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le troppe polizie italiane
L'ordine regna a Genova
Genova, nelle giornate di luglio, ha
visto di fronte le tante polizie italiane e migliaia di persone venute da
molti paesi per ripetere, ad alta voce, il loro dissenso, argomentato e
convinto, nei confronti dei G8. Le forze di polizia italiane hanno
mostrato l'involuzione politica e ideale subita negli ultimi anni, anche
durante i governi del centro-sinistra, molto prima dell'avvento del
governo di centro-destra capeggiato da Silvio Berlusconi. La gestione del
disordine pubblico tra centro sinistra e centro destra ha mostrato una
magnifica continuità. Gli eccessi violenti, i pestaggi, il non rispetto
dei prigionieri, hanno fatto vedere un volto intollerante - e
intollerabile - dell'Italia.
di Salvatore Palidda*
Per una ricostruzione rigorosa dei
fatti di Genova ci vorrà tempo e soprattutto tante informazioni oggi
inaccessibili. Tuttavia, è possibile stabilire una lettura utile
analizzando ciò che è avvenuto a Genova come l'epilogo di un processo che
ha avuto i suoi prologhi nelle violenze poliziesche da Seattle sino a
Göteborg e soprattutto nella diffusione della «tolleranza zero» e nelle
pratiche securitarie adottate quasi unanimemente dai governi di
centro-sinistra e di destra.
Come segnala Statewatch
(1), dopo Göteborg, quasi tutti i paesi dell'Unione europea (Ue)
sembrano orientarsi verso una criminalizzazione sistematica dei movimenti
sociali, attitudine prima adottata nei confronti dei migranti e nella
trasformazione di ogni problema e rivendicazione sociale in «questione
criminale». Il piano per la sicurezza del G8 di Genova è stato dapprima
opera dei governi di centro-sinistra guidati da Massimo D'Alema e Giuliano
Amato, con la collaborazione delle polizie e dei servizi segreti delle
sette potenze. La soppressione dei diritti costituzionali e la
militarizzazione della città sono state organizzate per mesi con centinaia
di perquisizioni e l'allontanamento degli abitanti «indesiderabili», la
diffusione dell'allarme e del messaggio esplicito per spingere tutti a
chiudersi in casa o a lasciare la città. Già tre mesi prima dell'inizio
del vertice, Genova era abitata da decine di agenti dei servizi segreti
italiani e stranieri mentre centinaia di poliziotti in divisa non
esitavano a dire i giro: «questa volta gliele suoniamo sul serio ai
rossi». Il più importante prologo delle violenze c'era stato il 17 marzo a
Napoli (col governo Amato), quando la polizia aveva attaccato con una
violenza inaudita circa trentamila manifestanti riuniti contro il Global
Forum. Ma in realtà è già da qualche anno che la violenza e il razzismo
caratterizzanno la pratica quotidiana di tanti agenti delle polizie nei
confronti di zingari, immigrati e marginali, in nome della «tolleranza
zero»
(2). Allo stesso tempo, sono sempre più frequenti nelle carceri le
violenze delle «squadrette notturne», poi dei Gruppi operativi mobili (Gom)
- il corpo speciale della polizia penitenziaria istituito dal ministro
della giustizia Oliviero Diliberto durante il governo D'Alema - che,
contemporaneamente licenziava il direttore dell'Amministrazione
penitenziaria, Alessandro Margara, perché giudicato incompatibile con
l'orientamento securitario sposato dalla sinistra anche in nome di quella
«cultura della legalità» accreditata con l'alibi della lotta al terrorismo
e poi alle mafie. Saranno gli agenti del Gom a partecipare in prima fila
alle torture inflitte agli arrestati di Genova. In effetti, sin dal
governo di Romano Prodi ma soprattutto con D'Alema, il centro-sinistra ha
perseguito un orientamento disennato nel campo della sicurezza. Nel '97,
la Cgil aveva ceduto alla destra della Cisl la direzione del
Siulp (Sindacato unitario lavoratori di
polizia, il maggiore sindacato di polizia una volta considerato
l'anticorpo democratico) con un'operazione eseguita dall'uomo di
riferimento dei Democratici di sinistra (Ds) e della Cgil all'interno del
Siulp, attuale responsabile relazioni
esterne del capo della polizia, nonché responsabile del comunicato-stampa
alle due di notte sul blitz della scuola Diaz, emesso prima ancora che
tale blitz fosse terminato. Ma dopo la rottura dell'alleanza fra i tre
sindacati confederali, i dirigenti Cgil si sono «improvvisamente» accorti
che il Siulp rischiava di scivolare verso
posizioni discutibili e allora hanno creato il 24° sindacatino di polizia,
mentre oggi più che mai occorre un gran lavoro di unificazione dei
democratici sparsi in questi sindacati o disgustati dalla stessa condotta
del centro-sinistra. La sinistra al governo si è invece distinta nel «far
meglio della destra» al fine di conquistarsi la fiducia delle polizie e
dei servizi segreti, oltre che dei militari e degli alleati della Nato,
soprattutto con la guerra dei Balcani. Da allora si stabilisce un vero e
proprio continuum tra «guerra securitaria» al quotidiano e «guerra
umanitaria».
