La denuncia del Siulp: diritti dimezzati per i poliziotti

Annibale Paloscia

Liberazione 21 novembre 2001 

 

Il superiore la chiama nel suo ufficio e dice: «Tre giorni di visite mediche, le faranno anche qualche test». La poliziotta rimane sconcertata. Può aver fatto qualche assenza che ha innervosito i superiori, ma non certo da giustificare una reazione così vistosamente fuori dal comune. Il superiore tenta di spiegare che è un ordine della competente autorità gerarchica. La poliziotta si riprende dalla sorpresa e passa al contrattacco: «E perché? Le visite mediche e i test attitudinali li ho fatti quando ho partecipato al concorso per entrare nella polizia di Stato. Il concorso l’ho vinto e da anni lavoro in polizia. Non vedo la ragione per cui dovrei sottopormi a tre giorni di visite mediche. Mica sono matta!». «Allora rifiuta?». «Certo che rifiuto».

L’amministrazione della Ps poco dopo infligge alla poliziotta la deplorazione. Il che significa che per lungo tempo la sua carriera si fermerà ai terminali del commissariato, dove da anni macina dati. L’articolo 5 del regolamento di disciplina dice che «la deplorazione è una dichiarazione scritta di formale riprovazione per abituali e gravi negligenze, per persistenti trasgressioni, per gravi mancanze alla disciplina, per mancanze lesive della dignità delle funzioni». La poliziotta non si riconosce in nessuna di quelle infrazioni e ricorre all’avvocato che le mette a disposizione il suo sindacato, il Siulp. Ieri al congresso romano del Siulp c’era anche lei come delegata sindacale, e del suo caso si parlava in ogni angolo della sala.

Le vessazioni del regolamento di disciplina sono il motivo di uno stato di malessere profondamente avvertito dalla base della Ps, e forniscono anche un elemento di coesione alle diverse anime del Siulp. Uno dei punti su cui l’accordo è totale è proprio la necessità di aprire una vertenza su un regolamento emanato nel 1981, subito dopo la riforma della Ps, con una visione ispirata ad una cultura che era all’opposto di quella della smilitarizzazione: oltre che la sostanza, perfino il linguaggio era da vecchio codice militare. Sono considerati come trasgressioni punite con pene pecuniarie «il mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che non godono di pubblica estimazione, o la frequentazione di locali o compagnie non confacenti al proprio Stato». Queste generalizzazioni permettono alle gerarchie di interferire in mille modi nella vita privata del poliziotto. Dice il segretario provinciale Massimiliano Valdannini (area Cgil): «Ho chiesto alla commissione dei diritti dell’uomo di Bruxelles la condanna del ministero dell’Interno che non si decide ad abrogare questo assurdo codice di disciplina che nega i diritti civili dei poliziotti, compreso quelli tutelati dalla legge sulla privacy».

Il problema del codice di disciplina è stato sviluppato anche nella relazione di Michele Alessi, segretario generale del Siulp di Roma. «La normativa delle sanzioni disciplinari va profondamente modificata se non addirittura integralmente riscritta». Un’altra priorità condivisa da tutto il sindacato è quella di un contratto di lavoro che riconosca al comparto sicurezza - Ps, carabinieri, guardie di Finanza, polizia penitenziaria e corpo forestale - uno status diverso rispetto ai soldati e ai pubblici dipendenti.

Un punto su cui si avvertono dissonanze fra le diverse aree culturali del Siulp è quello della riflessione sui fatti di Genova. Alessi nella relazione ha puntato l’indice soprattutto sulla mancanza di coordinamento. «I fatti clamorosi di Genova della scorsa estate sono sotto gli occhi di tutti e non ci si può più sottrarre alla soluzione del problema». Ma non tutti i delegati hanno condiviso l’enfasi con cui ha difeso «l’onore della polizia» a Genova, nel caloroso saluto dato al comandante del reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, che partecipò all’irruzione nella Diaz. Nell’area della sinistra del Siulp c’è stato qualche dissenso sottolineato dall’applauso con cui è stato accolto subito dopo l’intervento di tutt’altro tenore del consigliere regionale di Rifondazione comunista Salvatore Bonadonna. «Genova significa per la polizia uno dei punti più bassi del suo rapporto con i grandi movimenti espressi dalla società civile. I dirigenti della polizia sono stati umiliati da interventi politici. C’è stata commistione tra ordine pubblico e militarizzazione».