferimento sia  stato disposto con una urgenza del tutto sospetta e sintomatica dell’intento punitivo, posto che la comunicazione è del 4.2.2004 e il trasferimento decorra dal 9.2.2004, quando poi non sono state rappresentate ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità e nell’atto non sono state indicate le esigenze che hanno motivato la particolare forma di comunicazione, ex art.5.1.2 del D.M. Difesa 8.8.1996, n.690.

c) Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l’eccesso di potere per illogicità manifesta del provvedimento con le esigenze di impiego degli Ufficiali e con il principio della normale rotazione negli incarichi, nonché per sviamento nel perseguire finalità diverse da quelle proprie dell’atto adottato. 

Con detto motivo si evidenzia la logica punitiva del provvedimento adottato che emergerebbe dal nesso temporale ravvisabile tra  la sanzione disciplinare del 5.4.2003, tra la proposta di trasferimento del 29.5.2003 e la notifica del rapporto informativo del 17.6.2003 relativo al periodo prestato all’estero, che anziché contenere valutazioni in ordine al lavoro svolto in  detto periodo, è preordinato, nella sua formulazione,  al provvedimento di trasferimento, di cui il ricorrente aveva avuto contezza già con la comunicazione del 29.5.2003 di  proposta da parte del Comandante del 9° rgt.alpini,  Col Berto.

Si tratta di eventi troppo ravvicinati  e straordinariamente collegati sotto il profilo logico  tra loro per essere esenti dal sospetto di un disegno teso ad un trasferimento di natura punitiva – sostiene il ricorrente -,   che lamenta inoltre l’illegittimità del giudizio circa  l’inidoneità dell’Ufficiale a rimanere in un reggimento di proiezione, ove non si prevede l’impiego all’estero, quando per tale impiego i requisiti necessari sono altri e tutti posseduti dal ricorrente.

La P.A. avrebbe insomma perseguito una finalità del tutto estranea a quella propria del reimpiego, tenendo comportamenti del tutto contraddittori, prima riconoscendo la validità delle ragioni familiari, in ragione delle quali è stato accordato il rientro del militare in Italia e poi  sanzionandole in modo persecutorio fino all’atto finale del trasferimento che conclude il disegno programmato.

d) Con l’ultimo motivo si denuncia l’eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e della prevaricazione, affermandosi che la violenza usata nei confronti del ricorrente può essere assimilata al fenomeno del  “nonnismo” o del  “mobbing” per il forte pregiudizio morale e personale subito dall’esponente, cui si è impedito di fattodi svolgere un lavoro sereno.

Si è costituta in giudizio l’Amministrazione intimata che, qualificati i provvedimenti d’autorità dei militari quali ordini, replica che tali atti  sono sottratti all’obbligo della motivazione e al rispetto delle norme sul procedimento sulla scorta di giurisprudenza consolidata, confutando le altre censure mosse, tra cui l’accusa di “nonnismo”, di cui si chiede lo stralcio in quanto offensiva nei confronti delle Forze armate e, comunque, rinviando all’ampia relazione dell’Amministrazione della Difesa, con cui si forniscono articolate motivazioni a sostegno del disposto trasferimento.

Altra memoria ha fatto pervenire in data 12.5.2004 il ricorrente che insiste nelle tesi prospettate.

Anche l’Amministrazione ha prodotto ulteriore memoria in data 23.11.2004, con cui motiva ampiamente il trasferimento in relazione ad esigenze di servizio riconducibili al normale avvicendamento tra Ufficiali dell’Arma dei Trasporti e Materiali (Arma cui appartiene il ricorrente) nell’ambito della pianificazione di tipo decentrato elaborata dal Comando delle Forze Operative (COMFOTER) per il periodo 2003/2007.  

Dopo la trattazione orale, la causa è stata  trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2004        
 

     

D I R I T T O

Il ricorso è fondato e va accolto.