Ma, come ai tempi della Democrazia cristiana, il centro-sinistra ha finito
col favorire i particolarismi delle polizie e dei servizi segreti senza
acquistare alcuna autorità politica su tale universo.
I poteri e l'autonomia dei Carabinieri sono stati accresciuti e le altre
polizie hanno allora cercato di mostrare i muscoli per non perdere peso
nel «comparto sicurezza» e nella ripartizione dei privilegi.
L'ultimo atto del centro-sinistra prima delle elezioni - il famigerato
«pacchetto sicurezza» - ha spianato la strada alla destra ora al potere.
Benché in nome di un migliaio di Organizzazioni non governative (Ong) e
sindacati, la reiterata richiesta di incontri rivolta dal Genoa Social
Forum (Gsf) al governo Amato e ai vertici della polizia non aveva ottenuto
alcuna risposta. In realtà, la vittoria elettorale della destra era data
per certa già sei mesi prima dagli stessi dirigenti del centro-sinistra e
la gestione politica della sicurezza era più che mai inesistente. L'arrivo
al potere del governo Berlusconi-Bossi-Fini non ristabilisce alcuna
effettiva guida politica di questo settore, ma costituisce un'occasione
straordinariamente favorevole alla componente autoritaria dei servizi
segreti e delle polizie, ben spalleggiata dai «post-fascisti» al potere, a
loro volta confortati dal nuovo governo di George Bush jr. negli Stati
uniti d'America. Dopo Göteborg, i media non smettono di alimentare il
panico fra le stesse polizie - molti sono gli agenti che credono alle
dicerie relative ai «palloncini di sangue infetto» e all'orda «di
terroristi di strada» pronti a tutto. Si arriva addirittura a parlare
della minaccia bin Laden, mentre nessuno parla del centinaio di fascisti
che preparano le provocazioni a Genova in accordo con qualche dirigente
delle polizie e dei servizi.
A sorpresa, qualche giorno prima del summit, il ministro degli esteri
Renato Ruggiero dichiara che le ragioni degli anti-G8 sono le stesse di
quelle dei governi e invoca il dialogo. Silvio Berlusconi incontra
l'arcivescovo di Genova Dionigi Tettamanzi e dice di comprendere la
solidarietà del cardinale per il Gsf. Il neo-ministro dell'interno Claudio
Scajola, con il paternalismo tipico dei democristiani, afferma in
parlamento che il governo garantirà la sicurezza del summit, dei genovesi
e dei manifestanti e promette tre miliardi al Gsf, l'apertura della
stazione ferroviaria di Brignole e delle frontiere, in modo da permettere
l'arrivo dei manifestanti da ogni dove. Infine Scajola, il capo della
polizia e i loro stretti collaboratori incontrano più volte una
delegazione del Gsf e promettono moderazione. Ma, in alcuni gruppi delle
polizie - non in tutti - circolano messaggi di guerra per preparare i
giovani agenti all'azione violenta e senza scrupoli.
Intanto il Viminale si vanta di aver formato tutti gli agenti con un
vademecum che insegna come evitare la violenza e come distinguere i
pacifici dai violenti.
20 luglio, Carlo Giuliani Il 18 luglio, senza alcuna ragione, le promesse
sono abbandonate: la libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea
è sospesa; i controllori di frontiera dispongono di schedature di tutti i
paesi che a volte risalgono agli anni '60. Un traghetto greco è costretto
con la forza a ripartire senza sbarcare centinaia di passeggeri.
Le stazioni ferroviarie sono chiuse e i treni speciali vengono dirottati
su percorsi assurdi e rallentati sino a impiegare quattro-cinque più del
normale per arrivare a Genova. La presenza e la localizzazione dei Black
bloc sono segnalate anche per iscritto dal sindaco e dalla presidente
della provincia. Ma le polizie intervengono solo per controllare
continuamente i luoghi di accampamento dei giovani dei centri sociali e
delle tute bianche. Ciononostante, miracolosamente, la manifestazione del
19 per i diritti dei migranti, si svolge pacificamente, malgrado sia
obbligata a seguire un percorso insensato in una città deserta e
militarizzata passando per stradoni chiusi da file di container su due
piani, poi davanti alla questura, nei tunnel e infine anche sotto il
comando dei carabinieri. Genova diventa surreale: i trasporti pubblici
sono quasi del tutto soppressi; non c'è traffico privato; solo polizie
dappertutto, con ogni sorta di mezzo e con ogni tipo di bardatura; il
rumore infernale degli elicotteri e delle sirene continuerà ad angosciare
tutti per settimane. Mai vista una città così minuziosamente controllata,
neanche - raccontano - in occasione della seconda guerra mondiale; mai
vista una tale concentrazione di polizie in una città desertificata. Alle
11 del 20 luglio, qualche decina di Black bloc e di provocatori cominciano
il vandalismo, ma molto lontano dalla zona rossa e ben filmati da una
televisione locale. La scelta delle polizie di non usare la benché minima
parte del loro gigantesco dispositivo per isolare e catturare gli autori
dei disordini è flagrante. Sarà invece sui manifestanti, fra cui gli
ultrapacifici della Rete Lilliput raggruppati in piazza Manin, che si
scatenerà un attacco delle polizie così brutale da indignare persino
alcuni agenti. Il pomeriggio del 20 scatta la carica alla manifestazione,
autorizzata, delle tute bianche. Le polizie sanno bene che qualche decina
di questi si illudono di fare un'azione di disubbedienza civile penetrando
simbolicamente nella zona rossa, accettando anche di farsi arrestare senza
alcuna resistenza e sperando di essere presto scarcerati.
