Cass. pen. Sez. VI, (ud. 15-01-2007) 05-02-2007, n. 4634
 

REPUBBLICA
ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.
SANSONE Luigi Presidente

Dott. DI VIRGINIO Adolfo Consigliere

Dott.
AGRO' Antonio S. Consigliere

Dott. ROTUNDO Vincenzo Consigliere

Dott.
ROSSI Agnello Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul
ricorso proposto da:

F.P. e da L.P.;

avverso sentenza della Corte
d'Appello di Firenze in data 25.3.2004;

letti gli atti;

udita la
relazione del Cons. Dott. Adolfo Di Virginio;

udite le conclusioni del
P.G. Dott. Mario Fraticelli, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

uditi i difensori avv. Pier Matteo Lucibello per il F. e avv. Tiberio
Baroni per il L., che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi
ricorsi.


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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
OSSERVA

Ricorrono con distinti mezzi di impugnazione, per il
tramite dei rispettivi difensori, F.P. e L.P. avverso sentenza della
Corte d'Appello di Firenze in data 25.3.2004, che ha confermato la loro
condanna per il reato di cui agli artt. 81-317 c.p., in esso assorbito
il reato di cui all'art. 609 bis c.p. contestato in origine; e il F.
anche per il reato di cui all'art. 612 c.p.. Era ascritto agli
imputati, rispettivamente vicesovrintendente e agente scelto della
Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di ...OMISSIS...., di aver
costretto a rapporti sessuali, con abuso della loro qualità e dei loro
poteri, cittadine extracomunitarie prive del permesso di soggiorno
dietro la minaccia di promuovere nei loro confronti la procedura per
l'espulsione; e al F. anche di aver minacciato altre persone chiamate a
deporre in sede di incidente probatorio promosso per l'accertamento dei
fatti di cui sopra. La sentenza riteneva provati i fatti, sulla base
delle attendibili dichiarazioni delle persone offese e delle stesse
dichiarazioni degli imputati, e corretta la loro qualificazione
giuridica, escludendo in particolare che essi potessero essere
ricondotti all'ipotesi della corruzione.

Nell'interesse del F. sono
stati presentati due ricorsi.

Col primo (avv. Melani Graverini) si
deduce vizio di motivazione relativamente alla ritenuta attendibilità
delle persone offese, in realtà interessate, in quanto prive del
relativo permesso, a garantirsi la protrazione del soggiorno in Italia
grazie alla pendenza del procedimento penale. Col secondo ricorso (avv.
Lucibello) vengono prospettate più articolate deduzioni sullo stesso
punto; e si denunciano inoltre erronea applicazione dell'art. 317 c.p.
e vizio di motivazione. In sintesi, farebbe difetto l'elemento della
costrizione (o dell'induzione) perchè le persone offese esercitavano la
prostituzione e perciò avevano aderito alle richieste dei pubblici
ufficiali così come avrebbero aderito alle richieste di qualsiasi altro
cliente; nè influirebbe sulla configurabilità del reato il mancato
pagamento del prezzo delle loro prestazioni, trattandosi di un "post
factum irrilevante" in quanto non imposto dagli imputati ma liberamente
accettato dalle persone offese allo scopo di "tenersi amici" i
poliziotti. L'assenza di ogni minaccia o violenza e di ogni costrizione
in genere sarebbe confermata dalla deposizione di una delle persone
offese, che dopo la prestazione sessuale ebbe a richiederne il prezzo;
ciò che dimostrerebbe che il rapporto si era svolto su un piano di
assoluta parità e non era stato influenzato da alcuna soggezione. Il
secondo difensore ha presentato motivi qualificati come nuovi,
insistendo sulla dedotta inattendibilità delle presunte persone offese
e sulla mancanza di qualsiasi costrizione.

Il L. ripropone, sotto il
profilo della manifesta illogicità della motivazione, le deduzioni già
poste a fondamento dell'articolato atto di appello. Esisterebbero
numerosi elementi storici e logici, che vengono specificamente
indicati, idonei a dimostrare che egli non pose in essere alcuna
costrizione e venne coinvolto nella vicenda dal F., suo superiore, che
intendeva garantirsi il suo silenzio. La diversità tra le posizioni dei
due imputati emergerebbe da tutta una serie di circostanze, desumibili
puntualmente dalle deposizioni delle persone offese. In ogni caso, la
condotta attribuitagli potrebbe essere inquadrata semmai nell'ipotesi
della corruzione; ma neppure di tale reato meno grave egli potrebbe
essere chiamato a rispondere, non essendo nella condizione di impedire
un evento dipendente dalla condotta del suo superiore.