Il Collegio non ignora la giurisprudenza formatasi in ordine ai provvedimenti di trasferimento d’autorità del personale militare che si inquadrano nel genus degli ordini, come si evince dall’interpretazione storica, letterale e sistematica delle norme contenute negli artt.4.4 e 12.1  L.382/1978 e negli artt.1.2, 2.1, 23 e 25 del regolamento di disciplina militare di cui al DPR 545/1986, per cui non soggiacciono all’obbligo di motivazione e alle altre garanzie procedimentali dettate dalla L.241/1990 (Tar Campania, NA, sez.IV, 26.1.2004, n.288;  C.S., sez.IV, 29.1.1996, n.85;   8.5.2000, n.2641;   9.11.1999, n.2106).

Tuttavia, la vicenda sottoposta all’esame del Collegio presenta, come si dirà,  una sua specifica peculiarità che legittima, in base ad  una delibazione non sommaria degli atti di causa, una soluzione diversa da quella prefigurabile secondo la citata giurisprudenza.

Intanto non può  trascurarsi che lo stesso ordinamento militare, all’art.17 della L.382/1978,  ha sanzionato come illegittimi i trasferimenti  discriminatori fondati su ragioni ideologiche o politiche o, comunque, vessatorie (cfr.  Ordinanza C.S., sez.IV, 30.11.1999, n.2268, che si è pronunciata sul caso di un trasferimento ad una sede di servizio particolarmente lontana da quella originaria).

Aggiunge il Collegio che devono ritenersi parimenti illegittimi i trasferimenti apparentemente motivati da esigenze di servizio (nella specie il trasferimento non risulta motivato anche se poi ampie motivazioni vengono inammissibilmente fornite in sede contenziosa sia nelle due memorie dell’Avvocatura, sia nella relazione dell’Amministrazione), ma sostanzialmente inficiati dal vizio di sviamento di potere, quando gli stessi si connotino di sottese intenzioni punitive desumibili dalle complessive modalità di svolgimento della vicenda che ha preceduto il trasferimento.

Ciò significa, ad avviso del Collegio, che, motivato o non motivato che sia l’atto di trasferimento del militare (nella specie l’atto non viene censurato per difetto di motivazione per cui inconferente appare il richiamo alla giurisprudenza secondo cui i trasferimenti non richiedono motivazione essendo qualificabili come ordini;  va  peraltro ricordato, per incidens, che l’art.4.4 del D.M. 16.9.1996, n.603 dispone senza eccezione alcuna che “i provvedimenti dell’Amministrazione devono essere motivati ai sensi dell’art.3 della legge” ),  detto atto deve poter essere sindacato,  perché funzione peculiare del giudice amministrativo, tra l’altro,  è quella di indagare l’eccesso di potere dell’azione amministrativa soprattutto quando si presenti nella forma sfuggente dello sviamento, come noto difficilmente dimostrabile o smascherabile, tenuto conto che,  se si escludesse, in tali fattispecie, il sindacato del giudice amministrativo o se fosse il giudice stesso a rifuggire da tale penetrante indagine, si consentirebbero aree di privilegio nell’esercizio della funzione pubblica, per non dire  abusi di potere (come accaduto per la irrogazione della sanzione del rimprovero poi ritirato), incompatibili con i principi elementari dello Stato democratico e  di diritto, come codificati nell’art.113.2 della Costituzione, principi che, per quanto possibile, non sono estranei nemmeno all’ordinamento delle Forze Armate.

Appare doveroso chiarire, infatti, che il trasferimento del militare, quando è riconducibile senza alcun’ombra di dubbio al superiore interesse dell’Arma di appartenenza costituisce ordine e non abbisogna di motivazione, per cui, sotto tale profilo non è sindacabile,  mentre quando è  percepibile il sintomo di un possibile sviamento di potere perché usato per finalità estranee all’interesse pubblico deve poter essere assoggettato al  pieno sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Orbene, proprio lo svolgimento degli antefatti e il loro collegamento cronologico e logico, nella specie,      consentono di affermare che il trasferimento del (omissis) è stato l’epilogo punitivo di una vicenda non tollerata dalla Superiore Gerarchia militare.

