Ritengo ormai non più procrastinabile l’esigenza di avviare un dibattito franco e scevro da polemiche sterili, in modo tale da chiarire, una volta per tutte, il progetto complessivo alla base della nostra attività sindacale. Del resto, un progetto che giustifichi la nostra presenza come Laboratorio per una Polizia Democratica, in maniera dalle altre componenti del SIULP, non può non avere un impianto chiaramente e nettamente riformatore. Al contrario l’assenza di riformismo nelle nostre proposte, ci omologherebbe alle altre culture presenti nel SIULP, rendendo di fatto difficilmente giustificabile una nostra presenza in termini autonomi rispetto alle altre componenti.

Personalmente resto convinto che un sindacato esclusivamente mediatore di conflitti abbia corto respiro. Oggi la scelta non può che essere la piena rappresentanza delle esigenze di vita e di lavoro del dipendente, scegliendo di essere parte di "parte". Viviamo un periodo storico particolare, caratterizzato da un’involuzione sociale e da un attacco alle garanzie che il mondo del lavoro ha saputo conquistarsi, che ha pochi precedenti.

Vitale è quindi non arroccarsi ma farsi portatori di un nuovo disegno sociale, in cui lo sviluppo economico non risulti contrapposto alla tutela delle fasce deboli della popolazione. E’ fuori discussione che gli accordi del ’93 siano ormai superati. Non si possono più firmare contratti sulla base dell’inflazione programmata ( si potrebbe dire sperata), perché così , con l’impennata inflazionistica in atto, non si difende più il potere d’acquisto dei salari. Tantomeno l’attività sindacale può esaurirsi alla contrattazione, esercizio ormai sempre più di contabilità ragionieristica e sempre meno pregna di contenuti politici e sociali. Urgono misure che evitino lo smantellamento dello stato sociale, ridisegnano al contrario il welfare in termini di effettiva efficienza.

Analizzando la politica economica governativa è facile rendersi conto che, al di là degli spot, la promessa riduzione dell’IRPEF non solo ha carattere assolutamente residuale nella fascia reddituale largamente maggioritaria nel paese, ma si finanzia con il progressivo smantellamento dei servizi minimi essenziali.

Occorre allora riaffermare con forza il principio per cui lo stato sociale non è solo una voce del bilancio statale, ma misura il grado di civiltà di una nazione. La destrutturazione del sistema sanitario nazionale, l’assenza di certezza riguardo alla giusta aspettativa di una vecchiaia serena, la prospettiva di una formazione scolastica basata sul censo, innegabilmente penalizzano chi ha meno, che in assenza di un’adeguata rete di protezione sociale è destinato a soccombere di fronte alle logiche imposte dal mercato.

A questo aggiungiamoci la militarizzazione strisciante in atto nella nostra amministrazione, le forti carenze nella formazione del personale, la graduale alienazione della legge di riforma 121/81.

Possiamo noi evitare di interrogarci su tutto questo? Può un sindacato che si professa confederale, solidale e riformista limitarsi al conseguimento di obiettivi di natura corporativa evitando di interrogarsi sul complesso della vita del lavoratore?

Antonio Costa

Segretario Regionale SIULP Lazio