Rilevanti per il riconoscimento della causa di servizio le circostanze di lavoro

Lo stress da lavoro non dipende solo dalla mansione

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(Tar Lazio 5596/2002)

 

 

 

 

Per stabilire se una infermità sia stata provocata dal tipo di lavoro svolto ed accertare quindi l'esistenza della causa di servizio, è necessario prendere in considerazione non soltanto la natura delle mansioni prestate ma anche le circostanze di fatto in cui il lavoratore opera. In base a tale principio il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha annullato i provvedimenti con i quali il Ministero della Difesa aveva respinto la richiesta di equo indennizzo, presentata dalla vedova di un dipendente pubblico, sostenendo che l'infermità, causa della morte del dipendente, non era dovuta alle mansioni svolte, non caratterizzate da gravi responsabilità decisionali , ma alla presenza di fattori costituzionali di rischio del soggetto. Per i giudici amministrativi, invece, l'esistenza di tali fattori di rischio, unitamente allo svolgimento di mansioni non dirigenziali, non sono sufficienti ad escludere il nesso di causalità tra l'infermità e la causa di servizio. Il Tar ha infatti ritenuto tali motivazioni insufficienti e non supportate da un'adeguata istruttoria, in quanto la Pubblica amministrazione. non ha accertato l'esistenza di fattori esterni che potrebbero aver agito come concause , né ha operato una adeguata valutazione del lavoro prestato dal dipendente, trascurando soprattutto il fatto che il dipendente aveva svolto mansioni superiori alla qualifica di appartenenza, per la mancanza dei relativi titolari, per un periodo di tempo prolungato ed oltre il normale orario di lavoro. (27 giugno 2002)

 


Tribunale amministrativo Regionale per il Lazio, sentenza n. 5596/2002

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL LAZIO, SEZIONE I BIS

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 4852/1995-R.G. proposto dalla sig.ra M. E., ved. P. , rappresentata e difesa dall’avv. U. Sgueglia, presso il cui studio in Roma, alla via O. Lazzarini n.19, è elettivamente domiciliata;

contro

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato di Roma ;

per l'annullamento

del decreto Ministeriale del 28.9.1994 di reiezione del ricorso gerarchico prodotto avverso il d.d. 25.1.1991 col quale era stata respinta l’istanza della ricorrente volta alla concessione dell’equo indennizzo per l’infermità che ha causato la morte del coniuge.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione della Difesa;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 27.5.2002 la relazione del I° Referendario Pietro Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

La ricorrente, vedova dell’ex coadiutore F. P., già in servizio presso l’U.I.T.S. ( ente vigilato dall’amministrazione della Difesa), in esito al decesso del coniuge, avvenuto in costanza d’impiego, ed al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di tale evento (verbale C.m.o. di Roma dell’8.10.1987), ebbe a chiedere la corresponsione di equo indennizzo ai sensi della vigente normativa.

L’istanza de qua venne respinta con d.d. del 1991 sulla base del concorde parere del C.p.p.o. e della C.m.l. che esclusero che l’attività lavorativa condotta dal de cuius potesse importare un carico stressogeno tale da incidere, quale efficiente concausa, nel determinismo dell’evento mortale.

Il diniego in questione venne impugnato in via amministrativa con ricorso gerarchico, anch’esso respinto col provvedimento in epigrafe indicato previo ulteriore parere del C.m.l. che ha confermato le conclusioni raggiunte in prime cure.

Con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio la vedova P. rivendica la pretesa indennitaria esibendo documentazione degli ex superiori del coniuge attestante lo zelo, l’efficienza e la non comune dedizione con cui assolveva all’impiego, in mansioni superiori a quelle inrente il suo profilo professionale.

Analoghe conclusioni vengono ribadite in memoria conclusionale depositata il 10.2.2000.

La difesa erariale si è costituita, nell’interesse dell’amministrazione della Difesa, depositando mero atto di stile senza allegare memoria o nota difensiva alcuna.

