REPUBBLICA ITALIANA N. 1349   Reg.Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Anno 2003
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA N. 1938    Reg. Ric.
SEDE DI BARI -   SEZ. I Anno 1996
ha pronunciato la seguente  
SENTENZA  

 
 

sul ricorso (n.1938/1996) proposto dal signor  Nicola Giuseppe Valente,  rappresentato e difeso dall’avv.  Angelo Martino ed elettivamente domiciliato in Bari,  P.za Amedeo 351, presso lo studio dell’avv. Domenico Garofano,

contro

il  Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso i cui uffici in Bari, Via Melo n. 97, è elettivamente domiciliato,

per l’annullamento,

previa sospensione degli effetti, del decreto del Ministero dell’interno 10 aprile 1996 n. 366/N, con  il quale gli è stato negato l’equo indennizzo;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio  del  Ministero  dell’interno;

Vista la memoria depositata in giudizio dal Ministero dell’interno a difesa delle proprie ragioni;

Vista l’ord. coll. 5 agosto 1996 n. 843 con la quale è stata respinta, per carenza di fumus boni juris, l’istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, presentata dal ricorrente.

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore  alla pubblica udienza del 19 marzo 2003 il Pres. Gennaro Ferrari;  uditi i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO 

1. - Con atto (n. 1938/1996)  notificato in data 21 giugno 1996 e depositato il successivo 27 giugno il signor   Giuseppe Nicola Valente,, dipendente della Polizia di Stato con la qualifica di Vice perito telefonico, ha proposto ricorso a questo Tribunale avverso il provvedimento in epigrafe indicato, con il quale è stata respinta la sua richiesta di liquidazione dell’equo indennizzo per l’infermità “gastrite erosiva”.

Premessa una breve ricostruzione dei fatti che hanno dato origine alla controversia, deduce:

a) Violazione di legge (artt. 1 L. n. 241/90  e D.M. 2 febbraio 1993 n. 284), atteso che l’Amministrazione era tenuta a concludere  il procedimento entro 30 giorni dalla data di presentazione dell’istanza per il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio;

b) Eccesso di potere, atteso che l’Amministrazione non ha tenuto affatto conto dei giudizi espressi dal Capo dell’Ufficio sanitario della  VI zona di Polizia di Stato e dalla C.M.O. di Bari e il C.P.P.O., dal suo canto, ha reso un parere privo di qualsiasi indicazione delle ragioni che hanno giustificato il suo diverso avviso;

c) Eccesso di potere relativo, atteso che l’Amministrazione non  poteva adottare l’impugnato provvedimento di diniego prima di aver annullato d’ufficio il parere favorevole dalla C.M.O., avente in effetti carattere provvedimentale;

d) Illogicità e contraddittorietà nell’operato dell’ Amministrazione resistente, atteso che quest’ultima, richiedendo il parere del Collegio medico legale presso il Ministero della difesa, ha chiaramente dimostrato di non  condividere affatto il giudizio negativo del C.P.P.O.

2. – Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno, il quale ha contestato la fondatezza delle censure dedotte ed ha concluso per il rigetto del ricorso.

3. – Con ord. coll. n. 943 del 5 agosto 1996 è stata rigettata, per carenza di fumus boni juris, l’istanza presentata dal ricorrente per la sospensione in via cautelare degli effetti del provvedimento impugnato.

DIRITTO

1. – Il ricorso deve essere respinto, attesa la palese infondatezza delle censure con esso dedotte. Ed invero:

a) il termine di 30 giorni, assegnato dall’ art. 2 comma 3 L. 7 agosto 1990 n. 241 alle Pubbliche Amministrazioni per la conclusione del procedimento, è operante a condizione che le stesse Amministrazioni non abbiano provveduto a determinare, con apposito regolamento, il termine entro il quale ciascun tipo di procedimento, sia esso conseguente ad istanza di parte ovvero iniziato d’ufficio, deve essere concluso. Non è questa la situazione che ricorre nel caso di specie atteso che il Ministero dell’interno, con D.M. 2 febbraio 1993 n. 284, ha disciplinato la materia, prevedendo che il procedimento di concessione o di diniego dell’equo indennizzo al personale della Polizia di Stato deve essere concluso nel termine di 540 giorni, aumentato peraltro  “del tempo occorrente alla C.M.O. ovvero al Collegio medico legale per comunicare il prescritto giudizio medico legale, ai sensi degli artt. 16 e 17 L. 7 agosto 1990 n. 241”.

