Procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche: il processo penale sospende quello disciplinare
Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 8 marzo 2006, n. 4893
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L'avvocato G.F., da tempo legale del Gruppo Buffetti, a
seguito di complesse vicende professionali con i coniugi R.B. e M.R., venne, su
denunzia di questi ultimi, sottoposto a procedimento penale per i reati di
falsità materiale continuata in atti pubblici (per avere contraffatto la
sentenza 1943/95, apparentemente emessa dal Tribunale vietnamita di Ho Chi Min
Ville il 21 giugno 1995 - con relativa attestazione di conformità - e la
conseguente sentenza di delibazione, apparentemente emessa dalla Corte di
appello di Roma il 29 aprile 1996 - con apposizione delle false firme dei
giudici e del cancelliere e con la falsa relazione di notificazione
dell'ufficiale giudiziario); truffa aggravata (per avere prospettato ai clienti
la bontà di un'azione giudiziaria all'estero, intesa a conseguire la
declaratoria di nullità di una adozione ivi eseguita, percependo una parcella di
lire 750 milioni); nonché di falso, truffa ed appropriazione indebita aggravata
(con riguardo ad altri incarichi non svolti ma comunque remunerati).
2. Pervenuta la relativa comunicazione, il 18 gennaio 2001, al Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati (C.O.A.) di Roma, ed intrapreso - giusta delibera del
Commissario straordinario del 23 seguente - il conseguente procedimento
disciplinare a carico del professionista, lo stesso si concludeva con decisione
del 12 giugno 2003, depositata col n. 52/2003 il 24 luglio successivo. Il C.O.A.
dichiarava la responsabilità dell'incolpato limitatamente ai capi a) e b),
infliggendogli la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo.
3. Impugnava il professionista (oltre che con ricorso anteriore al deposito
della decisione, definitivamente dichiarato inammissibile), con (altro) rituale
ricorso, dolendosi della mancata sospensione del procedimento in attesa della
definizione del processo penale; della mancata integrale acquisizione di atti
ritenuti rilevanti; della violazione del principio del contraddittorio, per
mancata previa audizione dell'incolpato; della carenza di idonea motivazione in
ordine alla affermata responsabilità disciplinare; della nullità della decisione
per illegittima composizione del collegio con riguardo alla sostituzione del
relatore; del mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione; della mancata
pronuncia circa la revoca del provvedimento, chiesta dopo il deposito della
motivazione.
Con la decisione indicata in epigrafe, il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.)
ha respinto l'impugnativa dell'avv. G.F.
4. Ricorre quest'ultimo, con dieci motivi e con contestuale istanza di
sospensione d'esecutività della decisione, il tutto illustrato da memoria ed,
all'esito della discussione, da brevi osservazioni per iscritto sulle
conclusioni del P.M.
Gli intimati non svolgono attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Il professionista ricorrente muove alla decisione impugnata
la censure che seguono.
1) «Prescrizione del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 51 r.d.l.
1578/1933 (come modificato dalla l. 34/1934)»: deduce che, come emerge dalla
sentenza penale frattanto intervenuta, «i fatti denunciati nei capi a) e b) del
procedimento penale e nelle contestazioni disciplinari risalgono al 1994 o al
massimo al 1995», con la conseguenza che il termine quinquennale stabilito per
l'inizio del procedimento disciplinare era ormai decorso alla data del 23
gennaio 2001, di apertura del procedimento disciplinare; tanto che anche il P.M.,
in sede di dibattimento davanti al C.N.F. aveva concluso per l'accoglimento del
motivo riguardante la prescrizione.
2) «Sopravvenienza, in data successiva, di un giudicato penale con assoluzione
piena, di segno contrario al provvedimento impugnato. Necessità di applicazione
dell'art. 653 c.p.p.». Sollecita, per tale via, l'applicazione dell'art. 653
c.p.p., nel testo novellato dalla l. 97/2001, richiamando la assoluzione, in
sede penale - giusta sentenza del Tribunale di Roma, intervenuta alla udienza
del 19 maggio 2004 e passata in giudicato, come da certificazione apposita -, da
tutte le imputazioni, rispettivamente perché il fatto non costituisce reato e
perché il fatto non sussiste.
