LABORATORIO

Le "presenze" nel Siulp

Massimo Buggea

Raccolgo la proposta di Massimiliano Valdannini nell’articolo “L’ennesima divisione” pubblicato nel numero 1 di quest’anno per esprimere il mio punto di vista.

Premetto che ho già affrontato il tema della scissione l’anno scorso e quindi mi auguro di non essere ripetitivo. Dal punto di vista contenutistico cercherò di sviluppare un ragionamento basato sui seguenti presupposti: non ritengo che in questa vicenda vi siano stati atteggiamenti settari mentre credo che vi siano gravi problemi strutturali all’interno della realtà sindacale della Polizia italiana.

In primo luogo sembra opportuno ricordare che la parola setta designa un gruppo di persone che professano una particolare dottrina politica, filosofica, religiosa o simile, in contrasto con quella riconosciuta o professata dai più (dal latino setta, modo di pensare ed operare, indirizzo, condotta) (Cortellazzo-Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana). Subito dopo, ma non per questo meno rilevante, si trova il versante del valore sociologico del termine.

Se si affronta la questione da tale prospettiva non possiamo esimerci dal riferimento a Max Weber ed al suo studio “Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo” che come è noto trae origine da un viaggio compiuto dall’Autore in America. In tale breve opera Weber considera il rapporto tra religione e società; anche le sette come chiese hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo economico e sociale capitalistico. Infatti appartenere o meno ad una determinata setta implica per le persone un buon grado di rispettabilità, mentre l’esserne escluso prelude ad una rovina non solo dal punto di vista umano e sociale ma soprattutto nell’ambito economico. L’ammissione alla setta risulta ancorata al vaglio degli elementi comportamentali: e proprio tali atteggiamenti dell’individuo, in quanto connessi al successo negli affari, portano le sette ad influire direttamente sullo sviluppo del sistema capitalistico. Per Weber esiste un rapporto diretto tra setta e democrazia politica; tolleranza e libertà religiosa assumono un rilievo particolare, con particolare riferimento alla rivendicazione della libertà di coscienza attuata con grande vigore dalle sette protestanti. Un altro aspetto evidenziato da Weber mette in luce la disciplina etica delle sette; in questo senso l’organizzazione di tale sistema di relazioni va ad incidere sull’assetto societario.

Considerando la setta come un gruppo ed analizzandone le dinamiche interne ci spostiamo in un’altra area sociologica, con riferimenti ad altri Autori. Per quanto concerne l’approccio generale all’argomento si possono enucleare due diverse possibilità: la teoria nominalista e quella realista.

Per i nominalisti un gruppo è la somma dei suoi partecipanti; le prime teorizzazioni in questa direzione ad opera di G. Tarde vengono poi sviluppare da G. Simmel secondo cui nel gruppo prevale il gioco delle interazioni interne. I nominalisti successivamente affinano ulteriormente la loro riflessione (J. L. Moreno, K. Levin, R. Bales) dimostrando una tendenza forse troppo accentuata ed estendere la loro analisi all’intero spettro societario.

Di ben altro tenore è l’approccio realista, proteso a leggere ogni gruppo come una totalità le cui caratteristiche risultano dal tipo di rapporto che esiste rispetto al contesto generale. Se il padre di questa teoria è senz’altro E. Durkheim la prima formulazione di cui si ha traccia è nelle opere di W. G. Summer. La definizione di gruppo “primario” e “secondario” è di C. H. Cooley mentre la dimostrazione con i celebri esperimenti di Hawthorne è di E. Mayo. Argomento prediletto per i critici di questo tipo di approccio è la mancanza di un adeguato supporto teorico nel rapportarsi rispetto a gruppi articolati e complessi, soprattutto quando entrano in gioco fattori psicologici.

Dopo queste premesse di carattere metodologico consideriamo le vicende sindacali nostrane e rileviamo come non possa definirsi settaria in senso sociologico una situazione che fin dal 1979 presentava altissimi livelli di conflittualità interna. Piuttosto rileva ai fini del ragionamento che qui intendiamo seguire lo spinoso problema degli assetti rispetto ai referenti diretti dei sindacati.

Se agli albori del sindacalismo in Polizia si seguiva la traccia dell’unificazione sindacale si sono poi susseguire nel tempo altre interpretazioni riconducibili a questa schematizzazione:

- 1ª fase: sindacalismo di emergenza per la Polizia, con la necessità di conseguire gli obiettivi della smilitarizzazione e sindacalizzazione; tutte le componenti sindacali erano unite in questo impegno e le differenze, per altro più volte evidenziate, erano al momento semplicemente accantonate;

- 2ª fase: le differenze sono mediate dall’interpretazione corrente di Cgil-Cisl-Uil e proiettate verso un progetto di unificazione sindacale;

- 3ª fase: il progetto di unificazione naufraga e per contraccolpo si accende una lotta furiosa all’interno del Siulp per la leadership;

- 4ª fase: vi sono alcuni tentativi illuminati di proseguire il cammino tenendo saldi i principi di unità sindacale;

- 5ª fase: la diversità di idee sindacali, prima assunta come “ricchezza”, diviene un pericolo e non vi è più spazio per il dialogo.

In questa interpretazione del tutto personale dei fatti ma oggettivamente documentabile si riscontra la costante presenza dei sindacati confederali che hanno condizionato la vita interna del Siulp al punto da consentire per molti anni sistemi elettorali non democratici e procedure di controllo delle decisioni contrarie ai principi elementari della rappresentanza politica.

Non sembra essere rilevante il problema del settarismo quanto quello del potere e delle sue forme di manifestazione. Fermo restando quanto ho già esposto sull’opportunità di creare un nuovo sindacato resta fuori dalla discussione che là dove non vi siano le condizioni minime per un dialogo democratico occorre tentare con tutti i mezzi di ripristinare tale premessa.

Se il tentativo fallisce non credo vi siano alternative all’abbandono del gruppo per evidenti motivi di incompatibilità; fermo restando che condivido pienamente l’analisi di Massimiliano sulle metodologie usate dai sistemi totalitari desidero aggiungere che, nel caso da noi considerato, ci troviamo di fronte ad un’esperienza sindacale che ha messo in luce grandi risorse. E analizzando le politiche e pur considerando il breve periodo di riferimento pare che la componente Cgil oggi autonoma si muova nella direzione indicata da Norberto Bobbio nel suo saggio “Destra e sinistra” quando afferma che “se vi è un elemento caratterizzante delle dottrine e dei movimenti che si sono chiamati e sono stati riconosciuti universalmente come sinistra, questo è l’egualitarismo, inteso, ancora una volta, non come l’utopia di una società in cui tutti gli individui siano eguali in tutto, ma come tendenza a rendere più eguali i diseguali”.