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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

SEZIONE TERZA BIS

composto dai Signori:

dr. Roberto  SCOGNAMIGLIO          Presidente, rel.

dr. Vito  CARELLA            Consigliere

dr. Antonio VINCIGUERRA           Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sui ricorsi riuniti  10183 del 1998, 16113 del 1998, 3908 del 1999, 8534 del 2000, 10483 del 2000 e 10794 del 2000, proposto da FOSSATELLI Rita, rappresentata e difesa dagli Avvocati Arturo Sforza e Fausto Checcacci, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via Ettore Rolli, 24;

C O N T R O

E NEI CONFRONTI

  1. nel ricorso n. 10183 del 1998: di PETRUCCI Nadia (n.c.);

PER L’ANNULLAMENTO

  1. nel ricorso n. 16113 del 1998: MUSMECI Rosario (n.c.)

PER L’ANNULLAMENTO

  1. nel ricorso n. 3908 del 1999: MUSMECI Rosario (n.c.);

PER L’ANNULLAMENTO

4) nel ricorso 8534 del 2000: Liceo Classico statale “Claudio Eliano di

    Palestrina e Musmeci Rosario (n.c.);

PER L’ANNULLAMENTO

 

 

5) nel ricorso n. 10483 del 2000: MUSMECI Rosario (n.c.);

PER L’ANNULLAMENTO

6) nel ricorso n. 10794 del 2000: Liceo ginnasio statale Ugo Foscolo

     di Albano Laziale

PER L’ANNULLAMENTO

Visti i ricorsi con i relativi allegati e, in particolare, l’oggetto delle

singole domande;

     Visto il ricorso per motivi aggiunti al ricorso 8534 del 2000;

      Viste le precedenti ordinanze cautelari e le sentenze interlocutorie emesse nel corso del processo;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Uditi alla pubblica udienza del 20 gennaio 2001, con designazione del Consigliere Roberto Scognamiglio relatore della causa, i procuratori delle parti comparsi come da verbale d’udienza.

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1 - Con sentenza interlocutoria 15 aprile 1999 n. 945 la Sezione ha disposto l’acquisizione di numerosa documentazione dopo avere riuniti i primi tre ricorsi indicati in epigrafe per motivi di connessione. I ricorsi 10183 e 16113 del 1998 e 3908 del 1999 riguardano, infatti l’azione continuata dell’amministrazione della pubblica istruzione nei confronti di una insegnante di ruolo di latino e greco in servizio presso un liceo classico statale della Capitale.

     Analoghe ragioni impongono la trattazione unitaria degli ultimi tre ricorsi indicati in epigrafe (8534, 10483 e 10794 del 2000), i quali, pur se relativi a provvedimenti di gestione del rapporto di pubblico impiego con la ricorrente adottati in momenti successivi al 30 giugno 1998, sono all’evidenza proposti a difesa contro l’azione persistente dell’amministrazione, frutto del disegno, concepito in modo unitario e perseguito da epoca anteriore alla data suddetta, di allontanare dal servizio una docente ritenuta scomoda.

2 – Con il primo ricorso (10138 del 1998 la docente, insegnante di liceo, impugnava il provvedimento con il quale era assegnata alla cattedra di latino nel ginnasio della medesima scuola per l’anno scolastico 1998/99.

     La Sezione, con ordinanza 27 agosto 1998 n. 1176, respingeva l’istanza di sospensione dell’atto impugnato.

     In appello il Consiglio di Stato riformava l’ordinanza per il pregiudizio arrecato alla posizione giuridica della ricorrente, tenuto conto della sua anzianità di servizio e richiamate le esigenze di continuità didattica della stessa amministrazione.

     In esecuzione di quest’ultima ordinanza (Sezione VI, 23 ottobre 1998 n. 1621) il preside riammetteva in servizio la ricorrente.

     Quest’atto doveroso dell’amministrazione non riuscì gradito a un gruppo di alunni e ai loro genitori, che ebbero l’iniziativa (si ignora con quanta dose di spontaneità) di denunciare la impossibilità di instaurare con la docente un rapporto didatticamente e umanamente sereno a motivo dell’atteggiamento aggressivo che quest’ultima era solita avere nei loro confronti, oltre che di tutto il personale della scuola, preside compresa.

     In conformità al parere espresso dal Collegio dei docenti nella riunione del 16 novembre 1998, il preside con provvedimento del 17 novembre, poi convalidato con decreto ministeriale del giorno 24, sospendeva l’insegnante per dieci giorni in applicazione dell’art. 506, comma quarto, del decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297.

     Sul secondo ricorso proposto dall’interessata (16113 del 1998) la Sezione respingeva la richiesta di sospensiva per essersi al momento esauriti gli effetti dell’atto contestato (ordinanza 21 dicembre 1998 n. 1770).

     Il collegio dei docenti, che evidentemente non intendeva desistere dal proposito di allontanare la docente dalla scuola, nella riunione del 21 gennaio 1999 induceva il vice-preside vicario ad adottare in data 27 gennaio un provvedimento di sospensione dal servizio per cinque mesi, che l’amministrazione centrale con nota 439 del 4 febbraio 1999 non convalidava, risultando le motivazioni addotte a sostegno del suddetto provvedimento “insufficienti e non adeguatamente incisive per giustificare l’adozione della sospensione dal servizio per motivi di urgenza; inoltre, il provvedimento de quo si appalesa non conforme alla normativa vigente”.

      Nella successiva riunione dell’11 febbraio 1999, il collegio dei docenti proponeva la sospensione della ricorrente dal servizio in attesa del suo trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale ai sensi dell’art. 468 del T.U. 297 del 1974.

     Contro il provvedimento del preside (n. 29 del 12 febbraio), convalidato con decreto 17 febbraio 1999 n. 89 del provveditore agli studi di Roma, era proposto il terzo ricorso (3908 del 1999).

     Il quarto ricorso (8534 del 2000) era rivolto contro il decreto del provveditore 19774 del 10 aprile 2000 di trasferimento d’ufficio per accertata situazione di incompatibilità ambientale al liceo classico di Palestrina.

     Con ordinanza 5000 del 19 giugno 2000 la Sezione, fissando nell’interesse di entrambe le parti l’udienza di discussione dei quattro ricorsi per il 20 novembre 2000 (l’udienza non si è tenuta per impedimento alla funzionalità del Collegio giudicante), accoglieva la istanza di sospensiva.

     Con il ricorso n. 10483 del 2000 l’interessata impugnava il decreto provveditoriale n. 19773 (Ufficio Disciplina) datato 4.4.2000, con cui le veniva inflitta la sanzione della “sospensione dall’insegnamento per giorni sette” a decorrere dal 17.11.1998”.

     In pretesa esecuzione della ordinanza 5000 del 19 giugno 2000 l’amministrazione con provvedimento 824 del 3 luglio 2000 disponeva, con effetto immediato, l’utilizzazione della ricorrente presso il liceo classico di Albano Laziale.

     Detto provvedimento, impugnato con ricorso 10794 del 2000, veniva sospeso con ordinanza 6484 del 27 luglio 2000.

     Con motivi aggiunti proposti sul ricorso 8534 del 2000 ai sensi dell’art. 21, comma primo, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come integrata dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, l’interessata ha in ultimo impugnato il provvedimento (6383 del 30 agosto 2000) di trasferimento a domanda ad altro liceo classico di Roma: domanda inoltrata quando ella era titolare a Palestrina (per effetto del trasferimento d’ufficio impugnato con il ricordato ricorso 8534 del 2000) e che doveva essere ritenuta caducata e inefficace dal momento della concessione di sospensione cautelare da parte di questa Sezione (ordinanza 5000 del 19 giugno 2000).

3 – La complessa controversia nasce da un profondo contrasto tra l’insegnante e l’ambiente nel quale essa opera.

     Occorre accertare il motivo del contrasto e, soprattutto, a chi esso sia addebitabile e, con riferimento alle norme che regolano l’attività della pubblica amministrazione, la correttezza delle soluzioni date alla vicenda.

4 – Al centro è la personalità della ricorrente.

     Non si trova agli atti testimonianza più affidabile di quella offerta dall’ispettore ministeriale, che in data 7 ottobre 1998 ebbe l’incarico dal provveditore di accertare la vera misura dello stato di tensione tra la docente e l’ambiente denunciato dal preside del liceo.

     L’ispettore, che sarà nella sua relazione estremamente critico nei riguardi dalla ricorrente (tanto da essere a un certo momento ricusato da quest’ultima) e che fornirà, con le proprie considerazioni materiale determinante per i provvedimenti che sarebbero stati poi adottati dall’amministrazione, descrive la ricorrente in termini elogiativi per la sua preparazione culturale e professionale, per l’impegno didattico e la assoluta dedizione al lavoro.

      Di particolare rilievo l’iniziativa del “certamen augusteum” e il coinvolgimento dei suoi studenti alle manifestazioni dedicate alla lingua e alla cultura del mondo classico, ampiamente apprezzate e divulgate dalla stampa.

     Alle pressioni ricevute dai genitori e studenti (si insiste nel dubitare sulla loro spontaneità) durante i colloqui intrapresi nel corso dell’ispezione (“spesso mi è stato chiesto quali possibilità di intervento avesse l’amministrazione”; “poiché di solito la richiesta era riferita alla possibilità che la professoressa venisse mandata altrove d’ufficio”) il funzionario spiegava con prudenza che, per ottenere quel risultato, fosse necessario comprovare precise responsabilità dell’insegnante.

     Per quanto riguarda la contestazione “di una qualche inidoneità didattica”, l’ispettore rilevava che in presenza di documenti, che parlano a favore di una notevole preparazione culturale dell’insegnante, bisognava dimostrare che vi fosse dato un qualche cedimento nella “trasmissione didattica”.

      In altro punto della relazione, se da un lato l’ispettore mostrava cura a precisare che “gli atti dei fascicoli citati non sono tutti da raccogliere in chiave negativa: vi si trovano attestati di lavori e ricerche pubblicati, di corsi frequentati con merito, di interventi tesi al miglioramento dell’attività scolastica, dall’altro soggiungeva che “purtroppo il contenzioso che ho citato e che dovrò riferire in seguito assume tale peso da fare passare in secondo piano i meriti”.

     Nelle considerazioni ora ricordate è la chiave di lettura dell’intera vicenda.

     Ed invero, dall’esame degli atti emergono le conseguenze dello scontro di due opposti e radicati aspetti del carattere: per un verso, generosità e impulsività che poggiano su intelligenza non comune e indiscussa superiorità culturale estesa a vasti campi, compreso quello giuridico (a questo va riferito il gradevole – se capito – spirito di forte autoironia, assorbita dagli autori classici, greci e latini, della quale la ricorrente è profonda conoscitrice); per altro verso, estrema fragilità che poggia su una grande sensibilità d’animo, amore senza limiti per il lavoro, sentito come missione, intransigente rispetto dei propri doveri.

     All’evidenza la docente subisce la condizione di figlia unica di genitori anziani, ai quali in modo esclusivo ha dedicato la sua vita affettiva.

     Alla onestà intellettuale deve essere riferita la consapevolezza dei propri limiti.

     La ricorrente sa bene – tanto per portare un esempio – di non tenere in ordine i registri, come è innegabile che questo sia dovuto a un forte difetto di vista.

     Pure, non deve apparire come un’anomalia (perché rientra tra gli effetti dello scontro interno tra i due opposti aspetti del carattere) che la ricorrente chieda di essere giustificata per la sua inadempienza (come detto, per il disordine nella tenuta dei registri: inadempienza che la medesima vive con profonda mortificazione), dove nei confronti degli altri è intransigente nel pretendere l’adempimento ai doveri.

     E’ questa intransigenza, che si manifesta con puntigliosità spesso eccessiva e permalosità oltre misura, a nuocere all’immagine della ricorrente, facendone una persona che con il tempo diventa quasi insopportabile.

     E’ una prova il rapporto con la nuova preside subentrata all’inizio dell’anno scolastico 1998/99.

     Anche con quest’ultima, che sembrava certamente ben disposta nei suoi confronti, la docente si pone molto presto in contrasto, ricorrendo ai soliti esposti e denunce.

     E’ pur vero che il conflitto appare, in una certa misura, giustificato per avere la preside incautamente prestata illimitata fede alla situazione esistente nell’istituto come le era stata rappresentata al suo arrivo, senza nemmeno sentire l’interessata, assente per malattia.

     Per altro verso deve essere rilevato che, in genere, i personaggi che le si contrappongono nella complessa vicenda non appaiono mossi da odio, né da volontà pervicace di nuocere, come la ricorrente si ostina a credere trasferendo in una dimensione abnorme episodi di più modesta portata.

     Questo con una sola eccezione, con riferimento alla figura del vice-preside vicario.

     Dichiarazioni puntigliose alle riunioni collegiali, puntualizzazioni esasperanti nelle note fatte trascrivere a verbale, proteste segnate inopportunamente nei registri di classe, distribuzione di scritti dai contenuti anche pesanti sul conto dei colleghi, i suoi continui  e a volte petulanti interventi nel corso delle attività scolastiche, hanno generato insofferenza nei suoi confronti e giustificano in pieno il desiderio dei colleghi di liberarsi della sua non inosservabile presenza.

     Deve, ad ogni modo, convenirsi che la sua non è mai stata una critica distruttiva, rivolta a recare disturbo, a creare ostacoli a uno scorrevole svolgimento delle funzioni del dirigente, dei colleghi e del personale amministrativo.

     Il comportamento della ricorrente ha sicuramente i connotati della buona fede ed è sinceramente ispirato all’intento di vedere realizzata una istituzione che operi in modo ottimo, senza incoerenze e compromessi.

     Tanto è provato dalla circostanza che le osservazioni della ricorrente, pure se spesso offerte con modi sconvenienti, sono tutte ineccepibili e indiscutibilmente corrette.

      Dove l’interessata è debole è nella intolleranza quando sostiene le sue ragioni, anche se perfettamente coincidenti con l’interesse pubblico.

     La ricorrente non coglie la linea di confine tra l’opportunità e la convenienza ed è la prima vittima di se stessa.

     D’altronde una omologa miopia è data scorgere nell’ambiente che circonda la ricorrente, dove si ritiene che tutte le questioni, senza distinzione, che investono la funzione educativa della scuola, debbano avere un ruolo determinante per le sorti della società futura.

     Le lotte per le briciole di potere che ruotano attorno al mondo della scuola muovono inevitabilmente al sorriso.

     Un ordine del giorno compilato in modo non corretto, una verbalizzazione a volte poco curata, non può scatenare oltre misura l’indignazione della ricorrente; così come l’uso sconveniente del registro di classe, qualche imperfezione casuale ed episodica nell’attività didattica, un ritardo nella compilazione delle schede non giustificano un accanimento irragionevole contro la stessa.

     In modo analogo una qualche confidenza sui propri sentimenti, il racconto di episodi del proprio passato, da intendere come trasmissione di dati dell’esperienza, anche una qualche considerazione che passi i limiti del gusto e della convenienza appaiono più segno di fiducia e amore verso i propri scolari che gravi violazioni dei doveri d’ufficio, idonee a turbare l’animo dei giovinetti di oggi.

     Effetto della sua ingenuità e segno di semplicità di animo è avere detto cose giuste nei modi sbagliati ed essere caduta con impressionante fragilità dinnanzi alle accuse tanto precipitosamente quanto inconsistentemente mosse con l’obiettivo manifesto di ottenere il suo allontanamento.

     In tutto questo non appare illogico, né frutto di fantasia, il convincimento profondo della ricorrente di trovarsi al centro di una operazione abilmente architettata, favorita dalla copertura, più o meno consapevole, dei presidi che si sono alternati nella direzione della scuola con cadenze troppo ravvicinate, interessati ad assecondare per motivi di agevole intuizione, il personale stabile che avrebbe dovuto loro garantire (più o meno) fedele collaborazione.

5 – Pure, dai rapporti avuto con i presidi non può farsi discendere una situazione di contrasti profondi e insopportabili.

      Il risultato delle indagini avviate dal Ministero sulle pesanti riserve avanzate da un preside nel 1989 “circa la diligenza e il comportamento nella scuola, l’efficacia dell’azione educativa e didattica e le capacità professionali” era nettamente favorevole alla docente tanto che non emergevano “elementi idonei a giustificare l’opportunità di un trasferimento”.

     Lamentele di presunti genitori, espresse in biglietto anonimo agli inizi dell’anno scolastico 1993/94, correttamente venivano ignorate dal preside.

     E’ un principio di serietà dell’azione amministrativa dare seguito a esposti anonimi solo quando riferiscono notizie di reato.

     Una ulteriore indagine ispettiva, peraltro provocata nel medesimo anno scolastico da esposti presentati dalla stessa ricorrente, pure in presenza di un contrasto “molto profondo” con la preside (nella comunicazione del provveditorato del 2 agosto 1994 si legge: “L’ispettore ha fatto rilevare come la S.V. consideri ogni comportamento e atto rivolto dalla preside nei suoi confronti come persecutorio e vessatorio”), si concludeva con un semplice (ma doveroso) richiamo del provveditore, che invitava la docente a desistere da atteggiamenti e comportamenti in contrapposizione con le disposizioni del preside e a smettere di subissare quest’ultima con lettere e intimazioni, anche per il tramite del proprio legale.

     La stessa preside riteneva di nominare la ricorrente sua collaboratrice (provvedimento del 10 marzo 1995): mansione rifiutata dall’interessata il giorno successivo con toni francamente inopportuni (“non posso, nel modo più assoluto, accettare tale incarico per i motivi noti persino ai sassi dell’istituto”).

     L’invito della preside nell’anno scolastico 1996/97 ad essere più puntuale nelle verifiche, nel corso di un colloquio per comunicare alla interessata una segnalazione dei genitori sulle modalità di tenere la classe e di impartire lezioni, era immediatamente recepito (“dopo questo intervento, infatti, le verifiche avevano avuto un andamento più regolare”) a riprova del modo normale della ricorrente di sentire il rapporto gerarchico.

