A seguito del documento finale del
direttivo nazionale del 16 e 17 aprile scorso ritengo inderogabile, in
questa lettera aperta a tutti gli iscritti, ribadire ulteriormente la natura
e la scelta di principio del Siulp che, fin dall’origine, si fondavano su
tre presupposti essenziali e qualificati per qualsiasi organizzazione che si
voglia definire sindacale: la libertà, l’autonomia di pensiero ed il
pluralismo.
A mio parere, ritengo che la ricerca di “riferimenti confederali
preferenziali” con qualsivoglia organizzazione sindacale, certamente non
aiuta a salvaguardare il pluralismo delle idee e la tradizione
politico-culturale ventennale della nostra organizzazione sindacale.
Credo, invece e fermamente, che l’unitarietà della nostra organizzazione
deve essere intesa come sinonimo di democrazia rappresentativa e garanzia di
pluralismo di idee, che di fatto costituirebbe la premessa e la condizione
insopprimibile di arricchimento e crescita culturale e politica di questo
sindacato.
Tutti noi dobbiamo prendere atto, soprattutto da una lettura asettica delle
recenti scissioni interne, ma anche dal catastrofico contesto quotidiano di
parcellizzazione di piccoli “sindacatini” o “partitini”, che la divisione
tra sindacati non ha consentito una crescita democratica della nostra
istituzione e del modello sicurezza e di pari passo si è verificato
l’indebolimento del potere contrattuale e di rappresentanza della categoria,
causando collateralmente una perdita di consenso e di partecipazione attiva
alla vita democratica ed ai riferimenti sociali e culturali più progressisti
del sindacato da parte della stragrande maggioranza dei lavoratori di
Polizia.
La pletora di sindacati di Polizia, che di fatto occultano, ma non tanto
velatamente, i singoli protagonismi ed egoismi di categoria, non hanno fatto
altro che sollecitare le esasperazioni, aumentare le divisioni all’interno
della stessa categoria, facendo così il gioco della gloriosa Amministrazione
della Ps che puntualmente controlla le nostre diatribe dall’alto di un
osservatorio privilegiato mettendoci, forse ed a volte, del proprio per
alimentarle laddove non esistono. Una cosa è certa: mai come oggi si è
affermato il motto latino dividi et impera che imperversa nella pratica, mai
osteggiato da quadri sindacali troppo ammaliati dalle sirene e del
fatiscente potere del “servo sciocco del padrone”.
Per il Siulp, almeno agli albori, la democrazia sindacale ha costituito lo
strumento insostituibile di salvaguardia della propria autonomia di
elaborazione e di decisione politica.
Oggi, a mio parere, non si ha abbastanza coraggio di ribadirlo e, qualcuno,
preferisce appiattirsi, sommessamente, alla suadente e residuale nicchia
confederale; non importa se qualche quadro sindacale ha avuto il coraggio di
pronunciare “il gran rifiuto” alla sua confederazione di riferimento,
mostrando onestà intellettuale e coraggio ideologico, presiozo e non unico
patrimonio culturale ereditato dalla lunga militanza nel Siulp.
Ancora una volta credo che sia d’obbligo ricordare in maniera forte ed
incisiva le origini dalle quali la nostra organizzazione è sorta, e quindi
partire da esse per fare un approfondito esame e rilancio del concetto
concreto, e non astratto, di unitarietà e confederalità.
L’unitarietà dovrebbe accompagnarsi al principio della più ampia democrazia
interna, ovvero che tutte le cariche sociali siano designate dal basso; che
in ognuno degli organismi dirigenti, dal vertice alla base, debba essere
assicurata la partecipazione proporzionale delle minoranze e che in tutte le
fasi congressuali si dovrebbe assicurare la libertà di espressione ed il
rispetto reciproco di ogni opinione politica.
Insomma ogni iscritto ha diritto all’elettorato attivo e passivo, ovvero
tutti sono eleggibili e non esiste nessun unto dal Signore.
La confederalità, tanto per essere chiari, non è da intendersi come
partecipazione a quello o a questo sindacato, ma un valore intrinseco e,
direi, geneticamente appartenente al Siulp.
Confederalità significa soprattutto affrontare, con una prospettiva
progettuale più ampia e meno ottusa, qualsiasi rivendicazione salariale
della categoria in maniera solidale con l’intera classe lavoratrice.
Solidarietà significa unità dei lavoratori per il miglioramento delle
condizioni salariali e di vita, anche negli aspetti della salvaguardia dei
tempi di non lavoro, intendendo però l’interezza dei lavoratori, ovvero a
prescindere dal grado o dalla funzione; inoltre, non solo la cura degli
interessi della singola categoria ma anche degli interessi al di fuori della
categoria, volgendo lo sguardo agli altri lavoratori, ai disoccupati, ai
pensionati ed a tutte le fasce sociali più deboli, in un concetto di
condivisione dei problemi sociali.
