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L'energia del futuro
A ogni accenno di crisi energetica la
lobby del nucleare cerca di imporre la propria visione
del futuro energetico italiano. Il petrolio certo finirà
(probabilmente tra 50 anni) ma neanche le miniere di uranio
sono inesauribili; inoltre le scorie nucleari saranno un
pericolo per molte delle future generazioni. Perché allora,
anziché rincorrere una tecnologia nella quale siamo in
ritardo e che comporta investimenti ingenti (che interessano
la detta lobby ) non puntare a essere all'avanguardia
in nuove tecnologie che richiedono meno investimenti fissi e
che possono essere realizzate in modo diffuso sul territorio
nazionale? Per esempio perché non mobilitare un gruppo di
scienziati interdisciplinari (indipendenti da petrolieri e
«nucleari»), con fondi adeguati, e sviluppare le «celle
fotovoltaiche organiche» per produrre elettricità basandosi
sul principio della fotosintesi clorofilliana? Secondo
alcuni esperti questa potrebbe essere l'energia del futuro.
D'altra parte nei recenti «bandi della Commissione europea»
relativi ai sistemi energetici sostenibili, finanziati con
20 milioni di euro e con scadenza 10 gennaio 2006 , tali
celle sono incluse nei programmi di ricerca; spero che
l'Italia abbia partecipato. Un saluto e l'auspicio che su
questo argomento il manifesto aggiorni costantemente
noi lettori.
Ascanio De Sanctis, Roma
Le centrali del vicino...
Così come spesso accade a ogni baleno di crisi energetica,
molti «nuclearisti» nostrani prendono coraggio per
caldeggiare un ritorno italiano all'atomo, a una «scelta
strategica» che, a loro dire, sarebbe addirittura
giustificata de facto dalla presenza di centrali
francesi in prossimità dei nostri confini. A parte il
problema delle scorie (perché quelle che si produrrebbero ce
le dovremmo seppellire in casa, non in Francia), penso
veramente che la suddetta teoria sfiori il ridicolo. Ma voi,
se veniste a sapere che il vostro vicino d'appartamento si
riscalda con una caldaia che potrebbe esplodere da un
momento all'altro, ve ne fareste installare una identica
alla sua, visto che ormai il rischio c'è già?
Gianni Fagnoli, Forlì
Se la tv è pubblica
Mi sento un abbonato Rai mobbizzato. In uno stato laico
quale dovrebbe essere quello nostro e da abbonato Rai mi
sento profondamente mobbizzato dai vari telegiornali
quotidiani che non ne passa uno senza che venga dato ampio
spazio a papa Ratzinger. Passi per le reti Mediaset per le
quali la visione è gratuita e quindi liberissime di
proiettare ciò che il loro palinsesto aziendale ritiene più
opportuno. La Rai no! La Rai vive del nostro canone. La Rai
è l'emittente radiotelevisiva dello stato italiano e non
della Città del Vaticano. Le notizie papaline potrebbero
essere inserite, a volte, come note di appendice se non
addirittura eliminate dalle notizie di una televisione di
uno stato laico.
Max Ghibli
Sconosciuta da 50 anni?
L'efficienza non corrisponde alla pubblicità. Il 12 dicembre
scorso spedisco a mia madre una lettera prioritaria, che
però giunge a Viterbo, stranamente, dopo 5 giorni. Sulla
lettera trascrivo i dati di mia madre sia da nubile che da
sposata. Il due gennaio il portalettere mi restituisce la
lettera che avevo spedito con su scritto destinatario «sconoisciuto».
Perché spendere tanti soldi in pubblicità se poi il servizio
di poste italiane risulta inefficiente? Inefficiente e vi
spiego anche il perché. Mia madre in via Leonardo da Vinci a
Viterbo ci abita soltanto da 50 anni con tanto di nome sia
sul citofono che sulla buca delle lettere. Mi rifiuto di
credere che la nostra posta sia affidata a degli analfabeti
che non sanno neanche leggere i nomi sulle buche delle
lettere. Altrimenti non si spiega. Si riuscirà a sapere chi
sarà stato questo fantomatico portalettere che nella
mattinata del 17 dicembre scorso ha sancito che mia madre
dopo 50 anni di residenza e domicilio in via Leonardo da
Vinci sia di colpo scomparsa? Un fatto solo è certo che ora
dovrò riaffrancare nuovamente la lettera , rispedirla e con
la speranza che questa volta il portalettere sappia leggere.
Massimiliano Valdannini
Per un processo di pace
Gaza è un territorio a rischio. Lo confermano le ultime
incursioni dell'esercito israeliano e i rapimenti degli
osservatori internazionali dovuti a gruppi di palestinesi
che agiscono al di fuori di qualsiasi tipo di legalità.
Facciamo appello alla comunità internazionale affinché
intervenga per garantire la sicurezza degli oltre un milione
di donne e uomini palestinesi di Gaza. Chiediamo che vengano
garantiti i diritti umani, la libera circolazione di persone
e merci e gli investimenti necessari ad assicurare
un'economia autonoma e lavoro per i palestinesi. Solo questo
potrà favorire un reale processo di pace in Medioriente.