      Considerazione analoga va fatta in occasione dell’invito a prestare servizio negli interventi didattici integrativi nel corso dello stesso anno scolastico 1996/97 (nota della preside del 21 febbraio 1997), al quale la ricorrente presta osservanza, sia pure con l’immancabile nota polemica (lettera del 25 febbraio 1997).

      Diventano acri i rapporti con la preside, sempre nell’anno scolastico 1996/97, quando in occasione dell’incidente avuto con il vice-preside la ricorrente la accusa nella sostanza di averle voltato le spalle.

      Più difficili i rapporti con i colleghi, anche se non drammatici come vorrebbe la ricorrente.

     Quest’ultima nella riunione del collegio dei docenti del 20 giugno 1998 denunciava con amarezza che “le mie sventure nacquero in questa scuola – e se ne vedono i retaggi ancora oggi – quando mi opposi, strenua e sola, al famigerato sei politico; per non avere mai amato il compromesso e per non essere incline alla accomodanza cui troppo si piegano molte persone”.

     E’ la stessa a constatare di trovarsi a riscuotere “antipatia concentrata e strumentalizzata ai fini di fare ostracismo ingiunto ed oramai lapalissiano alla mia persona”.

     Pure così modellati, i rapporti all’interno della scuola si erano svolti per anni al pari di ogni realtà scolastica o di altro ambiente di lavoro, dove in misura maggiore o minore si ripetono contrasti e simpatie, incomprensioni e solidi legami.

     Come non è difficile immaginare, l’equilibrio più o meno precario che nel tempo si era determinato, è rotto per iniziativa di un collega: di quel collega al quale si è prima accennato come unica eccezione nel corpo docente.

     Anche se definito come “persona mite”, il vice-preside da tempo nutriva risentimento e avversione personale nei confronti della ricorrente, probabilmente da quando quest’ultima gli rovesciò addosso un posacenere.

     Non è da escludere che questo sia avvenuto per una esagerata reazione a una impertinenza o a uno scherzo, ma è certo che la ricorrente venne all’epoca irritantemente provocata.

     La grande occasione per mettere in difficoltà la ricorrente è la involontaria ferita al labbro del vice-preside, inferta nel corso di una animata discussione.

     Riferisce l’ispettore nella relazione del 26 giugno 1997: “Questa situazione, che sembrava risolta dall’intervento della preside, precipitava dopo l’episodio”.

     Di per sé l’episodio in argomento, che pure ha segnato una svolta in negativo nella vita professionale della ricorrente, provocandole anche danni morali e psichici, è di una banalità sconfortante.

     Nel corso di un comunissimo alterco sorto in conseguenza di un provvedimento sbagliato adottato dal vice-preside in assenza dalla preside, la docente, che muoveva con la solita esuberante intransigenza la propria vibrata protesta nei confronti del vice-preside (che da parte sua insisteva a non volere ammettere l’errore e manteneva un comportamento inurbano, finendo per indignare sempre di più la ricorrente), con un oggetto non identificato con certezza (forse il cappuccio metallico di una penna inserita ai bordi della sua agenda) procurava una ferita al labbro del vice-preside, costringendolo a ricorrere alle cure del pronto soccorso del vicino ospedale.

     La preside, rientrata anticipatamente in sede, richiedeva al provveditorato una visita ispettiva e, accogliendo le istanze di numerosi professori, convocava una sessione straordinaria del collegio dei docenti.

     Sono due gli aspetti che lasciano perplessi.

     Il primo è la reazione dell’amministrazione rimasta coinvolta in misura sproporzionata nella “inviluppata vicenda”, come ha scritto questa Sezione nella ordinanza 21 dicembre 1998 n. 770 quando ha notato la non omogeneità e incongruenza delle molteplici soluzioni pratiche adottate, tra loro evidentemente incompatibili, non sottratte nel complesso a numerose censure di illegittimità.

     La stessa ricorrente lamenta che per casi analoghi l’amministrazione non si era mai mossa in maniera così pesante.

     Il secondo (aspetto molto più grave che denota una amministrazione che si adopera per assecondare iniziative di singoli per loro motivi personali) è il coinvolgimento dell’ambiente esterno (genitori e studenti) per raggiungere con maggiore effetto l’obiettivo predeterminato.

      E’ inutile soffermarsi sull’episodio per intendere quali elementi emergono in tale occasione.

     La gravità dell’episodio va certamente ridimensionata: si è trattato di una ferimento involontario del quale la prima a dolersene sinceramente è stata la stessa ricorrente.

     Non può, ad ogni modo, non colpire come la versione fornita dalla ricorrente sia precisa, univoca e lealmente comprensiva di fatti anche a lei sfavorevoli, dove la versione del vice-preside gronda di palesi esagerazioni, incertezze e contraddizioni.

     Non una parola che desse per possibile (se proprio non avesse voluto darla come probabile) la accidentalità del lieve ferimento.

      Nel promemoria consegnato all’ispettore (allegato n. 9 alla relazione ispettiva promossa sul caso) il vicepreside sostiene di essersi recato (in un giorno imprecisato) nella classe I C, dove la ricorrente svolgeva la sua lezione, per comunicarle un cambiamento di orario per un giorno successivo, che la ricorrente indica come giovedì 20 marzo.

     Il vicepreside riferisce che l’oggetto del messaggio potrebbe essere passato in secondo piano (nel senso che la docente potrebbe non avere capito bene) a causa dell’accoglienza “non certo ortodossa, per non dire maleducata ed irriverente  che la professoressa riservava al vicario in quella occasione: accoglienza che ha lasciato meravigliati e perplessi moltissimi alunni e confuso nel proprio intimo” lo stesso vicepreside.

     In quell’occasione vi sarebbe stato, pertanto, un malinteso, per effetto del quale la docente, che non avrebbe capito l’esatto giorno nel quale l’orario sarebbe cambiato, si sarebbe presentata alla prima ora del 20 marzo in una aula quasi vuota (era presente una sola alunna).

     Nella relazione del 22 marzo del vicario alla preside è scritto: “Non avendo trovata la classe, gridava per le scale dell’istituto, piombava infuriata al primo piano della palazzina e, nel corridoio, si mettere ad inveire contro la mia persona”.

     Tornando al promemoria (allegato 9 alla relazione ispettiva) non si comprende bene (anche per l’incertezza della lingua italiana) come l’errore commesso dal vicepreside nel disporre il cambiamento di orario (“ammesso e non concesso che ci sia stato errore da parte del vicario”) possa essere stato causato dall’accoglienza “non certo ortodossa etc. etc.”.

     Semmai è la comunicazione del cambiamento erroneo ad avere provocato l’accoglienza non certo ortodossa.

     D’altra parte, se la docente non avesse capito bene il cambiamento d’orario, non avrebbe percepito l’errore e non avrebbe avuto motivo di riservare al vicepreside una accoglienza “non certo ortodossa”.

     I fatti sono riferiti in modo corretto da un docente che aveva incontrato il 20 marzo la ricorrente poco prima dell’episodio incriminato.

     Il martedì precedente (18 marzo) il vicario aveva proposto erroneamente il cambiamento di orario per venerdì 21 marzo “tale variazione d’orario era stata accettata dalla suddetta insegnante”.

     Pertanto, nessuna escandescenza da parte della ricorrente al momento della comunicazione.

     Invero, la professoressa era venuta a conoscenza che il cambio di orario era per il giorno 20 marzo (e non per il 21) dall’unica alunna presente in aula alla prima ora dello stesso 20 marzo (evidentemente anche quest’ultima ignorava che la classe quel giorno sarebbe entrata alla seconda ora).

     Appare evidente che l’episodio è riferito dal vicepreside per rendere più credibile l’accusa di irriverenza mossa alla ricorrente.

     Nell’anzidetto promemoria il vicepreside richiama una serie di episodi del tutto inconferenti, mai provati o messi in atti precedenti, per avvalorare, riferita a se stesso, una “forma di estrema educazione, pazienza e mitezza di carattere”.

     Egli, inoltre, chiosa: “Dopo l’aggressione, dal 3 aprile al 7 aprile, ha partecipato a un viaggio di istruzione proprio per aiutarsi ad usciere dallo SHOC (sic) subito”: eppure nel certificato del pronto soccorso non vi è diagnosi di “shoc”.

     Pur volendo insistere sul carattere difficile della ricorrente, non si può negare una ampia giustificazione alle sue vibrate proteste.

     Che questa protesta possa essere stata particolarmente vibrata è fatto credibile; che la ricorrente si sia abbandonata scompostamente ad atti di violenza, tali da paralizzare il malcapitato e (come si vedrà tra breve) incutere nei genitori degli alunni timori per l’incolumità fisica dei loro figli, appare frutto di esagerazione e di non disinteressata fantasia, oltre a essere in palese contrasto con il carattere educato e sensibile della ricorrente, quale incontrovertibilmente emerge dagli atti di causa.

      Il convincimento è rafforzato proprio dalle testimonianze rese a favore del vicepreside.

     A parte la discordanza dell’orario (un ausiliario tornava sul piano alle ore 8,35 dove “mi trovato davanti all’episodio già avvenuto”; un professore percepisce nel silenzio della scuola l’eco fortissimo di una voce concitata alle ore 8,45), alcune testimonianze sono smentite dalla stessa versione data dal vicepreside.

     Quest’ultimo affermava che la ricorrente, gridando per le scale, “piombava infuriata al primo piano e, nel corridoio, si metteva ad inveire contro la mia persona” mentre egli si trovava negli uffici di segreteria e,  nel sentire tale frastuono, “mi precipitavo nel corridoio dove incontrerà la professoressa”.

     A parte il fatto che normalmente si inveisce contro una persona presente (il vicepreside era all’interno degli uffici di segreteria, tanto da doversi precipitare nel corridoio per incontrare la docente), la testimonianza del collega incontrato poco prima descrive la persona come “visibilmente adirata” nei confronti del vicepreside (che le aveva evidentemente procurato disagi a seguito della informazione sbagliata) che “si dirigeva con fare risoluto verso l’altra palazzina”, ma non dice di urla infuriate lanciate fin dalle scale che portano al piano delle segreteria.

     Una ausiliaria smentisce che l’incontro col vicepreside sia avvenuto all’insegna delle urla della docente (“la professoressa voleva spiegazioni su una supplenza; quindi hanno iniziato a parlare tra loro camminando per il corridoio verso la sala-professori”).

     Né traccia di aggressione verbale, con urla infuriate, tanto da fare uscire il vicepreside nel corridoio, vi è nella deposizione dell’altra bidella, che riferisce: “La professoressa chiedeva di essere ricevuta in vicepresidenza per parlare di una supplenza che lei non poteva fare”.

     Poiché il vicepreside era indaffarato e dava retta alla docente “a volo”, i due “quindi hanno iniziato la conversazione in corridoio, incamminandosi verso la sala-professori”.

     Pertanto, emerge anche che la docente aveva chiesto di essere ricevuta in vicepresidenza per parlare e non che “la medesima con tono minatorio mi intimava di andare in presidenza”.

     Per il vicepreside “fortissimi erano lo SHOC (sic) dovuto all’inaspettata aggressione subita e il dolore della ferita, dalla quale immediatamente sgorgava copioso sangue”.

     Una ausiliaria, riferendo della presunta aggressione (“la professoressa lo colpiva ripetutamente sulla testa con la propria agenda e contemporaneamente lo prendeva a calci), precisava: “quando la professoressa si è accorta che il vicepreside sanguinava, interrompeva la sua azione”  (cioè cessava di colpirlo ripetutamente sulla testa prendendolo contemporaneamente a calci).

     Lo stesso vicepreside parla, invece, di un tentativo di sferrargli calci.

     Per altro verso un docente, dopo essersi affacciato sul corridoio dalla sala dei professori per vedere quello che succedeva e dopo essere rientrato nella sala stessa, riferisce che “ne riuscii mentre la baruffa si stava esaurendo, con gli antagonisti che mi si avvicinavano procedendo lentamente ed il personale scolastico, docente e non, che li affiancava, frammettendosi, per calmare gli animi. anche io mi interposi e feci notare al vicario che aveva una lesione al labbro superiore destro. Affievolitesi le ragioni del contendere e con quel taglio che “cominciava” a sanguinare, il ferito acconsentì a farsi accompagnare in ospedale”. Pertanto il vicario neppure si era accorto di essere stato ferito.

     Lacunosa è la versione di una docente, che la ricorrente con veemenza accusa di esserle ostile.

      Quando la ricorrente entra nella sala dei professori ha un battibecco con l’anzidetta docente.

     Quest’ultima omette di riferire l’episodio; riferisce, invece, di avere sentito il vicepreside “che a poco a poco andava alzando il tono ripetendo la frase “vai in classe”.

     Questa non sembra proprio corrispondere alla versione ripulita del vicepreside, che riferisce: “per cui la richiamavo al dovere di osservare l’orario predisposto ed a lei ben noto” (circostanza, questa, palesemente falsa, inventata per la necessità di addossare sulla ricorrente la responsabilità di tutto l’accaduto).

      Nella versione fornita dal vicepreside non vi sono insulti, né provocazioni, né toni triviali (“vai in classe, non è certo espressione da gentiluomo)”.

     La ricorrente, che pure riferisce in termini dubitativi di avere sentito il vicepreside ripetere a voce alta per un paio di volte la minaccia “ti ammazzo” (peraltro espressione tipica di un linguaggio popolare assolutamente innocua), ammette di avere insultato il vicario “sempre più sgomenta…….quasi in risposta ad un simile comportamento”.

     Per finire, inattendibile per palese incongruenza è la versione di un altro docente, che dopo avere visto la ricorrente “prendere a calci” il vicario mentre “tentava di aggredirlo con qualcosa che poteva essere un libro o un’agenda o qualcos’altro”, soggiunge che “a questo punto, pur con qualche perplessità, sono tornato nella sala dei professori, convinto che prima o poi il litigio si sarebbe placato e che la cosa sarebbe finita lì senza conseguenze”.

     Il comportamento del docente non sembra coincidere con quello di chi assiste a una violenta aggressione, che avrebbe lasciato l’aggredito “pallido e tremante col volto insanguinato”.

     A questo si aggiunga che, comunque, sferrare calci non appare una azione confacente alla personalità della ricorrente, adusa alle armi della dialettica, semmai venata di eccessivo spirito polemico.

     Per concludere, l’unica seria e credibile versione dell’accaduto è proprio quella fornita lealmente dalla ricorrente, anche se con qualche interpretazione tutta soggettiva di fatti non significativi.

     Ad esempio, il vicario, raggiunto in segreteria dove era indaffarato, tanto da ignorare l’ingresso della ricorrente e continuare indisturbato la sua telefonata, si muoveva dalla stanza per raggiungere, attraverso il corridoio, altro ufficio.

     Di certo non fermarsi e dedicare attenzione alla ricorrente è comportamento poco educato, ma ritenere che il vicepreside avesse intavolato la discussione con la ricorrente proprio nel corridoio al premeditato scopo di fare scoppiare la “piazzata” in ambiente aperto al pubblico, pare del tutto eccessivo.

     E’ verosimile, invece, la insistente richiesta della ricorrente di essere ricevuta nella stanza della vicepresidenza proprio per la inopportunità di discutere di argomenti d’ufficio in un corridoio nell’atto di rincorrere il vicario indaffarato.

     D’altra parte è la versione della ricorrente che bene si sposa con le considerazioni del docente che, dopo essersi affacciato dalla sala dei professori nel corridoio per avere sentito “l’eco fortissimo di una voce concitata” rientra “da dover ero uscito” non dopo avere visto la ricorrente prendere a calci il vicario (come ha dichiarato l’altro docente), ma più realisticamente “perché il diverbio, sebbene avesse toni molto accesi, non era fisiologicamente incompatibile con la vita scolastica”.

     Quindi un banale, seppur deprecabile alterco che non presentava connotati di eccezionalità e anomalia, come tanti altri che possono svilupparsi, anche se non dovrebbero, in un normale ambiente di lavoro.

     Per quello che è stato l’episodio veniva con molto equilibrio inteso dal collegio straordinario dei docenti del 25 marzo, ovviamente aspramente contestato dalla ricorrente per quanto riguarda la forma, la procedura e le risultanze (cfr.: dichiarazione di voto contrario del 13 maggio, espressa peraltro in relazione e tardivamente a una seduta alla quale la medesima non era neppure intervenuta).

     Al collegio dei docenti non era sfuggito che nella specie fossero da censurare entrambi i soggetti: per le intemperanze e la ottusa intransigenza la prima: per la superficialità e la villania il secondo.

     Il collegio bene ha fatto a richiamare “tutti gli operatori della scuola, docenti in testa” al rispetto dei ruoli “reciproci” e al corretto utilizzo dei luoghi “deputati alle varie incombenze della vita scolastica”: il riferimento non può che essere rivolto al vicepreside, che era stato accusato dalla ricorrente proprio di aver violato un “suo preciso debito d’ufficio”, che era quello di riceverla nei locali della vicepresidenza (senza costringerla a rincorrerlo per il corridoio) e conseguentemente fornirle le spiegazioni richieste.

      In modo non dissimile è la relazione ispettiva del 26 giugno 1997 che, pur con i suoi numerosi errori (non si accorge della contraddizione dei testi; addebita alla ricorrente fatti interpretativi con forzature; esorbita dai limiti dell’incarico ricevuto), finisce per proporre in tono molto tiepido il trasferimento della ricorrente per incompatibilità con l’ambiente ai sensi dell’art. 468 del T.U 297 del 1994.

     La ragione per la quale il Collegio si è trattenuto, anche oltre misura, sull’episodio del ferimento del vicepreside palesemente involontario, riposa sull’uso strumentale che quest’ultimo ne ha fatto, non contrastato dai colleghi che evidentemente avevano trovato una comoda strada per liberarsi della ricorrente, pure percependo la sostanziale ingiustizia di siffatta soluzione. 

