30 MAGGIO 2002

L'UNITA'

 
         
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Celerini in piazza contro la militarizzazione
di Piero Sansonetti

 A Roma hanno manifestato i poliziotti. Erano parecchi. Si sono radunati davanti alla caserma di Castro Pretorio, a due passi dall’Università. Caserma storica e temutissima, dalla quale per decenni e decenni sono uscite le camionette che partivano minacciose per le cariche: negli anni 50, quando attaccavano gli edili, nel sessantotto, contro gli studenti, poi nei lunghi e violenti anni settanta. Ieri a manifestare invece erano loro, i poliziotti: quelli che una volta si chiamavano i celerini, quelli ai quali trentacinque anni fa - quando erano odiatissimi, perché nemici del “movimento”, della sinistra, del Pci - Pier Paolo Pasolini dedicò una poesia molto bella e che suscitò la più furibonda polemica culturale del sessantotto. Pasolini diceva che i celerini erano i “deboli”, i lavoratori, e dunque i “giusti”, e si contrapponevano ai figli di papà del sessantotto.
Ora non esiste più la Celere, si chiama reparto mobile, ma loro sono sempre i celerini. E sono ancora nell’occhio del ciclone. Per le violenze a Genova, per le violenze a Napoli. Il reparto di Roma è uno dei più “sospetti”. Ha ricevuto un bel pacchetto di avvisi di garanzia per l’assalto alla scuola Diaz.

La manifestazione però non è su questo. I capi dei vari sindacati lo ripetono a tutti. Non c’entrano niente gli avvisi di garanzia, non c’entrano i litigi con la magistratura: la manifestazione è contro la decisione di spostare la sede del reparto mobile da Castro Pretorio a Ponte Galeria. Cioè dal centro di Roma a un luogo sperduto nella campagna, a trenta chilometri dalla città e a dieci da Fiumicino. Dove ora c’è uno dei famigerati centri di accoglienza per gli immigrati che arrivano senza permesso. Sembra un fatto da niente, ma pare che sia importantissimo. Spostare il reparto mobile fuori città vuol dire puntare sempre di più a fare della polizia un corpo separato. Cioè andare contro la riforma dell’81. Allora si fecero dei passi decisivi, con la smilitarizzazione, per rendere più democratica la polizia, più vicina alla gente, più “forza civile”. Adesso si va in direzione opposta. Massimo Valdannini, che è un sindacalista del Siulp, dice che c’è un filo che lega Genova, Napoli e questo spostamento a Ponte Galeria: la militarizzazione. Chiedo: qual è lo scopo? È avere a disposizione uno strumento di rottura sociale, e un centro forte di potere come è la polizia: è decisivo in una fase della politica che prevede l’allargamento dei conflitti, delle contrapposizioni sociali, delle lotte.

Negli ambienti della polizia si dice che la struttura di Ponte Galeria è stata sperimentata giusto un anno fa, in giugno, quando centinaia di poliziotti dei reparti mobili furono portati lì per addestrarsi alla battaglia del G8. A guidare gli addestramenti c’era un gruppo di poliziotti americani. Le stesse fonti dicono che i carabinieri invece si addestrarono in territorio francese.
La manifestazione di ieri era indetta da quasi tutte le sigle sindacali tranne la più importante, il Siulp.

La mancata adesione del Siulp però è solo un fatto tecnico. Il Siulp aveva indetto una manifestazione ai primi di maggio, sugli stessi problemi e con gli stessi obiettivi. Non ci sono differenze di linea, solo un po’ di gelosie tra sigle sindacali.

La manifestazione di ieri però era assolutamente trasversale, dal punto di vista politico, andava da “Rinnovamento”, il piccolo sindacato che fa riferimento alla Ugl (cioè l’ex Cisnal, il sindacato di An e dei post-fascisti) fino alla Cgil. Tra i poliziotti che manifestano ci sono elettori di tutti i partiti, da An ai Ds e a Rifondazione.
Chiacchierando coi poliziotti, davanti alla caserma, è persino difficile capire chi sia di destra e chi di sinistra. Si lamentano tutti per le stesse cose: dicono che il loro lavoro è durissimo, i turni pesanti, che a loro è impossibile programmare la vita - perché uno viene avvertito solo la sera prima di cosa dovrà fare il giorno dopo, e in ogni momento della giornata le cose possono cambiare, visto che il reparto mobile si occupa delle emergenze e le emergenze sono all'ordine del giorno - e poi dicono che il loro lavoro è stressante, è pericoloso, logora i nervi. Mi pare che su tutto questo abbiano senz’altro ragione. Però ci sono anche altri problemi. Provo a introdurre il tema “avvisi di garanzia”. Chiedo se non sembra anche a loro che molti poliziotti, a Napoli e a Genova, si siano comportati male. Uno dei manifestanti, un tipo alto un metro e novanta, muscoloso, col piglio un po’ severo e capelli nerissimi, risponde di no. Tutti gli altri gli danno ragione. Dicono che forse qualcuno si è comportato male, ma non tutti. E allora perché - chiedono - si parla delle violenze della polizia senza raccontare di come i no-global fossero violenti e scatenati? Domando: quanti erano i no-global violenti? Lopro dicono: mille. Mille su quanti? Su centomila o forse su duecentomila, rispondono. E allora- chiedo - perché voi volete che le violenze di pochi poliziotti non siano attribuite a tutta la polizia e poi addebitate a duecentomila le colpe di mille? Continuiamo a ragionare, loro sono rigidi sulle loro posizioni, però mi pare che inizino ad avere qualche ripensamento. Uno mi dice che quel ragazzone con la faccia feroce, a Genova, a un certo punto, mentre i gas lacrimogeni soffocavano tutti, si è tolto la maschera anti-gas e l’ha data a un ragazzo no-global che stava a terra, ferito. Sicuramente è vero, sicuramente è un gesto molto bello, che da fiducia: come sicuramente è vero che lui, o qualcun altro, un attimo prima avevano ferito quel ragazzo e non si sa se con qualche buona ragione o no.
Chi è il responsabile del trasferimento a Ponte Galeria? Nessuno lo sa con precisione. Niccodemo De Franco, uno dei capi della Cgil polizia, spiega che la decisione è stata presa al tempo del centrosinistra, poi in campagna elettorale la destra giurò che in caso di vittoria l’avrebbe annullata, invece l’ha confermata. Chi deve venire qui a Castro Pretorio al posto del Reparto Mobile? Paolo Varesi, che è il capo di “Rinnovamento”, dice che qui verranno uffici amministrativi e diventerà la sede del capo della polizia. Di Di Gennaro. E dice che tutto questo è insensato: «Portino fuori Roma gli uffici amministrativi, dove si lavora a orari fissi, e la cui lontananza non priva la città della sua polizia...». Poi Varesi mi indica il nome della Caserma (“Ferdinando di Savoia”) scritto sopra il portone, e commenta ridendo: «Chissà, forse vogliono rerstituirla ai Savoia ora che rientrano in Italia...».