Un primo evidente profilo, dello sviamento si coglie nella indubbia  contraddizione degli atti posti in essere dall’Amministrazione.

Una volta accettata la domanda dell’Ufficiale di rientro in patria dall’Afghanistan per inderogabili esigenze di famiglia, ritenute evidentemente valide  (la moglie, sola in L’Aquila, al 5° mese di gravidanza, era colpita ripetutamente da  serie minacce d’aborto e il figlio di anni tre manifestava certificati squilibri fisici e psicologici),   appare del tutto contraddittorio trasferire il militare ad una sede di servizio notevolmente distante dall’Aquila.

Delle due l’una: o le ragioni familiari addotte erano valide o non lo erano; e in questo secondo caso tanto valeva non accettare la domanda di rientro in Italia.

Il punto è che detto rientro non sembra sia stato ben tollerato dai Superiori (e ciò è percepibile dal concatenarsi cronologico e logico dei fatti verificatisi), se è vero, come è vero, che, qualche giorno dopo la domanda di rientro   e comunque prima del ritorno in Italia  avvenuto il 10.4.2003,  l’Ufficiale,  avente al suo attivo una documentazione caratteristica  di assoluta positività (ha conseguito spesso il giudizio di eccellente ed anche di eccellente con vivo compiacimento per il periodo dal 10.9.2001 al 31.5.2002, mentre nel rapporto informativo per il  successivo periodo 1.6.2002/18.11.2002  si parla di lui come di “figura di spicco” , di  elemento fornito di professionalità  “di primissimo piano”  che si distingue  tra i pari grado,ecc.),  veniva sottoposto il 3.4.2003  al  provvedimento disciplinare del rimprovero  per una richiesta di materiali  (circa 30 estintori per un contingente di circa 700 militari)  ritenuta superficiale, provvedimento adottato al di fuori di ogni garanzia procedimentale e che ha impedito al ricorrente di fornire le proprie spiegazioni  (provvedimento successivamente ritirato, in via di autotutela,  il 5.12.2003, in sede di modifica della valutazione caratteristica, disposta non per un errore formale, così come sostiene la difesa dell’Amministrazione, ma   a seguito del ricorso a questo TAR n. 533/2003 prodotto dal (omissis), il che dimostra la non superficialità della richiesta, conforme al D.M.10.3.1998 del Ministro dell’Interno, e l’arbitraria ostilità insita nella sanzione comminata).

Tornato all’Aquila, la sensazione che vi sarebbero state ulteriori e più gravi ritorsioni è stata presto confermata dalla nota del 29.5.2003, con cui all’Ufficiale veniva notificata la comunicazione di avvio del procedimento  relativo alla proposta di  un reimpiego ad altra sede di servizio, ai sensi dell’art.8 L.241/1990 e del D.M. 16.9.1993,n.603, recante il Regolamento di attuazione degli artt.2, 3 e 4 della L.241/1990, nonché ai sensi della Direttiva applicativa relativa alla Pianificazione decentrata per il quinquennio 2003/2007, punto 2, che dispone appunto l’obbligo della Pianificazione di prevedere la partecipazione dell’interessato al provvedimento di reimpiego comportante un trasferimento di sede.

Alla nota del 29.5.2003 ha fatto seguito la notifica in data 17.6.2003 del rapporto informativo, che, invece di contenere valutazioni in ordine al lavoro svolto in Afghanistan dal 26.2.2003 al 10.4.2003, si limita ad una pregiudiziale notazione negativa, spiegando che l’Ufficiale   “ha remore di carattere privato nell’essere impiegato all’estero”, per cui non viene ritenuto  “adatto per tali difficoltà a rimanere in un reggimento di proiezione”, quando i requisiti per l’impiego all’estero, previsti dalle direttive dello SME del 12, 13, 21.7.2000 e del 9.4.2001, il (omissis) li possiede tutti (preparazione professionale, idoneità fisica,  mancanza di precedenti penali e affidabilità morale).

