R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

N.1648/2007

Reg. Dec.

N. 3416 Reg. Ric.

Anno 2006

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha
pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.3416 RG
2006 proposto dal signor ...OMISSISVLD......OMISSISVLD... rappresentato e difeso dall’
avvocato Cosimo D’Alessandro, domiciliato in Roma, presso la Segreteria
Sezionale del C.d.S;

c o n t r o

il Ministero della difesa, in
persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliato per legge in
Roma, via dei Portoghesi n.12;

per l’annullamento

della sentenza
del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia
dell’11.1.2006 n.36

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto
l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata amministrazione;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica
udienza del 17 ottobre 2006 il Consigliere Vito Carella;

Uditi gli
avvocati come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e
in diritto quanto segue:

F A T T O  e  D I R I T T O

1. – La vicenda
oggetto della presente controversia  concerne esatta ricostruzione di
carriera nei confronti di un Maresciallo ordinario, sospeso dal
servizio in quanto colpito da ordine di cattura, collocato in
quiescenza per perdita del grado a seguito di conferma in Cassazione
della condanna inflittagli, riammesso in servizio con l’anzianità
posseduta al 9 novembre 1982, cui è stato riconosciuto in base a
giudicato amministrativo (alla stregua di numerose sentenze di merito e
di ottemperanza, in primo grado e d’appello) il diritto ad essere
valutato per l’avanzamento a maresciallo capo, ora per allora, sin dal
24 maggio 1975.

Al riguardo l’Amministrazione della difesa, detratti
nella ricostruzione della carriera oltre 12 anni di anzianità
effettiva, ha promosso l’interessato al grado di maresciallo capo a
decorrere dal 1994 anziché dal 1975 con il decreto dirigenziale 27
gennaio 2004  impugnato davanti al TAR con il ricorso n.191/04. Il
decreto dirigenziale da ultimo citato è stato successivamente annullato
con D.D. 5 agosto 200, che ha fissato la decorrenza nel grado di
maresciallo capo al 24 maggio 1975, decorrenza poi rettificata con
successivo D.D. dell’11 agosto, con il quale l’anzianità effettiva nel
grado è stata fissata al 5 settembre 1987. Infine con il provvedimento
n.265 del 13 settembre 2004, si è provveduto alla liquidazione degli
arretrati, con prospetto di conguaglio emolumenti, provvedimento
impugnato con l’ulteriore ricorso n.7/05.

Con la sentenza impugnata
il T.A.R. adito, riuniti i ricorsi innanzi citati ha così statuito:


ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse RG n.
191/04 (in conseguenza dell’espresso annullamento operato con il
ricordato decreto 5 agosto 2004);
–  ha dichiarato il ricorso n.7/05 
improcedibile per carenza di interesse per ciò che concerne la
ricostruzione di carriera ai fini giuridici, mentre lo ha  accolto per
quanto riguarda viceversa la ricostruzione di carriera ai fini
economici, condannando l’Amministrazione alla riliquidazione di quanto
spettante al ricorrente sulla base del computo dell’anzianità virtuale
conseguita in forza del giudicato con la sola detrazione del periodo di
quattro anni e tre mesi, con interessi e rivalutazione secondo i
criteri indicati in motivazione;
– ha compensato le spese di lite,
considerata la delicatezza delle questioni affrontate.
2. – Contro la
sentenza  l’atto di appello  solleva quattro ordini  di eccezioni che
in sintesi pongono tre questioni:

i. - omessa pronuncia in entrambi i
ricorsi riuniti sulla specifica domanda di condanna dell’
amministrazione al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata
in base al combinato disposto dagli articoli 96 e 112 del codice di
procedura civile;

ii. - decisione ultrapetita con riferimento al
ricorso n. 7/05, avendo il ricorrente dedotto solo ed esclusivamente la
mancata ricostruzione della carriera ai fini economici e non anche ai
fini giuridici, avanzata soltanto con il ricorso n.191/04;

iii. -  nel
merito, l’appellante lamentava l’erroneità della statuizione nella
parte relativa  alla detrazione di anni 4 e mesi 3 (2 anni e 3 mesi per
la pena inflitta + 7 mesi per sanzione disciplinare + 10 mesi per il
periodo di carcerazione preventiva) affermando che i 10 mesi di
carcerazione preventiva non possono essere sommati alla condanna di
anni 2 e mesi 10 fissata con la sentenza definitiva, ma vanno
ricompresi nella pena complessiva inflitta ai sensi dell’art.137 del
codice penale.

3. – L’Amministrazione statale si è costituita  in
questo grado del  giudizio, depositando documentazione.

L’appellante
ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni con la memoria
depositata il 9 ottobre 2006.

L’appello è stato trattenuto in
decisione alla pubblica udienza del 17 ottobre 2006.


