E i sopravvissuti della Diaz tornano sul luogo del delitto
Michela Giuliani
Drammatico confronto, a un anno dal raid, tra chi dormiva nella scuola del Gsf e i poliziotti democratici: per non dimenticare e rilanciare le ragioni antiglobal

Genova - nostro servizio
Il rapporto di Amnesty International parla chiaramente di violazione dei diritti umani e, a un anno di distanza, rilancia la richiesta al governo Berlusconi per una commissione di inchiesta.

Gli abusi e le violenze si consumarono ovunque, dalle piazze a Bolzaneto, in piazza venne ucciso persino un ragazzo di 23 anni, ma, forse, senza il massacro alla scuola Diaz l'opinione pubblica italiana ed europea avrebbe già dimenticato la repressione di quei giorni.

«A Genova c'era la volontà precisa di criminalizzare il movimento; è paradossale, ma forse le nostre ferite sono servite a non far coprire tutto. Io ho saputo tante cose dopo Genova: gli Ogm, il ruolo del Fondo monetario, della Banca mondiale. A Genova ero andato per capire, per curiosare. Ora sono curioso di sentire come funziona l'addestramento dei poliziotti, perché lì erano belve». Christian ha 20 anni, è di Benevento e studia a Napoli, ora sta a Barcellona. Un anno fa, con un amico, ha deviato il tragitto per le vacanze per curiosare nel movimento a Genova.

L'amico è l'unico "evaso" dalla finestra della scuola Diaz dopo l'irruzione della polizia. Christian non ha fatto in tempo, l'hanno massacrato di botte, gli hanno distrutto gli occhiali, anche in ospedale non poteva vedere niente perché gli mancano 8 diotrìe.

E' uno dei tanti ragazzi venuti, domenica scorsa, a testimoniare al convegno di Peacelink. "Noi della Diaz" è una affollatissima assemblea voluta da Lorenzo Guadagnucci, giornalista de Il Resto del Carlino finito in ospedale con altri 62 ragazzi la notte del 21 luglio 2001. Nella splendida sala di palazzo San Giorno si colloca tra diverse iniziative organizzate dalla Rete di Lilliput, ma questa è un po' speciale.

L'ambizione è quella di aprire un confronto con i poliziotti democratici, capire perché sia successo tutto quello e, almeno, dirsi che non deve più capitare.


Racconti e vergogna
In realtà più che un confronto è un tentativo di stabilire un canale di comunicazione, anche se non tutti i sopravvissuti della Diaz sono interessati a farlo. Nessuno manifesta segni di intolleranza o insofferenza, ma è chiaro che non bastano le parole dei rappresentanti del Siulp e del Silp per cominciare a sciogliere quella rabbia che da un anno non ci abbandona.

Rita Parisi del Siulp parla della vergogna che molti di loro hanno provato dopo Genova, denuncia i processi in corso che di fatto svuotano la riforma di smilitarizzazione della polizia, racconta le vessazioni e i ricatti cui sono sottoposti gli stessi poliziotti, ma nessuno sa dire perché è andata così.

Non lo sa Aldo Taroscio del Silp, che pure allude al ruolo di An nel governo e nel rapporto con le forze dell'ordine. Non lo sa neppure Gianclaudio Vianzone del Siulp che indica la regìa internazionale della repressione e auspica una legge per l'identificazione delle forze dell'ordine. I poliziotti che hanno avuto il coraggio di incontrarsi con i massacrati della Diaz richiamano le loro storie più gloriose, la lotta contro la mafia, ma nessuno sa dire come è andata e neanche soddisfare le domande di Sara: «Mi hanno detto che mi sono trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, perché sono una brava ragazza, non porto neanche il piercing al naso. Dicevano di cercare i black bloc, ma per nessuno, neanche per chi si fosse reso responsabile di azioni violente, sarebbero giustificate le botte e le umiliazioni cui siamo stati sottoposti. Se qualche poliziotto pensa che tutto ciò è sbagliato lo dica».

Avrebbero voluto vedere qualche poliziotto rifiutarsi di eseguire quegli ordini, e ora neanche l'impegno indiscusso dei poliziotti che sono venuti in assemblea, piccola minoranza democratica, può smorzare il risentimento per quella terribile notte.

«Una ragazza in sala si è rifiutata di farsi accendere la sigaretta da me, non capisco perché», denuncia un poliziotto. «Come fai a non capire?», gli urla qualcuno dalla sala. Non capisce perché anche lui è un sopravvissuto, uno dei pochi a pensare ancora che l'unico riferimento sia la Costituzione; ma a Genova quella carta è stata calpestata.

Il massacro della Diaz è stato preparato a tavolino e il rappresentante degli avvocati del Genoa legal forum, tutti in sala, ripercorre tutte le false ricostruzioni della questura (dagli accoltellamenti alle molotov) ora clamorosamente smentite: «L'unico modo per dare una risposta a quella notte è fare i processi», conclude.


Ferite ancora aperte
In sala ci sono Haidi, mamma di Carlo Giuliani, la sorella Elena, il padre Giuliano che parla degli agenti mescolati tra i black bloc. C'è Agnoletto, che dice di attendere ancora le dimissioni del capo della polizia, ci sono Graziella Mascia, deputata del Prc e Francesco Martone senatore dei Verdi.

Ma oggi è la loro giornata, tocca a loro raccontare: Matteo, 25 anni, di Lecco, ricorda i manganelli usati al contrario; Stefania non aveva perso un appuntamento del movimento da Seattle, dopo Genova voleva andare alle Cinque Terre, ma è andata a dormire «in un posto sicuro» e i manganelli si sono abbattuti sul suo corpo: «Nessuno sa che siamo qui - dicevano mentre picchiavano - vi potremmo uccidere tutti». Arnaldo era arrivato da Vicenza con il pullman di Rifondazione comunista, non è più giovanissimo e, insieme al fazzoletto rosso al collo, porta ancora i segni delle fratture, è in attesa di subire un altro intervento chirurgico: «Picchiavano proprio tutti - sorride - proprio nella logica dell'alternanza». Ivan rabbrividisce ancora al pensiero degli spray spruzzati sulle ferite, dopo l'uso dei manganelli al contrario; ricorda gli inni fascisti di Bolzaneto e le minacce: «Me gusta el manganello, me gusta tu».

Mark Covell di Indymedia è stato il primo ferito, è arrivato all'ospedale san Martino in coma, con diverse costole rotte. Ha ancora negli occhi la paura: «Cerco giustizia - dice in lacrime - non sono disposto ad accettare le scuse dai poliziotti; i miei problemi sono medici e psicologici». Non bastano gli applausi di una mattinata, gli abbracci di chi si ritrova, non basta raccontarsi per esorcizzare i fantasmi di quella notte. I sopravvissuti della Diaz si ritrovano per non dimenticare, per ribadire insieme gli obiettivi e i valori che li hanno portati a Genova un anno fa e ancora a manifestare nei prossimi giorni.

Le ragioni politiche di quel massacro sono chiarissime, quelle che portano delle persone, seppure poliziotti, a compierle, no.

Salvatore Palidda, docente universitario, espertissimo di polizie, insiste: «Neanche la CGIL, così battagliera ora sull'articolo 18 si è accorta in questi anni della involuzione autoritaria in corso. Nessuno si è più occupato di quanto avveniva nelle forze dell'ordine, non dimentichiamo che prima di Genova c'è Napoli, con un governo di centro sinistra». Anche questo capitolo va messo nell'agenda del movimento.