     Questo appare al Collegio ad  una attenta e ragionevole lettura delle numerose carte raccolte in istruttoria.

     La stessa cosa intuisce la ricorrente: l’episodio era troppo ghiotto per non montarvi sopra un caso, che avrebbe spianato la via al sicuro suo allontanamento.

     Si è detto che la ricorrente è donna impulsiva a motivo della sua generosità, ma è anche donna estremamente fragile, priva e bisognosa di protezione.

     Non è difficile comprendere la sua reazione emotiva: dispiaciuta per avere involontariamente provocato del male, mortificata per essersi messa in condizione di inferiorità, terrorizzata per le conseguenze che il vicepreside avrebbe tentato di fare scaturire dall’episodio: questo in un ambiente a lei ostile.

     Il particolare stato d’animo della ricorrente la induce a esprimere più volte il suo rincrescimento per l’accaduto, a fornire la sua leale versione dei fatti, ma per il resto a rifiutare ogni seguito a quello che ella riteneva un fatto personale e, quindi, a disconoscere il collegio dei docenti del 25 marzo, che chiama “collegio-sinedrio (“se si considera che per fatti molto più gravi accaduti in questa scuola non si è mai riunito un Collegio; la precipitosa richiesta dello stesso la dice molto lunga”; “a che titolo e con quale diritto osano giudicare per un incidente involontario che poteva capitare a chiunque?”) e a declinare il cortese invito a riferire di persona all’ispettore (non si tratta, come erroneamente interpreta l’ispettore, di una manifestazione di insofferenza al rispetto della gerarchia scolastica).

     Stesso significato ha la richiesta dell’8 maggio 1997 di essere sentita personalmente dal Ministro o da un suo delegato “data la delicatezza dell’argomento e la estrema gravità della montagna di calunnie e di menzogne diffuse nella scuola alle spalle e ai danni della sottoscritta”.

     Senza volerlo, è proprio l’ispettore a favorire l’avvio di quello che non può non apparire un piano preordinato del vicepreside, come in modo tutt’affatto illogico pensa la ricorrente e come soprattutto i fatti che saranno successivamente esaminati daranno alla tesi valido sostegno.

     Ed infatti, nel corso della ispezione affidata, come recita la lettera di incarico del 18 aprile 1997, per compiere accertamenti “in ordine ai fatti avvenuti in data 20 marzo 1997 all’interno dell’istituto”, l’ispettore senza motivo amplia il campo dell’indagine cedendo alle richieste della preside la cui iniziativa sarebbe inspiegabile se non vista come indotta da altri: precisamente dalla persona che in quel momento appariva la più motivata a dare battaglia alla ricorrente.

     D’altra parte, la preside era in prossimità di lasciare l’incarico e, pertanto, interessata non più di tanto alle sorti del campo che abbandonava.

6 – Si è innanzi ricordato che agli inizi del 1997 alcuni genitori avevano mosse lamentele contro la docente per le “modalità di tenere la classe, di fare lezione e del modo di effettuare le verifiche e il loro numero”.

      Si è anche detto che, a seguito di tale protesta, la preside aveva avuto un colloquio con la professoressa e, dopo questo intervento, le verifiche avevano avuto un andamento più regolare.

     Occorre peraltro aggiungere che nel consiglio di classe della I – C, che si era tenuto prima delle anzidette proteste in occasione delle operazioni di scrutinio relative al primo quadrimestre, la ricorrente, pur avendo espresso un parere lusinghiero nei riguardi della netta maggioranza della classe, sottolineava con rincrescimento talune carenze nello scritto di greco di alcuni individuati alunni.

      A questo punto l’ispettore registra che “questa situazione, che sembrava risolta dall’intervento della preside, precipitava dopo l’episodio del 20 marzo con il vicepreside”.

     Ed invero, il 28 aprile 1997 spunta una lettera dei genitori degli alunni della classe I-C contenente una sequela di lamentele in contrasto con quanto constatato dalla preside sul pieno ritorno alla regolarità dell’insegnamento e clamorosamente in contraddizione con quanto gli stessi genitori avevano dichiarato nel consiglio di classe della I-C che si era tenuto in data 15 aprile, nel corso del quale non emergevano problemi da parte dei genitori, né dei professori, né degli studenti.

     Sul punto la ricorrente, in uno dei suoi esposti (nella specie ai Carabinieri in data 10 giugno 1997), nel fare presente che “nessuno degli interpellati ha saputo individuare né elencare alcun aspetto che comportasse anche un semplice disagio nei rapporti tra gli studenti e la sottoscritta”, esprime il disappunto per avere la preside con “molteplici ed insistenti sollecitazioni” inteso raccogliere segnalazioni su “presunti problemi della classe, chiaramente volti a provocare le fantasie degli alunni contro la scrivente perché questi la mettessero in cattiva luce”.

     All’improvviso viene allo scoperto una classe in seria difficoltà per le inadeguatezze didattiche della docente (“prova ne sia che parte dei genitori ha ritenuto o ritiene di dovere integrare le lezioni scolastiche con altre private”; nessuno dei suddetti imprecisati genitori ha dato prova di questo, quanto meno con la esibizione di idonea documentazione fiscale, né è spiegato il contrasto con quanto dichiarato nelle ultime righe – “nonostante tutto è una buona classe” – come è stato anche riscontrato dai docenti nello scrutinio relativo al primo quadrimestre, con la eccezione delle carenze riscontrate nello scritto di greco di dieci studenti).

     Tutto a un tratto ci si scandalizza per essersi la ricorrente permessa di chiedere (“richiesta che riteniamo eticamente assai scorretta”) con la sottoscrizione di un documento che l’appoggiasse nel clima di polemiche seguito all’infortunio col vicepreside.

     Una analoga richiesta sarebbe stata rivolta agli alunni, al rifiuto dei quali la docente avrebbe minacciato ritorsioni.

     Avrebbe, pertanto, acuito il “troppo radicato malessere dei ragazzi”, l’introduzione nel rapporto docente-alunni di un “elemento potenziale che non può essere presente nell’ambito scolastico: il ricatto”.

     Successivamente la preside comunicava all’ispettore che gli alunni della I-C e i genitori chiedevano di incontrarlo per riferire del disagio che si era creato nella classe in conseguenza del comportamento della docente “dopo il noto episodio”.

     L’ispettore riteneva erroneamente di acquisire ulteriori elementi “in merito all’oggetto dell’incarico ricevuto” (si è visto che l’oggetto dell’incarico era tutt’altro e, comunque, non era in merito all’attività didattica).

     Per questo egli riceveva alunni e genitori della I-C. Gli alunni (proprio quelli carenti nello scritto di greco) ampliano i contenuti dell’accorata lettera dei propri esemplari genitori con una sequela di accuse che appaiono più di bassa fantasia che calunniose.

     Conclude l’ispettore che gli interventi degli alunni confermavano gli atteggiamenti della ricorrente “denunciando che il clima instauratosi in classe era particolarmente pesante, in particolare dopo l’episodio dell’incidente con il vicepreside”.

     I genitori parlano di “continua violenza psicologica esercitata sugli alunni”.

     Inoltre essi “lamentano, pur riconoscendo alla professoressa una preparazione professionale di buon livello, una scarsa capacità nello svolgimento delle attività didattiche sia nel modo di tenere le lezioni, sia nell’effettuare le verifiche, la qual cosa li ha indotti a richiedere l’intervento della preside.

     Pare dimenticato che il problema è stato agevolmente superato in seguito a un semplice colloquio avuto dalla preside con la docente.

     I genitori continuavano: “Molti di loro preoccupati per la preparazione dei figli, per cercare di porre rimedio a questa carenza, hanno fatto ricorso ad interventi di supporto privati”. Ritorna, infine, l’osservazione che la situazione si sarebbe aggravata dopo l’episodio col vicepreside.

      Da quanto dichiarato dagli altri genitori si dissociano con fermezza due genitori, che negano che vi sia stata mai alcuna violenza psicologica e precisano “che erano i ragazzi ad impegnarsi poco nello studio, di praticare assenze di massa e di rifiutarsi di partecipare alle lezioni”.

     Dinnanzi all’ispettore si presentavano anche soggetti della classe III – C per lamentare (si noti: alla conclusione del triennio) le inadeguatezze professionali della ricorrente.

     A questo punto l’ispettore giustamente chiedeva “come mai non avessero contestato prima questo stato di cose”, ottenendo come risposta – fulgido esempio di quella correttezza etica ritenuta mancante nella ricorrente – “che nessuno si era lamentato di tale andazzo perché alla fine venivano tutti promossi”.

     L’affermazione mette in ridicolo l’intera compagine docente che, da quanto risulta agli atti, ha sempre mostrato capacità ed equilibrio nell’esercizio della propria attività professionale.

     Né è dato cogliere motivi di riprovevolezza nella richiesta (ingenua e innocua, se veritiera) rivolta alla intera classe “dopo l’episodio col vicepreside di testimoniare che la sua agenda non ha gli angoli rinforzati con copriangoli di metallo”.

     Né può destare scandalo la richiesta a un alunno di testimoniare a suo favore in merito all’episodio col vicepreside.

     Se l’alunno era presente al fatto, non si vede quale differenza possa esserci con la richiesta analoga avanzata dal vicepreside nei confronti dei suoi testimoni (cfr. allegato 13 alla relazione ispettiva).

     Un altro intervento, sempre successivo all’episodio col vicepreside, che entra nell’azione che contrasta fortemente la docente (dove non si riesce a cogliere la parte di battaglia sostenuta dalla ricorrente, se non nei suoi sfoghi e in quelli protettivi del proprio anziano genitore) è quello del 26 aprile ad opera dei genitori degli alunni dell’allora quinta ginnasio, sezione C, che avrebbero dovuto cominciare nell’anno successivo il corso liceale con la ricorrente.

     Dare credito, come fortemente nega la ricorrente, alla spontaneità dell’intervento, al fondamento di quella protesta smisuratamente prematura, alla serietà dei timori per la incolumità fisica dei propri figli in considerazione che l’insegnante, definita “immagine fondamentale alla evoluzione della psiche adolescenziale”, ha fatto ricorso alla violenza corporea per sostenere le proprie ragioni. Non cogliere l’uniformità del linguaggio delle missive che in quel periodo confluivano sulla preside e sull’ispettore ovvero non capire la elevata improbabilità dello scenario che si andava delineando appare una offesa alla più mediocre delle intelligenze.

     Sugli stessi toni si svolgono gli episodi di contorno.

     A prescindere dallo scontro con il presidente del consiglio di istituto, nato da una vibrata (ma ingiustificata) protesta della ricorrente, trattandosi all’evidenza di un malinteso al quale non sembra doversi dare grande importanza, il 24 aprile una alunna, figlia di uno dei rappresentanti della classe I-C, è al centro di un “gravissimo ed oltraggiosissimo episodio”.

     Anche considerando certe reazioni in parte esagerate della ricorrente, non può passare inosservato che la docente, evidentemente in mancanza di qualsiasi intervento da parte della preside (se non altro per chiarire bene l’episodio), giunge in data 6 maggio a formulare un atto di formale diffida alla madre dell’alunna.

      Occorre ricordare che il 30 aprile la ricorrente, nella relazione finale del corso extrascolastico di teatro tenuto con la I-C dal 18 marzo all’8 aprile, lamentava che dopo un inizio entusiasmante da parte di tutti i partecipanti, “tale lavoro è stato bruscamente interrotto a causa dell’improvviso e misterioso cambiamento della classe I-C avvenuta stranamente subito dopo il consiglio di classe del 15 aprile 1997, da entusiasta addirittura ostile alla sottoscritta”.

     Il 7 maggio tutti gli alunni, tranne due, si rifiutavano senza motivo di entrare in classe e di svolgere l’esercitazione programmata. Essi rientreranno in aula dopo l’intervento della preside.

     Dopo poco (27 maggio) i rappresentanti dei genitori (quindi compreso il padre della ricordata alunna) si premuravano di informare doverosamente “di fatti recentemente verificatisi all’interno della scuola e che, con nostra sempre maggiore preoccupazione, vedono coinvolta ancora una volta la professoressa”.

      Di qui una sequela di sospetti e la segnalazione di “comportamenti che hanno il sapore di ritorsioni nei confronti della famiglie che apertamente hanno denunciato lo stato di disagio creatosi nella classe”.

     La tensione tra alunni e docente sarebbe “ulteriormente aumentata a danno dei ragazzi e del loro generale processo di apprendimento”.

     Il massimo dello stato di tensione tra la classe e la docente (quest’ultima passivamente subissata da palesi angherie di una parte degli studenti, che dopo l’episodio col vicepreside ha evidentemente creduto alla ormai prossima fine della presenza nella scuola di una docente intransigente e, quindi, scomoda) si è avuto a seguito della revoca, in data 12 giugno, della domanda presentata il 20 maggio di passare ad altro corso liceale, evidentemente per avere ceduto alle pressioni psicologiche alle quali era stata da tempo pesantemente sottoposta.

     La decisione di rimanere titolare del corso liceale C (per ripicca a una presunta scorrettezza della preside) precede di pochi giorni l’inqualificabile episodio di un gruppo di studenti (tra i quali tutti quelli scarsi agli scritti di greco), che il 16 giugno si rifiutava di sottoscrivere il programma scolastico preparato dalla docente, ripetendo le consuete accuse di incapacità didattica.

     A modo di concessione essi riconoscono, con insolita generosità, che “solo nella parte terminale del secondo quadrimestre……..e dopo le contestazioni all’operato della insegnante………….la professoressa ha iniziato a trattare alcuni degli argomenti in programma”, non senza precisare che “a nostro giudizio, però, le sue spiegazioni sono state lacunose, superficiali e comunque insoddisfacenti”.

     Mostrando di avere introdotto nell’ordinamento scolastico l’istituto del gradimento (una sorta di “soddisfatti o rimborsati”) gli alunni in argomento si dissociavano dal programma che la docente chiedeva loro di sottoscrivere “coscienti di avere subito durante l’anno scolastico un danno formativo e didattico”.

     Affermazioni all’evidenza calunniose, che saranno facilmente smentite dalla sottoscrizione da parte di due alunni, i quali senza essere minimamente criticati hanno attestato la veridicità del programma stesso (essendo limitato a tale fine la prevista sottoscrizione del programma svolto).

     Al consiglio di classe del 18 giugno la ricorrente depositava la sua relazione finale sulla classe I C per l’anno scolastico 1996/97, nella quale descriveva con estrema lucidità la situazione che si era venuta a creare nei suoi rapporti con gli alunni della I C.

     In quel documento la ricorrente esprime tutte la sua “sorpresa piena di amarezza” nell’avere dovuto constatare che “fino almeno alla metà di aprile” era per raccogliere buoni frutti di una “intensa ed attivissima collaborazione con i ragazzi, che si erano rivelati in genere studiosi e desiderosi di apprendere”.

     Gli alunni sono definiti nell’insieme “bravi ragazzi” e, considerata la loro età, talune birichinate possono essere perdonate, ancorché talvolta deplorevoli.

     Nonostante questo e la recente “contagiosa e concordata bravata” di dichiararsi tutti in coro “impreparati” all’ultima interrogazione, “non si può, in genere, non ritenerli meritevoli di promozione”.

     Quello che la docente si rifiuta di accettare, perché esula dalle birichinate, è il comportamento seguito a una loro “repentina quanto assurda metamorfosi, “che è ragionevole non ascriverla a caso spontaneo”.

     Suona, difatti, assurdo il rifiuto di entrare in aula il 7 maggio 1997; di sottoporsi alle verifiche a partire dal 29 maggio; di firmare in data 13 giugno i programmi regolarmente e scrupolosamente svolti (come hanno attestato i due alunni che, dissociandosi, hanno sottoscritto il documento).

     Ribadendo la “stranezza di un comportamento poco spontaneo ed assolutamente ingiustificato quanto per nulla commendevole verso la scrivente”, la docente proponeva un abbassamento del voto di condotta per non consentire di superare il voto di otto, “fatta eccezione per i soli studenti che hanno fatto fino in fondo il loro dovere”.

     La ricorrente in modo esplicito addebita questo cambiamento all’appoggio fornito da quanti tentavano di gettare gratuitamente discredito sulla medesima (“notoriamente persona molto scomoda”), della quale i ragazzi hanno di fatto profittato “da ritenere possibile e addirittura vantaggioso comportarsi sregolatissimamente ed indisciplinatissimamente verso la medesima”.

      Con successiva nota del 21 giugno la ricorrente è costretta a chiedere di inserire nel verbale della riunione innanzi ricordata le precisazioni necessarie a correggere il travisamento del suo pensiero in conseguenza di una imprecisa registrazione delle parole effettivamente pronunciate.

     In particolare ella, pur avendo riconosciuto il giusto apprezzamento per una “presunzione di preparazione degli allievi in assenza di dimostrazione del contrario” ed espresso un giudizio sostanzialmente positivo, nonostante il comportamento inaccettabile tenuto dagli studenti in epoca successiva all’incidente col preside (“Nell’insieme sarebbero bravi ragazzi”), si dissociava da quanto aveva inteso affermare l’intero consiglio nel definire la I C come una classe esemplare.

      Non si rinviene agli atti migliore prova per smentire gli allarmi esagerati e i sospetti calunniosi messi certamente in giro all’evidente scopo di danneggiare la ricorrente.

     Di contro, non si riesce a trovare agli atti traccia di violenze fisiche o psicologiche e di comportamenti ostili, preconcetti, squilibrati della ricorrente, volti a colpire i suoi non certo commendevoli alunni.

