La Champions league

 

Se potessi paragonare la mia amministrazione che tanto rispetto, per i suoi principi, per la professionalità ed umanità di alcuni suoi uomini e tanto odio per incompetenze, ritardi, assurdità burocratiche, la dovrei paragonare ad una di quelle squadre sempre in lotta per non retrocedere. Quelle squadre con carenze endemiche di organico, di giocatori bravi e di soldi. Ogni tanto un nuovo talento viene scoperto e subito venduto ad una squadra più grande che ha il coraggio e la forza di osare. Una squadra di vertice non si differenzia tanto nella bravura dei singoli giocatori o degli allenatori, si differenzia per la politica societaria. La squadra che vince il campionato non è quella con i nomi più grossi, è quella sostenuta dalla società che ne segue i passi, ne gestisce competenze e progetti futuri. Senza una chiara politica societaria, la squadra non va, non solo non vincerà mai un campionato ma cosa ancor più grave, non si classificherà mai in una posizione che le garantisca di rappresentare il proprio paese all’estero. La squadra con cui gioco è così. Sempre in lotta per non retrocedere: la Polizia di Stato. Il nostro motto dovrebbe essere: a poco servono i nostri fuoriclasse, arriviamo sempre secondi. Arrivare secondi non è poi così male, in verità lo è se le squadre sono solo due: una “grande” ed una “provinciale”. Come si riconosce una provinciale? - mi chiederete. Semplice la provinciale è quella che non gioca mai la Champions league. Come le provinciali, anche la Polizia di Stato non gioca mai all’estero. Veniamo al dunque, altrimenti, cari lettori, non capirete molto. Non molte cose danno l’idea dell’italianità nel mondo: la moda dello stilista tal dei tali, la pasta di una certa marca, la mafia sul modello de: “I Soprano”, ed i Carabinieri. Proprio loro, i destinatari delle nostre barzellette, ma che, nella sostanza, sono tutt’altro che comici. Ben addestrati, equipaggiati, motivati, dei veri professionisti della sicurezza. Anche la mia squadra ha uomini addestrati e motivati anche noi siamo dei professionisti della sicurezza, però difettiamo in quella cosa che alla fine non è cosi poco importante: la politica societaria. Tralasciando le vicende nostrane che evidenziano mancanze impressionanti (mezzi, strutture, equipaggiamenti), non rappresentiamo l’Italia all’ estero, perché pur essendo qualificati, i nostri vertici non ci lasciano giocare quello che rappresenta il torneo più importante del mondo, quello che tutte le forze militari italiane stanno giocando: il peacekeeping – le operazioni di mantenimento della pace. Adesso, cari lettori, dovete sapere che non è del tutto vero quanto affermato da Boutros Ghali, ex segretario delle Nazioni Unite, ossia che “il peacekeeping è una cosa da civili ma solo i militari possono fare”, infatti, il vero peacekeeping (compreso di peacebuilding e confidence building) è un’attività perlopiù svolta dai civili, che i militari hanno una certa riluttanza ad accettare e svolgere. E’ altresì vero che la gestione dell’emergenza e l’imposizione della pace (cd. Peace-enforcement) è un compito dei militari in quanto dispongono di un potenziale bellico ed un supporto logistico adatto alle esigenze di campo. Tuttavia, quando le guerre sono finite, i popoli pacificati, quando serve lottare la criminalità (comune e terroristica) o addestrare le polizie locali viene il momento delle polizie civili; “civilian police” le chiamano le Nazioni Unite. Negli ultimi quindici anni, l’ONU ad ogni nuova missione di mantenimento della pace,  invita la Polizia di Stato a partecipare con degli uomini, quest’ultima, ogni volta, declina l’invito, proprio al contrario dei cugini che invece sono sempre presenti. Una volta per carenze di organico, altre perché mancherebbe il supporto logistico, altre ancora perché non ci sono i soldi, una volta per una scusa una volta per l’altra, la Polizia non si muove mai. Quando si deve muovere, costretta da un diktat politico come nel caso del Kosovo, in quanto i Carabinieri erano giá troppo impegnati con la forza militare KFOR ed in piú perché, poco si adeguavano ad una “no rank mission”, cioè una missione dove il grado rivestito in patria non conta ai fini delle posizioni che si rivestono, tutto cambia. Si parte, anche alla cieca, preparando un pò di persone desiderose di indossare il basco bleu dell’ ONU, che s’imbarcano in un’avventura senza sapere cosa troveranno (un articolo su Polizia e Democrazia di Ott.-Nov. descrive bene la missione in Kosovo vd. www.Poliziaedemocrazia.it). La missione kosovara parte in sordina e rimane lì, nascosta, nessuna presentazione alla stampa, nessun copertina sul giornale del corpo, niente, un silenzio imbarazzato, un low profile assoluto, come quando si fanno delle cose di cui ci si vergogna. La missione in Kosovo sta per finire o almeno dopo 6 anni di missione a gestione ONU, quella della Polizia di Stato sta per finire, i militari italiani della KFOR ed i Carabinieri rimangono la, non si sa a fare cosa, visto che ormai sono anni che hanno perso i poteri d’ indagine passati alla Civilian Police. E’ la Polizia civile che gestisce la lotta alla criminalità kosovara, i militari (KFOR o MSU dei Carabinieri) vengono usati solo per la ricerca delle armi ed in caso d’emergenza per contrastare le violenze etniche. Chi comanda è UNMIK Police. UNMIK Police è comandata da appartenenti alle varie polizie civili mondiali tra questi 35 uomini della Polizia di Stato. Un caso su tutti (certo il più eclatante ma ce ne sono tanti altri) un poliziotto italiano è il comandante di una regione, l’equivalente di un ipotetico “questore regionale”. Comanda più di 3-4000 poliziotti tra internazionali e locali, dettaglio non trascurabile, è che questo poliziotto ha il grado (in Italia) di “agente scelto”.