Nel caso in esame l’Amministrazione intimata ha documentato, senza che le sue conclusioni siano state contrastate dal ricorrente nella via dei motivi aggiunti, che il termine suddetto è stato ampiamente rispettato.

Aggiungasi che l’art. 3 ter, co. 1, D.L. 12 maggio 1995 n. 163, convertito dalla L. 11 luglio 1995 n. 273,  offre all’interessato la possibilità, nel caso di inutile decorso del termine d conclusione del procedimento amministrativo, di provocare l’intervento sostitutivo del Ministro ove la competenza ad adottare la determinazione finale sia del dirigente generale o del Capo della Polizia, e questi siano rimasti inerti;

b) contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il parere reso dal C.P.P.O. reca la puntuale confutazione dell’avviso espresso, con ricorso alla consueta formula di stile, dalla C.M.O.;

c) a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 5 bis L. 20 novembre 1987 n. 472, il previo annullamento del verbale della C.M.O., che aveva riconosciuto la dipendenza dell’infermità da causa di servizio, non è più necessario, non essendo tale verbale idoneo a vincolare in via definitiva l’Amministrazione in sede di concessione dell’equo indennizzo (Cons. Stato, IV Sez., 1 ottobre 1993 n. 826; T.A.R. Piemonte, I Sez., 17 febbraio 1994 n. 66). E’ stato infatti perspicuamente chiarito che, nel nuovo sistema introdotto dal cit. art. 5 bis, che ha abolito il principio di irretrattabilità degli accertamenti fatti in sede di verifica della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, il parere reso dalla C.M.O. mantiene il suo valore definitivo solo a determinati fini, quali le spese di cura, la misura degli assegni spettanti durante il periodo di aspettativa, ecc., ma non anche ai fini dell’equo indennizzo, per la cui liquidazione occorre l’intervento del C.P.P.O. Segue da ciò che, nel caso in cui la dipendenza dell’infermità da causa di servizio sia stata posta a presupposto dell’istanza di liquidazione dell’equo indennizzo, il Comitato  è tenuto a pronunciare su entrambi gli elementi che ne consentono l’attribuzione, e cioè sia sulla dipendenza da causa di servizio dell’infermità, sua sull’esistenza del nesso di causalità fra l’ infermità e la menomazione fisica, che si assume essere da essa derivata (T.A.R. Lazio, II Sez:., 2 novembre 1990 n. 1942; T.A.R. Toscana, III Sez., 27 gennaio 1992 n. 40; T.A.R. Catanzaro 28 marzo 1995 n. 291);

d) non è ravvisabile alcuna contraddittorietà nel comportamento dell’Amministrazione per aver deciso di acquisire, dopo l’avviso positivo della C.M.O. e quello negativo del C.P.P.O., anche il parere del Collegio medico legale presso il Ministero della difesa prima di adottare una determinazione definitiva sull’istanza del suo dipendente; trattasi al contrario di iniziativa lodevole ed ispirata dalla responsabile preoccupazione di acquisire ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio in presenza di avvisi di segno contrario resi da organi tecnici intervenuti nei due distinti e successivi procedimenti. Né l’Amministrazione aveva l’obbligo di chiarire le ragioni per le quali, una volta acquisito detto parere ed accertato che esso era conforme a quello espresso dal C.P.P.O., decideva di disattendere l’avviso della C.M.O., atteso che la confutazione di quest’ultimo era nello stesso parere del Collegio, richiesto appunto per superare le perplessità derivanti, fra l’altro, da giudizi contrastanti (Cons. Stato, IV Sez., 23 iottobre 1991 n. 850; 12 dicembre 1994 n. 101\2; 29 gennaio 1996 n. 75).

2. – Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sede di Bari, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo  rigetta.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’interno, delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in 1.000,00 (mille/00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dallAutorità amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del  19  marzo 2003, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia  - Sede di Bari, Sez. I,  con lintervento dei signori:

Gennaro Ferrari      est.       Presidente

Amedeo Urbano  Consigliere

Federica Cabrini        Referendario