Forze dell'ordine, sanare la ferita |
Forse è tempo che
anche i poliziotti comincino a preoccuparsi per il loro futuro. E' evidente
il tentativo in atto da parte di An, in competizione con altre forze o
personalità di governo, di porre le forze dell'ordine in condizioni di
totale asservimento al proprio potere politico. Le tempestive dichiarazioni
di Fini dopo la notizia della custodia cautelare per i poliziotti di Napoli,
le telefonate al procuratore Cordova, l'anticipazione di decisioni della
magistratura nel tentativo di montare teoremi (si assolvono i no global, si
indagano i poliziotti!), nonché le promozioni dei dirigenti napoletani a
capo delle questure sono solo alcuni esempi di continui messaggi tesi a
garantire protezione e impunità a poliziotti che avrebbero abusato del loro
potere rendendosi responsabili di abusi e violenze a Napoli e a Genova. In
una lettera inviata a "Liberazione" da agenti e funzionari di polizia, tra
altre cose interessanti, ci viene segnalata addirittura la presenza di un
ministro in una riunione per preparare una manifestazione di poliziotti a
Roma il 29 maggio (il giorno dopo il vertice Nato a Pratica di Mare). Da
questo punto di vista il disegno è palese, e non è altro che la replica di
esperienze già viste qualche decennio fa. Ogni tanto la storia si ripete e
ci vogliono poi anni, l'acquisizione della relativa consapevolezza e una
grande forza di volontà da parte degli interessati (le forze dell'ordine)
per liberarsi dal peso di quel potere politico che li domina completamente.
Ora non siamo in un regime, in Italia non c'è il fascismo, ma siamo in un quadro internazionale in cui terrorismo e guerra sono diventate le parole d'ordine per giustificare qualsiasi sopruso, la cancellazione di garanzie elementari, e persino la violazione di regole delle regole di guerra. Non sappiamo quanti agenti e funzionari delle forze dell'ordine si siano resi conto dell'uso che è stato fatto di loro a Napoli e a Genova, ma certo è tempo che ne prendano coscienza. Forse qualcuno li ha convinti che quei ragazzi e ragazze che manifestavano per un altro mondo possibile erano tutti violenti e pericolosi, ma ormai, dopo un anno e tutto quello che è stato possibile conoscere, qualcuno dovrebbe almeno farsi delle domande. Se ancora non è chiaro il disegno che stava dietro il massacro della scuola Diaz, quello cioè di additare all'opinione pubblica il movimento e il Genoa Social Forum come inaffidabili e violenti, basta leggere gli elementi che man mano vengono accertati. Il massacro alla scuola di Genova veniva giustificato dalla reazione violenta dei manifestanti che stavano all'interno: la perizia del Ris chiarisce che non c'è stato accoltellamento, che la versione del poliziotto non regge, infatti non c'è neanche l'accoltellatore, come sembra improbabile che vi siano stati i 16 poliziotti feriti, visto che nessuno di loro ha mai messo a verbale le lesioni e due hanno già cambiato versione (si sarebbero fatti male nella confusione fuori dalla scuola in uno scontro accidentale con i colleghi). Se poi qualcuno si volesse rileggere quel poco che è stato acquisito dal comitato di indagine parlamentare, che però già rivela le incongruenze nelle diverse dichiarazioni circa gli orari, eccetera, pur non potendo individuare responsabilità precise nella catena di comando, se non quella dei massimi dirigenti che comunque questa responsabilità hanno, è chiaro che la casualità non c'entra. Ci auguriamo soprattutto che, non solo quegli agenti e funzionari di
polizia che ci scrivono avvertano fino in fondo la ferita democratica aperta
dai fatti di Genova e Napoli. Una divaricazione profonda tra società e forze
dell'ordine, una ferita che non si ricomporrà facilmente, soprattutto da
parte di quei ragazzi e ragazze giovanissimi che hanno conosciuto le
istituzioni attraverso le botte di piazza e le violenze e le umiliazioni
nelle caserme. Allora, c'è un solo modo per recuperare fiducia da parte di
chi porta la divisa, guadagnando allo stesso tempo autonomia per se stessi e
sottraendosi alle pressioni e alla morsa di chi li vorrebbe asserviti: si
chiama assunzione di responsabilità. Abbiamo sentito spesso parlare di
professionalità, di questi tempi, ma la professionalità di un poliziotto o
un carabiniere non può consistere nell'addestramento per nuovi strumenti di
piazza, nuovi manganelli o lacrimogeni più nocivi per la salute, indossare
equipaggiamenti sperimentati internazionalmente e fare corsi con sceriffi
americani. E' un tipo di professionalità che va di pari passo con una logica
di comando che non concede tregua, che tiene gli uomini irregimentati per
ore dentro i bunker alla fiera del mare e che a un certo punto concede loro
la libertà di sfogarsi con i manganelli. Quel tipo di professionalità ha
prodotto le violenze di Genova e Napoli su manifestanti inermi, perché si
sono cancellati i diritti costituzionali che dovrebbero essere la premessa e
la discriminante di fondo per qualsiasi professionalità. Noi pensiamo invece
alla responsabilità quella che consente ad ogni operatore di polizia di
agire nel pieno rispetto dei diritti di ognuno, perché ha la consapevolezza
non solo che questo è dovuto, ma che al rispetto di quel ragazzo no global
corrisponde il rispetto per se stesso e la possibilità di costruirsi un
futuro libero, sottraendosi alle lusinghe e alle intimidazioni di chi li
vorrebbe servi. |