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Oggi ad ogni cosa viene attribuito un valore, il vestito che indossiamo,
l'auto, l'appartamento, il cellulare o la cravatta ... ogni cosa ha un suo
prezzo e può essere barattata proprio in funzione di questo.
Alcuni valori vengono attribuiti dalle leggi di mercato, altri li
attribuiamo noi arbitrariamente, altri ancora vengono stabiliti dagli
eventi. Cosa non è commerciabile ai nostri giorni? Potremmo dire: nulla!
... Qualcuno potrebbe obbiettare che esiste una "cosa" che non ha prezzo:
la vita di una persona ... ma non sono dello stesso parere le compagnie di
assicurazione! Quale valore ha la vita di un giovane laureato, oppure la
vita di un affermato avvocato, che valore attribuire alla vita di un
contadino e quale valore a quella di un operaio? Quanto vale la vita di un
barbone che trascorre i suoi giorni ai limiti della società? Quanto vale la
vita di un emarginato che trascorre il proprio tempo alla ricerca di un
ideale da seguire ... e quanto quella di un carabiniere? ... o quella di
tre carabinieri?
Quando e come gli eventi attribuiscono un valore anche alle nostre vite?
Esiste la possibilità che un genitore non soffra per la perdita di un
figlio? Quali parole vorremmo sentire dalle labbura di una madre o di un
padre che hanno visto il loro figlio ucciso in TV dalla mano di chi
rappresentava lo Stato? Fino a che punto è giusto spingersi per "diritto di
cronaca"? ...e se a morire fossero stati tre carabinieri imprigionati dalla
folla dentro una camionetta? Ci sarebbero stati più genitori da
intervistare e si sarebbe perfino arrivati a coinvolgere direttamente alte
personalità dello Stato...!
Ogni vita che si perde deve avere uno scopo, soprattutto per chi rimane e
deve giustificare il dolore che prova! Come è possibile ignorare chi muore,
come si può guardare colui che ha posto fine ad una vita come ad un
possibile salvatore di altre tre vite. La storia ci insegna che il
sacrificio di pochi è stato spesso necessario per la salvezza di molti,
forse proprio in questi valori sono da ricercare le ragioni per accettare
gli eventi. Forse solo in questi termini  è possibile pronunciare il nome
di Carlo Giuliani senza doversene vergognare.
Vergogna per chi lo innalza ad un simbolo di libertà,
vergogna per chi strumentalizza il dolore di un padre o di una madre;
vergogna per chi grida "assassino" ad un ragazzo in divisa che ha difeso se
stesso e i suoi commilitoni,
vergogna per chi utilizza la morte di un ragazzo come un'oggetto di contesa,
vergogna per chi, in suo nome, compie nuovi gesti di violenza ...
Lasciamo che la giustizia abbia il suo corso, rispettiamo il dolore di
coloro che hanno perso un figlio e smettiamo di innalzare a martire chi ha
trovato la morte ricercando, allo sbando, una ragione di vita.

Loris Burgio
l.burgio@libero.it