Cass. pen. Sez. II, (ud. 21-06-2006) 07-07-2006, n. 23828

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO Aldo Sebastiano - Presidente

Dott. CONZATTI Alessandro - Consigliere

Dott. CASUCCI Giuliano - Consigliere

Dott. CARDELLA Fausto - Consigliere

Dott. FUMU Giacomo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno;

e P.A., nato il 18/09/1955;

avverso l'ORDINANZA 06.01.2006, ex art. 309 c.p.p., del Tribunale di Salerno;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. CONZATTI Alessandro;

udito il Pubblico Ministero nella persona del S.P.G. Dr. MURA Antonio, il rigetto del ricorso del P. e l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso del P.M.;

Udito il difensore, Avv. Diddi Alessandro, del Foro di Roma, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso del P. e il rigetto del ricorso del P.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Nel quadro di indagini relative alla criminalità organizzata di stampo camorrista, operativa nel territorio di Salerno, responsabile di numerosi episodi di usura a cui si collegavano azioni di recupero delle somme con metodi violenti e con intimidazione mafiosa e del riciclaggio degli ingenti profitti illeciti in iniziative imprenditoriali nel settore dei locali pubblici in Salerno e in Roma, il GIP distrettuale del Tribunale di Salerno emetteva in data 17.12.05 ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di C.D., M.O. ed altri, per associazione a delinquere di stampo camorristico nonchè per episodi di usura e di estorsione aggravata, contestati con l'aggravante speciale di cuialla L. n. 203 del 1991, art. 7. L'ordinanza era emessa anche nei confronti di P.A., cui veniva imputato un unico episodio di estorsione pluriaggravata commesso a (OMISSIS), in concorso con C., Ma. e V.C. (art. 110 c.p., art. 629 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 9, L. 203 del 1991, art. 7), in danno di M.M., titolare di un esercizio commerciale in Roma, ponendo in essere, il C. e il Ma., minacce e violenza nei confronti del M. per costringerlo a pagare un debito di Euro 20.000,00 in favore del V., ottenendo il riconoscimento del debito per l'intera somma e il pagamento di Euro 1.000,00, in due occasioni, mediante bonifico bancario, procurandosi così un ingiusto profitto, e ricevendo, il C. e il Ma. per tramite del P., la promessa di ottenere la metà della somma che avrebbero recuperato dal M., operando il P., ispettore della Polizia di Stato, come intermediario tra il V., il C. e il Ma., cui dava mandato per il recupero del credito. Il Tribunale di Salerno con ordinanza 06.01.06 ex art. 309 c.p.p. escludeva l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e, ritenuto che le esigenze cautelari erano salvaguardabili con una misura meno afflittiva, sostituiva la misura originaria della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ( art. 284 c.p.p.). Ricorrono per l'annullamento dell'ordinanza il P.M. presso il Tribunale di Salerno e il difensore di P.: il primo deduce la violazione della legge penale e l'illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7, il secondo, in relazione agli artt. 629 e 393 c.p. e all'art. 273 c.p.p., art. 274 c.p.p., lett. c), art. 275 c.p.p..

I motivi dei ricorsi sono infondati.

Premesso che l'ordinanza impugnata riconosce che la condotta ascritta al P. a titolo di concorso integra sotto il profilo oggettivo il c.d. "metodo mafioso" (id est, l'avvalersi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p.), ma esclude l'elemento soggettivo, inteso quale consapevolezza da parte del ricorrente dell'appartenenza di C. e Ma. al clan camorristico per cui sono indagati, osserva il P.M. che, come dimostra il fatto che l'aggravante in parola è configurarle a prescindere dall'effettiva esistenza di un'associazione mafiosa, il dolo non ha rilevanza alcuna in ordine al metodo mafioso, ma solo in ordine all'altra ipotesi prevista dalla norma, l'agevolazione dell'attività di un sodalizio mafioso.