E’ singolare e comunque distorsivo della realtà fattuale che il giudizio relativo alle remore di impiego all’estero (si usa il verbo al presente: “ha remore” , e non al participio passato: “ha avuto remore”) non si riferisca ad una specifica situazione verificatasi, ma lasci intendere  una perdurante, quanto inesistente e ingiustificata,   volontà di fondo dell’Ufficiale contraria a missioni all’estero, il che non è.     

Già dal ravvicinamento temporale degli eventi sopra indicati e dal loro collegamento è possibile desumere come gli stessi si configurino orditi e  preordinati ad un disegno punitivo, sotto le parvenze di un trasferimento d’autorità.

Se così non fosse, si dovrebbe spiegare come la nota datata 17.7.2003, n.02/2186/PERS-73 di comunicazione di conclusione del procedimento d’impiego, sottoscritta dall’interessato il 22.7.2003 e inoltrata al fine della presentazione, da parte dello stesso,  di osservazioni e controdeduzioni (il c.d. gradimento),  recava la data del 21.7.2003, quale termine per far pervenire dette osservazioni, che l’Ufficiale pertanto, contrariamente all’assunto dell’Amministrazione, non ha prodotto perché gli è stato negato  il tempo materiale di inviarle, in quanto già decorso,  con la conseguente vanificazione e violazione di ogni garanzia partecipativa, prevista dalle disposizioni innanzi citate e solo apparentemente posta in essere.

L’impugnato provvedimento, perciò solo, si appalesa illegittimo per violazione del punto 2 della Direttiva applicativa relativa alla Pianificazione decentrata per il  quinquennio 2003/2007 e per violazione degli artt.5 e 6 del D.M.16.9.1993, n.603.   

Non può pertanto la difesa dell’Amministrazione imputare al ricorrente il fatto di non aver presentato memorie e di non aver prospettato le esigenze di famiglia, che peraltro dovevano già essere note alla Gerarchia, che le aveva ritenute valide ai fini del ritorno in Italia.

Proprio siffatta valutazione rende palese il comportamento contraddittorio delle scelte compiute, perché se per il rimpatrio  si riconosce la validità delle problematiche  familiari del ricorrente, non si possono poi ignorarle subito dopo destinandolo ad una sede alquanto lontana dalla famiglia, così disvelando, per la ravvicinata  consecutio temporale e logica dei provvedimenti, un disegno vessatorio,  intrinsecamente estraneo alla finalità propria del reimpiego (TAR Toscana, sez.I, 16.12.2002, n.3360), assimilabile al fenomeno del “mobbing” largamente presente in molti settori dell’amministrazione, non escluso le componenti della Forza Armata. E’ infatti un dato incontestabile che detto fenomeno, nell’ambito di qualsiasi apparato,  non  può che essere posto in essere da posizioni di comando nei riguardi di subordinati e, se ciò è, detto fenomeno può verificarsi in forme grossolane e/o sottili e  sfuggenti, soprattutto quando, in tale ultimo caso, ad attuarle sono soggetti con un particolare potere di supremazia.

Il ricorrente, che al riguardo ha parlato anche di “nonnismo”, nella memoria del 12.5.2004, ha chiarito la natura non offensiva del riferimento a tale termine, con cui all’interno delle Forze Armate si indica quel fenomeno deviante di prevaricazione che può assumere, a seconda dei casi, le forme più varie, per cui non si ritiene di  aderire alla richiesta di stralcio avanzata dalla difesa dell’Amministrazione, non eccedendo le espressioni usate gli ordinari limiti di un corretto espletamento dell’incarico professionale e della normale dialettica processuale (cfr. TAR Lazio,sez.II ter, 22.5.2002, n.4549). 

