Poliziotti, carabinieri, agenti penitenziari e finanzieri, tutti impazziti o eterodiretti da comandi occulti? |
Quei buchi neri nei giorni del G8 |
Annibale Paloscia
tratto da Liberazione
21 luglio 2002
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Dopo la
denuncia di Amnesty, che ha raccolto centinaia di testimonianze sulle
illegalità compiute a Genova dalle forze di polizia nei giorni del G8,
l'inchiesta parlamentare è l'unica strada per far luce sugli aspetti più
oscuri e inquietanti che sconfinano dal territorio giudiziario in quello
delle responsabilità politiche. Nella storia dell'ordine pubblico, è lungo
l'elenco di abusi, omicidi ed eccidi compiuti da apparati dello Stato, ma
non era mai successa una così simultanea rottura con la legalità ad opera
di settori diversi delle forze repressive.
Abbiamo visto un giovane ucciso dai colpi sparati dai carabinieri, i feriti presi a calci da dirigenti dell'ordine pubblico, altri dirigenti della polizia che escogitano squallidi trucchi per pestare gli ospiti della scuola Diaz, agenti penitenziari che compiono atti di brutalità contro i fermati portati nella caserma di Bolzaneto, e perfino medici e infermieri penitenziari, che non hanno più un volto umano. Un medico si accanisce perfino a strappare i pearcing a ragazze e a ragazzi che non avevano avuto mai conoscenza dell'inferno del carcere. Vogliono farci credere che carabinieri, poliziotti, agenti penitenziari, guardie di Finanza e medici di Stato abbiano fatto tutto questo senza concertamenti a nessun livello, per puro impulso alla violenza? E se anche, sventuratamente, le forze di polizia si fossero degradate fino a questo punto, non si dovrebbe ricercarne le cause in gravi responsabilità politiche? Ma gli uomini delle forze dell'ordine mandati a Genova erano gli stessi che in molte altre occasioni si erano comportati con rispetto di se stessi, della loro dignità e della loro professionalità? Tra quegli uomini c'erano anche poliziotti e carabinieri temprati dalla lotta alla mafia e al crimine organizzato, capaci di affrontare rischi altissimi senza perdere il controllo. Non i sassi e le mazze dei black block, da cui ci si può difendere con uno scudo o con una carica, ma le raffiche di mitra. A pestare nella scuola Diaz c'erano anche loro. Anzi sono stati proprio loro i primi ad entrare, secondo il comandante del reparto mobile di Roma. A Bolzaneto c'erano agenti penitenziari con anni di servizio nelle carceri di massima sicurezza, che non avevano mai torto un capello a un boss.
Nell'inchiesta giudiziaria si sono fatti importanti passi avanti. Si è scoperto che la sassaiola presa a pretesto per fare l'irruzione nella Diaz era una messa in scena, che il colpo di coltello che aveva squarciato il giubbotto di un poliziotto era una messa in scena, che le due bottiglie molotov esibite dalla polizia come armi da guerra trovate nella scuola erano una messa in scena. Alla fine potrebbe anche risultare che provenivano dagli stock di bottiglie incendiarie di cui dispongono i reparti mobili ad uso di addestramento. Alti funzionari della polizia - l'allora capo dell'Ucigos, il capo dello Sco, il comandante del reparto mobile di Roma, dirigenti della questura di Genova - rischiano il processo per calunnia e violenze. Nessuno di loro si è assunto la responsabilità di aver preordinato l'irruzione alla Diaz e tanto meno di aver dato sul posto l'ordine del pestaggio. Nella caserma di Bolzaneto, dove c'erano tanti poliziotti carabinieri, agenti penintenziari, e personale sanitario dello Stato - quattro medici e sei infermieri - si compie il seguito del misfatto: insulti violenze, botte. Il sangue schizza sui muri, ma il ministro Castelli che arriva «improvvisamente» non nota niente, gli sembra tutto normale. A Genova c'era anche il vice presidente del Consiglio Fini, mentre il ministro dell'Interno Scajola era stato mandato a dormire. Anche per l'infernale notte di Bolzaneto ci vogliono far credere che siano stati commessi solo degli abusi «spontanei».
Il punto oscuro è se gli ordini furono dati solo dal Viminale o anche da altri poteri politici e militari. Possono essere stati dati degli ordini attraverso speciali canali che raggiungevano solo alcune nicchie della Ps, dei carabinieri e degli agenti penitenziari. Può essere stata creata una rete «clandestina» che aveva il compito di creare una situazione torbida, una rete che si è messa in moto appena ha ricevuto gli ordini. Questo spiegherebbe il fatto che in tutte le forze di polizia ci sono uomini coinvolti in atti illegali.
In un fitto mistero è anche l'omicidio di Carlo Giuliani, visto che il carabiniere Platanica, ieri, in un'intervista televisiva, ha cambiato la sua versione dei fatti. Aveva detto di aver sparato perché aveva visto una persona che si avvicinava con un oggetto metallico molto grosso. Secondo i consulenti del giudice, il carabiniere Placanica, che si trovava nella parte posteriore di un automezzo con a bordo altri due militari, premette il grilletto quando Carlo Giuliani si avvicinò a un metro e mezzo da lui e stava per lanciare un estintore. «Davanti a me non c'era nessuno, non c'era Carlo Giuliani - dice, invece, ora Placanica -. Ormai non so più nemmeno se sono stato io. Perché io ho sparato in aria, non ho sparato contro persone». Chi ha ucciso Carlo Giuliani? Come ha sempre sostenuto l'avvocato Pisapia, legale della famiglia Giuliani, il giovane era in realtà almeno a tre metri e mezzo dalla camionetta militare e, quindi, l'estintore che aveva sollevato non poteva fare alcun danno ai carabinieri. A quella distanza per ucciderlo - fu colpito al volto - bisognava prendere la mira. L'omicidio fu un atto voluto e determinato. Non compiuto dal Placanica, se è vero che neppure vide Giuliani e che sparò solo in aria. Ma, forse, qualcuno nei carabinieri aveva avuto ordini speciali.
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