Il ruolo delle scuole di polizia e il fallimento dei sindacati di categoria
Il deficit di democrazia e le responsabilità della politica
Un poliziotto democratico
tratto dal quotidiano Liberazione 31 luglio 2002
 
Caro direttore, a proposito di alcuni articoli di stampa apparsi in questi giorni su Liberazione, a firma Agnoletto, Burgio eccetera, circa il deficit di democrazia che si registra in alcune fasce delle forze dell'ordine; sarebbe opportuno chiedersi innanzitutto che educazione professionale lo Stato impartisce nelle varie scuole di polizia. Un'educazione rispettosa delle leggi, del dettato costituzionale e quindi delle persone, in sintesi un'educazione democratica o una formazione prona e servile rivolta al potere come accezione peggiore di una forza che più che regolare i conflitti sociali che si determinano nella società li soffoca e li reprime?

Per molto, troppo tempo, i partiti del centro-sinistra (di quelli del centro-destra è inutile parlarne), hanno fatto finta di non vedere di non sentire, convinti che una volta acquisito il governo del paese si potessero in qualche modo guidare coloro che siedono ai vertici della burocrazia del "Viminale", in una logica (Ds in testa), che intravedeva nell'affiliazione politica di qualche sindacato di categoria lo strumento di consolidamento all'interno del "palazzo", per una politica che si può tranquillamente definire degli "affarucci sporchi" (cogestione tra organizzazioni sindacali di categoria e amministrazione con la benedizione di qualche noto esponente della sinistra che oggi sembra ricredersi).

Io credo che prima di parlare di deficit democratico tra le forze dell'ordine (anche se purtroppo è una realtà oggettiva) bisognerebbe stabilire quante responsabilità ha la politica in ciò. La realtà è che non è stato fatto nulla per innalzare, lo spirito democratico del personale. Il non aver voluto ultimare quella riforma che ci rendeva "civili" (a chiacchiere!); il divieto imposto alla libera sindacalizzazione; all'iscrizione ai partiti; un regolamento di disciplina che definire borbonico è un eufemismo: se mandi a quel paese un superiore gerarchico prevede la sospensione dal servizio, mentre non prevede la sanzione da erogare se prendi a calci un manifestante inerme! Non sono forse conferme di una volontà che ancora dopo 50 anni tutto sommato preferisce relegare le forze dell'ordine in un contesto separato dalla società.


Vedere sfilare alla parata militare del 2 giugno funzionari di polizia oltre che essere un segno dei tempi è il frutto di un disinteresse politico in un settore delicatissimo per la vita democratica del paese. Quando Agnoletto nel suo articolo, riferendosi ai fatti di Genova dice: «Avrei voluto vedere qualcuno che disubbidisse a quegli ordini», prescinde dal problema stesso che è: la formazione degli agenti. Puntuale e rigorosa sotto l'aspetto tecnico-professionale, profondamente carente e lontana da una vera edificazione democratica delle coscienze. Ecco dove la politica ha fallito. Il suo intervento diretto si è limitato ad "agire" negli strati superiori i vertici per essere chiari, per mero calcolo opportunistico e di partito e non dove quel processo di democratizzazione dovrebbe crescere, affermarsi e consolidarsi, ovvero: le scuole di polizia.

Si è pensato (erroneamente), che i sindacati di categoria potessero assolvere a questo compito, quando buona parte dei vertici è rotto a ogni compromesso oltre ad essere emissari della stessa amministrazione con il compito di frammentare (20 sindacati non sono forse un'altra prova?) e di tenere sotto costante controllo gli umori del personale. Dei buoni "precettori servili" più che sindacalisti a cui l'amministrazione riconosce una volta terminato il mandato i "meriti sindacali" elevandoli al rango di questori. Allora viene spontanea una domanda: ma in tutto ciò quanta responsabilità hanno avuto e continuano ad avere i partiti del centrosinistra? Io credo enormi!