7 – L’anno scolastico 1996/97 si concludeva con un ulteriore ispirato appello dei genitori della I C al provveditore per conoscere le decisioni prese “ora che l’ispezione si è conclusa e Lei presto sarà in grado di esprimere una valutazione sull’accaduto”

     Il Collegio si è dilungato sui fatti e non ha avuto remore a mettere in evidenza i difetti della ricorrente proprio per definire con più realistici contorni la situazione che, alla luce di una visione più ampia dei fatti comuni che si susseguono nel corso dell’anno in ambiente scolastico, appare manifestamente montata dopo l’episodio con il vicepreside e che nella sostanza si dimostra di assai scarsa consistenza.

     E’ del tutto assente nella vicenda in esame una amministrazione impegnata a ridurre lo stato di tensione non disinteressatamente denunciato ai livelli di un mero contrasto fisiologico tra i comportamenti, che abbia all’occorrenza assunto le difese di un proprio collaboratore, opportunamente selezionato e ampiamente collaudato, in luogo di dare immotivato credito a componenti di passaggio e sostanzialmente estranei alla funzione educativa della scuola, privi di responsabilità nell’ambito dell’organizzazione scolastica e, perciò, facilmente inclini ad appoggiare le richieste di altri docenti, impegnati a perseguire gli obiettivi prefissati senza esporsi personalmente, facendo leva sul naturale timore reverenziale e sul desiderio di ingraziarsi la maggioranza di quanti potranno influire sull’esito scolastico dei propri figlioli.

     Sotto questo punto di vista prendere le difese della ricorrente avrebbe fruttato ben poco.

8 – Nella intera vicenda assume un rilievo particolare la relazione ispettiva del 26 giugno 1997.

     Essa presta il fianco alle seguenti osservazioni: non coglie la sostanziale difformità tra le dichiarazioni raccolte nelle molte testimonianze rese a favore del vicepreside e le contraddizioni interne della stessa versione fornita da quest’ultimo; si limita a notare che nella versione data dalla ricorrente gli avvenimenti incriminati sono totalmente capovolti, senza rilevare che il problema non è quello del capovolgimento degli accadimenti (anche la versione del vicepreside è capovolta rispetto a quella data dalla ricorrente), ma quello della sua attendibilità: la versione del vicepreside presenta molti punti di scarsa credibilità; estende indebitamente l’indagine ispettiva alle capacità didattiche della ricorrente, messe stranamente in dubbio, con toni singolarmente uniformi, da genitori e studenti all’improvviso dopo l’episodio incriminato; né coglie le esagerazioni, i tempi di intervento e gli intenti che animano gli interventi dei genitori.

     Per il resto la relazione merita di essere apprezzata per sufficiente equilibrio e oggettività là dove sottintende che del vero c’è nella versione e nelle proteste della ricorrente, tanto da lamentare che una sua collaborazione avrebbe fatto emergere un quadro più puntuale della situazione, nonché dove, quanto ai dati raccolti, conclude che non appare consentito di “emettere giudizi suffragati da elementi incontestabili che possono portare a sanzioni disciplinari”.

      Per quanto riguarda il superamento della delega ricevuta, l’ispettore, rendendosene alla fine conto, si limita a proporre di “disporre una visita ispettiva disciplinare che accerti la consistenza di tale denuncia”, confermando con questo l’inutilità della attività istruttoria svolta con l’ausilio di genitori e alunni.

     Con altrettanto equilibrio il Provveditore risponde in data 25 agosto 1997 alla istanza degli allarmati genitori del 20 giugno con la diplomatica comunicazione che “intraprese le opportune iniziative, quest’ufficio sta curando l’istruttoria del caso per la definizione del medesimo”: definizione peraltro mai intervenuta.

9 – Che l’intera operazione montata contro la ricorrente, a seguito e in conseguenza del noto episodio del 20 marzo, sia stata portata avanti con la regia maldestra del vicepreside, come in modo non irragionevole ritiene la ricorrente, approfittando della collaborazione della preside (interessata, per vero, non più di tanto) indotta a sottoporre all’ispettore istanze estranee all’oggetto dell’ispezione, nonché della sorpresa di quest’ultimo dinnanzi a denunce tanto pesanti (in effetti non si può addebitare all’ispettore di avere in qualche modo dovuto prendere in considerazione quello che era presentato come un vero stato di allarme sociale, che sembrava investisse addirittura l’incolumità delle persone e forse anche l’ordine pubblico), è circostanza che emerge con chiarezza nel corso dell’anno scolastico successivo.

     Durante l’estate la docente maturava la decisione di ridare vita alla sua domanda di abbandonare la classe I C (1996/97).  Questo non va inteso come un segno di presa di coscienza di avere perso il suo ascendente professionale sugli alunni (come aveva concluso l’ispettore), ma come manifestazione della indignazione per l’indisciplina e la scorrettezza espresse (non spontaneamente) dopo il noto episodio e, soprattutto, per appoggio loro dato dai colleghi e dalla preside.

     Tanto emerge con chiarezza nella motivazione della sua istanza del 10 settembre 1997.

     Non si tratta, dunque, di una fuga, ma di un rifiuto che doveva suonare sanzione a carico degli alunni ricusati.

     Ed invero, pur rimanendo al corso liceale C, la ricorrente ottiene la classe II L in luogo della II C (la I C dell’anno precedente). 

     I rapporti col nuovo preside appaiono ottimi, tanto che il 20 dicembre 1997, con lettera inviata al Ministero, sottoscritta “per adesione totale” da altri docenti, la ricorrente assumeva l’iniziativa di difendere con slancio generoso il preside dell’anno scolastico 1997/98.

     Alcuni genitori (“non molti, ma i più attivi ed agitati”) avevano denunciato in un esposto del 24 ottobre 1997 (letto da un genitore al consiglio di istituto del 3 dicembre 1997) una situazione di sfacelo, legata ai frequenti cambiamenti che negli ultimi tempi si era avuto nella direzione dell’istituto.

     Nella lettera inviata al Ministero la ricorrente scrive: “Il preside attuale non può essere responsabile, né poco né molto, del disagio tanto spettralmente prospettato nella lettera-denuncia genitoriale in toni corruschi”.

     Continua: “Nel corrente anno 1997/98, non ancora ha fatto ingresso il nuovo preside, fino a prova contraria da sperimentare nel tempo, rispettabilissimo, che al primo suo apparire si insorge violentemente buttandogli la croce addosso di ogni male universale e cosmico, retaggio di tanti errori e negligenze mai denunciate”.

     Rileva inoltre la contraddizione di chiedere la continuità della presidenza mentre si chiede di fatto l’allontanamento del preside appena arrivato.

     Né mancano parole a difesa dei colleghi: “I componenti il corpo docente, in tanto disordine e discontinuità di guida, troppo hanno fatto e fanno il loro dovere”.

     E ancora: “I medesimi genitori…………. non sarebbe male se facessero eziandio un piccolo dovere di impartire ai figli un modello di comportamento più consono a un istituto scolastico”.

     Nel corso dell’anno, con nota disciplinare del 3 febbraio 1998, difende la propria classe (la nuova I C: quella V ginnasiale dell’anno scolastico 1996/97 che aveva “spontaneamente” paventato danni alla incolumità fisica e alla formazione culturale) e muove lamentele contro la vicina II C (la classe ricusata) che causa disturbo per la propria disciplina alla sua classe.

      Ricorda che la II C “nello scorso anno scolastico 1996/97 ha commesso l’errore di mancare gravissimamente di rispetto proprio alla sottoscritta, forse perché fidente, a quanto parve, anche dell’appoggio di professori, i quali in verità nulla hanno fatto per impedire tale gravissimo e irriguardoso comportamento studentesco alle spalle e ai danni della scrivente”. Con queste ultime affermazioni ovviamente la ricorrente andava accumulando contro di sé ulteriore astio da parte dei colleghi.

     A un certo momento si ripete uno scontro con l’ex vicepreside.

     Con un lettera indirizzata al preside in data 24 marzo 1998, perspicacemente dedicata alla “buona memoria degli ignari e immemori perché si figurino da un episodio altre vicende, la ricorrente muove vibrate proteste nei confronti dell’ex-vicepreside, che in data 20 marzo 1998 (acutamente la ricorrente osserva: “compivasi proprio quel dì l’anno da che ebbesi la gloriosa scenata di cui, mio malgrado, fui vittima”), nel corridoio della presidenza, alla presenza di persone (il professore attuale vicario del preside; altri professori e le due custodi di turno) si abbandonava a una “scomposta piazzata con urla e berciamenti”.

     La lettera viene protocollata e messa agli atti.

     Sul retro della copia depositata agli atti del processo si rinvengono delle aggiunte delle quali conviene parlare più innanzi.

     In data 29 aprile 1998 perviene al preside una strana lettera datata 12 febbraio di numerosissimi (addirittura 32) genitori degli studenti della classe V C (dell’anno scolastico 1997/98), che esprimono “grave preoccupazione riguardo al prossimo anno scolastico e all’intero corso del triennio che attende i nostri figli iscritti in questa sezione”.

     Essi sono informati del comportamento sconcertante della docente di latino e greco “con le conseguenze di un grave squilibrio nello scambio umano e didattico con gli studenti”.

     Essi sanno di “numerose lettere indirizzate alla presidenza e al provveditorato da parte dei genitori e dei rappresentanti di classe a partire da molti anni addietro”, che denunciano fatti e atteggiamenti profondamente scorretti e irresponsabili, tali da creare “disagio insostenibile in tutti gli allievi e da vanificare qualunque possibilità di serio apprendimento delle materie che la docente in questione è incaricata di insegnare”.

     Conoscono tutto delle ispezioni promosse dal provveditore “per verificare quanto dichiarato nelle proteste suddette”.

     Prospettano la sostituzione dell’insegnante come soluzione per fare cessare lo “stato di allarme” per la prospettiva di una carriera scolastica dei loro figli “segnata anticipatamente da profondo malessere”.

     Minacciano di trasferire i figli in altri istituti “qualora la nostra richiesta non verrà soddisfatta”.

     Non è difficile immaginare la reazione di forte meraviglia del preside al ricevimento della lettera, senza dire che per quest’anno era pervenuta una sola protesta da classi lontane (IV C al momento del fatto con il vicepreside), a differenza dell’anno precedente nel quale, oltre alla protesta dell’allora V C, erano pervenute proteste (è il caso di rilevare le singolari analogie tipografiche) delle classi degli (allora) attuali studenti della ricorrente (cioè delle classi di liceo).

     Poiché non risulta agli atti che la docente, dall’arrivo del nuovo preside, abbia dato segni di insofferenza e intolleranza che lo avessero in qualche modo messo sull’avviso in relazione al carattere della docente, si può capire la misura di quella meraviglia.

     Non appare illogico pensare che a questo punto il preside abbia cercato lumi all’interno dell’istituto con l’errore di ritenere l’ex-vicepreside come la persona più adatta a dare le più ampie informazioni.

      Né appare improbabile la generosa disponibilità dell’anzidetto soggetto a fornire notizie, come si è soliti dire, su vita, morte e miracoli della ricorrente.

     Non vi è altra spiegazione al cambiamento radicale dell’atteggiamento del preside nei confronti della docente, che non può essere ragionevolmente attribuito all’esposto di cui si è detto, contenente una congerie di affermazioni manifestamente calunniose provenienti da persone (ammesso che ciò sia vero) che non avevano mai visto e conosciuto la ricorrente.

      Evidentemente qualcuno, che aveva facile accesso agli uffici, ha tirato dagli archivi vecchi documenti illustrandoli e colorandoli a proprio piacimento e in maniera convincente.

     Di questo cambiamento repentino del preside se ne dorrà la ricorrente, che nella seduta del collegio dei docenti dell’11 maggio 1998, venuta a conoscenza della lettera del 12 febbraio (protocollata solo il 29 aprile: dopo la vibrata protesta della ricorrente in data 24 marzo), testualmente dichiarava: “Signor preside, è tempo ormai che qui ci si parli in carte formali e legali. Sono stata giust’appunto dall’avvocato per avere tutela per essere presa qui ingiustamente di mira”.

     E’ evidente che non si tratta di una delle solite uscite della ricorrente.

     Nella seduta, difatti, il preside aveva confermato che gli erano giunte pressioni da vari genitori allo scopo di spostare alcuni insegnanti non graditi.

     Per questo motivo egli chiedeva al collegio “se sia il caso di inserire tra i criteri per l’assegnazione delle cattedre relative all’anno scolastico 1998/99 “anche quello costituito dalle richieste dell’utenza (genitori)”.

     A parte la incompetenza del collegio dei docenti a esprimersi sul punto (ai sensi dell’art. 396 del T.U. 16 aprile 1994 n. 297 il preside procede all’assegnazione dei docenti alle singole classi sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di istituto e delle proposte del collegio dei docenti), esso respingeva la proposta del preside con indignata unanimità affermando che “gli eventuali malumori dell’utenza non possono condizionare le scelte in questione, ma debbono semmai concretarsi in atti e procedimenti legali”.

     Veniva poi ribadito da un docente, sul problema della distribuzione delle cattedre, che debba essere ritenuto fondamentale il “rispetto della continuità didattica”.

     Poiché il discorso riguardava da vicino la ricorrente, le reazioni di quest’ultima non si facevano attendere.

     In una lettera del 12 maggio (“la si finisca!”) ella rileva l’assurdità della richiesta di quei genitori di ottenere il suo spostamento all’altro corso o sezione. Giustamente e con autoironia osserva che non si comprenderebbe perché i malcapitati di altro corso o sezione dovrebbero subire la sua presenza.

     Dice esplicitamente che  “la lettera genitoriale non è spontanea: viene dall’istituto dove……….colleghi, alterni e subalterni giocano fini e sottili ai miei danni”.

     Accusa, inoltre, il preside di non averle consegnato a suo tempo copia della lettera, assumendo un atteggiamento che ha finito per favorire, senza volerlo, di fomentare contro di lei.

     Lamenta, infine, che a sua insaputa erano state costruite le basi per decisioni che ora appaiono scontate.

     L’amarezza e la sensazione di essere al centro di una azione persecutoria non sono senza giustificazione.

     Ai primi di maggio si rompono i rapporti con il preside, sempre dopo la lettera dei genitori della classe V C.

     La docente ricorda un episodio accaduto in data 8 maggio: “venivo in presidenza per denunciare un’azione sgradevole se intenzionale – e non monelleria – conseguenza del clima di linciaggio malignamente diffuso ed attivato nell’istituto ai miei danni “e mi accolse qual una rea!”.

     Appare largamente improbabile l’autenticità (o quanto meno la spontaneità) dell’esposto che ha scatenato una nuova e pesante offensiva contro la ricorrente.

     La lettera del 12 febbraio appare ispirata da qualche collega: molto verosimilmente da quel professore a lei ostile, che non ha mancato anche quest’anno di scontrarsi con la medesima.

     D’altra parte colpisce il fatto che con tanto largo anticipo scoppi un allarme fondato su notizie non si sa come raccolte e come facciano le stesse a essere così puntuali e circostanziate.

     Si tratta di una vera congerie di voci calunniose che si stenta a credere diffuse dagli alunni della ex I C.

     Questi non avrebbero avuto alcun interesse a farlo se è vero che nel corso dell’attuale anno scolastico 1997/98, dopo essersi finalmente liberati dalla odiata insegnante, frequentano la II C con altro docente.

     Se, inoltre, muove questi solerti genitori la grave preoccupazione nei riguardi dell’intero corso del triennio “che attende i nostri figli iscritti in questa sezione”, non si comprende perché non abbiano appoggiato le analoghe azioni di protesa dei genitori degli studenti della V C nell’anno scolastico 1996/97, quando i loro rampolli si erano appena iscritti alla sezione C del corso ginnasiale (nell’anno scolastico 1996/97 i loro figli frequentavano la IV C) e avevano la stessa prospettiva di subire per l’intero corso del triennio quel “grave squilibrio nello scambio umano e didattico” ora calorosamente denunciato.

      Si ricorderà, infatti, che nello stesso periodo (fine aprile) dell’anno scolastico precedente i genitori dell’allora V C con l’allarmata lettera del 26 aprile 1997 esprimevano sconcerto per il “clima di disagio che i nostri figli e noi stessi respiriamo nella vita della sezione”.

     Nella sostanza nel corrente anno scolastico 1997/1998 prende forma una protesta identica a quella dell’anno precedente, con la differenza che quest’ultima, sottoscritta solo da 17 genitori, esprimeva un vivo allarme anche per particolari non rassicuranti che riguardavano la deontologia professionale della ricorrente, descritta come persona adusa a fare ricorso alla “violenza corporea per sostenere le proprie ragioni”.

     Colpisce la somiglianza delle due lettere: stesso tono, stessi termini.

     Ritornano le parole “sconcertante”, vivo allarme, squilibrio, la previsione di danno al patrimonio culturale dei discenti, la richiesta di mandare via l’insegnante, la minaccia dell’inevitabile trasferimento dei figli ad altra scuola.

     Non è poi spiegabile come mai la lettera datata 12 febbraio 1998 si chiude con l’attesa di una “Sua risposta sollecita” per essere consegnata al preside solo il 29 aprile.

     Non può non colpire anche la identità dei caratteri del primo foglio di questa lettera con le numerose lettere dell’anno precedente (lettera del 28 aprile 1997 dei genitori della I C; lettera del 27 maggio 1997 dei rappresentanti di classe) e, cosa ancora di maggiore rilievo, la diversità dei caratteri tra il primo e gli altri due fogli nei quali, dopo la frase “attendiamo una Sua risposta sollecita; con osservanza; Roma lì 12.02.1998” seguono le firme dei 32 genitori.

      La peculiarità rilevata potrebbe anche fare pensare a un montaggio ottenuto utilizzando una qualsiasi istanza presentata il lontano 12 febbraio dai genitori della intera classe, facilmente disponibile a chi ha dimestichezza degli uffici della presidenza.