Osserva il Collegio che non è conforme al diritto escludere la rilevanza dell'elemento soggettivo nell'ipotesi dell'avvalersi del metodo mafioso di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, il quanto la norma configura una circostanza speciale della condotta che non può prescindere dall'elemento soggettivo, secondo i principi generali sugli elementi del delitto doloso di cui agli artt. 43 e 110 c.p. Il ricorso del P.M. è pertanto rigettato.

In ordine al primo motivo addotto dal difensore del P., osserva il Collegio che non si ravvisano nuovi argomenti rispetto a quelli già esaminati dalla giurisprudenza alla quale si riferisce l'ordinanza impugnata, vale a dire la riassumibilità nella fattispecie dell'estorsione, e non di quella del delitto di ragion fattasi o di violenza privata ( artt. 393 e 610 c.p.), della condotta di colui che riceve un compenso, anche in forma di percentuale sulla somma estorta, per il recupero di un credito altrui, agendo con violenza o minaccia sulla persona del debitore: in tal caso anche un credito lecito assume in concreto i caratteri dell'ingiustizia e l'azione violenta per ottenerne l'immediato pagamento senza ricorrere al giudice si trasforma in una condotta estorsiva (Cass., 13162/99 rv. 214974).

Nè può revocarsi in dubbio che a carico del mandante, che promette all'autore materiale dell'estorsione il compenso per il recupero del credito di un terzo, sia configurabile il concorso nel delitto di estorsione da questi compiuto o tentato (Cass. 47972/04, rv. 230709).

Nel caso di specie il Tribunale del riesame ha ritenuto raggiunta la gravità indiziaria di una tale condotta di intermediazione nei confronti dell'indagato, sia sulla base dei risultati delle intercettazioni telefoniche, dove si paria di cessione del credito del V. ai due esecutori materiali, sia per gli esiti della captazione ambientale di dichiarazioni del Ma., da cui risulta l'onerosità dell'incarico ricevuto, sia infine per le ammissioni di responsabilità da parte dello stesso P.. Il motivo si risolve per tale aspetto in una diversa interpretazione delle prove indiziarie e in una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quanto ritenuto dai giudici del merito, non consentita in Cassazione.

In ordine al secondo e terzo motivo, osserva il Collegio che nella specie non si riscontra la mancanza assoluta della motivazione, o la mera apparenza della stessa, che consentono di configurare l'ipotesi della violazione di legge ( art. 125 c.p.p., comma 3, art. 325 c.p.p., comma 1).

Le censure sono basate sull'incensuratezza del P., che secondo l'assunto della difesa, fu assolto da un reato militare, e non condannato, come si legge nell'ordinanza impugnata, e sulla mancanza dei presupposti di attualità e certezza delle esigenze cautelari: tuttavia si tratta nel primo caso di un elemento non decisivo, perchè il pericolo di reiterazione dei reati ( art. 274 c.p.p., lett. c), è motivato anzitutto sorto il profilo delle modalità e delle circostanze della condotta (sistematica e violenta, coinvolgendo sempre il Ma. nelle azioni di intimidazione), e, per quanto attiene alla personalità dell'autore, in considerazione del fatto che il ricorrente agiva per il recupero di crediti di terzi di cui veniva a conoscenza in ragione della sua appartenenza alla Polizia di Stato. Quanto al secondo aspetto, la censura non appare sorretta da ragioni specifiche, in fatto o in diritto ( art. 581 c.p.p.).

Altrettanto logico appare l'argomento addotto dal Tribunale a sostegno dell'adeguatezza della misura sostituita, perchè, nonostante la sospensione del ricorrente dal servizio nella polizia di Stato, doveva essere ostacolata la possibilità per l'indagato di operare nuovamente come intermediario in favore di persone che, evitando il ricorso ai rimedi legali, intendevano definire sollecitamente i propri eventuali crediti.

Ritenuta la prevalenza delle ragioni di infondatezza su quelle di inammissibilità, ricorso è in definitiva rigettato e il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna P.A. al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2006