All’udienza del 27.5.2002 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.

 

DIRITTO

La vedova P. contesta, con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio, la legittimità dei provvedimenti di reiezione dell’istanza di equo indennizzo da essa presentata di seguito al riconoscimento della natura professionale (id est: dipendente da causa di servizio) dell’infermità "arresto cardiaco da infarto miocardico antero inferiore".

Il Collegio concorda con la tesi prospettata in gravame che ritiene meritevole di accoglimento.

Infatti l’iter logico che ha indotto il C.p.p.o. ad escludere ogni efficienza concausale all’attività lavorativa resa dal dipendente, riposa, di fatto, nella qualifica da questi rivestita (coadiutore) cui non si correlano mansioni idonee a produrre stress emozionali di livello tale da scatenare una simtomatologia stenocardica.

Tale criterio deduttivo – secondo il quale lo stress lavorativo sarebbe ricollegabile solo alla titolarità di gravi responsabilità decisionali – non trova concorde il Collegio in quanto sottovaluta, se non esclude, la rilevanza che nel determinismo che ha indotto all’infermità possono avere speso le circostanze di fatto in cui l’attività lavorativa (di dipendente non rivestente posizione apicale o dirigenziale) si è svolta (es. pendolarismo, fattori ambientali legati all’ufficio in cui viene espletata la prestazione, continuità, gravosità e particolare impegnatività della stessa legate a elementi di fatto peculiari, ecc…).

Altrimenti detto il rapporto di causa-effetto tra lavoro e infermità può essere negato solo se si dimostra dettagliatamente che lo sviluppo della malattia è effettivamente indipendente dall’attività lavorativa, non potendosi, in linea di principio, escludere l’incidenza di fattori esterni, ovvero concause capaci di concorrere all’insorgenza della patologia, anche in caso di infermità di natura endocostituzionale e degenerativa. Ed è appena il caso di ricordare , a tal proposito, che in sede di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio, non è necessario che risulti assolutamente certo il nesso di causalità tra prestazione del servizio e infermità, essendo sufficiente che tale nesso sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità (Cons. St., Sez. VI, n. 159 del 17 febbraio 1999).

I principi dianzi esposti non hanno trovato applicazione nel caso di specie, essendosi il C.p.po. ( e la concorde C.m.l.), limitato ad escludere che le mansioni connesse alla posizione di Coadiutore presso l’UITS non possono importare, per loro natura, un carico stressogeno tale da contribuire al danno ischemico che, dunque, deve ritenersi legato esclusivamente a fattori costituzionali.

Si tratta all’evidenza di una motivazione inesauriente che nessun riferimento opera alle attestazioni offerte dall’Amministrazione di appartenenza del dipendente nelle quali si evidenzia che costui, univa al carico di lavoro derivante dalla propria funzione di Capo dell’Ufficio contabilità, l’ulteriore carico inerente al disbrigo di mansioni superiori alla qualifica posseduta; mansioni protrattesi nel tempo a causa della mancanza dei relativi titolari e disimpegnate non episodicamente anche oltre il normale orario d’ufficio, trascurando la cura di personali indisposizioni o riprendendo servizio prima della data suggerita dal medico curante. Tutte le relazioni dell’amministrazione, unite in atti dalla ricorrente, si soffermano poi sulla automatizzazione delle procedure di contabilità realizzata presso l’Ente, col significativo contributo del P., durante gli ultimi dodici mesi di vita dello stesso.

La particolarità del caso richiedeva pertanto una motivazione più diffusa da parte dell’amministrazione, non potendo la stessa sottrarsi dal chiarire, sul piano scientifico, anche mediante l’eventuale ausilio di integrazione documentale da parte dell’UITS sulle obiettive condizioni e circostanze inerenti la situazione lavorativa del dipendente, quali fossero gli elementi da cui ha tratto la conclusione che la malattia era attribuibile unicamente a fattori costituzionali del soggetto interessato e perché nel caso di specie era da escludere una interazione di cause genetiche con gli specifici fattori di servizio che avevano contraddistinto la prestazione del dipendente e la preponderanza delle prime cause nel determinismo dell’infermità che ha condotto a morte l’impiegato.