La polizia italiana è una forza con circa 105 mila uomini. Sono divisi in vari settori. I due settori più operativi sono i reparti mobili e le volanti. Sono quelli che fanno il lavoro in strada, che in qualunque momento possono essere chiamati per una rapina, una sparatoria, una sommossa nello stadio, una manifestazione. Guadagnano non molto. I gradi bassi hanno uno stipendio di circa due milioni-due milioni e mezzo al mese. Poi si sale fino ai tre milioni e trecentomila del vicequestore. E’ strano, le cose più importanti nella vita civile di qualunque nazione sono tre: la sicurezza, l’educazione e la salute. E i mestieri peggio pagati, in Italia, sono quello del poliziotto, quello dell’insegnate e quello del medico ospedaliero.
Gianni Ciotti, anche lui del Siulp - di una specie di sottocorrente di sinistra del Siulp - è molto critico verso la sinistra. Dice che la svolta nella polizia - la svolta militarista- è avvenuta già col centrosinistra. Dopo anni di pace sociale, le prime cariche violente ci furono nel ‘97, col governo Prodi, a Palazzo Chigi. Furono caricati gli handicappati. Poi Napoli, poi Genova... Qual è stato l’errore della sinistra? Ciotti dice che l’errore è stato quello di credere che il problema del rapporto con la polizia si risolvesse al vertice. Dice che la sinistra ha creduto che non fosse più importante il rapporto con la base - quello che nei decenni passati era stato curato minuziosamente da decine di dirigenti del Pci, per esempio- visto che c’era la possibilità di controllare la polizia nominando dei capi “amici”. In questo modo si sono buttati dieci anni di faticose conquiste. Poliziotti senza diritti è uguale a poliziotti più cattivi. Meno diritti ai poliziotti, meno diritti ai cittadini. Chiedo a Ciotti cosa pensa di De Gennaro e dell’attuale gruppo dirigente della polizia. Francamente non mi sembra entusiasta.


Alfredo Raffuzzi invece è un ex poliziotto. Ha settantasette anni, è romagnolo. Però ha vissuto gran parte della sua vita professionale a Roma ed è considerato la memoria storica della polizia romana. È un uomo di sinistra, da ragazzo ha fatto il partigiano. Entrò in Polizia nel ‘45, come capitano, cioè portandosi dietro il grado che aveva guadagnato nella guerra contro i tedeschi. Poi arrivò Scelba e lo fece tornare guardia semplice. Raffuzzi è quello che ha inventato la macchina fotografica in grado di prendere con uno scatto solo il viso e il profilo. Con un sistema di specchi. La sua invenzione negli anni ‘50 fu esportata in tutto il mondo. Lui dice che il poliziotto deve essere un mediatore sociale, e che con la riforma dell’81 si andava in questa direzione. Ora si sta buttando tutto al vento. Racconta la sua storia. Nel ‘50 era a Modena quando ci fu la rivolta operaia. Il 9 gennaio lui guidava un drappello di 15 poliziotti davanti alla Orsi, la fonderia che aveva licenziato tutti. Quando arrivò il corteo, Raffuzzi iniziò a gridare al megafono: «amici operai, vi capisco, vi conosco, non facciamoci la guerra...». Discussero per mezz’ora, non ci fu contatto fisico. Poi, mentre il corteo faceva marcia indietro, da una via laterale partì una carica,chissà perché. E un brigadiere - lui lo vide - iniziò a sparare con la rivoltella. Prima im aria poi ad altezza d’uomo. Raffuzzi vide un ragazzo cadere a terra. Aveva ventun’anni, si chiamava Arturo Malagoli. Una pallottola alla nuca, morto. Malagoli aveva una figlia piccola, Marisa, che fu adottata da Nilde Jotti e da Togliatti.
Cosa pensa Raffuzzi degli avvenimento di oggi? È disperato. Dice che vogliono trasformare di nuovo la polizia in una forza di attacco, di repressione. Bisogna fermarli. Se si rompe la fiducia tra il poliziotto e i cittadini è un disastro per la convivenza civile. Raffuzzi dice di sognare il giorno che una mamma dirà al bambino: «Se hai bisogno di aiuto rivolgiti a quello in divisa. Puoi fidarti». Adesso invece gli dice: «Vedi quello in divisa? Attento, ha picchiato tuo fratello...».


 


 

 
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