( Fonte -  quotidiano Liberazione 14 maggio 2002 )
 
Polizia e democrazia
di Giovanni Russo Spena e Nichi Vendola
 
Non possiamo essere spettatori attoniti e impotenti di questo perverso gioco al massacro che, su più livelli, sta riducendo lo "Stato di diritto" ad un cupo simulacro, ad una biblioteca muta e impolverata. Nella nuova era della destra governante, il garantismo, il rispetto delle regole, la separazione dei poteri, sono come fiocchi di neve che si sciolgono al fuoco degli atti e delle parole che giungono dal Palazzo. L'Italia sta vivendo una pagina buia. Ed è debole e spesso balbettante la voce di chi dovrebbe essere, per usare la celebre metafora di Dossetti, "sentinella della notte". L'inchiesta napoletana sugli abusi "cileni" della caserma Raniero è stata oggetto di una sequenza inaudita di interferenze potenti mirate a delegittimarla: il partito degli sceriffi, da Fini a Cordova, ha buttato olio bollente sui magistrati dell'accusa nell'intento palese di intimidire il Tribunale del Riesame. Oggi scopriamo che probabilmente la scarcerazione di quei poliziotti e funzionari incriminati è stata decisa anche perché essi erano stati posti nel limbo della "sospensione dalle funzioni" fino ad esaurimento del procedimento penale: ma chi li aveva sospesi, cioè il Viminale, li ha reintegrati un attimo dopo la scarcerazione. Se così fosse, saremmo alla beffa che si cumula al danno. E già l'avvocato Taormina va strillando che bisognerebbe incarcerare quei Pubblici Ministeri che hanno indagato su chi, evidentemente, dovrebbe godere di una sorta di intoccabilità ontologica. E infatti il sottosegretario Vietti invoca una legge che punisca quelli che loro chiamano "toghe rosse": altro che obbligatorietà dell'azione penale! Eccolo il loro garantismo a corrente alternata: i no-global sono terroristi punto e basta, secondo una sentenza già scritta nelle Tv di regime, invece le forze dell'ordine sono, sempre e comunque, la nostra fiction preferita, i più amati dagli italiani.

Oggi devono chiudere Napoli per chiudere Genova per chiudere il cerchio: quello di una stretta autoritaria che passa anche per una strisciante "fascistizzazione" degli apparati dello Stato. Sulla pelle nostra, naturalmente. Ma anche sulla pelle dei poliziotti: ingannati mille volte, defraudati nella loro richiesta di un dignitoso trattamento salariale, privati di adeguata formazione professionale, esposti ad un "mobbing" tanto diffuso quanto silenzioso, manipolati da una pletora di sindacati gialli i cui vertici fanno carriera proprio giocando sulla falsa identificazione tra gli interessi dell'Amministrazione e la vita reale di quei centodiecimila lavoratori che il Viminale spesso tratta come carne da macello. Anche per responsabilità di un centro-sinistra accecato dai propri abbagli "securitari", la polizia vive questo crinale difficile: svuotata delle proprie vocazioni investigative e anti-crimine (vedi la deriva che inghiotte la Dia e la Digos), recupera potere come contenitore militare della piazza: mirando le proprie competenze repressive sul dissenso politico e sulla marginalità sociale. Questo vuole il nuovo ordine mondiale, questo suggerisce l'inquilino del Viminale, questo fa con zelo servile Gianni De Gennaro.

Si tratta di una partita truccata. E noi dovremo essere in grado di denunciare quelli che barano, di presidiare l'indipendenza dei giudici, di impedire a chiunque l'abuso della forza, di difendere la libertà e le garanzie. Anche cercando di intercettare quel malessere che cova sotto le insegne tirate a lucido della Polizia di Stato, per chiedere a quella platea di lavoratori in divisa: volete servire il cittadino o volete servire quell'ordine costituito che vi usa come un Grande Manganello contro le giovani generazioni? Insomma: servi del potere oppure al servizio della democrazia?