Alzheimer, assassinio «per amore»
 
Roma, spara alla moglie e si autodenuncia: «Non potevo vederla soffrire». L'associazione Alzheimer Italia: «Una malattia che è un problema sociale»
«Ho sparato a mia moglie, non potevo vederla soffrire». Un anziano avvocato romano si è costituito alla polizia con queste drammatiche parole. Un'unione lunga mezzo secolo insidiata da una malattia che non perdona, il morbo di Alzheimer, e interrotta da quello che l'omicida definisce in una lettera ai figli «gesto d'amore».

Alvaro Colabona, 77 anni, pensionato, ha ucciso ieri sua moglie con un colpo di pistola al cuore. «Ho voluto porre fine alle sue sofferenze», ha spiegato. La donna è stata trovata dalla polizia in camera, riversa sul letto.

Un gesto drammatico consumato nel silenzio. Nessuno dei vicini, neanche i pochi ai quali Colabona aveva confidato le sue preoccupazioni per lo stato della moglie, immaginava l'entità della tragedia che si stava consumando nell'appartamento dell'elegante palazzina del quartiere Torrino di Roma. Discreti, discretissimi i rapporti fra i coniugi Colabona e i loro condomini. Quasi nessuno li ricorda e quasi nessuno sapeva che la signora Noemi fosse così gravemente malata.

«Non voglio commentare il caso singolo», dice a caldo a "Liberazione" Gabriella Salvini Porro, presidente dell'associazione Alzheimer Italia. «Ma fatti come questo testimoniano che questa malattia è un grave problema sociale. E' una malattia della mente, non si vede, per questo è facile dimenticarla. E invece dovrebbe essere tutelata dal Servizio sanitario nazionale».

«Questa tragica vicenda tira in ballo la questione dell'assistenza ai malati terminali e dell'orientamento per le famiglie», conferma Erminia Emprin, responsabile Welfare di Rifondazione comunista. «Nella maggioranza dei casi i parenti dei malati vivono il dramma in solitudine e ciò a causa di normative che invece di tutelare il malato, rilanciano il finanziamento privato delle cure a lungo termine».

Emprin punta il dito contro il disegno di legge sul fondo per le non autosufficienze: «Conferma l'esclusione delle persone anziane con malattie cronico degenerative dalla piena competenza del Servizio sanitario nazionale», spiega «e il trasferimento delle cure a lungo termine nel settore socio-sanitario», a carico dei singoli cittadini. «Ma la salute», denuncia Emprin, «è un diritto non solo individuale ma collettivo, anzi universale, che deve travalicare le distizioni di reddito. La stessa Costituzione lo dice».

Giada Valdannini