     Al di fuori di questa ipotesi, una così plateale ribellione di genitori, che non avevano mai conosciuto la ricorrente e con la quale non avevano avuto occasioni di contatto, appare fuori della realtà, anche considerando che nel corso dell’anno scolastico 1997/98 non si erano verificati episodi di disagio da addebitare alla ricorrente.

     Resta la plausibile chiave di lettura dello scontro con l’ex-vicepreside, che questa volta in relazione all’episodio accaduto il 20 marzo tenterà di accreditare la tesi di una docente visionaria.

10 – Può dirsi sufficientemente disegnato il quadro dei rapporti tra la ricorrente e l’ambiente scolastico.

     La ricorrente ha sovente contestato l’opera dei dirigenti, (pure sempre con modi civili ancorché caratterizzati da espressioni colorite nell’esercizio di un suo diritto di critica e di partecipazione attiva alla vita scolastica) lamentando di non essere mai stata difesa dagli attacchi di alcuni suoi colleghi e di parte dei genitori e di studenti manifestamente manovrati dal proprio antagonista, il vicepreside, con il quale i rapporti erano pessimi.

     Alla stessa ricorrente desta meraviglia che il collega, pure ritenuto persona mite, abbia d’improvviso cambiato atteggiamento e mostrato un astio crescente nei suoi confronti. Tutto questo per banali episodi di convivenza nell’ambiente scolastico, che i dirigenti di istituto avrebbero avuto il preciso dovere di contenere entro i naturali limiti, in luogo di prendere le rimostranze del vicepreside per oro colato nella esigenza di mostrare riconoscenza e gratitudine alla sua funzione di vicario, in tale modo acuendo l’esasperazione della docente e spingendola alle sue manifestazioni più eclatanti e vistose.

     Vi è da notare, in ogni caso, che le razioni della ricorrente sono tutte manifestazioni di un profondo attaccamento al proprio lavoro e alle istituzioni e di elevata sensibilità al rispetto delle regole sia giuridiche che della buona educazione.

     E’ vero che gli scontri soprattutto verbali con il vicepreside, che all’evidenza male sopporta la netta superiorità anche culturale della ricorrente, spiegano l’atteggiamento astioso nei confronti di quest’ultima, ma non giustificano il travaso di una situazione strettamente personale in una che coinvolge le istituzioni e il compimento persino di atti di ufficio così viziati di sviamento.

      Con gli altri docenti in genere la ricorrente mostra di essere capace di intensa riconoscenza quando ci si distingue per il tratto umano e lo spirito di leale colleganza, così come è inflessibile verso quanti esprimono insofferenza, scarsa collaborazione fino ad atteggiamenti ostili e preconcetti.

     Con gli studenti la ricorrente si mostra equilibrata, severa quando è necessario, comprensiva quando possibile, sempre pronta a dare il meglio della sua elevata professionalità, attenta ai problemi dei giovani, guida esperta a una loro completa maturazione.

     Aperta al dialogo e al confronto; chiusa ermeticamente di fronte all’arroganza e agli atteggiamenti irriguardosi.

     Nell’ambito dei rapporti con gli studenti suona certamente come azione vile e vergognosa, ispirata e non spontanea, quella che ha dato occasione all’incauto articolista di un noto quotidiano per infangare il buon nome della ricorrente e della stessa istituzione scolastica sulla base di affermazioni palesemente false e contraddittorie.

     Per quanto riguarda, infine, i contrasti tra la ricorrente con l’ambiente scolastico, globalmente considerato, è possibile trarre la convinzione dalla copiosa documentazione acquisita agli atti a seguito della sentenza interlocutoria 15 aprile 1999 n. 945 che se è vera la detta situazione di contrasto, alla quale ha dato occasione il carattere spigoloso della ricorrente, è anche vero che si tratta di situazione in larga misura provocata e, in buona parte, ad arte per fini che non rispondono al pubblico interesse.

     In altri termini, essendo conosciuta la puntigliosità e l’eccessiva suscettibilità della ricorrente, da un lato non vengono adottati gli accorgimenti minimi per evitare di innescare le sue prevedibili e scontate reazioni (sforzo minimo e doveroso in qualunque rapporto sociale: non si può sopprimere un soggetto che ha un brutto carattere!); dall’altro certe reazioni appaiono provocate ad opera sia di comportamenti disinvolti e imprudenti di soggetti privi della necessaria professionalità, sia di azioni manifestamente dolose poste in essere al preordinato scopo di fare cadere la ricorrente in tranello (operazione di non difficile attuazione considerata la sostanziale fragilità dell’interessata e la atmosfera esplosiva creata al culmine di una progressiva e inesorabile persecuzione).

     E’ sufficiente a tale proposito ricordare la resistenza opposta al rilascio di copie di atti ai quali la ricorrente ha pieno diritto di accesso, provocando le sue fitte ed esasperate proteste mosse dal rifiuto di accettare un atteggiamento di palese e ingiusto ostruzionismo. Si può ricordare, a titolo di esempio, la richiesta di accesso inoltrata il 20 giugno 1998 alla quale l’amministrazione ha dato limitato riscontro, negando il rilascio dei verbali perché si ponevano in contrasto con le tesi accusatorie contro la ricorrente.

     A titolo di esempio si possono ricordare i verbali, dapprima negati, del 25 maggio del consiglio di classe della II L, dove i rapporti degli studenti con i professori era definito “soddisfacente”; ovvero quello del 20 maggio del consiglio di classe della I C, dove si attesta “nessun problema con i professori”.

     Si può anche ricordare, questo nei rapporti con il vice preside, la richiesta all’Avvocatura Generale dello Stato sottoscritta da quest’ultimo a nome del preside (nota 2 del 7 gennaio 1999) di “interporre immediato appello al Consiglio di Stato contro la decisione adottata circa l’istanza di sospensiva proposta”.

     Per capire il fatto occorre ricordare che con ordinanza 21 dicembre 1998 n. 1770 questa Sezione respingeva la istanza di sospensione proposta dalla ricorrente contro la sospensione cautelare dal servizio (ricorso n. 16113 del 1998).

     Il vicepreside, dimenticando che l’istituto dell’appello assiste una decisione sfavorevole, non è rimedio contro una favorevole (come era nella specie nei confronti dell’amministrazione), egualmente invocava l’intervento dell’Avvocatura dello Stato manifestando una sfrenata aspirazione a una giustizia sommaria nei confronti della ricorrente.

11 – E’ ora possibile passare all’esame dei singoli ricorsi che, per ragioni di connessione, sono stati riuniti per essere decisi con una sentenza unica.

      Il primo ricorso (10183 del 1998) è proposto contro lo spostamento di cattedra per l’anno scolastico 1998/99 (dalla cattedra di latino e greco nel liceo a quella di latino nel ginnasio).

     Occorre ricordare che sotto la direzione del preside De Feis in data 9 giugno 1998 si riuniva il collegio dei docenti per discutere, tra l’altro, della ipotesi di assegnazione delle cattedre per l’anno scolastico 1998/99.

     Già in quella sede si percepisce un profondo contrasto con il preside, il quale in modo del tutto singolare e sconosciuto ai lavori di un organismo collegiale, nega alla ricorrente, invitandola ad accomodarsi, un intervento richiesto per esporre una mozione d’ordine.

     Quando finalmente giunge il suo turno la ricorrente protesta vivamente sulla ipotesi formulata.

     Una registrazione a verbale sommaria, spesso imprecisa, non consente di cogliere tutti i passaggi della discussione.

     Solo quando interviene la ricorrente si registrano con puntiglio le sue parole testuali.

     La ricorrente parla in termini chiari, usando espressioni anche colorite, alle quali è solito ricorrere chi vuole farsi intendere senza equivoci e infingimenti.

     D’altra parte la ricorrente non fa che ripetere il pensiero pure espresso da altri docenti: che nell’assegnazione delle cattedre “la via maestra che il collegio possa seguire è solo quella del rispetto della graduatoria di ciascuno e la legge di continuità”.

     Sostiene la ricorrente che per rispetto al principio della continuità di insegnamento non appare corretto incidere sull’assegnazione delle cattedre solo per dare ascolto a chiacchiere.

      Ed invero un docente afferma che “il principio fondamentale per l’assegnazione delle cattedre è il rispetto della graduatoria interna; non bisogna dare ascolto alle chiacchiere dei genitori”.

     All’intervento poco comprensibile e sicuramente fuori di luogo di altro docente (“la graduatoria interna deve valere solo per eventuali perdite di posto e non per l’assecondamento di capricci da parte di chi sta primo in graduatoria, con atteggiamenti tipi del nonnismo”), il vicepreside saggiamente aggiunge: “Non ci devono essere prevaricazioni, né da una parte né dall’altra; i carichi di lavoro devono essere uniformi con il rispetto delle garanzie di ciascuno”.

     Alla domanda del preside se nell’assegnare le cattedre debbano essere considerati altri criteri oltre a quello del rispetto delle graduatorie, chi chiede la “trasparenza delle situazioni” (il difetto di verbalizzazione si riflette sulla incomprensione della proposta), chi chiede che vengano tenute presenti le “necessità” (evidentemente del personale docente), chi contesta la proposta (non si sa da chi formulata) di valutare il carattere, la personalità e la professionalità del docente perché criteri troppo soggettivi.

     Su un altro argomento iscritto all’ordine del giorno il collegio dei docenti all’unanimità esprime la propria indignazione per la procedura adottata dal provveditorato nei confronti di una docente, per la quale era sta disposta una subitanea ispezione in seguito ai dubbi espressi da un genitore sulla sua professionalità e moralità.

     Il preside chiarisce che “alcuni genitori hanno grande influenza, tanto è vero che è stata mandata in brevissimo tempo, all’insaputa del preside, un’ispezione contro una insegnante irreprensibile, dietro segnalazione di un genitore al provveditorato”.

     Dopo aver raccolto alcune richieste di spostamento “a lui consegnate da parte dei docenti”, il preside chiude la riunione con l’impegno di definire l’assegnazione delle cattedre nel rispetto delle graduatorie (“a secondo delle richieste e delle esigenze”).

     Nella adunanza del 19 giugno 1998 il consiglio di istituto, sempre affidato alla direzione del preside De Feis e a una verbalizzazione imprecisa e sommaria, si esprime sui criteri per l’assegnazione delle cattedre e su questo argomento, da un lato, ratifica le “proposte operative” ribadite dal collegio dei docenti nella seduta del 9 giugno, che sono: 1) salvaguardia della continuità didattica; 2) diritto di precedenza nella scelta a parità di richiesta da parte del docente in relazione alla anzianità di servizio; dall’altro, aggiunge un terzo criterio: 3) serenità tra le componenti e funzionalità ottimale delle sezioni.

      I primi due criteri vengono deliberati all’unanimità; il terzo (di proponente ignoto e senza che sia riportato in verbale un minimo della discussione che deve avere provocato la novità) è approvato a maggioranza, con voto contrario della ricorrente e una astensione.

     Il giorno successivo era riconvocato il collegio dei docenti (verbale 161 del 20 giugno 1998), nel corso del quale il preside “espone l’elenco delle assegnazioni delle cattedre per l’anno scolastico 1998/99”.

     In tale occasione la ricorrente apprende di essere stata assegnata a una quinta ginnasiale.

     In apertura di dibattito un docente “contesta al preside l’assegnazione alla sezione A, affermando di avere chiesto esplicitamente di passare dalla sezione I alla sezione E”.

     Il preside si giustifica riferendo di avere equivocato sulle intenzioni del docente e dichiara che “se l’interessato non lo desidera, questo spostamento non avrà luogo”.

     Interviene a questo punto la ricorrente, che reagisce in modo molto risentito alla decisione del preside (l’intervento della ricorrente è riferito “testualmente”).

     In primo luogo l’interessata, che si associa alla pretesa del docente che aveva protestato, lamenta che analogo trattamento non le viene riservato; denuncia inoltre di essere ingiustamente penalizzata alla conclusione di un lungo periodo di soprusi da parte del preside; dichiara ancora che “in questa scuola prima si aizzano le famiglie degli alunni”, si inducono queste a scrivere lettere di protesta, “indi si crea il sillogismo capziosissimo per tentare di eliminare illegalmente una collega d’altro non colpevole se non di fare anche più del suo dovere con scrupolo massimo e un tal qual rigore”; infine si sfoga denunciando che “le mie sventure nacquero in questa scuola – e se ne vedono i retaggi ancora oggi – quando mi opposi, strenua e sola, al famigerato sei politico; per non avere mai amato il compromesso e per non essere incline alla accomodanza cui troppo si piegano molte persone”; constata poi di trovarsi a riscuotere “antipatia concentrata e strumentalizzata ai fini di fare ostracismo ingiusto ed ormai lapalissiano alla mia persona”.

     La ricorrente passa, quindi, a contestare quella che definisce una ulteriore palese ingiustizia perpetrata a suo danno dal preside “quale è quella di togliermi le classi cui ho diritto sia per continuità didattica sia per diritto di graduatoria”; ricorda di avere già nel mese di maggio protestato vivacemente (lettera del 12 maggio 1998) contro presunte accuse di genitori indirizzate a provocare il suo passaggio ad altro corso o sezione e lamenta del trattamento che lo stesso preside le aveva riservato quando era andata in presidenza per denunciare un’azione sgradevole (se intenzionale) di una alunna (in quell’occasione venne accolta dal preside “qual una rea!”).

     Nel dibattito che segue appare degno di nota l’osservazione di un docente, che nel ricordare come il preside non è nuovo a imposizioni del genere di quella riferita ora dalla ricorrente, per averne subita una analoga qualche anno addietro, esprime l’esigenza che il preside, come ha accolto la protesta dell’altro docente per quanto riguarda il passaggio a una sezione non richiesta, “deve comportarsi allo stesso modo” anche con la ricorrente, che non aveva chiesto di cambiare sezione, né tanto meno di passare al ginnasio.

     Da altro insegnante viene l’avvertimento che nelle assegnazioni delle classi devono rimanere estranei i genitori (“non si può tenere conto delle preferenze dei genitori”).

     Altro docente ricorda che negli anni passati i vari spostamenti di insegnanti erano stati disposti assecondando le preferenze espresse da ciascuno.

     Rispondeva il preside giustificando le scelte effettuate con l’esigenza di dovere applicare il criterio della serenità e del funzionamento ottimale delle varie sezioni “che il consiglio di istituto proprio nella seduta del giorno prima aveva indicato come criterio valido per l’assegnazione delle cattedre in aggiunta a quello del rispetto della graduatoria interna e a quello della continuità didattica”.

     Condivideva l’operato del preside altra docente, che pure criticava come sbagliata una certa politica scolastica fino ad allora seguita e metteva in guardia dalla arroganza di molti genitori quando intendono condizionare l’organizzazione scolastica.

      Alla luce dei fatti sopra decritti appaiono fondate le censure mosse all’impugnato provvedimento di violazione e falsa applicazione del procedimento per l’assegnazione delle classi ai docenti di cui agli articoli 7, comma secondo, lettera b) e 10, comma quarto, e 396, comma secondo, lettera d) del T.U. 16 aprile 1994 n. 297; incompetenza; eccesso di potere per carenza di motivazione, contraddittorietà,. disparità di trattamento, ingiustizia e illogicità manifesta; eccesso di potere per travisamento e sviamento.

     La vera motivazione di questo declassamento la si rinviene nelle difese dell’amministrazione (memoria depositata il 27 marzo 1999), che riferisce l’operazione all’intento del preside di risolvere in tale modo lo stato di conflittualità che da alcuni anni si era venuto a creare nella scuola tra i genitori degli alunni delle classi affidate alla ricorrente e quest’ultima.

     A parte il fatto che deve essere ancora accertato se le parti in conflitto fossero veramente o comunque esclusivamente la ricorrente e gli alunni, non pare corretto al Collegio limitarsi a rilevare il macroscopico sviamento di potere, se non altro per rispettare il principio della inammissibilità delle motivazione postume. Alla luce delle pur striminzite verbalizzazioni innanzi esaminate, che testimoniano le determinazioni adottate dal preside e il procedimento seguito, le censure mosse con il primo ricorso appaiono pienamente fondate.

     La già ricordata fumosità dei verbali e la imprecisione (forse anche intenzionale) delle proposizioni in essi contenute non consentono di definire agevolmente la censura di incompetenza e di violazione del procedimento prescritto per l’assegnazione delle classi ai docenti, come disciplinato dal T.U. 16 aprile 1994 n. 297 (ancorché, in effetti, sembra mancare la proposta del collegio dei docenti).

     Ed invero, l’operato del preside e degli organi consultivi e propositivi di sostegno al suo operato risulta abbondantemente illegittimo per altri più gravi motivi.

     Pur rientrando nella discrezionalità del capo di istituto la ponderazione del complesso degli elementi idonei a determinare l’opportunità di assegnare a un docente una certa classe del liceo ovvero del ginnasio, appare del tutto immotivata la introduzione di quel terzo criterio, detto della “serenità fra le componenti e funzionalità ottimale delle sezioni”, che dovrebbe limitare la scelta del preside (nella specie il preside si schernisce proprio dietro il presunto obbligo di attenersi a quel criterio), ma che in realtà finisce per ampliarla a dismisura.

     Ed invero non è data risposta alla fondata obiezione di un docente, che osservava come “le valutazioni relative al carattere, alla personalità e alla professionalità sono troppo soggettive” e come appariva evidente che quel criterio fosse stato introdotto con esclusivo riferimento alla ricorrente.

     E’ pur vero da considerare che i vari aspetti della personalità del docente sono costantemente valutati e tenuti sotto controllo dalla amministrazione al fine di garantire la piena efficienza del servizio scolastico; così come gli stessi sono normalmente oggetto di provvedimenti tipici che attengono allo svolgimento della carriera del docente.

     Come la considerazione del carattere, delle personalità e della professionalità del docente possa inerire alla scelta della classe da assegnare appare operazione di difficile giustificazione sul piano della logica e, sicuramente, della legittimità sotto il profilo dello sviamento di potere.