Essa invece si è limitata a supportare il proprio giudizio con la preesistenza di fattori (costituzionali) di rischio e con il mancato riscontro di responsabilità dirigenziali; conclusione questa che in fattispecie in cui sia documentata l’attività continuativa particolarmente stressante del dipendente (anche non avente qualifica apicale) costituisce affermazione di criterio tecnico inadeguato a fondare il giudizio di esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’infarto miocardico (cfr., in tal senso, Cons.St., IV^, n.601 del 1999).

Le considerazioni svolte portano alla conclusione che l’atto impugnato sia da ritenere inficiato dai dedotti vizi di istruttoria e motivazione carenti [1], ( per cui il ricorso proposto merita di essere accolto. Soluzione questa che impone all’Amministrazione di provvedere al rinnovo del procedimento, sulla base delle argomentazioni sopra evidenziate e fermo restando che la natura particolarmente stressante ed impegnativa dell’attività svolta dal dipendente non può desumersi solamente da dichiarazioni ricognitive e postume rese da funzionari dell’UITS ma deve trarsi, con sostanziale prevalenza, da riscontri documentali obiettivi ( es. straordinari effettuati dal dipendente, prospetto ferie godute, certificazioni mediche di convalescenza che autorizzavano il rientro in ufficio dopo la data in cui lo stesso si è effettivamente verificato, qualifiche carenti nella dotazione organica dell’Ente le cui mansioni sono state assicurate dal dipendente….ecc.).

Una ulteriore notazione è necessaria.

In sede di decisione del ricorso gerarchico, il potere di riesame, da parte dell’autorità sovraordinata, dell’atto impugnato tende a fini giustiziali e dunque la decisione gerarchica, in caso di reiezione del gravame, non si sostituisce al provvedimento impugnato, ma si limita a riconoscere insussistenti i vizi denunciati col ricorso; pertanto la decisione di rigetto ha l’effetto di confermare la validità del provvedimento di amministrazione attiva dopo averne valutata la conformità alle norme, giuridiche o di merito, la cui violazione è stata posta a fondamento dell’atto di impugnazione. Consegue a tanto, per giurisprudenza consolidata:

che gli effetti dispositivi veri e propri – quelli cioè connessi alla gestione concreta dei pubblici interessi inclusi nell’area di esercizio del potere amministrativo – vanno pur sempre collegati al primo provvedimento una volta che di questo risulti confermata la validità in sede di riesame su ricorso gerarchico;

che l’annullamento della decisione gerarchica, per vizi non propri ( es. incompetenza) ma per vizi legati al provvedimento di base ( come nel caso di specie), importa la caducazione anche di quest’ultimo provvedimento.

Applicando tali pacifici principi alla controversia in esame, ne segue che l’annullamento della decisione gerarchica si estende, ex sé, anche al provvedimento di base, e cioè all’atto del 25.1.1991, di diniego della pretesa indennitaria ed importa la rinnovazione del procedimento secondo le normae agendi sopra indicate.

Possono compensarsi tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti di diniego dell’equo indennizzo impugnati.

Spse compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionaledel Lazio, sez. I^ bis, nella Camera di Consiglio del 27.5.2002,con l’intervento sei sigg.ri Giudici:

Dott. Cesare Mastrocola Presidente

Dott. Bruno R. POlito Consigliere

Dott. Pietro Morabito Giudice rel.ed est.re

IL PRESIDENTE

IL MAGISTRATO ESTENSORE

Depositata in Segreteria il 19 giugno 2002.

 

 

 

 

[1] La legge n.241/1990 ("Nuove Norme in Materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) stabilisce all'art. 3 che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, con l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione , in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

Non è richiesta la motivazione per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.