Scoprire tutta la verità sull'assalto alla scuola Diaz: necessario per la giustizia e per la dignità della polizia

I labirinti di Genova

di Annibale Paloscia

( fonte Liberazione 21 giugno 2002 )

 

 

Sembra un piano fatto intorno a un tavolo da funzionari della polizia che avevano perso completamente il senso di lealtà e di rispetto verso la loro professione. Hanno discusso su come costruire prove false per motivare l'irruzione e il pestaggio dei no global che passavano la notte nella scuola Diaz. La magistratura di Genova arriverà a scoprire tutta la verità? A questo punto è necessario: non solo per ragioni di giustizia, ma anche per restituire dignità alla polizia. Migliaia di poliziotti non sanno nulla dell'esistenza nelle gerarchie di piccole e agguerrite confraternite che fanno un uso spregiudicato dei loro poteri per accedere alle linee di comando. La messa in scena del giubbotto antiproiettile squarciato da una coltellata e delle due molotov, che nella Diaz non ci sono mai state, ha avuto sicuramente una sala di regia.

Quel sabato 21 luglio sarà ricordato come il giorno in cui il ministro dell'Interno se ne andò a dormire mentre gli uomini del Viminale mandati a Genova e le autorità locali della polizia pianificavano un'operazione che aveva un grosso obiettivo politico: l'attacco alla scuola utilizzata come ostello dai no global. Era un atto di guerra contro i contestatori del G8, non contro i black block. Scajola ha sempre detto che lui era a casa e non fu preventivamente informato.


Una trama ancora oscura
Ci furono due riunioni in tarda serata per disporre il piano operativo. Fu presa come pretesto la segnalazione che un'auto della polizia di ronda nei pressi della Diaz era stata presa di mira con un lancio di sassi dalle finestre della scuola. L'irruzione fu motivata dalla ricerca di armi. Non era mai successo che in una perquisizione fatta a questo scopo fossero impiegati i reparti per l'ordine pubblico. Queste operazioni sono affidate alle squadre mobili, alle sezioni anticrimine e alle Digos. In prima linea fu messo addirittura il settimo nucleo del reparto celere di Roma, addestrato da due sceriffi americani all'arte marziale con l'uso di speciali manganelli. Che c'entrava con la ricerca di armi il reparto di Canterini? Al massimo poteva essere spiegato all'esterno mentre si svolgeva la perquisizione. Il comandante del reparto mobile di Roma ha sempre detto di essere stato avvertito alle 22 che doveva partecipare a quell'operazione e di aver saputo dai suoi uomini di prima fila che quando erano entrati nella scuola c'erano già dentro altri poliziotti. Chi erano quei poliziotti? Come erano entrati? Erano infiltrati?

E' ancora un mistero. Secondo Canterini, furono loro a dare inizio al pestaggio. Ma è certo che fu un uomo di Canterini a raccontare che quando era entrato nella scuola un no global aveva tentato di accoltellarlo. Secondo una perizia ordinata dai pubblici ministeri Zucca e Punto quell'agente avrebbe mentito: i tagli sul giubbotto se li sarebbe fatti lui stesso ad arte per far credere che tra i no global ci fosse Jack lo squartatore. Erano presenti alla perquisizione anche due superiori di Canterini: i prefetti La Barbera, capo dell'Ucigos, e Gratteri capo dello Sco. Il primo ha detto di aver suggerito a Canterini di rinunciare all'irruzione perché il clima era tesissimo e di essersi poi allontanato. Il secondo ha detto di essere arrivato alla Diaz a cose fatte. I pubblici ministeri Zucca e Punto li hanno accusati tutti e tre di falso e calunnia per aver presentato come bottino della perquisizione alla Diaz due bottiglie molotov che in realtà erano state trovate in corso Italia dopo uno scontro tra la polizia e i black bloc. Sono veramente quei tre i responsabili dell'ideazione e dell'esecuzione dell'operazione Diaz? La trama potrebbe essere stata architettata anche da uno solo in grado di procurarsi una certa copertura politica. La difficoltà di ricostruire la dinamica della catena di comando e le sue immancabili connessioni politiche ha contribuito a creare una folla di funzionari e agenti indagati: un centinaio per concorso in lesioni, 25 per falsificazione di prove.


Il ritorno a vecchi trucchi
Il trucco delle prove false per screditare gli avversari del governo, era usato spesso dalla polizia dei vecchi tempi addomesticata dai potenti e imbaldanzita dalle impunità: i poliziotti più duri dicevano che per essere considerati bravi bisognava dimostrare di valere «quanto un criminale e mezzo». Sia prima che durante il fascismo di solito le trame venivano architettate dai prefetti. Ci rimase coinvolto, durante i primi anni di servizio nella polizia, anche un funzionario che sarebbe poi diventato un'implacabile nemico della mafia: il prefetto Primo Mori. Nel 1893, ancora molto giovane, era delegato di polizia a Ravenna e aveva grandissime ambizioni tanto che aveva già avviato all'anagrafe le pratiche per mutare il nome di battesimo: voleva essere chiamato Cesare, che è sinonimo di comando, invece di Primo. Ravenna era un covo di repubblicani avversari di Giolitti. Una sera Mori si presentò nel ritrovo dell'élite repubblicana con sei guardie e due carabinieri e perquisì tutti, compreso un famoso chirurgo, col motivo che cercava coltelli di genere proibito. Alla fine un coltello spuntò, ma la provocazione era così sfrontata, che i repubblicani chiesero soddisfazione al governo e l'ottennero: Mori fu convinto dal prefetto di Ravenna a cambiare aria e fu trasferito in Sicilia.

Dice Massimiliano Valdannini, segretario provinciale del Siulp a Roma: «Prima a Napoli e poi a Genova si è offuscata l'immagine della polizia democratica che abbiamo costruito con tante lotte. Mi rifiuto di credere che fatti come quelli che stanno emergendo dall'inchiesta giudiziaria possano essere stati architettati da semplici agenti o anche da primi dirigenti». E' la verità. Certamente la maggior parte dei poliziotti di Genova era all'oscuro degli intrighi. Basta l'esempio del vice questore Pasquale Guaglione: ha reso un servizio alla giustizia e alla polizia raccontando ai magistrati che le due bottiglie molotov spuntate alla Diaz l'avevano trovate sei ore prima i suoi uomini in una strada.