DIRITTO

1. –
Nel presente giudizio si controverte di esatta ricostruzione di
carriera nei confronti di Maresciallo ordinario riammesso in servizio
dopo il suo collocamento in quiescenza con perdita del grado a seguito
di conferma in Cassazione della condanna inflittagli e, in particolare,
della deduzione del periodo corrispondente al tempo della sua
carcerazione preventiva di mesi dieci.

L’appello in esame merita di
essere respinto.

2. – Con riferimento al dedotto vizio di
ultrapetizione della sentenza, nella parte in cui ha dichiarato il
ricorso n.7/2005 improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse
per ciò che riguardava la ricostruzione di carriera a fini giuridici,
la Sezione osserva che la statuizione del TAR va considerata alla
stregua di un “ obiter dictum”.

Questa conclusione si ricava
agevolmente ove si consideri che sul punto il giudice di primo grado si
è limitato a rilevare che "la ricostruzione di carriera iniziata con
l'atto del 5 agosto, si configura peraltro come mera ricostruzione a
fini giuridici, e se ciò per un verso appare del tutto soddisfacente
per l'interessato, posto che nel ricorso si prospetta come dovuto un
identico sviluppo di carriera (di qui il parziale venir meno
dell'interesse), per un altro verso rimane del tutto inappagante, in
quanto nulla aggiunge alla (secondo il ricorrente) incompleta
ricostruzione di carriera, dal punto di vista economico (in forza, come
si vedrà, della detrazione di anzianità di oltre 12 anni della quale si
è detto)”.

Il contenuto della contestata statuizione dimostra che il
problema sollevato, da un lato, è irrilevante ai fini dell'interesse
sostanziale connesso alla decorrenza giuridica oramai coperta da
giudicato e, dall'altro, è ininfluente ai fini della soluzione della
controversia.

Questo profilo di appello va dunque disatteso.

3. –
Nel merito la questione sostanziale da esaminare attiene alla
scomputabilità o meno, in sede di ricostruzione economica della
carriera, del periodo di carcerazione preventiva (mesi 10).

A sostegno
del suo assunto, il deducente richiama la decisione di questo Consiglio
di Stato (Sez. V, 20 gennaio 2004, n.138), secondo cui il periodo di
tempo assoggettato al regime della sospensione cautelare del servizio
deve essere computato nell'ulteriore periodo relativo all 'irrogazione
della sanzione disciplinare di sospensione effettiva, in quanto, pur
avendo i due istituti regime, natura e finalità diversi, ciò nondimeno
il primo deve essere computato nel secondo per evidenti ragioni
d'ordine equitativo, altrimenti il dipendente verrebbe ingiustamente
penalizzato per una duplice negativa valutazione dello stesso evento.

L'assunto non può essere condiviso, perché non considera che il
precedente invocato, espressione dello stesso principio valevole in
campo penale, è applicabile nel caso di sospensione facoltativa e non
anche in quello di sospensione cautelare obbligatoria.

In  questa
ipotesi, in cui la sospensione cautelare del pubblico dipendente è
disposta obbligatoriamente a seguito di ordine di cattura, qualora il
processo si concluda con la condanna dell'imputato e venga, pertanto,
riconosciuta la fondatezza dell'accusa nei confronti del dipendente
all'esito del giudizio penale, debbono trovare necessaria applicazione
i generali principi civilistici diretti a disciplinare il dispiegarsi
dei rapporti contrattuali di tipo sinallagmatico, qual è quello del
lavoro, con l'attribuzione, per intero nei confronti dell'impiegato,
della responsabilità dell'interruzione del sinallagma tra la
prestazione lavorativa e quella retributiva, con conseguente esclusione
del diritto del  funzionario al ripristino dello status quo ante.

In
applicazione di tali generali principi, la giurisprudenza è ferma nel
ritenere che, in sede di ricostruzione giuridica ed economica della
carriera di dipendente riammesso in servizio all'esito di procedimento
penale di condanna, è necessario dedurre i periodi di tempo
corrispondenti.

Sotto detta angolazione della pertinente
reintegrazione giuridica ed economica dovuta al dipendente riammesso -
all'esito di un giudizio penale e / o disciplinare - la giurisprudenza
amministrativa è ferma nel ritenere che è necessario dedurre i periodi
di tempo corrispondenti:

- alla pena detentiva inflitta nonché
all'interdizione temporanea dai pubblici uffici ed alle altre pene
accessorie che comunque incidano sul rapporto di servizio, ancorché
tali pene non siano state in concreto scontate, ovvero siano state
dichiarate estinte per concessione dell’indulto (cfr. Cons. reg. sic. ,
4 aprile 2005, n.189; Cons. St., sez. IV n.746 del 2003 e n.6181 del
2000; Ad. Plen. 2 maggio 2002 n.4 e 16 giugno 1999, n.15; sez. V, 12
gennaio 2000 n.169; sez. VI, 20 dicembre 1999 n.2106);