È questo valore, ripeto inscindibile dal nostro patrimonio culturale e
polito, l’identità sindacale del Siulp che ci contraddistingue dai
particolarismi dei sindacati autonomi o di alcuni sindacati con monoidentità
confederale.
Confederalità non è una patente concessa soltanto dalle tre grandi sorelle,
non è un valore esclusivo, è un valore condiviso universalmente da tutti i
lavoratori.
Il crescente distacco dei poliziotti dalle organizzazioni sindacali non ha
fatto altro che produrre l’effetto di rafforzare, nei sindacati, una
dirigenza burocratica, egoista e cosciente di trarre il proprio potere non
dalla volontà di una base, ahimè sempre più distante, ma dagli umori del
“palazzo” e delle “forze politiche” a cui la dirigenza sindacale chiede
legittimazione non avendo alcun consenso dal basso.
Giova ricordare, tra le varie lezioni che la storia ci tramanda, quanto
affermato da Achille Grandi il quale in una lettera aperta a Di Vittorio e
Lizzadri sottolineò: “Bisogna che nella famiglia sindacale tutti si sentano
a casa propria, non sopraffatti mai dai sospetti o diffidenze, né da
maggioranze violente o settarie”.
Ecco la grande sfida del Siulp al suo quinto congresso: diventare, oggi più
di ieri, la casa di tutti i lavoratori di Polizia.
È il caso, alle porte dell’ormai imminente fase congressuale, organizzare la
nostra struttura sindacale in modo che sia effettivamente l’organizzazione
di tutela dei lavoratori di Polizia, non un patronato o un erogatore di
servizi.
Quindi occorre superare rapidamente il fenomeno di sovraesposizione di
problemi meramente organizzativi e sottovalutazione dei problemi sollevati
dagli operatori di Polizia; rafforzando e ponendo in essere regole precise
ed inviolabili che portino i lavoratori a contare di più nella formazione
delle decisioni politiche, sindacali e soprattutto contrattuali.
Superiamo una volta per tutte la sudditanza con il mondo confederale.
Lo scopo principe del sindacato dovrebbe essere quello di lavorare per
evitare fratture all’interno della classe lavoratrice; fra chi si sente
tutelato e chi non lo è; favorire e sviluppare una maggiore condivisione dei
progetti e della vita sindacale per tutti gli iscritti.
Quello che è accaduto a Fiuggi è la lezione perché ci si adoperi per
l’esatto contrario.
La democrazia sindacale di fatto è lo strumento insostituibile di
salvaguardia per ciò che riguarda la sua autonomia nei processi di
elaborazione e decisione per il benessere del personale, non allo status quo
o all’affiliazione di qualche quadro sindacale al “mondo dei grandi”.
È questo il fattore che è venuto meno; è mancata l’effettiva spinta in
avanti nella rappresentatività del sindacato, fattore necessario a tutelare,
unificare e rappresentare tutte le espressioni dell’attuale sistema della
Polizia di Stato; fattore vitale per il futuro della nostra stessa
esistenza, l’apertura reale di qualsiasi struttura territoriale all’iscritto
attivo, che consenta e conduca i poliziotti a contare di più ed
incisivamente nella formazione delle decisioni.
Il movimento riformatore sarebbe stato definito pronto a mettere in campo
una rivoluzione, in senso lato, per l’effettiva tutela dei propri
lavoratori, invece, alla luce dei fatti, l’istituzione sindacato ha dato
dimostrazione di essere andata verso un processo di normalizzazione, di
appiattimento al dipartimento mai concretamente messo in discussione, e di
grigiore sindacale in quanto alla ricerca di una legittimazione con quel
partito o quella Confederazione.
Un’altra regola da ripristinare, rispettando sempre le origini di nascita e
di cui si avverte la necessità di richiamare, sarebbe quella di stabilire
una maggiore partecipazione dei Segretari provinciali, prevedendo il loro
rientro negli organismi statutari, specie l’ingresso di diritto al Consiglio
generale.
Noi del Siulp non dobbiamo fare del nostro mandato una politica di parte o
di comodo, e neanche immaginare di mandare la procura dell’esercizio del
sindacato a qualche confederazione, per nascondere il nostro fallimento di
quadro sindacale autonomo ed indipendente, bensì dovremmo essere vincolati
solo ed esclusivamente alla tutela di tutti i lavoratori.
Inoltre, a differenza del passato, se un solo lavoratore è minacciato per
ingiusta causa, tutta la struttura deve sentirsi minacciata e quindi agire
di conseguenza, al fine di ripristinare la difesa e la legalità nei
confronti del singolo, ma anche a tutela di tutta la categoria e a monito
dell’amministrazione, circa l’inviolabilità dei diritti sindacali ed il
rispetto degli accordi e delle contrattazioni sottoscritte reciprocamente.
Consentitemi l’ultima citazione: il sindacalista deve essere ad un passo
avanti i lavoratori, altrimenti verrà sopravanzato ed irriso dalla
categoria. |