3) «Mancanza assoluta di motivazione in ordine al rigetto dell'istanza di
sospensione del ricorso, formulata con l'atto di impugnazione del 22 settembre
2003 e ribadita nelle conclusioni e nel processo verbale di dibattimento del 29
gennaio 2004, in attesa dell'esito del giudizio penale fissato per il 28
febbraio 2004, con contestuale assoluta illogicità della motivazione del
provvedimento stesso; violazione dell'art. 111 Cost., come modificato dalla
legge costituzionale 2/1999, dell'art. 132, n. 4, c.p.c. e art. 606, lett. e),
c.p.c.». Dopo aver rilevato che la identità tra i capi di imputazione e le
incolpazioni a suo carico non consente la "anomalia" del coesistere di una
assoluzione in ordine ai primi e della radiazione dall'albo professionale in
relazione alle seconde, si duole che tale anomalia sia dipesa dall'emessa
motivazione circa il rigetto della istanza di rinvio, in attesa che si definisse
il processo penale.
4) «Nullità ex art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. per erroneità ed omesse
motivazioni in ordine al primo motivo d'impugnazione inerente il diniego da
parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma di sospensione del
procedimento disciplinare in pendenza di un processo penale avente ad oggetto il
medesimo fatto; violazione dell'art. 111 Cost., come modificato dalla legge
costituzionale 2/1999»: il motivo ripete la doglianza che precede, sotto il
profilo del mancato accoglimento della censura - mossa, sempre in termini di
mancata sospensione - al provvedimento del C.O.A. impugnato.
5) «Omessa acquisizione integrale di atti rilevanti ed omessa viziata
valutazione di prove; omessa pronuncia da parte del C.N.F. sull'espressa
richiesta di rinnovazione dell'istruttoria disciplinare e sull'acquisizione di
atti e documenti; violazione dell'art. 111 Cost., come modificato dalla legge
costituzionale 2/1999 e 606, lett. d), c.p.p.». La censura attiene alla mancata
acquisizione di documenti del procedimento penale, soprattutto con riferimento
alla falsità di atti "mai visti né acquisiti".
6) «Omessa istruttoria disciplinare e vizio del procedimento e della decisione
per omessa audizione dell'incolpato in primo grado; violazione dell'art. 3 e
dell'art. 24 Cost.; violazione dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo». La critica riguarda l'erronea valutazione dell'impedimento -
ritenuto non "assoluto" - dell'incolpato, a comparire davanti al C.O.A.
7) «Difetto o carenza di motivazione sui capi contestati; contraddittorietà
della motivazione; ingiustizia ed abnormità della sanzione inflitta; vizio di
eccesso di potere». Si insiste, dal ricorrente, sulle carenze di ordine
probatorio, tanto più in relazione alle emergenze del processo penale.
8) «Omessa pronuncia sull'eccezione di nullità della composizione del Collegio
giudicante di primo grado e violazione del principio di immutabilità del
Collegio; vizio della deliberazione collegiale; error in procedendo; violazione
dell'art. 97 Cost. e dell'art. 111 Cost., come modificato dalla legge
costituzionale 2/1999, dell'art. 63 r.d. 37/1934, l. 517/1955 e l. 534/1977 e
art. 185, commi 2 e 3, c.p.p.; violazione della l. 241/1990 e successive
modificazioni». Il professionista ulteriormente censura la decisione del C.N.F.:
a) per non avere considerato l'impossibilità di verificare la regolare
convocazione dei componenti del C.O.A., previa acquisizione della relativa
documentazione; b) per avere omesso di pronunciarsi circa le modifiche nella
composizione del collegio nel corso del procedimento; c) per avere ignorato
l'irregolare sostituzione del consigliere relatore; d) per non avere considerato
la illegittimità della decisione del C.O.A., per la mancata indicazione del
quorum deliberativo, resa invece necessaria dal "rispetto delle regole di
trasparenza e di legalità dell'azione amministrativa".
9) «Incompetenza del C.N.F. per mutamento della composizione del collegio
giudicante tra la data del dibattimento (29.1.2004) e la data della decisione
stessa (3.5.2005)»: ritiene il ricorrente che la circostanza comporti nullità
della decisione.
10) «Illegittimità dell'art. 22, comma 2, del d.lgs. lgt. 382/1944, norme sui
Consigli degli ordini e Collegi sulle Commissioni centrali professionali;
violazione dell'art. 111 Cost.; violazione delle norme sul giusto processo di
cui all'art. 111 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 2/1999: sotto
tale ultimo profilo, il ricorrente formula eccezione di legittimità
costituzionale del citato art. 22, comma 2, denunciandone il contrasto con gli
artt. 3, 24, 104, 105, 106, 108 e 111 Cost., in quanto, stabilendo per la
validità delle sedute del C.N.F. la presenza di almeno un quarto dei componenti,
violerebbe il principio di uguaglianza, il diritto di difesa ed il principio del
giudice naturale precostituito per legge, rendendo incerta la composizione del
collegio, in contrasto con le norme della Costituzione e dell'ordinamento
giudiziario, anche con riguardo al giusto processo».