      Non deve essere ignorato che tutti i docenti soggetti ad essere assegnatari di una classe sono necessariamente da considerare sullo stesso piano e tutti ugualmente idonei per il carattere, la personalità e la professionalità alla funzione di loro competenza, salvi il peso che sicuramente determina la posizione nella graduatoria interna e la attenzione (nei limiti del possibile) alle esigenze personali, risolvendosi ambedue gli elementi in fattori rilevanti anche per il pubblico interesse.

     Il criterio è, inoltre, fumoso (funzionalità ottimale delle sezioni) e ambiguo (serenità tra le componenti).

      Non è dato comprendere quali sarebbero gli elementi delle personalità del docente che impedirebbero il raggiungimento della serenità; né per quale alchimia in una classe si costituirebbe una atmosfera serena e in un’altra no.

     Argutamente la ricorrente osserva che se il criterio fosse applicato nei suoi confronti apparirebbe illogico assegnare una simile guastatrice di serenità a una classe di alunni più giovani e meno smaliziati, cioè maggiormente soggetti a essere turbati.

     Ad ogni modo, ove pure non fosse viziato da evidente eccesso di potere per sviamento, illogicità, difetto di motivazione e inapplicabilità per genericità e incongruenza, il terzo criterio, per essere introdotto quale correttivo ai primi due, richiederebbe una ampia e adeguata motivazione sulle esigenze di pubblico interesse da giustificare il sacrificio della continuità didattica e del diritto di precedenza nella scelta che spetta al docente in relazione all’anzianità di servizio posseduta a tutto ed esclusivo vantaggio di quella evanescente serenità tra le componenti e della indefinita funzionalità ottimale delle sezioni.

     Nella realtà dei fatti quel terzo criterio era stato appositamente creato sulle esclusive misure della ricorrente ed applicato unicamente nei suoi confronti.

     Assumevano, pertanto, significato ben preciso le (leali e corrette) affermazioni della difesa dell’amministrazione: la innaturale e ingiustificata retrocessione aveva solo lo scopo di “risolvere lo stato di conflittualità che da alcuni anni si era venuta a creare nella scuola”.

     Questo stato di conflittualità è tutto da verificare e in ogni caso non giustifica l’incidenza sulle operazioni di distribuzioni delle classi ai singoli docenti, ispirata a ben altri principi.

     Nelle conclusioni (“tale stato di fatto, innegabilmente pregiudizievole per il regolare andamento dell’attività didattica e il prestigio dell’istituto avrebbe, per la verità, giustificato il trasferimento d’ufficio della docente ai sensi dell’art. 467 del T.U. 297 del 1994 per accertate incompatibilità di permanenza nella scuola) è la chiave di lettura dello sviamento di potere nella adozione dell’impugnato declassamento.

     Né hanno rilievo le considerazioni sulla unicità della funzione docente e sulla pari dignità dei due corsi di studio, così come non giova il richiamo che illustri grecisti abbiano insegnato al ginnasio.

     La ricordata discrezionalità del capo di istituto nel ponderare il complesso degli elementi idonei a determinare l’opportunità di assegnare a un docente una classe di liceo ovvero del ginnasio trova una limitazione nel parere espresso dal collegio dei docenti sulla base dei criteri posti dal consiglio di istituto.

     Tra questi criteri vi è il rispetto della continuità didattica e delle preferenze espresse dal docente, con il peso che è ad esse attribuito dalla posizione in graduatoria.

     Il tentativo di creare un terzo criterio, col quale trattare unicamente la ricorrente (nei confronti degli altri docenti sono stati applicati puntualmente i due criteri anzidetti) e dietro il quale dare parvenza di legittimità a una operazione di per sé contraddittoria è naufragato nella assenza di una pure minima motivazione.

12 – Per entrare nelle vicende sottese al secondo ricorso (16113 del 1998) occorre partire dai fatti processuali che hanno caratterizzato il primo gravame.

     Questa sezione non concedeva la richiesta sospensione del primo provvedimento impugnato (ordinanza 26 agosto 1998 n. 1176) sul rilievo della insussistenza di un danno grava e irreparabile.

     In effetti il rapporto di servizio sarebbe proseguito egualmente e fatto salvo il trattamento economico in godimento.

     In appello il Consiglio di Stato, in una ottica diversa e maggiormente sensibile al rispetto della persona e della professionalità del pubblico dipendente, concedeva la sospensione (ordinanza 23 ottobre 1998 n. 1621) sulla base di considerazioni sia in punto di danno professionale e morale (considerato il pregiudizio subito dall’appellante in ragione della disposta assegnazione della cattedra di lettere al ginnasio), sia in punto di buoni motivi di diritto (considerata la posizione dell’appellante sotto il profilo dell’anzianità di servizio e richiamate le esigenze di continuità didattica), manifestando in tale modo apprezzamento per i primi due criteri per l’assegnazione dei docenti alle varie classi e mostrando palese disinteresse sulla presunta validità del terzo criterio, artificiosamente introdotto per colpire la sola ricorrente.

      Il 28 ottobre l’ordinanza anzidetta era notificata all’amministrazione e alla persona del preside (nelle mani di un docente che la riceveva).

     In data 29 ottobre (peraltro in coincidenza con il termine di un periodo di assenza per malattia, che le aveva impedito di riprendere l’insegnamento – sia pure nella classe del ginnasio assegnata – all’inizio dell’anno scolastico) l’interessata si recava in presidenza per formalizzare il suo rientro e la ripresa del servizio nella cattedra che le spettava in seguito al provvedimento cautelare del giudice amministrativo.

     Seguiva un’attività da parte dei funzionari scolastici, che la ricorrente denuncia come all’evidenza defatigatori (quale in realtà era) al fine di ritardare l’esecuzione della ricordata ordinanza cautelare.

     In data 4 novembre 1998 l’interessata era costretta a notificare atto di diffida alla (nuova) preside per ottenere l’ottemperanza all’anzidetto provvedimento.

     Perdurando l’omissione dell’amministrazione, in data 5 novembre era proposta al Consiglio di Stato istanza di esecuzione dell’ordinanza 1621 del 1998 (Sezione VI).

     Solo in data 7 novembre la nuova preside (subentrata al funzionario che aveva sottoscritto il provvedimento di declassamento impugnato col primo ricorso e al quale era sostanzialmente da ascriversi l’azione di resistenza all’ordine del giudice amministrativo, ammetteva la ricorrente in servizio assegnandole alcune classi di liceo: latino e greco in III L; latino e greco in II C e uno spezzone di tre ore in I L.

     La ricorrente tornava in servizio il 10 novembre.

     Le lezioni riprendevano regolarmente ad eccezione che nella classe II C, dove esplodeva una protesta di (soli) undici alunni, che si rifiutavano di seguire le lezioni della ricorrente, lasciando quest’ultima sola con cinque ragazzi non aderenti alla manifestazione.

     Segue a ruota il provvedimento 17 novembre 1998 n. 1832, col quale la preside disponeva la sospensione cautelare della ricorrente: provvedimento convalidato con decreto ministeriale 24 novembre 1998, pure impugnato in questa sede.

     La determinazione della preside scaturiva con il conforto del parere reso dal Collegio dei docenti in data 16 novembre. La seduta era stata convocata d’urgenza in data 12 novembre.

     Nel corso del dibattito alcuni insegnanti facevano notare che nel caso di specie erano del tutto carenti i presupposti per sospendere cautelarmene la ricorrente dal servizio ai sensi dell’art. 506, comma quarto, del T.U. 297 del 1994.

     I fautori della sospensione fondavano, invece, il loro convincimento su una serie di esposti di genitori e alunni del 6, 10 e 13 novembre 1998 e sull’appoggio alla detta soluzione caldeggiata dall’ispettore ministeriale presente alla seduta.

      Alla fine prevaleva il parere favorevole e con il ricordato decreto del 17 novembre 1998 la ricorrente veniva sospesa cautelarmente  dal servizio per giorni dieci per essere accertato che la condotta della docente nei confronti degli alunni è all’origine di turbamenti e problemi nel rapporto interpersonale e che “essa permane immutata almeno dall’anno scolastico 1996/97, cui risale il primo episodio denunciato nei documenti di doglianze dei genitori e alunni”.

     Si considera inoltre che gli alunni, stante la pregressa e perdurante situazione, si rifiutano “per paura” di fare lezioni con la professoressa”; si tiene conto che le lettere di alunni e genitori mettano in luce l’impossibilità dell’instaurazione di un rapporto sereno sia didatticamente che umanamente; si sottolinea l’attuale radicalizzazione del problema e l’atteggiamento aggressivo cui genitori, alunni e personale della scuola, preside compresa, vengono fatto oggetto.

     Il ricorso in esame (che poggia su censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 506, comma quarto, del T.U. 297 del 1994, carenza di presupposti, travisamento dei fatti, perplessità e contraddittorietà della motivazione, ingiustizia manifesta e sviamento) è nell’evidenza fondato.

     Nella vicenda desta perplessità la superficialità dell’amministrazione centrale, disposta ad avallare provvedimenti di quella periferica privi del minimo costrutto e di buon senso.

      Non si comprende come possa sfuggire la precipitosa adozione di misure vessatorie nei confronti della ricorrente come reazione alla prima operazione male riuscita grazie all’intervento del Consiglio di Stato.

     E’ bene ricordare che alla data di convocazione del collegio straordinario dei docenti che si terrà il 16 novembre, convocazione diramata il 12 novembre, non era ancora pervenuta la relazione ispettiva datata 14 novembre (ma introitata solo il 17 successivo).

     Pertanto, l’esigenza di riunire urgentemente il Collegio dei docenti per l’adozione delle misure previste dall’art. 506, comma quarto, del T.U. 297 del 1994 “nei confronti di docente componente del collegio medesimo (colpisce la delicatezza mostrata sul rispetto della riservatezza per poi scagliarsi contro la ricorrente in un vero e proprio linciaggio morale) aveva fondamento in tre esposti dei genitori e alunni del 6, 10 e 13 novembre 1998 (la ricorrente ha ripreso servizio il 10 novembre, dopo l’ostruzionismo opposto in sede di esecuzione dell’ordinanza cautelare del giudice amministrativo).

     Non vi è traccia agli atti di sommossa popolare.

     Vi sono solo due esposti di genitori e studenti della classe III C e un esposto di undici alunni della classe II C.

     E’ difficile comprendere quale interesse muova genitori e studenti della classe III C (che nell’anno scolastico 1996/97 avevano frequentato la contestata classe I C) se è vero che la docente nell’anno in corso non insegna in III C., trattandosi proprio della classe che ottenne di abbandonare.

      Inoltre, i suddetti ricordano fatti che (ammesso che fossero veritieri) risalirebbero all’anno scolastico 1996/97.

     Resta, pertanto, incomprensibile come il ritorno della docente in tutt’altre classi possa minare la loro fiducia “in una definitiva risoluzione del problema e nel fatto che i nostri figli non più distratti da tali vicende possano avviarsi serenamente a sostenere i nuovi esami di maturità”.

     Rimane la protesta di undici alunni della II C, che sempre riguardava l’anno pregresso e i cui toni arroganti e da sanzionare disciplinarmente (“con il ritorno alla nostra sezione della professoressa………, insegnante – si fa per dire – di latino e greco……..”) sono da attribuire al sostegno scarsamente educativo dato da docenti e genitori (una esagitata genitrice ricorda che “ci riempì di gioia” l’assegnazione della ricorrente alla V ginnasio e proclama che “siamo intenzionati a non mollare”).

     L’amministrazione ignora la lettera dei genitori degli studenti della classe III L, che in data 30 novembre 1998 denunciavano “lo stato enorme di disagi e di danni provocati ai propri figli in quanto privati ancora una volta ingiustamente della docente che li ha seguiti nel precedente anno scolastico 1997/98 con ottimi risultati educativi ed istruttivi”.

     Gli stessi aggiungono di volere “protestare contro l’ignobile linciaggio morale che ad opera di una minoranza di studenti e genitori si manifesta da tempo nella scuola, con un accanimento degno di miglior causa, ai danni della predetta professoressa, linciaggio che ne offende l’umanità e la professionalità”.

     Se questi sono i fatti, è incomprensibile come essi possano costituire attuale presupposto per l’adozione di un provvedimento di natura cautelare destinato a condurre all’allontanamento dal servizio del docente autore di reati o comunque di fatti estremamente gravi per evitare che sia menomato il prestigio dell’amministrazione nelle more del procedimento disciplinare avviato ovvero ancorché da avviare (quanto i fatti siano di gravità eccezionale, come dovrà risultare da adeguata motivazione).

     E’ poi assolutamente inconsueto che la sospensione cautelare sia stata disposta per soli dieci giorni, pur sapendo che tale termine è incompatibile con l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare.

     Non si comprende perché all’undicesimo giorno il prestigio dell’amministrazione, che si è inteso con tanta solerzia salvaguardare, diventi immune da contaminazioni per effetto del comportamento della ricorrente (che all’undicesimo giorno potrebbe tornare a delinquere).

     La spiegazione è nel quarto comma dell’art. 506 del T.U. 297 del 1994 nella specie applicato.

      Ed invero, se ricorrono ragioni di particolari urgenza la sospensione cautelare può essere disposta dal preside, sentito il collegio dei docenti, salvo convalida da parte dell’autorità competente. In mancanza di convalida entro il termine di dieci giorni dall’adozione, il provvedimento di sospensione è revocato di diritto.

     Il preside non immaginava che il suo provvedimento, macroscopicamente illegittimo, fosse  convalidato da una amministrazione centrale poco accorta. E’ pertanto evidente che la limitazione (peraltro illogica e incongruente con le finalità dell’istituto) mirava a limitare le proprie responsabilità in una azione palesemente abusiva e dannosa. La decadenza degli effetti sarebbe stata, difatti, conseguente alla (illogica) limitazione temporale apposta e non a una valutazione negativa dell’autorità preposta alla convalida della misura adottata.

     All’azione della preside erano di supporto i consigli e i pareri dell’ispettore ministeriale, che la ricorrente aveva opportunamente ricusato per avere dato prova di parzialità e di pregiudizio nei suoi confronti.

     Era, difatti, l’ispettore che aveva messo in rilievo “la gravità delle testimonianze” nei confronti della ricorrente; è sua la banalità secondo la quale “l’insegnante in oggetto si è resa colpevole di abbandono di minori, rifiutandosi per alcuni giorni di andare a prestare servizio nella classe V ginnasio”.

     Del tutto privo di seri e attuali presupposti, incongruamente motivato, il provvedimento impugnato merita di essere annullato.

13 – Con il terzo ricorso (3908 del 1999) veniva impugnato il nuovo provvedimento di sospensione dal servizio adottato dall’allora vicario della preside in data 12 febbraio 1999, seguito da pedissequa convalida del provveditorato.

     Si è agli inizi ricordato che il preside e alcuni dei docenti non demordevano dal loro disegno di allontanare la ricorrente a ogni costo.

     Il tentativo di disporre la sospensione dal servizio per cinque mesi, sempre architettato dal vicepreside che abusava dei suoi poteri per nutrire sentimenti di personale inimicizia nei confronti della ricorrente (provvedimento del 27 gennaio 1999) non trovava il conforto dell’amministrazione centrale, che non poteva non censurare la ingiustificata e ingiustificabile decisione.

     Il terzo ricorso rientra, pertanto, nella difesa contro lo stesso intento persecutorio portato avanti da un gruppo di docenti capeggiati dal vicepreside, il quale subito dopo avere ricevuta la smentita da parte dell’amministrazione centrale, convocava nuovamente il collegio dei docenti per macchinare una ulteriore sospensione dal servizio in vista del trasferimento per incompatibilità ambientale (art. 468 T.U. 297 del 1994).

     Il motivo alla base dell’atteggiamento che si voleva avere nei confronti della ricorrente sarebbe “l’aggravarsi dello stato di tensione, la radicalizzazione del contrasto ormai insanabile tra la ricorrente e molti alunni e genitori e il precipitare della situazione il giorno del rientro in servizio della suddetta insegnante in data 9 febbraio 1999”.

      Nello stesso verbale (si è in data 11 febbraio) il vicepreside ricorda che “il giorno 10 febbraio gli alunni della classe II C all’arrivo della professoressa hanno abbandonato l’aula”. E inoltre, vari genitori di alunni del corso C hanno dichiarato che l’iscrizione per il prossimo anno scolastico è subordinato all’allontanamento della docente.

     E ancora, alcuni genitori hanno minacciato, sempre il giorno 10 febbraio, di occupare la presidenza.

     E ancora, la tensione, il nervosismo e il malumore si sono inevitabilmente estesi anche ai docenti del liceo.

     Il giudizio del vicepreside si conclude con la notazione che “la situazione è diventata ormai ingovernabile e la scuola sta precipitando nel caos con grave pregiudizio dell’istituto, ma anche per il regolare andamento dell’attività didattica”.

     Dalle stesse parole del vicepreside, dal suo provvedimento del 12 febbraio e dalla convalida ministeriale del 17 febbraio si evince chiaramente che non si tratta di fatti nuovi; l’oggetto delle censure mosse contro la ricorrente sono riferite al presunto suo comportamento unitariamente considerato; i provvedimenti adottati non hanno autonomia concettuale, ma sono la reiterata espressione di un disegno complessivo portato pervicacemente avanti fino alla sua completa riuscita.

      Queste considerazioni radicano la giurisdizione di questo giudice amministrativo sulla vicenda in esame e inducono a disattendere la relativa eccezione mossa dalla amministrazione nelle difese dell’8 aprile 1999.

     Nel merito il ricorso appare pienamente fondato per violazione e falsa applicazione dell’art. 468 del T.U. 297 del 1994, difetto di presupposti per la sospensione dal servizio per ragioni di particolare urgenza, eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione.