Altro profilo di illegittimità del provvedimento impugnato sta nella dedotta violazione del procedimento previsto dall’art.4.3 del D.M. 16.9.1993, n.603, in quanto, dopo le comunicazioni di reimpiego, l’ultima delle quali notificata al Maggiore (omissis) il 22.7.2003, il procedimento si sarebbe dovuto concludere entro novanta giorni e cioè il 22.10.2003.

Vero è che la scadenza di detto termine, che non è perentorio,  non fa venir meno il potere-dovere  dei competenti organi dell’Amministrazione di provvedere, giusta quanto stabilisce il  3° comma del citato art.4, ma è altresì vero che proprio detta norma stabilisce che l’obbligo di provvedere va assolto comunque  “con ogni sollecitudine”,  mentre, nella specie, dopo l’ultima comunicazione risalente al 22.7.2003, il ricorrente si è visto recapitare il provvedimento di trasferimento in data 4.2.2004, quando riteneva,  per l’abbondante decorso del tempo,  esaurita l’azione dell’Amministrazione militare, tenuto anche  conto “ dei sei precedenti trasferimenti”, cui il (omissis) è stato assoggettato, “con una media di uno ogni due anni e mezzo, tutti d’autorità, nessuno opposto”.

V’è di più !

V’è che la effettiva assunzione di servizio presso la sede di Trento è stata stabilita al 9.2.2004, ad appena cinque giorni dopo la data della comunicazione che è del 4.2.2004,  il che, oltre a confermare, sotto altro profilo,  l’atteggiamento vessatorio di cui sopra, viola la Direttiva SME PERS 2001 del 9.11.2001, n.113/07/PIC, che prevede il criterio secondo cui l’avvicendamento debba avvenire, sia pure in via di massima, nel  “periodo estivo (luglio/settembre)  mediante una pianificazione  pluriennale ed una conseguente programmazione annuale delle esigenze, per realizzare un preavviso di almeno un anno nei confronti del personale interessato”.

Detta disposizione, com’è evidente, appare sensibile alle esigenze più strettamente familiari dei militari, che non sono quindi trascurate,  onde consentire che il trasferimento non renda difficoltoso  l’inserimento dei componenti il nucleo familiare nel  tessuto sociale della nova sede (iscrizione dei figli alle scuole, reperimento dell’alloggio, ecc.).

Nella specie, le necessità della famiglia del (omissis) sono state completamente ignorate, in violazione palese dei criteri che la stessa Amministrazione si è data, il che costituisce altro non secondario elemento a favore di quel funus persecutionis  che non può non percepirsi in tutta la vicenda.

Né l’Amministrazione ha addotto, nella specie, particolari esigenze di celerità o indicato nell’atto relativo le esigenze che hanno motivato la particolare forma di comunicazione, in violazione dell’art.5.1.2 del D.M.Difesa 8.8.1996, n.690. 

  Per le ragioni tutte che precedono il ricorso va accolto con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Le spese di causa seguono la soccombenza.

P. Q.  M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo - L’Aquila, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna l’Amministrazione della Difesa al pagamento delle spese di causa che si liquidano in € 4.000,00.

      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

      Così deciso in L’Aquila dal Tribunale Amministrativo Regionale  per l’Abruzzo nella Camera di Consiglio del 15 dicembre 2004, con la partecipazione dei magistrati:

Santo             BALBA                     - Presidente

Rolando         SPECA                     - Consigliere

Luciano         RASOLA                  - Consigliere, rel., est. 
 
 
 
 

PUBBLICATA MEDIANTE DEPOSITO

IL   04/02/05                                                           Il Segretario Generale

                                      (Dott. Giuseppe Lattanzio) 
 

            TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’ABRUZZO - L’AQUILA

            A NORMA DELL’ART.87 DEL REGOLAMENTO DI PROCEDURA

            17 AGOSTO 1907 N.642, COPIA CONFORME ALLA PRESENTE E’

  STATA TRASMESSA A: ____________________________________

            __________________________________________________________

            ADDI’ __________________________________

                        IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

 
 

nrg.


 
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’ABRUZZO

L’AQUILA