Il corteo è attaccato quando è ancora molto lontano dalla zona rossa e
mentre sfila pacificamente senza alcuna arma propria o impropria.
La quasi-totalità dei manifestanti cerca di fuggire; solo un centinaio
cerca di difendersi rilanciando i lacrimogeni, pietre e ogni sorta di
oggetti trovati sul posto. In alcun caso i manifestanti tentano di
impadronirsi delle armi delle polizie o di altre armi (nulla di
comparabile con le manifestazioni del '77 e il saccheggio delle armerie).
E nessun «terribile» Black bloc o casseur attacca direttamente le polizie.
È in questo contesto che un carabiniere ausiliario uccide Carlo Giuliani
in piazza Alimonda. La tempestiva, «casuale», presenza del vice-presidente
del consiglio Gianfranco Fini e di altri deputati di Alleanza nazionale (An)
nella sala operativa dei Carabinieri è emblematica tanto quanto la sua
immediata assoluzione del carabiniere che ha sparato per «legittima
difesa». Il messaggio è esplicito: l'accanimento nel pestaggio dei
manifestanti e la violazione delle più elementari norme democratiche
saranno coperti dal governo. I fascisti nei ranghi delle polizie si
sentono infine protetti e autorizzati a sfogarsi senza alcun timore. Come
è stato documentato da giornalisti, avvocati e altri, vere e proprie
torture sono inflitte ai manifestanti dalle forze dei Gom nella caserma di
Bolzaneto, ma anche altrove e per strada. Gli stessi spazi concessi al Gsf
per i dibattiti sono investiti dalla cariche delle polizie. Dopo le
violenze del 20, quasi nessuno immagina il replay dell'indomani.
Invece, i provocatori (diventati molto più numerosi dei Black bloc) e gran
parte dei dirigenti delle polizie puntano all'«alzo-zero» benché di fronte
a una manifestazione di trecentomila persone risolutamente pacifiche che
non reagiranno mai. Decine di lacrimogeni sono sparati sul corteo persino
dai gommoni in mare e dagli elicotteri. Il «nemico» pubblico è composto da
famiglie, ragazzini, persone anziane, membri dei sindacati, suore e
cattolici di base, e via dicendo. Infine, la notte tra il 21 e il 22 si
arriva al blitz in stile dittature latino-americane contro gli edifici
della scuola Diaz in via Cesare Battisti (uno dei quali ospitava il centro
stampa dei media alternativi).
Con questo blitz i dirigenti delle polizie pretendevano dimostrare alla
destra al potere che, sebbene nominati dal centro-sinistra, erano «buoni
per tutte le stagioni». L'indomani, il capo della polizia Gianni De
Gennaro arriva a dire che tutti hanno svolto bene il proprio lavoro e che
«nessun cittadino era stato ferito»
(3). Evidentemente, Carlo Giuliani e le centinaia di manifestanti
feriti o persino torturati hanno ormai perso ogni diritto di cittadinanza.
È l'epilogo degno di una direzione delle polizie che ha mostrato brutalità
cieca ma anche maldestra, un potere che, come diceva Foucault, è allo
stesso tempo stupido e capace di dare la morte
(4).
note:
* Sociologo, Università di Genova. Autore di Polizia postmoderna,
Feltrinelli, 2000 e Devianza e vittimizzazione tra i migranti, Ismu/Franco
Angeli, 2001.
(1) Si veda Statewatch report on EU plan to criminalise protests
(www.statewatch.org)
(2) Si legga Alessandro Dal Lago, Nonpersone, Feltrinelli, 1999; il n°
32/1998 di Cultures & Conflits, a cura di Bigo; Loic Wacquant, Parola
d'ordine tolleranza zero, Feltrinelli, 2000; Mezzadra e Petrillo (a cura
di), I confini della globalizzazione, il manifestolibri; Bonelli e Sainat
(a cura di), La machine à punir, L'Esprit Frappeur, 2000; Brion, Rea,
Schaut, Tixhon (a cura di), Mon délit? Mon origine, Bruxelles, De Boeck,
2001
(3) Intervista a Canale5, 23 luglio.
(4) Cfr. Les Anormaux. Cours au Collège de France, 1974-1975, Seuil,
Parigi, 1999.
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