     La sequenza degli avvenimenti dà ragione di una macchinazione preventivamente (e abbastanza rozzamente) architettata contro la ricorrente.

     Non è serio ritenere che dal rientro in servizio della ricorrente (9 febbraio) la scuola sia precipitata nel caos il giorno 12 febbraio.

     Non è serio credere che la rivolta popolare (sempre e solo dell’esiguo numero di 11 scalmanati studenti, contro i quali il solerte vicepreside ben si guarda dall’adottare provvedimenti disciplinari non eludibili) sia frutto di spontanea avversione contro la ricorrente.

     Il fallito tentativo di pochi giorni prima dimostra che la ispirata sommossa di un manipolo di studenti (che ricevono indebita copertura da parte della scuola) sia da tempo tenuta a caldo per essere scatenata al momento più opportuno. Questo momento si rivelerà in data 11 febbraio, quando anche altri docenti finiscono per ispazientirsi dinnanzi alle (evidenti) insistenze del vicepreside (“la tensione, il nervosismo e il malumore si sono inevitabilmente estesi anche ai docenti del liceo”) e, pur di giungere a capo della situazione e di essere lasciati in serenità a svolgere il proprio lavoro, si affiancano alla parte più forte (quella del vicepreside) e abbandonano la ricorrente al suo destino.

     E’ questa la ricostruzione più logica della situazione alimentata dal non disinteressato vicepreside.

     Non è poi dato comprendere come possa essere dato rilievo a clausole inapplicabili su istanze alla pubblica amministrazione, come nella specie è avvenuto su moduli predisposti per condizionare l’iscrizione dei propri figli a un fatto organizzativo dell’amministrazione stessa (i docenti sono scelti dalla amministrazione, non dai genitori degli studenti).

     La convalida provveditoriale del 17 febbraio richiama, inoltre, la relazione ispettiva di fresca edizione (12  febbraio), nella quale un ormai schierato ispettore ministeriale percepisce “nel corso di questa nuova fase dell’accertamento, condotto nei giorni 10 e 11 febbraio”, la situazione descritta dal vicepreside (“perdurando la assenza della preside”) come lesiva del buon nome della scuola. Pure l’articolo di giornale apparso il 10 febbraio, in luogo di suonare lesivo della onorabilità e rispettabilità (queste assolutamente indiscutibili) della docente e, di riflesso, della scuola, è percepito come “gravemente lesivo del buon nome” della scuola per colpa della ricorrente.

     Le manifestazioni di stima e di sincero appoggio alla docente, che innegabilmente vi sono state, sono interpretate dall’ispettore in maniera del tutto distorta e soggettiva, avendone ricavato “l’impressione che più che per sostegno alla professoressa” siano state ispirate al fastidio per i numerosi cambiamenti di docenti.

     Nell’augurio, formulato nelle considerazioni conclusive della relazione, a favore del riconoscimento dei diritti degli studenti “tanto conclamati e ripetuti in leggi, scritti e discorsi” (quali discorsi?) vengono del tutto ignorate le esigenze di tutelare la dignità dei docenti, la funzione delle istituzioni scolastiche e il valore educativo del rispetto per quanti operano con assoluta dedizione e onestà, come è il caso della ricorrente.

     L’atto impugnato è, pertanto, del tutto carente di seria e veritiera motivazione, di presupposti e di cause di giustificazione per l’adozione di misure così traumatiche per la carriera di un pubblico dipendente.

     L’atto è adottato con travisamento dei fatti e palese eccesso di potere per la grave inimicizia nutrita dal vicepreside, della quale non si avvede il provveditorato in sede di convalida senza ponderata istruttoria e senza la presenza di fatti seri e credibili da essere validi presupposti per l’azione intrapresa contro la ricorrente.

      E’ poi vero che il provvedimento assunto ai sensi dell’art. 468 del T.U. 297 del 1994 non rispecchiava la reale situazione del rapporto attuale della docente con l’intera scolaresca, ma vecchi dissapori di uno sparuto numero di studenti e di ex studenti del corso C e la ricorrente senza alcun carattere di urgenza o preminenza.

     Allo stesso modo deve rilevarsi la stretta connessione del provvedimento impugnato con il comportamento di un gruppo di genitori e studenti, prevalentemente estranei al rapporto didattico e interpersonale con la ricorrente, strumentalizzato astutamente (ma in maniera rozza e fin troppo scoperta) dal vicepreside per perseguire l’obiettivo contrastato dalla chiara ed eloquente ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1621 del 1998.

     In questa situazione assumono colore del tutto diverso da quello che l’amministrazione vorrebbe fare apparire le reazioni della ricorrente per accreditare ulteriori motivi a favore della insostenibilità della situazione e della necessità di allontanare la docente quale unica misura idonea a riportare il sereno.

     E’ troppo ovvio che i tre genitori di quanti hanno stazionato a lungo nel corridoio davanti alla presidenza il giorno 10 febbraio (giorno successivo al rientro della docente) minacciando di occupare la presidenza e manifestando “reazioni composte ma decise”, abbiano ricevuto dalla ricorrente un “netto rifiuto a una richiesta di colloquio (è difficile immaginare compostezza nella minaccia di “sit-in” con paventata richiesta di intervento della polizia).

     Si ricorda che quella stessa mattina era uscito l’articolo diffamatorio sul quotidiano.

     Che questa prevedibile manifestazione di profonda indignazione della ricorrente venga tradotta dal solerte vicepreside come considerazione “che la professoressa in oggetto non ha manifestato intenzione alcuna di attenuare la conflittualità al fine di pervenire ad una serena conclusione dell’anno scolastico” (è bene ricordare: tutto questo dopo un giorno di servizio!) è prova della falsità dei presupposti, del travisamento doloso dei fatti, di comportamento ingiusto e scorretto della pubblica amministrazione tenuto per il perseguimento di fini estranei all’interesse pubblico.

14 – I tre ricorsi che seguono, descritti in breve agli inizi, rappresentano la coda della vicenda fino a giungere al momento attuale.

     Per effetto dei naturali spostamenti del personale coinvolto e con l’uscita definitiva dalla scena scolastica degli alunni che hanno contribuito, sicuramente senza rendersene neppure conto a motivo dell’esempio diseducativo ricevuto da genitori e da componenti dell’istituzione scolastica di non esaltante profilo, a sconvolgere la carriera e la vita personale di una docente esemplare, l’attività posta in essere dall’amministrazione, con dispendio di risorse e di energie, si è rivelata del tutto inutile.

     Con il rinnovato e rasserenato ambiente di lavoro sono senza dubbio venute meno le ragioni alle quali l’amministrazione si richiamava per impedire il ritorno della ricorrente nella scuola di titolarità.

15 – Con ricorso 8534 del 2000 è impugnato il trasferimento d’ufficio al liceo classico “Eliano” di Palestrina disposto con decreto provveditoriale del 10 aprile 2000 per accertata situazione di incompatibilità ambientale, su parere favorevole del 14 marzo 2000 del Consiglio di disciplina per il personale docente della scuola secondaria di secondo grado.

     Sono fondate le censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 468 e 469 del T.U. 297 del 1994, carenza di presupposti per il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, eccesso di potere per carenza e perplessità della motivazione, contraddittorietà, travisamento e sviamento.

      La presunta incompatibilità ambientale risulterebbe provata dagli accertamenti espletati dell’ispettore ministeriale prof. Musmeci.

     Da quanto risulta dall’esame degli atti, peraltro disorganicamente versati dall’amministrazione nel giudizio relativo al ricorso 16113 del 1998, è possibile evincere la mancanza di fatti consistenti a supporto di una attuale incompatibilità ambientale addebitata alla ricorrente.

      Le relazioni svolte dall’ispettore Musmeci si distinguono per mancanza di obbiettività e assoluta carenza di serio contraddittorio, peraltro constatata anche dal consiglio di disciplina nell’adunanza del 1° luglio 1999.

     I fatti determinativi dell’incompatibilità risalirebbero a due anni prima; non avrebbero trovato alcun riscontro documentale obiettivo in quanto l’Ispettore Musmeci ha riportato le testimonianze di un gruppo di ex alunni (I liceo, cl. C, dell’a.s. 1996/97) senza riferire le dichiarazioni favorevoli degli alunni della classe III L. dell’a.s. 1998/99, affidati alla ricorrente, né quelle di ex alunni che negavano la veridicità delle calunniose delazioni dei loro compagni di classe.

     Nell’ultima relazione ispettiva l’ispettore è stato costretto, su richiesta del competente Consiglio di disciplina, ad ascoltare le testimonianze favorevoli alla ricorrente, ma non ne ha tratto alcuna conclusione, ribadendo apoditticamente che la docente debba considerarsi incompatibile con il Liceo di Roma per fatti del passato non dimostrati!.

     Inutilmente la ricorrente presentava puntuali ed articolate controdeduzioni con richiesta suppletiva di accertamento ai sensi dell’art. 39, co. 2°, del DPR n. 209/97, allo scopo di far emergere la mistificazione della realtà scolastica esistente nell’istituto.

     Il Provveditore agli Studi di Roma con nota riservata n. 56 in data 4 maggio 1999 respingeva la richiesta dell’interessata affermando che erano esaustivi “gli atti in possesso” di quell’ufficio (prima di acquisire l’ultima relazione ispettiva) ai fini del trasferimento per incompatibilità ambientale.

     Appare a questo punto che l’accertamento della situazione avrebbe dovuto essere affidata a diverso ispettore tecnico, atteso l’atteggiamento parziale dimostrato da quello incaricato a evidente sostegno delle posizioni di (undici) studenti e genitori. In altri termini, nelle indagini svolte, l’ispettore non ha mai sentito la necessità di interrogare i testimoni favorevoli alla ricorrente.

     Il Provveditore agli Studi di Roma non ha ritenuto di dover motivare circa il mancato accoglimento dell’istanza del 10 novembre 1998 di ricusazione dell’Ispettore, il quale era stato incaricato di compiere ben tre visite ispettive, senza il rispetto del principio del contraddittorio. Infatti, il funzionario ispettivo si è limitato a riferire ogni pettegolezzo sul conto della docente presentata artatamente come il “problema” del Liceo senza interrogare gli studenti favorevoli alla docente (classe III L e parte degli studenti della II C dell’a.s. 1998/99) e senza consentire la riassunzione in servizio dell’interessata allo scopo di verificare le presunte “lacune” del suo metodo d’insegnamento!

     Acutamente la ricorrente sottolinea la solida copertura che gli undici studenti contestatari ricevevano dall’intero apparato.

     Nella relazione richiesta con sentenza istruttoria 945 del 1999 la preside precisa (nota del 30 aprile 1999): “Quanto al punto 16 si precisa che per l’irrogazione di eventuali provvedimenti disciplinari – (agli studenti) – si era ritenuto opportuno attendere l’esito della controversia, stante l’evidente situazione di disagio in cui le classi versavano e l’estrema urbanità della contestazione che è apparsa in linea con il recente Statuto degli Studenti e Studentesse”.

     Sulla urbanità della contestazione e sull’atteggiamento diseducativo dell’apparato scolastico sono i fatti a dare ampia illustrazione.

     Non si riesce a giustificare il mancato esperimento di un tentativo di ripristino della legalità da parte di Preside ed Ispettore che hanno condiviso e sostenuto la protesta di un piccolo gruppo di studenti, omettendo di chiarire agli utenti del servizio scolastico che il giudizio sugli insegnanti deve essere espresso esclusivamente dagli organi competenti per legge!.

     Tutto ciò con l’aggravante di aver considerato lecita la minaccia del gruppo ben noto di occupare la presidenza qualora la magistratura avesse ordinato la riassunzione in servizio della ricorrente.

     Alla luce dei fatti fin qui enunciati, tutti sufficientemente accertati attraverso la copiosa documentazione acquisita, emerge la palese illegittimità del provvedimento in argomento, basato sul falso presupposto della “profonda conflittualità tra la docente e le varie componenti scolastiche e, in particolare, tra la stessa, gli alunni e i relativi genitori”.

      Tale conflittualità – secondo il parere espresso dal competente Consiglio di disciplina sarebbe “riscontrabile non solo nell’attuale periodo (nel quale, peraltro, risulta ulteriormente diffusa e aggravata), ma anche in momenti pregressi……”.

     Appare significativa l’irrilevanza alla fine dell’anno scolastico 1999/2000, dei pregressi eventuali motivi d’incompatibilità della ricorrente con i presidi che si sono succeduti e con il Vicario tutti attualmente trasferiti ad altri Istituti. Pertanto, attualmente, non sussiste alcun conflitto con l’ufficio di Presidenza.

     Inoltre gli undici studenti dell’attuale classe III C, così come i loro compagni dello scorso anno, hanno già lasciato l’Istituto in quanto giunti al conseguimento della “maturità” classica.

     Alla mancanza di attualità della presunta incompatibilità si aggiunge l’inesistenza dei presupposti dell’urgenza invocati nel provvedimento impugnato.

     Dunque, nessuno dei presunti “fatti” determinativi dell’incompatibilità contestati dal Provveditore agli Studi di Roma appare fondato ed effettivamente provato.

     Peraltro, le osservazioni circa le presunte “carenze” didattiche ed il turpiloquio della ricorrente (contraddette dalle attestazioni scritte di alunni ed ex alunni della ricorrente) adombrati con grave superficialità dall’ispettore nelle sue relazioni e fatte proprie dal Provveditorato agli Studi di Roma e del Collegio dei professori non hanno alcun rilievo ai fini del trasferimento d’ufficio motivato con l’incompatibilità ambientale.

     Infatti, ove avessero trovato riscontro probatorio, fatti di tale gravità come quelli attribuiti all’odierna ricorrente, ne determinerebbero l’inidoneità all’insegnamento ovvero la punizione con la più grave delle sanzioni disciplinari, in quanto sarebbe impensabile la prosecuzione di un rapporto di lavoro da parte di un’insegnante sfornita dei requisiti di equilibrio, di educazione e di preparazione professionale richiesti al personale docente della scuola pubblica.

     E’, dunque, illegittimo per sviamento di potere il provvedimento in argomento adottato in carenza di presupposti, per finalità diverse da quelle previste dalla vigente normativa in materia di trasferimento d’ufficio per incompatibilità con l’ambiente.

     Il denunciato vizio del provvedimento gravato con il presente ricorso viene ulteriormente confermato dalla massa di iniziative illegittimamente intraprese dall’amministrazione scolastica in danno della docente, quali le ripetute “sospensioni dal servizio” motivate con l’”urgenza” di assecondare 11 studenti ed i loro genitori che impedivano, anche con picchettaggi, il ritorno in servizio della docente; la contestazione di addebiti disciplinari relativi a fatti di due anni prima.

     Appare, infine, evidente che le numerose iniziative si snodavano attraverso l’adozione di provvedimenti tra loro con coerenti nella ricerca di un qualche colpo che andasse a buon segno, tanto che questa Sezione, nella ordinanza 1770 del 1998 chiosava che “le ragioni e gli atti presupposti sembrano oscillare tra incompatibilità ambientale, inidoneità fisica e violazione dei doveri d’ufficio, con attività non omogenea e congruente alla risoluzione pratica della inviluppata vicenda”.

     Su questa base appaiono contraddittorie e illogiche le considerazioni del parere del consiglio di disciplina del 14 marzo 2000, dove si riteneva necessario intervenire con un trasferimento anche nell’interesse della stessa docente che, inserita in altro contesto, a contatto di altre componenti scolastiche potrebbe ritrovare l’equilibrio e la serenità necessari per potere attendere in maniera proficua allo svolgimento dei suoi compiti.

     Avere investito la ricorrente con una gragnuola di accuse con la certezza che almeno una di queste possa giungere a segno esclude che in ipotesi la situazione possa mutare in ambiente diverso.

     Il colpo era talmente sovrastrutturato che sarebbe risultata inadeguata la misura del trasferimento ad altra sede.

     In altre parole, l’amministrazione svela agevolmente l’eccesso di potere nella esagerazione e nella assoluta insostenibilità della misura adottata con lo scopo di risolvere in via definitiva il problema della presenza della ricorrente.

      Deve essere in ultimo ricordato in merito alla vicenda che interessa il ricorso 8534 del 2000 ora in esame che in sede cautelare la Sezione con ordinanza 5000 del 19 giugno 2000, dopo avere ritenuta la propria giurisdizione “atteso che il presupposto dell’atto impugnato (“la grave situazione di disagio e tensione determinatosi nel liceo in questione”) è parte del complesso e unitario contenzioso che riguarda la ricorrente”, fissava l’udienza di merito per il 20 novembre 2000 nella ritenuta necessità di dovere risolvere in tempi brevi l’intera contesa per ristabilire i necessari equilibri tra l’interesse pubblico e quello personale della ricorrente e nello stesso tempo accoglieva l’istanza di quest’ultima statuendo: “E per l’effetto sospende il provvedimento impugnato limitatamente al trasferimento al liceo “Eliano di Palestrina”.

     Per seguire un ordine cronologico degli avvenimenti su quanto ora riferito si tornerà tra breve.

16 – Sopraggiunge l’ulteriore ricorso 10483 del 2000 contro il provveditorato di irrogazione della sanzione della sospensione dall’insegnamento per giorni sette con decreto provveditoriale del 4 aprile 2000 su conforme parere del consiglio di disciplina espresso nell’adunanza del 23 febbraio 2000.

     Il provvedimento si presenta ingiustamente lesivo e gravemente carente sotto i diversi profili di illegittimità denunciati dalla ricorrente.

