«Chi ha sbagliato paghi»
Parla Luigi Notari, leader della sinistra del
Siulp: «Lo scontro magistratura-polizia è una
trappola che non aiuta i poliziotti. La solidarietà ai colleghi va bene, ma non
se rivolta contro altri»
ALESSANDRO MANTOVANI
II poliziotti sono sul piede di guerra, i loro sindacati
sparano a zero sugli arresti ordinati a Napoli per le violenze sui manifestanti
fermati dopo il Global forum del marzo 2001. Perfino il Silp della Cgil, che
pure ha grande rispetto per i magistrati e nessuna tolleranza verso certi abusi,
ha parlato di arresti «ingiustificati». L'unico fuori dal coro è Luigi Notari,
leader della componente di sinistra che raccoglie il 30 per cento nel
Siulp: due anni fa non aderì alla scissione
Cgil e rimase nella segreteria del primo sindacato di polizia, oggi a
maggioranza Cisl. Ma non si tira indietro: «I magistrati che hanno deciso gli
arresti si sono assunti una grande responsabilità - commenta Notari - ma per
quanto ne sappiamo anche i fatti erano enormi. Non voglio interferire con la
magistratura, però si parla di episodi gravissimi. Sia a Napoli che a Genova
l'autorità giudiziaria non si è concentrata sui fatti avvenuti in piazza, che
sono sempre controversi, bensì sui reati commessi al chiuso: prima nella caserma
Raniero, poi alla scuola Diaz e a Bolzaneto. Il vero poliziotto - si infiamma
Notari - ha un codice d'onore, non alza le mani al chiuso ma semmai in strada,
sotto gli occhi di tutti. Chi ha sbagliato deve pagare: non parlo di caporali e
soldati ma dei responsabili».
La rivolta degli agenti napoletani ha colpito tutti anche se, con la catena
umana davanti alla questura, hanno solo protestato, non certo impedito gli
arresti. A lei che effetto ha fatto la manifestazione?
La solidarietà tra poliziotti è normale, ma in altri casi non l'ho vista. Noi
registriamo ogni settimana provvedimenti disciplinari inconcepibili: colleghi
che vengono inquisiti, magari perché pestano i piedi a chi non dovrebbero,
vengono destituiti con infamia o mandati a 200 chilometri da casa anche se
prosciolti in tribunale; oppure finiscono sulla lista nera perché si ammalano
troppo o perché si rifiutano, per questioni di grado, di accompagnare uno
straniero alla frontiera. Il mobbing, da noi, è la regola. E quando il
poliziotto non ha diritti rischia di non percepire quelli altrui. Ma su questi
aspetti vince la paura, non la solidarietà. Tanto meno da parte degli esponenti
del governo, che invece gridano contro i giudici. A Napoli la manifestazione era
normale: meno normali gli applausi in diretta tv al vicecapo della polizia
Antonio Manganelli. Non siamo un Cocer, non c'è motivo per applaudire la
controparte.
Ci piaccia o no, lo scontro oppone polizia e governo alla magistratura...
E' una trappola che non aiuta i poliziotti. La solidarietà ai colleghi va bene,
ma non se rivolta contro altri, che siano i magistrati o i movimenti di
contestazione giovanili e non. Se un'intera generazione torna a vedere il
poliziotto come il nemico, non ne usciamo più. Da un lato regrediamo alla
polizia pre-riforma, separata dalla società; dall'altro esponiamo i poliziotti a
chissà quali reazioni, magari terroristiche. Forse i terroristi di oggi non sono
come quelli di una volta, ma il fantasma degli anni 70 è sempre lì: tornare alla
contrapposizione con la piazza sarebbe una sconfitta per tutti. Più in generale,
in tanti anni, gli abusi contro i poliziotti li ho visti arrivare dai superiori,
dai questori e dal Viminale. Non certo dai magistrati.
Alla caserma Raniero di Napoli i no global fermati sono finiti nelle mani
della squadra mobile, abituata a trattare con i delinquenti. Anche alla Diaz
erano in azione, tra gli altri, i «mobilieri». Che senso ha impiegare questo
personale a contatto con i manifestanti? Non sarà colpa di De Gennaro, un capo
della polizia che proviene dalle squadre mobili?
Salvo casi eccezionali bisogna evitarlo. Mandare la squadra mobile è una scelta
superficiale, che non riconosce alla piazza il valore che ha. Per trattare con
fermati di quel tipo, gente che fa politica, ci vuole personale preparato. Devo
dire che c'è gente poco preparata anche dall'altra parte: quando vedo gli
elmetti e le armature di gommapiuma mi sembra Carnevale... De Gennaro? Non
sappiamo se certe decisioni le abbia prese lui, comunque non vorremmo una
polizia ad immagine e somiglianza del capo. Ho grande rispetto per Arnaldo La
Barbera, ma mettendolo a capo dell'antiterrorismo si è fatta confusione tra la
sovversione politica e la criminalità comune.
Lei denuncia la militarizzazione dei reparti mobili (ex celere) ma dopo
Genova non è cambiato nulla. Sono sempre al loro posto funzionari come Donnini,
coordinatore della riorganizzazione pre-G8 e Canterini, il comandante sotto
accusa per la Diaz. Oggi i «celerini» romani manifestano contro il trasloco a
Ponte Galeria, in tutta Italia si protesta contro i trasferimenti di 200 uomini
dei reparti, che non sono certo i picchiatori...
Macché picchiatori! Vengono trasferiti quelli che hanno qualche pendenza,
qualche problema disciplinare. Ma non si vuole mettere in discussione la
formazione e questo ci riporta indietro. Con la legge 121/81 siamo diventati
tutti civili, compresi gli ufficiali del disciolto corpo delle Guardie di Ps:
molti di loro, peraltro, hanno contribuito alla nascita del movimento sindacale.
Ma le scuole di polizia, la stradale e i reparti mobili sono rimasti in mano ad
ex militari come Aldo Gianni, Donnini e Canterini. Si spiegano anche così gli
addestratori americani, i manganelli «tonfa», le «marcette» e la battitura degli
scudi.