Donne in nero di Roma, gruppo Palestina/Israele
La funzione della fiscalità
Caro manifesto, ti scrivo in merito all'articolo
apparso in terza pagina il 27 dicembre scorso a firma di
Marco Bascetta e intitolato «Catechismo fiscale». L'autore
si impegna a svelare l'attuale legame tra l'imposizione
fiscale e quella morale, in particolare sulla concezione
«pedagogica» della tassazione, volta cioè a indurre nel
cittadino comportamenti moralmente giudicati «virtuosi», e
quindi depenalizzati, astenendosi invece da quelli
«viziosi», sottoposti per questo motivo a elevati pesi
fiscali. Devo dire che l'analisi di Bascetta è decisamente
illuminante rispetto all'attuale disegno politico
conservatore che caratterizza questo governo e, più di
tutti, i rinnovati vertici e movimenti del cattolicesimo
integralista. Tuttavia, a mio giudizio, la scelta di
estendere la critica dalla volontà conservatrice di
«moralizzazione» dello stato a beneficio di una particolare
impostazione culturale e politica (per essere più chiari: a
beneficio della chiesa e dei partiti cattolici), all'intera
concezione storica della finanza e dell'economia, di tutte
le forze, di destra o sinistra che siano, risulta eccessiva
e pericolosa. Posto prima di tutto che a volte le
definizioni per principi astratti sono fuorvianti, nel caso
della tassa sulla pornografia ad esempio, che a me sembra
più che condivisibile non perché confacente a quel
«proibizionismo sessuale» che caratterizza la morale
cattolica, ma, anzi proprio per la ragione contraria: la
pornografia a mio parere, è uno dei prodotti più disgustosi
dell'impostazione maschilista e repressiva della sociètà,
per cui non solo la donna è oggetto dell'atto sessuale, ma
proprio il tabù del sesso porta alla necessità di renderlo
pubblico, e allo stesso tempo cruento, estremo, inverosimile
quasi. In sostanza il desiderio sessuale diventa una
perversione dell'animo, che certo non avrebbe ragion
d'essere senza una concezione peccaminosa della sessualità.
Perdonato questo mio «fuori tema», la critica di Bascetta mi
sembra, dicevo, eccessiva e pericolosa. Eccessiva perché io
non bollerei così alla leggera programmi storici della
sinistra, come la tassazione sulla rendita finanziaria, o
più in generale la difesa del lavoro produttivo, come
«moralisti» e inutili per l'effettiva redistribuzione della
ricchezza, ma anzi volti a «una standardizzazione
prescrittiva dei comportamenti che si dispongono lungo una
scala gerarchica e censitaria». Torna, per me, il problema
dell'inaderenza della definizione per principio alla realtà:
se il discorso di Bascetta risulta pienamente valido e
condivisibile per quanto riguarda le recenti scelte fiscali
della destra, che negano la possibilità di esprimersi alle
realtà sociali differenti da quella cattolica (penso agli
attacchi alla legge di tutela dell'aborto, a quella così
proibitiva sulla fecondazione assistita, agli incentivi
sulle nascite...) e anzi tendono a privilegiare proprio la
chiesa, tuttavia ritengo la critica fortemente inadeguata se
riferita alle scelte fiscali tipiche della sinistra come la
tassazione sulle rendite e i beni di lusso. Scelte che io
non ritengo volte a rinforzare il divario sociale e
economico fra le classi (negando l'autodeterminazione dei
ceti più bassi perché non in grado di accedere a determinati
beni «di lusso»), ma proprio a rendere effettiva quella
redistribuzione della ricchezza fra le classi, in modo da
permettere così a tutti l'accesso a beni altrimenti elitari,
che l'autore ritiene reale obiettivo, ormai dimenticato da
tutte le forze politiche, della programmazione finanziaria.
Inoltre è pericoloso, a mio giudizio, affermare la necessità
di abolire la tassazione indiretta sui beni «di lusso» per
potervi permettere l'accesso, anche sporadico, alla
maggioranza della popolazione. Pericoloso perché ricorda
molto quel laissez faire, laissez passer del primo
liberismo, per cui lo stato non doveva «interferire» con la
libertà di espressione economica del singolo, limitandosi a
garantirgli i diritti, «sacri e inviolabili», di libertà e
proprietà. Insomma il principale oggetto della critica dei
futuri teorici del socialismo, in cui affondano ancora le
radici della sinistra moderna. Io sono fra quelli, in
conclusione, che ritengono l'intervento statale, o, per
meglio dire, fiscale, fondamentale a garantire l'equità fra
i cittadini e l'abbattimento del divario fra le classi, e
ritengo quindi che quelle operazioni economiche che mirano a
prendere di più dai «ricchi», e a chiedere di più per «le
cose da ricchi», siano fondamentali per questo processo, e
irrinunciabili per la sinistra.
Riccardo Antoniucci
La figura di Gorbachev
L'articolo di Rita di Leo dal titolo «Il rex destruens
dell'impero sovietico», pubblicato sul manifesto del
28 dicembre scorso, presenta in modo caricaturale, credo, la
figura di Michail Gorbachev, visto come un rinnegato che ha
distrutto l'impero sovietico, ha tradito i lavoratori e la
società sovietica, si è venduto al capitalismo e ridotto a
fare il mero testimonial per la pizza Hut, etc. Non
una parola da parte di Rita di Leo sui meriti di Gorbachev,
sulle speranze e sul disgelo che si accompagnarono alla sua
politica. Non una parola, soprattutto, sul regime
fallimentare e oppressivo dell'Urss, che andava comunque
superato. Certo, Gorbachev è stato e rimane uno sconfitto,
che non ha ottenuto ciò che desiderava, ma gli si deve
rendere il giusto e, soprattutto, non lo si deve ridurre a
una macchietta nelle mani dei capitalisti, altrimenti
ricadiamo nella più rozza propaganda staliniana o
neo-staliniana.
Franco Toscani, Piacenza
Dopo aver tentato in grandissima buona fede di riformare
l'Urss, Gorbachev si è convinto non esservi alternative alla
società capitalistica, ha agito di conseguenza e per ciò
stesso - sempre in grandissima buona fede, ha mandato in
frantumi 150 anni di utopie e di illusioni, lotte e dolori
di chi vi credeva.
rita di leo
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