Deducendo, infine, la gravità della sanzione della radiazione, in rapporto alla
molteplicità delle censure, lo stesso ricorrente formula istanza di sospensione
della esecutività della decisione impugnata, in attesa della pronuncia delle
Sezioni unite: fissata, per l'esame di tale istanza, l'udienza camerale odierna,
il fascicolo è stato previamente riunito a quello (principale) di merito.
6. Per primo va esaminato, stante il suo carattere di pregiudizialità logica, il
terzo motivo di ricorso.
6.1. Esso si presenta fondato.
6.2. Emerge dalla decisione impugnata (p. 13 e seg.) che «l'avvocato F. era
imputato dei reati di falso continuato, truffa ed appropriazione indebita
pluriaggravata, commessi in Roma fino al novembre 1996, e di falso,
appropriazione indebita e truffa accertati in Roma nel settembre 1998», e che
«con provvedimento in data 24 gennaio 2001, il Commissario Straordinario
deliberava quindi l'apertura di procedimento disciplinare nei confronti
dell'avvocato F. per gli stessi fatti a lui addebitati in sede penale, ritenuti
lesivi delle prerogative e delle funzioni di un appartenente all'ordine Forense,
e pertanto non conformi alla dignità e al decoro professionale (art. 38 r.d.l.
1578/1933)». Proprio con riferimento a tali imputazioni si era del resto
pronunciato il C.O.A. di Roma, dichiarando "la responsabilità dell'incolpato
limitatamente ai capi a) e b)" (ivi, p. 17), con statuizione confermata dalla
decisione ora impugnata.
In relazione a tanto, il professionista, dopo avere - senza esito - richiesto al
C.O.A. la sospensione del giudizio disciplinare, in attesa dell'esito di quello
penale, risulta avere formulato anche un motivo di impugnazione davanti al
C.N.F. (decisione, p. 20), ripetendo l'istanza medesima in tale sede (ivi, p.
2). E, sul punto, nella decisione ora impugnata si legge; «infondata è anche la
terza censura attraverso la quale il ricorrente si duole della mancata
sospensione del procedimento disciplinare in attesa della mancata definizione di
quello penale vertente sui medesimi fatti, nota essendo l'ormai costante
giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, che afferma il
principio della piena autonomia dei giudizi» (ivi, p. 25).
6.3. L'orientamento giurisprudenziale richiamato, da condividere con riferimento
al previgente testo dell'art. 657 c.p.p., va necessariamente sottoposto a
revisione, per effetto della riforma apportata dall'art. 1 della l. 97/2001
(norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed
effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche), in vigore alla data della decisione impugnata ed applicabile ai
procedimenti disciplinari in corso (essendo quello in esame iniziato il 24
gennaio 2001) in virtù della norma transitoria dell'art. 10, comma 1, della
stessa legge.
La precedente disposizione stabiliva l'efficacia di giudicato, nel giudizio
disciplinare, della sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito di
dibattimento «quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato
non lo ha commesso». Quella successiva - oltre ad eliminare la limitazione alla
sentenza dibattimentale - ha ampliato tale efficacia, aggiungendo alle ipotesi
indicate quella della assoluzione perché il fatto "non costituisce illecito
penale".
Che si tratti di un effetto preclusivo più ampio è di immediato apprezzamento;
ed, allo stesso modo, un effetto così ampio non potrà essere negato - alla sola
stregua del precedente orientamento - in ipotesi di addebito disciplinare per i
medesimi fatti contestati in sede penale. Onde, in caso di pendenza del
procedimento penale, la sospensione si impone, a mente dell'art. 295 c.p.c., in
quanto dalla definizione del procedimento penale può dipendere, ai sensi del
citato art. 653 c.p.p., quella del procedimento disciplinare.
La soluzione appare tanto più necessitata, nel caso in esame, se si consideri
che la sentenza penale (di assoluzione) è intervenuta circa quattro mesi dopo la
decisione del C.N.F., e che l'eventuale giudicato esterno non appare
suscettibile di apprezzamento (per la prima volta) in sede di legittimità.
6.4. Dall'accoglimento del motivo deriva l'assorbimento delle restanti censure,
nonché della istanza di sospensione d'efficacia della decisione impugnata.
In relazione a tanto, quest'ultima va cassata, con rinvio, per il necessario
nuovo esame, anche alla stregua della sentenza penale frattanto intervenuta, al
C.N.F.
Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi di compensazione delle
spese della presente fase.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la decisione impugnata e rinvia al C.N.F. Compensa le spese del giudizio di cassazione.