     Quanto al primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 103 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e dell’art. 507 del T.U. 297 del 1994) deve essere osservato che per consolidata giurisprudenza amministrativa (Cfr. fra le tante, C.d.S. Sez. VI, Sent. n. 1291 del 23.9.98, e Sent. n. 372 del 18.3.94; Sez. V, Sent. n. 231 del 24.2.96), il principio dell’immediatezza della contestazione degli addebiti (espressione « subito », contenuta nell’art. 103 del DPR 10.1.1957, n. 3), trova la sua ragione nella duplice esigenza, da un lato, di consentire all’amministrazione, in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’intero “iter” procedurale, una ponderata valutazione del comportamento dell’impiegato sotto il profilo disciplinare; e, dall’altro, di evitare che l’eccessiva distanza di tempo dagli eventi possa rendere più diffide per l’inquisito l’esercizio del diritto di difesa.

     Con la nota prot. n. 553/Ris del 3.12.1998 il Provveditore agli Studi di Roma ha contestato alla ricorrente, sulla base delle risultanze ispettive (le due relazioni dell’ispettore ministeriale, rispettivamente in data 4 e 14 novembre 1998): “di aver tenuto comportamenti gravemente scorretti ed offensivi nei confronti dei colleghi e degli studenti: di non aver tenuto con la dovuta diligenza i registri personali”.

     Nella relazione del 14.11.1998 l’ispettore ministeriale illustra il procedimento seguito dal 28 ottobre 1998 per compiere gli accertamenti sui problemi di natura didattica e comportamentale della ricorrente.

     Quanto alla paventata questione di “inidoneità didattica”, l’ispettore predetto, alle pagg. 2 e 3 della citata relazione, così si esprime: “Spesso, da genitori e studenti, mi è stato chiesto quali possibilità d’intervento avesse l’amministrazione”……..  “Poiché la richiesta era riferita alla possibilità che la docente venisse “mandata altrove” d’ufficio, le mie risposte hanno sempre richiamato il concetto che quanto veniva enunciato aveva valore solo dato e non concesso che fossero comprovate le responsabilità dell’insegnante.

     Mi si è contestata una qualche inidoneità didattica: in materia ho sempre precisato che i documenti parlano in favore di una notevole preparazione culturale dell’insegnante, citandone titoli e pubblicazioni, sì che fosse evidente che eventuali contestazioni potevano (se dimostrate) inficiare la ricaduta della cultura sulla trasmissione didattica, non la cultura e la preparazione medesime”.

     Pertanto, queste ultime osservazioni dimostrato l’estraneità al procedimento disciplinare di tutti i fatti legali all’idoneità all’insegnamento della ricorrente.

     Dopo questo chiarimento, si può facilmente riscontrare attraverso la citata relazione dell’ispettore ministeriale ed i relativi documenti ad essa allegati, la tardività ingiustificata delle contestazioni relative ai presunti “comportamenti gravemente scorretti ed offensivi nei confronti dei colleghi e degli studenti”.

      Il medesimo ispettore afferma che la ricorrente è stata assente dall’inizio dell’anno scolastico 1998/99, in congedo per motivi di salute, per cui le fonti di documentazione di cui si è servito sono costituite: dai fascicoli contenenti gli atti relativi al curriculum della docente presso l’istituto; dalle “voci di doglianze di folti gruppi di genitori, dalla classe V G (cui la docente era stata assegnata, pur non avendovi mai preso servizio) e del triennio liceale (che paventa il rientro dell’insegnante); dai “dati” antecedenti all’a.s. 1998/99 circa i rapporti fra la docente e il “mondo” della sua scuola (pagg. 4 e segg. della relazione ispettiva).

     In particolare, in mancanza di fatti contestuali di rilevanza disciplinare, l’ispettore riferisce a pag. 5 e segg. della sua relazione: “Risulta agli atti un foglio di trasmissione, al Provveditore agli Studi, di documentazione relativa a procedimento disciplinare da avviare a carico della docente (all. 30, con data del 30 giugno 1998): nei fascicoli del protocollo riservato non sono allegati al foglio i documenti, ma il plico dovrebbe essere presente agli atti del Provveditorato. Aggiungo. In seguito all’ispezione condotta dall’ispettore Cannizzaro, i genitori si sono attivati per conoscerne gli esiti: in data 25.08.1997 è stato risposto che “quest’ufficio sta curando l’istruttoria del caso” (all. 31): non ho avuto risposta da dare alle richieste in merito, formulate a me durante gli incontri del 3 novembre con i genitori”.

     La lunga fase istruttoria cui fa cenno l’ispettore ministeriale non ha dato luogo ad alcuna contestazione di addebiti alla ricorrente per le considerazioni svolte dal medesimo funzionario ispettivo a pag. 6 della sua relazione: “……gli atti dei fascicoli citati non sono tutti da raccogliere in chiave negativa: vi si trovano attestati di lavori e ricerche pubblicati, di corsi frequentati con merito, di interventi tesi (anche in polemica) al miglioramento dell’attività scolastica….”: tutti i comportamenti negativi contestati alla docente ai fini disciplinari sono “documentati” attraverso presunte testimonianze dirette di studenti non più affidati alla docente, ma riferiti ad almeno due anni prima! In merito a tali episodi infamanti, basati solo su “voci” diffuse ad arte, la ricorrente ha controdedotto come ha potuto, facendo acquisire testimonianze scritte (di cui non si è tenuto alcun conto ai fini del procedimento disciplinare) che smentivano decisamente i fatti remoti di cui la si accusa tardivamente.

     Appare quanto mai evidente la difficoltà della ricorrente a controdedurre in modo completo ed esauriente alle accuse di turpiloquio ovvero di esibizionismo di cui riferiscono alcuni studenti dell’a.s. 1996/97. Ciò premesso, appare provata la violazione dell’art. 103 del T.U. n. 3/57, nonché l’illegittimità della tardiva contestazione degli addebiti per evidente sviamento di potere, data la strumentalizzazione di tale procedimento ai fini dell’allontanamento immediato della ricorrente dall’istituto.

     Quanto al secondo motivo di doglianza (violazione degli artt. 108 e 149 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3 sulla ricusazione del funzionario istruttore) è da osservare che il Provveditore agli Studi di Roma non ha ritenuto di dover accogliere l’istanza di ricusazione dell’ispettore tecnico nominato, cui sono stati affidati tutti gli incarichi istruttori nel corso del procedimento disciplinare conclusosi con il provvedimento sanzionatorio impugnato.

     Dalla lettura delle relazioni ispettive del citato funzionario appare chiaro l’interesse del medesimo alla “punizione disciplinare” e ad altri provvedimenti in danno della ricorrente.

     Bastano pochi, ma significativi, punti delle citate relazioni ispettive a far emergere la parzialità dell’istruttoria condotta dal predetto, il quale ha trascurato di esaminare tutte le testimonianze favorevoli alla ricorrente: ne ha ostacolato la riassunzione in servizio ordinata dalla VI Sezione del Consiglio di Stato; ha consigliato ogni possibile procedimento finalizzato all’allontanamento d’urgenza della docente, su richiesta del gruppo di studenti e genitori alla stessa ostili. L’accentuata propensione dell’ispettore all’allontanamento della ricorrente si legge nelle sue relazioni ispettive del 4.11.1998 e del 14.11.1998.

      Alle pagg. 2 e 3 della relazione del 4 novembre 1998 l’ispettore si dichiara contrario, confutandone la fondatezza all’esecuzione dell’ordinanza di sospensiva della VI sezione del Consiglio di Stato, notificata il 28 ottobre 1998 e, quindi, sostiene che la ricorrente avrebbe dovuto il 29 ottobre 1998 (giorno di rientro in servizio dopo il congedo per malattia dall’inizio dell’anno scolastico) “far lezione nella classe V G formalmente assegnatale e tuttora di sua pertinenza fino a nuova disposizione scritta del preside (ordine di servizio)”.

     L’ispettore dimostra, quindi, di non attribuire alcuna efficacia al provvedimento del Consiglio di Stato che ha sospeso l’efficacia del menzionato ordine di servizio di assegnazione alla classe V G dell’”Augusto”; contraddittoriamente però, l’istruttore ha riferito nella prima pagina della relazione ispettiva: “ho raccolto, in distinte assemblee, le voci di doglianza di folti gruppi di genitori della classe V G (cui la docente è stata assegnata pur non avendovi mai preso servizio)……”.

     D’altra parte l’ispettore omette di considerare che la disposizione dell’art. 461 del T.U. 297 del 1994, in base alla quale gli spostamenti non consentiti di personale dopo il ventesimo giorno dall’inizio dell’anno scolastico sono quelli che discendono da provvedimenti amministrativi e non quelli disposti per effetto di provvedimenti giurisdizionali.

     Gli inconvenienti ai quali la norma intende ovviare sono evitabili ad opera di un comportamento legittimo dell’amministrazione.

     Vi è, inoltre, da rilevare che il funzionario accusa la ricorrente di fatti non riscontrati attraverso la relativa documentazione asserendo inesattamente che la docente “si è rifiutata di presentarsi a visita medica collegiale”, mentre la stessa aveva solo esercitato il diritto di chiedere all’A.S.L. di specificare quale fosse la natura dell’accertamento specialistico cui doveva sottoporsi, onde  farsi assistere da un medico di fiducia.

     E’ pure fondato l’ultimo motivo di doglianza di violazione e falsa applicazione delle norme procedurali di cui al titolo VII del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3; eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione anche ai sensi della legge 241 del 1990 e sviamento.

     Gli atti presupposti del provvedimento impugnato col presente ricorso si sono dimostrati, al vaglio giurisdizionale, affetti dai vizi di illegittimità puntualmente denunciati dalla ricorrente.

     Rimangono a supporto della sanzione irrogata le presunte prove acquisite dall’ispettore ministeriale al di fuori del benché minimo rispetto del contraddittorio e a notevole distanza di tempo dai fatti enunciati.

     Inoltre, nelle premesse dell’atto contestato non si spende una parola sulla inattendibilità o insufficienza degli argomenti utilizzati dalla ricorrente per controdedurre agli addebiti contestatile in sede disciplinare.

     Né risultano confutate con sufficienza le giustificazioni puntuali con le quali la ricorrente ha respinto ogni singolo fatto addebitato.

     Nessun rilievo è stato dato alle testimonianze scritte di genitori e alunni favorevoli alla ricorrente, che smentivano le calunniose affermazioni di uno sparuto gruppo di soggetti quanto meno interessati a compiacere il regista della intera operazione: il vicepreside che nutriva astio nei confronti della ricorrente a partire (è lecito pensare) da quando questa manifestò contro la violazione del divieto di fumare da parte del vicepreside stesso.  

      I fatti contestati appaiono del tutto privi di adeguati elementi probatori; né risultano agli atti del procedimento disciplinare alcun elemento utile a suffragare la sussistenza di presunte carenze comportamentali o atteggiamenti poco collaborativi attribuiti in modo assolutamente generico e indeterminato alla ricorrente.

     Può concludersi rilevando la assoluta inconsistenza delle accuse mosse contro la ricorrente e la mancanza di giustificazione plausibile per l’irrogazione di una sanzione disciplinare, che contraddittoriamente si presenta assai lieve in relazione alle accuse tanto pesanti, quanto improbabili che le sono state mosse.

17 – L’ulteriore ricorso (10794 del 2000) è contro il provvedimento del provveditore agli studi di Roma 824 del 3 luglio 2000 con il quale si disponeva con effetto immediato l’utilizzazione della ricorrente presso il liceo classico Foscolo di Albano Laziale.

     Si è già ricordato che nella camera di consiglio del 19 giugno 2000 la sezione aveva accolto l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente avverso il provvedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, al liceo di Palestrina (provvedimento impugnato con ricorso 8534 del 2000).

     Nello stesso tempo la trattazione di tutti i ricorsi relativi alla vicenda venivano fissati per la udienza del 20 novembre 2000 per dare soluzione definitiva a un contenzioso che obiettivamente reca danno alla ricorrente e alla stessa amministrazione.

     Con il provvedimento impugnato l’amministrazione, disattendeva la possibile soluzione di utilizzare nel frattempo la ricorrente in altra funzione sempre nella sede del liceo di appartenenza.

     Detta soluzione, se pure non espressa, traspariva della ordinanza 5000 del 19 giugno 2000 intesa a contemperare equamente l’interesse pubblico, come prospettato dalla amministrazione, con l’interesse della ricorrente, come rappresentato in ricorso che appariva assistito da sufficienti buoni motivi di diritto in presenza di danni, costituiti dal suo allontanamento dal liceo di appartenenza, all’evidenza gravi e irreparabili.

     In altri termini, una interpretazione condotta sulla base di canoni di correttezza e buona fede non poteva equivocare sul danno che questa Sezione ha indicato come derivante dall’allontanamento della ricorrente dal liceo di appartenenza. Si trattava di trovare una sistemazione provvisoria fino alla vicina udienza del 20 novembre, nella quale tutta la vicenda si sarebbe avviata a soluzione.

     L’utilizzazione della ricorrente in attività non didattica sarebbe dovuta avvenire “per effetto di provvedimenti con ampia e coerente motivazione”.

     Al contrario, l’amministrazione non ha voluto demordere dal progetto ormai avviato con determinazione meritevole di migliore causa di allontanare a tutti i costi la ricorrente dal liceo di appartenenza, evidentemente per mantenere fede agli impegni assunti all’interno della struttura scolastica.

     Con ordinanza 6484 del 27 luglio 2000 la Sezione accoglieva la istanza di sospensiva ordinando all’amministrazione di darvi puntuale esecuzione.

     Nel merito il ricorso è fondato per avere l’amministrazione illegittimamente eluso l’ordinanza 5000 del 19 giugno 2000 ponendo in essere un comportamento viziato di eccesso di potere per carenza di presupposti per l’utilizzazione d’ufficio del personale docente, carenza assoluta di motivazione, sviamento.

18 – Da ultimo con motivi aggiunti presentati sul ricorso 8534 del 2000 ai sensi della legge 21 luglio 2000 n. 205 la ricorrente ha impugnato il provvedimento 6383 del 30 agosto 2000, col quale il provvedimento disponeva che la ricorrente a decorrere dal 1° settembre 2000 prestasse servizio presso diverso liceo della Capitale in luogo del liceo di appartenenza.

     L’illegittimità per illegittimità derivata da quella che colpisce tutti i provvedimenti pregressi a monte della situazione attuale, appare evidente.

     E’ vero che il trasferimento presso il diverso liceo della Capitale era stato richiesto dalla stessa ricorrente quando era stata (illegittimamente) trasferita ad Albano Laziale, ma è anche vero che sospeso (e ora annullato) quel trasferimento, viene meno il presupposto di fatto che aveva indotto la ricorrente a chiedere, in via chiaramente cautelativa, l’assegnazione quanto meno a un liceo meno lontano e disagevole di quello illegittimamente assegnato dalla amministrazione.

     Venuto meno (e in primo tempo sospeso) quel passaggio ad Albano Laziale e riaffermato il diritto della ricorrente a rientrare a pieno titolo nel liceo di appartenenza, l’amministrazione avrebbe dovuto prendere atto della situazione giuridica che si era venuta a creare per effetto degli interventi giurisdizionali, che peraltro non risultano gravati in appello, e riattribuire alla ricorrente le classi che le erano state sottratte.

      L’accoglimento anche di quest’ultima impugnazione impone la restituzione della ricorrente al liceo di appartenenza.

     Si ripete che per effetto di provvedimento giurisdizionale non trova applicazione il disposto dell’art. 461 del T.U. 297 del 1994.

     Questo non esclude la facoltà della ricorrente a procrastinare a domanda il suo rientro nel liceo di titolarità agli inizi dell’anno scolastico successivo per evidenti ragioni di opportunità didattica e, soprattutto, a riprova della sua volontà, mai abbandonata, di convivenza pacifica con tutti, del suo spirito di collaborazione e della sua abnegazione ai doveri che la pongono su un piano morale e culturale ben al di sopra di quanti hanno partecipato come protagonisti o comparse in una vicenda che è nell’interesse di tutti dimenticare al più presto.

     Il Collegio è consapevole che l’annullamento degli atti impugnati potrà solo in parte ripianare la lesione lamentata dalla ricorrente, derivante dal comportamento di ingiustificata persecuzione e di inaccettabile mortificazione della professionalità e della personalità stessa della ricorrente messo in atto da funzionari dell’amministrazione, che hanno insistito con forme di inaudita violenza psicologica e di ostracismo nei confronti della docente, motivato da una poco probabile superiorità culturale e ideologica ed animato dall’interesse alla individuazione di un capro espiatorio, sul quale addossare ingiustamente la obbiettiva perdita di credibilità e di prestigio e della buona fama un tempo riconosciuta al liceo di titolarità della ricorrente, a opera di funzionari, colleghi e dirigenti non più all’altezza di quanti avevano, invece, contribuito a creare quella fama e quel prestigio.

     Non vi è dubbio che si è in presenza di una ipotesi di quella situazione oggi detta dimobbing”.

19 – I ricorsi in epigrafe, riuniti per ragioni di connessione e rientrati nella giurisdizione di questo giudice amministrativo per essere espressione di una unitaria azione portata avanti a danno della ricorrente sia per essere collegati a episodi di data anteriore al 30 giugno 1998 ovvero, se di data successiva, che hanno in ogni caso il loro fondamento diretto o anche indiretto (ma strettamente legato a quelli precedenti dal punto di vista logico e causale), sono tutti da accogliere e, per l’effetto, devono essere annullati i provvedimenti impugnati.

     Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicate nel dispositivo.

P .   Q  .   M  .

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III bis – riuniti i ricorsi in epigrafe li accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

     Condanna l’amministrazione soccombente al pagamento delle spese processuali, che comprensive di diritti e onorari, nonché tenuto conto della fase di merito e di quella cautelare, liquida nella somma di lire 4.000.000 (quattromilioni) per ciascuno dei ricorsi indicati in epigrafe, oltre ad IVA e contributi dovuti.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.

     Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III bis -, nella Camera di Consiglio del 20 gennaio 2001 con l’intervento dei signori magistrati indicati in epigrafe.

dr. Roberto  SCOGNAMIGLIO      Il Presidente, est. 

 

 

 

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