Cercare la verità è un conflitto di Alberto BURGIO tratto da Liberazione 20 luglio 2002 |
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Se questo non fosse il paese di Ustica e delle stragi di Stato, potremmo attendere fiduciosi che il trascorrere del tempo porti con sé la verità sulla morte di Carlo Giuliani, sulla mattanza della "Diaz" e le torture di Bolzaneto, sulla pianificazione della violenza militare nelle giornate di Genova. Ma siamo qui e non sono consentite illusioni. La ricerca della verità è un conflitto, richiede un impegno intransigente affinché ogni responsabilità sia precisamente individuata. Per parte nostra, non ci stancheremo di fare il possibile perché sia fatta chiarezza sulle direttive impartite dal Viminale alle forze dell'ordine impiegate nei giorni del G8 e sul ruolo di parlamentari della maggioranza e di ministri di Berlusconi (a cominciare dal vicepresidente del Consiglio) nelle sale operative della Questura e dei Carabinieri di Genova. Non dimentichiamo la frase di Scajola sull'«ordine di sparare contro chi avesse violato la zona rossa». E non la consideriamo una battuta di spirito. D'altra parte, qualcosa è venuto faticosamente a galla nel corso di quest'anno, anche grazie al lavoro di alcuni magistrati decisi a non lasciarsi intimidire da pressioni politiche. E' emersa l'inesistenza della sassaiola che - secondo alcune relazioni di servizio - sarebbe stata all'origine del blitz alla "Diaz". Si è scoperto che le due bottiglie molotov trovate nella scuola vi erano state portate dagli stessi poliziotti e che la coltellata che un agente avrebbe ricevuto nel corso della perquisizione era frutto di una simulazione. Risultato: una serie di agenti e di alti dirigenti della polizia di Stato sono oggi accusati di falso e calunnia oltre che di concorso in lesioni gravi, perquisizione arbitraria, furto aggravato e omissione di controllo. E' un risultato insieme vergognoso e importante, ma la lotta per fare piena luce sui fatti di Genova resta difficile. Non crediamo che la moltiplicazione delle versioni fornite dagli indagati sia un semplice scaricabarile. Somiglia, molto di più, a una strategia di depistaggio, al pari degli elenchi incompleti, della lentezza con cui i comandi rispondono alle richieste degli inquirenti, delle fotografie degli agenti inservibili per i riconoscimenti. La vicenda delle perizie sul colpo d'arma da fuoco che uccise Giuliani è del resto l'esempio più eloquente dello scontro in atto. Si vuole accreditare l'ennesimo caso di "morte accidentale". Si vuole arrivare a un'archiviazione, evitare in ogni modo un processo che potrebbe coinvolgere responsabili eccellenti. Chi ancora avesse dubbi al riguardo, volga lo sguardo a Napoli, dove è addirittura plateale lo scontro tra i magistrati che conducono l'inchiesta sui pestaggi nella caserma Raniero e il vasto blocco delle forze - governo e partiti di maggioranza, alti comandi della polizia e altri magistrati, a cominciare dal procuratore della Repubblica - intenzionate a frenarla.
Ma appunto, questo accresce la responsabilità di quanti - forze politiche e settori democratici delle forze dell'ordine - vogliono opporsi a tale disegno.
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