Le deduzioni
dei ricorrenti sono per la massima parte articolate essenzialmente in
punto di fatto, risolvendosi nella prospettazione di una valutazione
delle prove diversa da quella operata dai giudici di merito. Non
sussiste d'altronde il dedotto vizio di motivazione, perchè su tutti i
punti in contestazione la motivazione della sentenza, integrata da
quella di primo grado che viene richiamata espressamente, fornisce una
risposta adeguata e logicamente corretta, dando conto compiutamente
delle deduzioni difensive ed argomentatamente disattendendole; ed alla
verifica della compiutezza e della correttezza della motivazione deve
limitarsi la cognizione del giudice di legittimità, cui non compete una
rivisitazione del compendio probatorio ed una sua nuova ed autonoma
valutazione.

L'attendibilità delle persone offese è stata in sede di
merito ritenuta non di certo acriticamente ed apoditticamente, ma sulla
base di elementi di fatto indicati con puntualità e con precisione: la
assoluta occasionalità e l'assenza di qualsiasi premeditazione delle
dichiarazioni accusatorie, rese da due delle persone offese in
occasione di un controllo casuale cui erano state sottoposte dai
Carabinieri; la conferma successiva di tali dichiarazioni da parte di
altre due prostitute, con le quali era impensabile un accordo
pregresso; l'assoluta inverosimiglianza di una macchinazione
calunniatoria comune a tutte e quattro, anche in considerazione della
gravità del pericolo cui la stessa le avrebbe esposte, del tutto
sproporzionato al possibile fine di vantaggio allegato dalla difesa
degli imputati (quello di garantirsi il soggiorno in Italia per la
durata del processo); la precisa descrizione degli ambienti della
Questura dove erano state condotte dagli imputati, in ora notturna, per
consumare un congresso carnale; le stesse parziali ammissioni degli
imputati, che avevano confermato l'accompagnamento in Questura, dandone
una spiegazione in termini di ragioni di servizio palesemente
contraddetta dal fatto che non esisteva alcuna traccia documentale di
qualsiasi atto d'ufficio.

Quanto alla tesi difensiva del L., che
insiste nell' allegare il proprio stato di subordinazione al F. e la
conseguente impossibilità di comportarsi in modo diverso da
quest'ultimo, ritiene la sentenza che i fatti denuncino al contrario un
accordo assoluto tra i due e che il F. non avrebbe agito nel modo in
cui agì se non fosse stato certo preventivamente di poter contare sulla
complicità del suo compagno di pattuglia, il quale sarebbe divenuto in
ipotesi diversa uno scomodo e pericoloso testimone. Si osserva ancora
che dalle deposizioni delle persone offese non emerge la minima
distinzione tra le condotte, se non nel senso di una minore arroganza
da parte del L.; il quale ultimo aveva peraltro fruito, al pari del F.,
delle prestazioni sessuali delle persone offese, condizionate dal
timore di essere rimpatriate in quanto clandestine. Si tratta, anche
sul punto, di una valutazione di fatto motivata congruamente e non
illogica, che sfugge pertanto al sindacato del giudice di legittimità.

Non può porsi seriamente in dubbio la correttezza della qualificazione
giuridica del fatto. Se pure fossero mancate minacce esplicite (ma le
persone offese hanno riferito che gli imputati nominarono ripetutamente
la possibilità della loro espulsione), l'elemento della costrizione
sarebbe comunque insito, come osserva la sentenza impugnata, nello
stato di soggezione in cui versavano le persone offese, clandestine
dedite alla prostituzione, rispetto a poliziotti in servizio; e ciò
rende impossibile una qualificazione diversa, quale quella della
corruzione, che presuppone invece un rapporto paritario tra corruttore
e corrotto. Non rileva il fatto che i poliziotti avrebbero potuto
fruire comunque, quali clienti, delle prestazioni delle prostitute, che
non le avrebbero rifiutate proprio a loro, così come non le avrebbero
rifiutate a chiunque altro. Nel caso, invero, tali prestazioni sono
state imposte in forza della funzione pubblica ricoperta dai soggetti
attivi, che conferiva ai loro detentori il potere di cagionare un
gravissimo danno alle persone offese, ovviamente preoccupate di
evitarlo; così come sono state imposte le loro modalità. Non è poi un
fatto accessorio o addirittura irrilevante il mancato pagamento del
prezzo, che costituisce anzi l'utilità ingiusta perseguita dagli agenti
e il connotato essenziale della sopraffazione delle persone offese da
loro posta in essere. Non si è mai dubitato infatti, nell'ambito di
rapporti economici di per sè leciti, che il mancato pagamento - da
parte del pubblico ufficiale - del prezzo di una merce offerta in
vendita dal soggetto passivo possa integrare gli estremi del reato di
concussione, quando la gratuità della prestazione sia stata indotta
dallo stato di soggezione in cui versava il venditore e dal conseguente
suo timore di esercitare il proprio diritto al pagamento, di cui abbia
consapevolmente profittato l'agente.

Sul reato di minaccia ascritto al
F. manca qualsiasi rilievo nei ricorsi.

Ciò posto, i ricorsi debbono
essere rigettati. Consegue al rigetto la condanna dei ricorrenti, tra
loro in solido, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
la Corte
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali in solido.

Così deciso in Roma, nella udienza, il 15
gennaio 2007.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2007

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