Un italiano, comandante della polizia di una regione, costa al nostro Stato quanto un singolo soldato o un carabiniere. Novanta euro al giorno. In più il soldato o il carabiniere hanno il supporto logistico fornito dall’ esercito, mense, dormitori, docce, elettricità, spaccio; il nostro poliziotto No. Dorme in una casa affittata, si prepara da mangiare da solo, in caso di bisogno, ha il supporto fornito (e pagato) dalle Nazioni Unite. A conti fatti, costa allo Stato molto di meno di un suo collega con le stellette.

Le Nazioni Unite hanno richiesto gli uomini della Polizia di Stato per varie missioni: Timor Est, Bosnia, Liberia solo per citarne alcune: abbiamo sempre detto No. Sono stati dei “no” a cui nessuno si è ribellato, nessuno che abbia detto: “perché no?”

I sindacati, cosi onnipresenti in tutta la vita della Polizia di Stato, non sanno neanche che ci sono uomini della Polizia di Stato che sono morti per vestire il basco bleu di chi porta la pace nel mondo. Due caduti per l’Italia, due caduti per un ideale di pace.

Durante l’anno di missione, ogni volta che incontravo il mio sindacalista preferito e gli parlavo di missione, di bisogno di altre missioni per la Polizia di Stato e di quanto fosse importante esserci, mi rispondeva sempre con la solita domanda: ma quanto si guadagna?. Si guadagna tanto vi assicuro, ma si perde di più, lo sa bene quel collega che non ha visto sua figlia nascere perché l’aereo che avrebbe dovuto portarlo a casa, non partiva, o quell’altro il cui figlio non riusciva a chiamarlo: “papà”. Non si va in missione per soldi, si parte perché, credeteci o meno, si crede nella pace.

Servirebbe più Polizia ed invece le nuove decisioni di scuderia sono quelle di abbandonare le missioni, come fossero una vergogna, i carabinieri fanno di tutto pur di esserci, noi al contrario di tutto pur di non immischiarci. Il peacekeeping, quello che ha trasformato il nostro esercito in un vanto nazionale, quello che ha portato tanti riconoscimenti ai nostri soldati in campo internazionale, viene snobbato invece dai nostri vertici, il perché posso solo immaginarlo. Dalla Bosnia (missione EU) ce ne siamo andati, lasciando soli i cugini dell’Arma, dal Kosovo ce ne stiamo andando, dal 2006 ci saranno solo militari, non andremo in Sudan, come non siamo stati in Eritrea. Come se la medaglia al merito delle Nazioni Unite (per la missione in Kosovo) apposta sulla bandiera della Polizia di Stato fosse un monito a non ripetere più l’esperienza.

Questo scritto non vuole essere la solita diatriba tra poliziotti e carabinieri, ben fanno quest’ultimi ad organizzare corsi, scuole ad hoc per dare gloria ed onori all’Italia trasmettendo esperienze e professionalitá a livello internazionale, ma perché tutto questo non può farlo anche la Polizia di Stato? In piú tra il personale della Polizia esiste una piccola aliquota di uomini e donne  giá addestrati (circa 100 unitá), con anni d’esperienza nelle missioni di Bosnia e Kosovo, personale che ha giá ricoperto posizioni di rilievo nell’organigramma della polizia ONU o EU e che invece non ha alcuna possibilitá di partire per una futura missione, che sia ONU dell’Unione Europea. Non utilizzare (tra le altre cose a costo zero), l’unica polizia civile nazionale, in campo internazionale appare un clamoroso autogol della nostra politica estera, basterebbe un solo atto di volontá per cambiare lo status quo che si era modificato con le missioni nei balcani e che pare stia ritornando.   

Non firmerò questa lettera, qualche burocrate potrebbe accusarmi di qualche mancanza disciplinare,  non è un’accusa alla Polizia di Stato, è un atto d’affetto per la mia amministrazione.

Anch’io voglio rappresentare l’Italia in “Champions League”.

 

L.K.

Anonimo