- alla pena
irrogata a seguito di sentenza c.d. di patteggiamento (cfr. Cons. St.,
sez. II, n.422 del 16 maggio 2001);

- alla sanzione della sospensione
disciplinare (cfr. Cons. St., sez. IV, n.746 del 12 febbraio 2003);

-
ai periodi detenzione sofferti a titolo di arresto, fermo, custodia
cautelare in carcere, arresti domiciliari ed ogni altra misura
cautelare processuale penale che abbia reso impossibile il
funzionamento del sinallagma (cfr. in particolare l’ampia ricostruzione
operata da Cons.St., sez. VI, n.4649 del 16 settembre 2002; sez. V, 3
marzo 2003, n.1165).

Poichè non vi è alcuna valida ragione per
discostarsi dai condivisibili precedenti sopra riportati, il motivo di
appello va respinto.

4. – L’appellante lamenta, infine, omessa
pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla richiesta di
condanna dall’Amministrazione al risarcimento dei danni per
responsabilità aggravata ex art. 96 cpc.

Tali presupposti non
sussistono, avuto riguardo alla parziale soccombenza in prime cure e 
alla disposta compensazione delle spese di lite.

Relativamente al
primo aspetto va osservato che la condanna per lite temeraria postula
che la parte istante deduca e dimostri la concreta ed effettiva
esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale
della parte avversaria, nonché la ricorrenza, in detto comportamento,
del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza o dell’
ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza circa l’
infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o
fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio (Cass.
Civ. , I, 4.11.2005, n.21393).

Orbene, in disparte dalla circostanza
che nella specie siffatto onere non è stato adempiuto, merita
considerare che tale responsabilità processuale aggravata presuppone
altresì una totale soccombenza, che va inoltre valutata in relazione
all’esito del giudizio di appello, come si desume dal fatto che la
condanna al risarcimento si aggiunge – secondo la previsione dell’art.
96 c.p.c. – alla condanna delle spese (Cass.Civ., III, 7.8.2002, n.
11917).

Ne deriva quindi, la incensurabilità della sentenza gravata,
perché la statuizione di compensare le spese di lite comporta una
implicita esclusione dei presupposti richiesti per la condanna della
parte (nel caso di specie, peraltro, parzialmente) soccombente al
risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata e resta
perciò sottratta ad ogni censura non solo l’omessa motivazione ma,
addirittura, l’omessa pronuncia sull’istanza di risarcimento di tali
danni (Cass.Civ., I, 30.3.2000, n.3876).

Questa pretesa risarcitoria
deve essere quindi respinta, in sé e alla luce dell’esito di
infondatezza dell’appello in trattazione.

5. – A soluzione negativa
deve pervenirsi anche con riguardo alle censure rivolte avverso la
disposta compensazione delle spese processuali.

Sul punto è
sufficiente ricordare il consolidato orientamento giurisprudenziale 
secondo il quale la statuizione di compensare le spese del giudizio è
espressione di un apprezzamento latamente discrezionale del giudice e
può essere censurata in appello solo se risultino palesemente illogiche
o erronee le ragioni enunciate, pur non essendovi obbligo alcuno a
giustificare la pronuncia (Cons.St., IV, 14.2.2005,n.453; VI,
20.5.2004, n.3255).

Nella specie il T.A.R., con ragionamento che non
appare né illogico né erroneo, ha considerato la delicatezza delle
questioni affrontate, di cui non si può proprio dubitare in relazione
agli antefatti con riguardo alle connesse implicazioni giuridiche ed
economiche di non facile e consueta risoluzione.

6. – Per le ragioni
suesposte, l’appello va dunque totalmente respinto.

Il Collegio
ravvisa giusti ed equi motivi per compensare integralmente fra le parti
le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul
ricorso meglio specificato in epigrafe, lo respinge.

Dichiara
integralmente compensate fra le parti le spese dei due gradi di
giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
Amministrativa .

Così deciso in Roma, addì 17 ottobre 2006, dal
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – sezione quarta – riunito
in Camera di Consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

    
Salvatore COSTANTINO  - Presidente f.f.

     Vito POLI    -
Consigliere

     Anna LEONI   - Consigliere

     Bruno MOLLICA   -
Consigliere

     Vito CARELLA   - Consigliere, est.


L'ESTENSORE   
IL PRESIDENTE F.F.

Vito Carella     Costantino Salvatore


IL
SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

    Depositata in Segreteria
           Il 11/04/2007….

(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)

          
Il Dirigente     Dott. Antonio Serrao

- - 

N.R.G. 3416/2006



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